Dicci come fai
▶️ Forever – Labrinth 🎧
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"Vestitevi di educazione e gentilezza. Sarete eleganti sempre."
— Anonimo
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«Insomma... tu mi piaci, Albert.»
Fatou lo aveva guardato dritto negli occhi.
I due maghi si trovavano nel cortile, all'ombra di un albero secolare le cui fronde piene scivolavano verso il basso in colori aranciati, tipici dell'autunno.
Era tutto un'esplosione di colori rossastri, di gialli accesi e profumi di pollini antichi. Il sole tiepido d'ottobre bagnava le foglie, scivolava sulle cortecce vecchie e faceva rilucere l'erba ancora inumidita dalle prime piogge.
In quel caldo primo pomeriggio, dopo pranzo, lì fuori non c'era ancora nessuno eccetto loro.
L'aria era mite e pulita, rilassante... ma al suono di quelle parole ad Albert si irrigidirono le spalle. Le distaccò dall'albero su cui era rimasto appoggiato, le braccia conserte si sciolsero piano e la gamba piegata contro la corteccia tornò lentamente a toccare terra.
Il giovane Tasso inclinò il capo verso di lei e, in quel movimento, una ciocca scivolò via dal codino disordinato che teneva sempre dietro la nuca. Il vento la sollazzò per aria, facendola brillare come oro colato.
Schiuse le labbra, un soffio delicato: «Cosa...?»
Fatou si martoriò le dita, rigirandosele in grembo. Abbassò il mento, l'imbarazzo a colorarle il viso d'un rosso violento.
«Beh.. sì. È quello che provo, Albert. Da più di un anno in realtà, e credevo che tu... che tu ormai l'avessi... beh... capito.»
Vedendo che il mago non rispondeva, senza riuscire a guardarlo tentò, ancora: «È che... quando stiamo insieme sei così... premuroso, con me e... dolce. Soltanto che ogni volta che credevo avresti fatto quel passo in più tu di punto in bianco non lo facevi mai, né mi dicevi mai... nulla. So che sei molto riservato e non so se aprirti così sia... un peso per te, così volevo... voglio farlo io.»
Buttò fuori le parole con una difficoltà stremante, alla fine aggiunse: «Beh... l'ho appena fatto, in realtà.»
Dopo qualche secondo la maga trovò il coraggio di alzare nuovamente quei suoi due grandi occhioni azzurri su di lui. In verità, a esser sinceri, per poterlo guardare in viso dovette alzare proprio la testa, data l'altezza smisurata di Albert.
Lo guardò con l'impazienza impressa nelle iridi. Portava due lunghe trecce bionde a incorniciarle il viso morbido, dolce come una rosa.
«Dì qualcosa...» lo supplicò in un sussurro piccolissimo.
Albert sbatté le palpebre, scosse la testa come a volersi ridestare. «Io... perdonami Fatou, sono solo... sorpreso.» fu il sorriso sbiadito che le rivolse.
«Ah questo non è un buon segno.» fece lei in un'ironia un po' amara, sollevando gli occhi al cielo.
Lui si passò la punta della lingua sul contorno definito delle labbra e poi, con delicatezza, si avvicinò a lei dei pochi passi che li separavano.
«Fatou... il fatto che una ragazza come te abbia anche solo potuto poggiare gli occhi su di me... mi lusinga, davvero.»
La maga però scosse la testa, un sorriso aspro ad incunearle le labbra piene: «Se ti guardassi intorno di tanto in tanto, noteresti che non sono solo i miei occhi, ma un bel po'...»
Un sorriso educato falciò le labbra di Albert, un lato di esse si spinse nella pelle fino a formare una delicata fossetta.
Fatou lo guardò, persa per un istante su quel viso che sapeva tanto di dipinto proibito. Qualcosa che non si deve guardare, a meno che non ci si voglia restare intrappolati dentro.
Era come uno di quei disegni ad acquerello... sapete? Quelli che ritraggono l'alba.
Albert era esattamente così, come un'alba.
In quei suoi colori pallidi e delicati ricordava cieli tersi, in quei suoi sorrisi enigmatici ma sempre gentili nascondeva l'aura timida del sole. Nei lineamenti delicati e spigolosi ricordava linee d'orizzonti troppo lontani per essere sfiorati, gli stessi che per quanto corri sai già non raggiungeresti mai.
E in quelle movenze morbide e armoniose c'era qualcosa che sapeva di nuvole. Una lentezza pacata, pacifica. Mai intimidatoria in quella sua natura clemente eppure bellissima, d'una grazia quasi bastarda.
Ecco perché... Albert aveva la stessa aura delle albe. Placide, lente... eppure un po' imbrunite, intimidatorie perché vestite di bordature scure, neri elettrici e densi e brividi di freddo inaspettati.
Lui ti incantava perché era fatto così e basta. Un'eco di sole.
«Mi hai sentito, Fatou?»
La ragazza sbatté gli occhi, li strappò via dalla condanna del suo viso.
«Io...» respirò male, trafelata, «No, scusami.»
Albert s'accigliò, indeciso. Si abbassò un po' su di lei, così da assicurarsi che l'ascoltasse.
Lei però si ritrasse in un grumo di nervi tesi. Gli fece un sorriso di scuse, tiratissimo, ma si guardò bene dal restare dov'era.
Il Tasso da quel gesto dedusse d'averla offesa in qualche modo e, a quel pensiero, gli occhi d'ambra gli si scurirono un po'.
«Io sono... profondamente desolato.» fu la voce di lui, una tenerezza dispiaciuta, «Davvero. Forse avrei dovuto essere meno–»
«No, Albert.» lo interruppe lei, una mano alzata nell'istinto di bloccare le sue parole, «Sono io che ho frainteso. Quest'anno... quando sei tornato, io... non lo so... ti ho sentito più vicino e ho creduto che finalmente ricambiassi i miei sentimenti.»
Lo guardò con un sorriso che sapeva di sconfitta, ma anche di coraggio: «Sono stata sprovveduta e... probabilmente anche fuori luogo, scusami.»
Ma lui la guardò dall'alto, la mandibola indurita e lo sguardo contrariato: «Non voglio sentirti parlare così di te stessa, Fatou.»
Poi però si addolcì, le poggiò una mano sulla spalla come d'istinto era solito fare in amicizia: «Non c'è niente di sprovveduto nei sentimenti, ancor meno nel confidarli. Io–»
«No Albert. Ti prego non– non essere così.» grattò fuori, i polpastrelli di lui a bruciarle alla base del collo.
Ce la mise tutta per non sottrarsi di nuovo e, il fatto che lui non ci facesse neanche caso, le faceva capire l'abisso di sentimenti che c'era tra loro due.
«Così... come?» si stupì infatti il mago, che le restituiva lo sguardo con occhi confusi, insistenti.
Lei ce la mise tutta per sostenere quelle iridi, pesanti come meteore, «Non commiserarmi.»
Albert ne rimase sorpreso, quasi ferito da quelle parole che per lui non avevano verità.
«Commiserarti? Io non sto assolutamente cercando di– »
Ma poi chiuse gli occhi, prese un bel respiro nel bisogno di usare le parole giuste. «Ascolta Fatou.» disse infine, «Tu sei... meravigliosa. Una maga caparbia, intelligente, dolcissima, buona. Sei la prima Tassorosso a esser diventata mia amica, ormai sei anni fa. Sei una delle persone più care che ho qui, a Hogwarts. Ti stimo moltissimo e nutro un sincero affetto per te, ma io... i miei sentimenti non sono tanto nobili quanto i tuoi, mi dispiace infinitamente.»
Lo disse con una sincerità pulsante, ma a volte è proprio questo che spezza i cuori. La sincerità.
Soprattutto se vestita di genuina gentilezza... in quel caso ti spezza tutta.
Il punto è che... gli spiriti gentili questo non lo capiscono. Pensano di toccarti con cura e invece ti frantumano.
Eppure quella tenera Tassorosso racimolò tutto il coraggio che le era rimasto e se lo spinse contro il cuore. Lo guardò con sicurezza, bella e pulita:
«Va bene.» annuì, «Dovevo almeno provarci, no?» fece, un po' impacciata, le labbra schiuse in un sorriso tremulo.
«Spero di... di non averti messo in imbarazzo, né ora né in futuro.»
Ma Albert scosse il capo, le ciocche bionde ad accarezzargli gli zigomi pronunciati: «No, nessun imbarazzo. Né ora né in futuro.»
Lei sospirò, il petto a sussultarle piano nascosto dalla divisa. «Va bene.» ripeté, calma. «Allora... rientriamo insieme in Sala Comune?»
Albert si sciolse in un sorriso dolce, per lui riflesso involontario come lo è per una stella cadente precipitare fino a scavare il cuore della terra. Albert, invece, scavava cuori di sangue.
«Non rientro ancora. Ho promesso a mio fratello una partita a scacchi, mi aspetterà già in Sala Grande.»
«Oh, certo!» annuì l'altra, mentre già faceva un passo indietro, «Allora... ci vediamo più tardi.»
Alzò una mano per salutarlo, imbarazzata.
Anche Albert alzò la propria, mosse le dita affusolate: «A dopo.»
La vide voltare l'angolo e scomparire sul sentiero in pietra sotto gli archi. Si concesse di gettare fuori un sospiro che sembrava uscir fuori da cento polmoni invece che da due.
Fece ricadere pesantemente la schiena sulla corteccia dell'albero e, stendendo il collo, ci poggiò contro anche la nuca. Lo fece con così poca delicatezza che la corteccia gli raschiò il cuoio capelluto, si insinuò tra le ciocche.
Gli si era formato un grumo in gola, dello stesso sapore del dispiacere. Socchiuse le palpebre, lasciando che le fronde lo proteggessero dai baci caldi del sole.
Sarebbe voluto rimanere in quella posizione fino all'imbrunire, ma Lucien lo stava davvero aspettando.
Così, con tutta la pazienza del mondo, rientrò anche lui.
Camminava a testa bassa, l'attenzione persa nel retro dei pensieri, a ripercorrere la conversazione che aveva avuto con una delle sue più care amiche, solo pochi minuti prima.
La verità era che Albert se ne era turbato, soprattutto per non aver colto prima la vera natura dei sentimenti di lei. Se lo avesse capito in tempo... Fatou non si sarebbe strutta fino a quel punto perché lui avrebbe chiarito le cose molto, molto prima.
«Più di un anno...» gli scivolò dalle labbra inconsciamente, parole troppo incredule per tenersele dentro.
Il mago teneva le mani perse nelle tasche dei pantaloni della divisa e i capelli gli si erano stropicciati così tanto che la maggior parte delle ciocche erano scivolate via, così adesso gli coprivano il viso come una tenda vaporosa di bronzo e sole.
«Più di un– »
Qualcosa gli finì contro. Sbatté le palpebre, confuso.
Mentre fece per alzare gli occhi, si sentì i timpani graffiare d'una voce che non conosceva.
«Perché non guardi dove vai, coglione?»
La ragazza che lo superò con una spallata non si curò neanche di alzare gli occhi dal suo libro ed era così bassa confronto a lui che in realtà lo spintonò solo all'altezza del petto.
L'unica cosa che Albert riuscì a scorgere dall'alto fu un caschetto di capelli neri, dal taglio cortissimo che terminava sul collo abbassato, le mani strette sul suo libro mentre si allontanava con la stessa serenità con cui gli era finita contro.
Lui invece si era fermato nel corridoio, per chiedere delle scuse che invece adesso avevano battuto in ritirata. Si voltò a mezzo busto e la guardò da dietro, allibito.
«Ehi guarda che sei stata tu a finirmi contro!»
Lei non rispose nulla, nemmeno si voltò. L'unica cosa che fece fu portarsi la mano sopra la testa e... alzargli il dito medio.
La mandibola di Albert si spalancò. Scosse la testa: «Ma guarda questa.» sbruffò, l'ombra di un sorriso incredulo sul viso.
La guardò andar via, uscire fuori dal portone che dava sul cortile, lo stesso da cui lui era appena entrato.
Distolse gli occhi da lei, le labbra ancora inconsciamente incuneate verso l'alto.
Arrivato in Sala Grande non fu difficile trovare suo fratello: era uno dei pochi rimasti al tavolo dei Grifondoro.
Si avvicinò con calma, guardandolo mentre se ne stava piegato sulla scacchiera.
«Lucien, buongiorno.» lo salutò quando lo raggiunse.
Il bambino alzò gli occhi, un ampio sorriso gli si slargò sul viso: «Ciao, fratellone.»
«Aspetti da molto?» gli chiese mentre si sporgeva sul tavolo per arruffargli i capelli d'un biondo ceruleo, esattamente come i suoi ma molto più corti.
Quello scosse la testa: «No.» rispose, «Ma Clarice mi aspetta tra un'ora per cui la lezione oggi durerà meno.»
Mentre Albert si sedeva di fronte a lui gli lanciò un'occhiata superlativa, curiosa: «Ah sì?»
Prese a sistemare i pedoni sulla scacchiera, ma quando vide che il fratello non rispondeva nulla storse le labbra per nascondere un sorriso.
Lo stuzzicò un altro po': «Sei ancora al primo anno e già fai strage di cuori?»
Questa volta Lucien alzò i grandi occhioni, lo punse con uno sguardo un po' scocciato.
«Albi.» fu la voce infastidita, «Siamo solo amici.»
Ma il Tasso sogghignò mentre con dita delicate si portava distrattamente una ciocca bionda dietro l'orecchio.
«Dovresti tagliarli adesso.» osservò Lucien, storcendo un po' il naso– e cambiando discorso.
«Mmh.» fu la risposta assente di Albert, gli occhi puntati sulla scacchiera per vedere se fosse tutto in ordine. «Possono ancora restar così per un po'.»
«Sono cresciuti tanto e poi sono sempre disordinati. Sai che a mamma non piacciono.»
Albert alzò gli occhi sul fratello più piccolo. Gli fece l'occhiolino quando disse: «Ma mamma non è qui, no?»
«Sì ma lo sai che– »
«E invece mamma lo sa, di Clarice?»
Lucien rimase con le labbra ancora schiuse. Poi fece un sorriso apologetico e alzò le spalle:
«Hai ragione tu.» ritrattò in quella voce tipica dei bambini che si atteggiano a grandi, «Mamma non è qui.»
«Bene.» annuì Albert, soddisfatto.
«Su cosa ci esercitiamo oggi? Continui a spiegarmi le aperture?»
«No. Basta con le aperture.» scosse la testa il fratello maggiore, «Oggi giochiamo. Voglio che tu faccia un buon arrocco. Ricordi a cosa serve?»
Lucien annuì subito, gli occhi puntati sulla scacchiera: «A salvare il re.»
«Ricordi dove?»
Lucien storse le labbra, un po' indeciso: «Nell'ala di donna?»
«No.» rispose sereno Albert, «Non per forza, almeno. Può essere un qualsiasi angolo della scacchiera, ed è una cosa che puoi fare solo una volta in tutta la partita. L'unica chance che hai per muovere il re.»
Lucien annuì, assorto: «E come posso muovermi? Questa cosa mi confonde sempre.»
«Esistono due tipi di arrocco, Lucien. Quello corto e quello lungo. Partiamo dal corto, okay?»
Il fratellino annuì ancora: «Partiamo.»
E partirono.
Spesero un intero pomeriggio così, talmente concentrati che anche la bimba di nome Clarice, quando raggiunse Lucien, fu costretta a sedersi con loro.
All'inizio sembrò un po' imbronciata, ma Albert la coinvolse presto nel gioco. Lo fece con tenerezza e attenzione talmente accurate e sincere che, alla fine, fu un riflesso naturale per la bambina interessarsi a ciò che lui diceva.
E finì così. Con Albert che spiegava e loro che ascoltavano.
Lucien amava ascoltare suo fratello maggiore. Era sereno, infinitamente paziente, chiaro e, cosa più importante, non si arrabbiava mai.
Albert era sempre stato uno scacchista brillante e, quell'estate, durante le vacanze nella tenuta di campagna, aveva fatto appassionare anche il fratello minore a quel gioco.
Avevano passato interi pomeriggi tra le selve francesi e le serre di papà. Tra scacchi, vestiti imperlati di sudore e roridi di acqua di fiume, la stessa che inumidiva loro la pelle, li faceva profumare di bosco e natura fino a sera, quando mamma li costringeva a lavarsi prima di cena.
Erano stati mesi dipinti da alberi di more e bagliori di soli, Albert e Lucien avevano vissuto come due giovani dimenticati dal mondo.
Perché è vero che nella vita, in fondo, c'è sempre il privilegiato di turno a cui non è mai mancato niente.
Che vi piaccia o no, Albert era uno di questi.
~•~
Si era ritirato presto dopo cena.
Aveva ancora quel libro che doveva finir di leggere, era stato un pensiero fisso per tutto il tempo. Gli mancavano le ultime pagine e contava di terminarlo entro tarda sera.
Assorto nella lettura al camino caldo della Sala Comune, non si accorse dei due dei suoi due amici appena rientrati che gli si sedettero vicino, da un lato e l'altro del divano.
«Siete tornati.» li salutò senza alzare gli occhi dalle pagine.
Quando Clinton però gli diede una pacca sulla spalla e Flitcher, dall'altro lato, lo spintonò un po', fu costretto a chiudere il libro con aria un po' scocciata.
Anche quella sera avrebbe dovuto aspettare.
«Ti sei perso il dolce Albi.»
«Lo so, Flit.» si voltò verso l'amico, passandosi distrattamente una mano sui capelli per tirarli via dal viso.
«Era mousse di triplo cioccolato, la tua preferita.»
Albert storse il naso, contrariato: «Davvero?» fu la voce un po' delusa.
«Davvero.» ridacchiò Clinton seduto dall'altro lato. «Ma forse è stato meglio che tu ti sia ritirato prima, stasera...» fu la voce maliziosa, un po' enigmatica.
Il giovane Tasso si accigliò: «E perché mai?»
Entrambi gli amici gli si avvicinarono, rivolgendo lui uno sguardo ovvio. Flitcher gli puntò contro i suoi due grandi occhi neri: «Quando pensavi di dircelo, amico?»
Ma lui si fece ancora più stupito: «Dirvi... cosa?»
«Fatou Kirsley?! Sul serio Alb? Tu hai rifiutato Fatou Kirsley?»
Clinton gli tirò un bel pugno contro il bicipite: «Ma ti è dato di volta il cervello?! Una come quella non ti ricapita neanche tra cent'anni!»
Albert rimase scioccato, letteralmente. Le labbra gli rimasero schiuse come petali di rosa.
«Ma come lo sapete voi?»
«Lei l'ha detto solo alle sue amiche. Ma Perla lo ha detto al suo fidanzato Robertson che lo ha detto a Tyler che lo ha detto a Flit che lo ha detto, ovviamente, a me.»
«Quindi domani lo sapranno praticamente tutti.» scoccò Albert, duro, «Splendido.»
«E che c'è di male?»
Lanciò all'amico un'occhiataccia: «C'è che mi dispiace per Fatou, Flit. Ecco cosa.»
Flitcher però scosse la testa, scoppiò in una risata fragorosa, gettandosi indietro e sprofondando con le spalle nel divano.
«Adesso rimorchi anche le più grandi, eh.» scherzò, non riuscendo proprio a farne a meno, «Devi proprio dirci come fai, amico.»
Anche Clinton ridacchiò, ma un po' più contenuto. Lasciò una pacca più gentile sulla schiena di Albi, vedendolo infastidito.
«Però un po' ha ragione Flit, no? Dicci come fai Albi.»
Albert fece per aprir bocca, piccato, ma dovette richiuderla nel momento in cui la porta della Sala Comune si aprì.
Fatou e le sue amiche comparvero sulla soglia, entrando silenziose.
Lei lo salutò timidamente in un'occhiata fugace prima di salire sù ai dormitori insieme alle altre, che la seguirono docili come api operaie.
Albert si dispiacque di quel saluto stentato che lui aveva avuto a malapena il tempo di ricambiare.
Flitcher emise un fischio allungato, prima di esordire: «Ah, povero Albi.»
Albert però aveva una natura che, se ferita, sapeva essere taciturna. Non rispose più nulla e gli amici, che in fondo lo conoscevano, cambiarono discorso per distrarlo.
~
Buon anno maghetti ♥️
Piaciuta la sorpresa?
Avete presente Penny di Hogwarts Mistery?
Ecco, Fatou (si pronuncia Fàtu, la "o" è morbidissima e impercettibile) è completamente ispirata a lei. Io la immagino proprio in quel modo. 🌻🌞💛
Di Albert c'è molto da scoprire, per non parlare di... quell'altra. Prime impressioni?
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