Capitolo diciassettesimo

La testa di Tristan è sulle mie cosce nude. Dorme.
Il televisore è acceso di fronte al letto. Una coperta gli fascia le gambe e da qui sopra la visuale del suo corpo nel suo pigiama blu mi fa provare un calore inaspettato.
Capita spesso che lui si addormenti e io rimanga in silenzio a pensare. Posso fare tante cose in questi momenti di silenzio. Scrivere ad esempio, o alle volte dormire insieme a lui; che so, magari abbracciati.
La differenza di età tra di noi non ci ha mai ostacolati. Si, ho scritto così in uno di quei tanti fogli di brutta che poi finiscono inevitabilmente nel cassetto del mio comodino.
Siamo sempre stati affiatati, fin dall'inizio, facendo tutto con calma ma anche con una strana foga apparente. Essendo più piccola molte cose che lui faceva da tempo, io non ne ero nemmeno a conoscenza. Come l'alcool, oppure le feste e il fare tardi la sera, o la patente, o tanto altro. Libertà che non conoscevo e che non tocco ancora con mano mia. Mi nutro di ogni singola cosa sua, di ogni singolo movimento, gesto, suono. Lui è musica, arte e mille sensazioni, tutte insieme.
Guardo il suo profilo dolce ma allo stesso tempo duro e rigido. La mascella, il naso e la bocca. Ogni parte di lui riempie uno scompenso in me. Ogni parte di lui aggiusta, incolla e ricrea pezzi della mia anima. Lui.. lui riesce a risanare le mie cicatrici, ed è strano, e importante.
Non sono mai stata un tipo che crea problemi, determinata, ma fragile e ubbidiente. Non ho mai dato peso a sofferenze o strane fantasie. Sono sempre stata tranquilla. Ma se c'è una cosa che io ho capito in questi anni è proprio che la tranquillità è solo un momento, breve o lungo che sia. Se tutto si agita, ti trascina con se.
Ho ballato con la vita in questi anni.
Ho fatto a pugni con la morte.
James mi ha fatta cadere, costantemente. E io se non ci fosse stato Tristan, non mi sarei rialzata. Rimanevo giù, per terra, sanguinante, dolorante, ma per terra. So a memoria ogni singola crepa, ogni singolo disegno, dei pavimenti dei bagni di scuola, o dei corridoi, o degli stanzini, potrei distruggerli e poi ricostruirli ad occhi chiusi.
In questi anni ho capito questo, era la mia fragilità a dargli soddisfazione, era il mio non coraggio, il mio silenzio, la mia debolezza. E lui, più mi vedeva a terra più sembrava essere felice.
il processo è stato veloce e indolore. Come lo strappo di un cerotto. Non ho dato niente in quelle udienze , non dovevo dimostrare nulla; devo dire che la mia mente viaggiava verso altri infiniti mentre il mio avvocato parlava. Ci sono state tante parole in questi anni, quasi quanto il silenzio che c'era in me. Poi dopo si è scatenato il caos. Urlava la mia anima e tutte le mie grida riecheggiavano ogni notte.
Ho avuto incubi che mi facevano svegliare di soprassalto mentre tremavo. Incubi su Tristan e James, su James, su me e James.

Già. James.

Alle volte mi capita di ripensarci, ma Tristan se ne accorge subito e mi distrae.
Una volta gli ho chiesto come facesse. Perché le rare volte che pensavo a James lui lo capiva subito. Lui ha risposto così:"Fai una smorfia particolare con la bocca che poi va a caratterizzare la lotta interiore che ti si legge nello sguardo. È un'espressione che non dimenticherò mai"
Io quel giorno rimasi di sasso. Aveva centrato il punto, ancora. La mia era una lotta non per dimenticare, e nemmeno <<per sopravvivere>> come molti mi hanno detto. Quello che provo di fare io è smetterla di pensarci. Io non penso a quello che mi faceva James, ma a James stesso. Forse perché voglio capire, forse perché in tribunale lui è stato sempre zitto, assumendosi la colpa, dichiarandosi colpevole.
Quando sono uscita da lì, parlo dell'ultimo giorno che io e lui ci siamo visti, mi ha guardata. Lo dovevano portare in riformatorio, ma i poliziotti dovettero richiamarlo più di una volta spingendolo verso l'interno della macchina. Lui si è fermato, e mi ha guardata. Io sorridevo contenta che il processo fosse finito e che fosse andato tutto bene. Al mio fianco c'erano i miei genitori. E dal tribunale continuavano ad uscire tante persone. Ma lui ha guardato me.
Uno sguardo strano, non decifrabile. Un controsenso, come se volesse dirmi: dimentica tutto questo, tranne me. Non dimenticarmi.
E lui è l'unica persona che devo assolutamente dimenticare, ma so che non accadrà mai.
Forse sono tutte paranoie che mi sto facendo io, come dice mio cugino. Forse è tutto un fatto di soddisfazione. Non c'era soddisfazione quel giorno, e nemmeno quello a venire, e nemmeno quello precedente. In questi due anni non c'è stata la minima soddisfazione.
Mi aspettavo che sarebbe finito bene il processo, non avevo paura né ansia o angoscia.
Ero stanca. Quello sì.
Ma un respiro profondo alla fine del processo non lo tirai. Non provai niente, se non indifferenza. E quella soddisfazione che invece vedevo negli occhi di mia madre, la vendetta riscattata negli occhi di papà. E il dolore finalmente messo a tacere in quelli di Tristan. Io non provai niente del genere. Forse in silenzio pregai e sperai che tutto quello fosse finito una volta per tutte. Obiettivi? Una vita nuova, riprendere le mie abitudini, riprendere a sorridere.
ho riflettuto anche su questo: io non ho avuto paura della morte. Bensì della vita.
Ero intimorita da tutto quel movimento che James ha causato in questi due anni. Queste onde di questo mare arrabbiato che mi affogavano, una dopo l'altra, avevo paura mi sarebbero mancate. Infondo la mia vita prima di James per quanto bella potesse essere non era niente. Io non ero niente. Scuola, casa, cinema con le amiche una volta al mese.
Buon rendimento scolastico, una bella famiglia. Qualche matrimonio, natali allegri e serenità. Per quanto possa essere stato brutto il periodo con James, io sono come nata per la prima volta. Ho conosciuto Tristan, Zoe, le infermiere dell'ospedale e anche una piccola bambina di nome Laura che ho saputo è morta poche settimane fa.
Io non ho mai avuto paura di morire, per questo forse non mi ribellavo, non riuscivo a ribellarmi. Io vivevo nella morte mascherata dalla mia vita felice.
Ora come ora sto bene. Alle volte devo tornare in ospedale per alcuni accertamenti, che però si diradano sempre di più.
Ora sono sulla nuvole nella felicità più acuta mentre fisso il vuoto davanti a me che come un leone con la sua preda mia aspetta affamato.
Ma so che non mi avrà molto facilmente.
Tristan si muove da alcuni minuti sulle mie gambe, sarà meglio levare questi fogli prima che li voglia leggere. Lui non sa di tutto questo, non sa che il mio sfogo personale è la scrittura, e va bene così. A volte mi scuso con lui, per qualche banalità data da alcuni nostri bisticci, che cela in realtà tutto ciò che non ho mai il coraggio di dirgli. Tutte le volte che mi sono spogliata davanti a lui l'ho fatto solo fisicamente. Lui mi ha vista vulnerabile, malata, fragile. Ma non sa ciò che mi passa per la mente. Non l'ha mai saputo, nemmeno quando imparavamo a conoscerci. Nemmeno quando mi difendeva, o quando mi consolava, e forse non l'ha mai voluto sapere.
James invece, a lui importava fin troppo di cosa mi passava per la testa, voleva capirmi, mi studiava, anche se io non so ancora il perché.
Ed è per questo, che settimane fa ho deciso di volerlo rincontrare.
Ma questa è una cosa che ho fatto solo settimane più tardi.

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