9. FIDATI DI ME (8/8)
Ero sull'orlo di una crisi, immobile, incapace di muovermi, con i piedi coperti di sabbia e gli occhi ormai pronti a buttare fuori lacrime su lacrime.
Iniziai a tremare e pensai a troppe cose insieme, le parole si accavallavano nella mia mente e tutto cominciava a roteare.
La vista annebbiata, come la testa, così tanto cieca in quel caos di riflessioni che non vidi nemmeno Michele tornare indietro, da me: sbucò come dal nulla, davanti a me, abbracciandomi.
Io lo ricambiai, tenendolo forte come non avevo mai fatto prima, perché avevo solo quel momento probabilmente, solo in quell'istante potevo godere nuovamente dei nostri corpi uniti, così vicini. Poi tutto sarebbe tornato lontano da me, estraniandomi da Spezzano, e tutti i suoi abitanti a cui non appartenevo.
Ero pronta a lasciarmi andare, piangere sulla sua spalla ed aggrapparmi con le mani alla sua maglietta bianca, sentendo il più possibile la pelle della sua schiena, la stessa che avevo afferrato la prima notte in piscina con lui e Ale.
Ma non lo feci, nulla scese dai miei occhi, perché nel sentirlo singhiozzare di fianco al mio orecchio sinistro, mi bloccai, incredula di ciò che stavo udendo.
Lo lasciai sfogarsi, durò più di quanto potessi pensare, ma mi piacque, aveva scelto me per piangere al buio.
Una volta mollati, ci sedemmo sugli scogli poco lontani dal White, lontani da tutto il frastuono, l'eco, i mali.
"Ti ho aspettata così tanto, poi sei tornata senza che potessi aspettarmelo. Ero così felice di rivederti, ma quando hai sputato la verità sono stato così male."
Aveva iniziato a parlare senza che ci fossimo detti niente prima.
Io gli chiesi: "Di cosa stai parlando?"
"Di te e Paolo" – continuò lui – "In fondo lo sapevo che vi amavate. Voglio tanto bene a entrambi, perciò ho voluto passare più tempo con Tiziana ... ma lei ... lei è diversa Sofia! Lei vuole tentarmi ... non è come te."
Non capii bene le sue parole, ma finalmente compresi che Michele aveva finora continuato la farsa con Tiziana solamente per dimenticarsi me. Non glielo dissi, perché sarei sembrata una persona orrenda, ma fui sollevata e felice di questo.
"Ale mi aveva detto che tu e Tiziana stavate insieme ..."
"Quando te lo avrebbe detto questo?" – urlò lui spingendosi verso di me – "Quando Sofia?!"
"C-ci siamo visti una sera poco dopo che ero tornata. Per parlare!"
"Avete solo parlato?"
No, ma non volevo dirglielo. Annuii.
"Quindi Alessandro ti ha detto che io e Tiziana staremmo insieme ... ma bravo. Quindi si fa la mia ragazza ora?"
"Io ..." – volevo pensare di più a quello che stavo per dire, ma non avevo pazienza, io desideravo solo dialogare con lui e stargli vicina – "Io pensavo questo ... inoltre già a inizio serata Tiziana si era accollata con Claudio ... ma ora capisco che invece per voi forse è un gioco."
"Tiziana è mia." Disse, ed io mi sentii sprofondare sotto terra, sotto la sabbia, sotto gli scogli, fino alle profondità della terra.
Abbassai lo sguardo lasciandolo parlare: "E' mia. E' di Ale e anche di Claudio. Anzi, in realtà noi siamo suoi."
"Perché?" Chiesi, senza guardarlo in faccia.
"Perché lei ... è diversa. Un po' come te, è informata, studiata diciamo. Ne sa ecco!"
Anche io avevo notato delle similitudini con Tiziana, stupidamente le avevo già dato della 'troia' nella mia mente, ma in fondo io ero la ragazza che si era spogliata l'anno prima davanti a tre fanciulli.
Alcune idee le condividevamo inoltre: l'ateismo, lo studio, la nostra incontrollata curiosità che – come me – aveva sicuramente spinto Tiziana a conoscere i Mangiaterra, fino a diventarne dipendente.
Però vi erano delle differenze, una in particolar modo: io non volevo altri che Michele, e basta.
Come sospettavo, però, io ero sostituibile, rimpiazzabile, non una ragazza che spiccasse per chissà quale motivo.
"Io e Ale abbiamo litigato tanto questa estate. Le cose devono ancora sistemarsi del tutto sai?"
"Me lo ha accennato." – ammisi.
"Già ... conoscendolo avrà cercato di darti le colpe. Ma non ne hai."
Mi fece riflettere Michele, con quelle parole, e trovai del vero in ciò che diceva, Ale tendeva a scaricare le colpe sempre su qualcun altro, me compresa.
Spalancai gli occhi mentre ci pensavo, osservando il basso dello scoglio.
Mise la sua mano sopra la mia spalla: "Hai capito Sofia? Tu non hai colpe. Io e Ale siamo un po' ... confusi, tutto qui."
"Sarà meglio tornare al club che dici? Adesso stai meglio?"
Mi mollò, con fare scoraggiato, incamminandoci verso il White.
Non mi voltai nemmeno una volta per vedere se era dietro di me, e quando dovetti girare l'angolo per l'entrata del club, mi resi conto che Michele non c'era più.
Era meglio così per tutti, pensai.
Non avendo il coraggio di trattare con il bodyguard, scelsi di sedermi fuori, vicino a dei motorini parcheggiati, pregando che qualche faccia conosciuta uscisse presto: volevo andare a casa.
Dopo soli cinque minuti, passati con un gioco stupido del cellulare, mi alzai dal marciapiede e provai a tornare in spiaggia: se Paolo si trovava ancora sul balcone avrei potuto parlarci.
Stavo passeggiando nel viale verso il mare, da un lato il White e dall'altro una serie di eucalipti: una zona in piena ombra, nell'oscurità, ove nemmeno le luci da discoteca o il riflesso della luna riuscivano a illuminare.
Dieci passi feci, poi qualcuno mi prese, mi spinse all'indietro, ed io urlai.
Il cuore a mille, le gola che voleva ripetere quell'avviso di 'aiuto', la pelle d'oca, le gambe che tremavano: per fortuna, scoprii, si trattava solo di Paolo che mi stava seguendo.
"Sei matto? Saltarmi addosso così!"
"Stavo andando in spiaggia a cercarti ... e poi volevo parlare con lui."
Paolo, parlare con Michele? Di cosa? Tutto sommato era giusto, io avevo avuto tutto il tempo per chiedere spiegazioni a Michele, e non lo avevo fatto.
"Vai. Dovrebbe essere ancora in spiaggia. Io ti aspetto lontana dall'acqua."
Lo accompagnai fin quando non toccammo con i piedi la sabbia, questa volta io avevo sfilato le scarpe, ed ora sentivo la splendida sensazione di quella polvere che strisciava sulla mia pelle.
Paolo si avviò verso Michele, che era disteso per terra, vicino alle onde che s'infrangevano sulla spiaggia di Sibari.
Li osservai da lontano, illuminati bene dalla luna, così chiara, piena, color argento, capace di bucare il cielo intero, e poi loro, i Mangiaterra migliori, che si raggiungevano.
Michele boccheggiava il fumo di una sigaretta e Paolo lo aiutava ad alzarsi.
La sua schiena, spingendosi in su e curvandosi, alzò una nube di sabbia che svolazzo fino a raggiungermi.
Ecco cosa ci univa, se pur a distanza, la terra stessa ci stava legando tutti insieme, nello stesso spiazzo di questo grande mondo: in qualche modo ci eravamo conosciuti, trovandoci perfetti gli uni per gli altri, un gruppo di esploratori di vite, con le anime che si mescolano l'una con l'altra.
Parlarono di spalle, mentre io di nascosto con il cellulare facevo una foto: due splendidi ragazzi che contemplano il mare, un'immagine che aveva un che di arte Romantica.
Dopo venti minuti persa nella mia mente ed in ciò che i miei occhi guardavano, ripetei il mio solito gesto: li chiusi, trovando la pace dei sensi, circondata dal meglio che potessi avere, il buio, Paolo, Michele, Spezzano Albanese e le spiagge di Sibari.
Riaprii gli occhi e i due ragazzi, poco più che bambini, si stavano abbracciando: un abbraccio come quello che avevo prima dato a Michele, vedevo bene Paolo aggrapparsi alla sua schiena con la stessa intensità mia.
Per un momento fui gelosa, sentii quasi nascere una sfida tra me e lui, ma stando più attenta mi resi conto che questa volta colui che piangeva era proprio il mio compagno di viaggio, il bambino albino dagli occhi rossi.
Era uno di quei pianti che scaturiscono dalla gioia incontenibile, una felicità contagiosa, che mi raggiunse, forse trasportata dalla sabbia, da piedi a piedi, fino a salirmi su tutto il corpo, scaldandomi il cuore.
Li raggiunsi con le lacrime che finalmente cadevano, libera di stare con loro e dimenticare tutti i problemi, i fraintendimenti, ricordandomi solo che eravamo noi, i ragazzi dei tuffi in piscina a mezzanotte, quelli del rifugio, quelli del bosco.
Paolo spalancò le braccia, lasciando Michele confuso, che voltandosi verso di me sorrise, senza dire una parola, allargando l'abbraccio per lasciarmi spazio.
Era come se ci stessimo amando tutti quanti insieme, amori diversi, con significati diversi, ma profondi, unici, irripetibili.
Paolo domandò, soffocando il suo pianto: "Amici per sempre?"
Io deglutii, incapace di rispondergli, impaurita dal pensiero di Michele; ma fu proprio occhi verdi a parlare: "Sì. Fidati di me!"
Quelle parole mi tornarono alla mente, le stesse che mi disse prima di partire per il Nord l'estate scorsa.
Ne sono certa, in quel momento strinsi più forte Michele che Paolo, come per attaccarmi alle sue stesse frasi, pregando fossero sincere.
Stemmo così per qualche minuto, ignorando le risate della gente che ci passava di fianco.
Poi ci staccammo scoprendo Alessandro e Tiziana, vicinissimi a noi – chissà da quanto – che aspettavano la nostra attenzione.
Ale aveva degli occhi pieni di disprezzo, mentre io lo ricambiavo con l'indifferenza più totale, com'era sempre stato.
Tornammo a Spezzano poco dopo, tutti insieme in macchina di Claudio: Paolo e Michele divisero il portabagagli, addormentandosi l'uno sull'altro come due bimbi.
Ogni tanto mi giravo per osservarli, sorridendo a denti scoperti.
Il mattino dopo mia madre ci svegliò prestissimo, arrabbiata per non aver ricevuto alcun messaggio tutta la notte.
Le passò a pranzo, le spiegai che mi ero semplicemente scordata di avvisarla.
Sfruttai quelle ore sveglie, di prima mattina, per andare dalla nonna e chiederle scusa.
Non so come, probabilmente a volte basta solo una cosa e tutto il resto si sistema, ma quella mattina mi sembrava che tutto volgesse al meglio, come avevo da sempre sperato fosse la mia estate.
Mia nonna mi chiese: "Hai rivisto i bimbi sperduti?"
"Sì."
"Basta che tu sia felice Sofia. Però stai attenta! Dispiace anche a me, per come ti ho trattata ... stai crescendo devo prenderne atto."
Ecco, era solo questo, e lo capii solamente allora: la nonna aveva sempre protetto la parte infantile di me, la mia parte bambina, per esserlo anche lei.
Le misi una mano sopra alla sua, accarezzando tutte le sue grinze, la sua pelle vissuta, le pieghe e le vene viola: "Io sarò sempre la tua bambina nonna, ma se posso darti un consiglio ..." – faticai a proseguire – "Coccolami finché te lo lascio fare. Crescendo magari mi dimenticherò di quanto ne ho bisogno. Allora coccolami che sto crescendo."
Iniziò prima a stringermi, poi a baciarmi sulla nuca, infine mi tirò le guance così tanto da arrossarmele.
Ma io fui contenta, come lo ero quando rendevo sorridente il mio papà.
Dopo pranzo io e Paolo aspettammo Michele in piscina, ci eravamo promessi di vederci lì ogni giorno, per tutta la settimana: perché sì, mancavano solamente otto giorni prima che io dovessi, come sempre, ripartire per il Nord.
Il tempismo mi aveva maledetto fino alla fine, come sempre.
Michele arrivò puntuale, sguazzammo insieme per un po', poi lasciammo Paolo andare a dormire – stanco per essersi svegliato così presto – e rimanemmo soli nel rifugio.
Io e lui, di nuovo.
Mi prese per mano e mi trascinò fino al primo piano, entrando nella stanza con l'armadio: "Il mio diario, so che lo hai preso! Ma dimmi è vero?"
"Vero?" – risposi io non capendo.
Indicò con un dito la mia calligrafia: "Lo hai scritto tu no? Per sempre la tua anima sarà a Spezzano?"
"L'ho scritto, no?" – dissi imbarazzata.
"Come fai senza anima per tutto il resto dell'anno?" – chiese sorridendo.
"So che qui starà meglio la mia anima ... ma poi io non ci credo ..." – risposi tentennando.
"Per me ci credi un po'. Però sai, qualcuno dovrà prendersi cura della tua anima se resta a Spezzano. Altrimenti il tuo corpo morirà. Senza anima ogni corpo, animale, pianta, muore, deperisce, si secca, finché non è solo cenere."
Lo guardai un po' turbata dalle sue parole, non capivo se erano confortanti o altro.
Michele smise di sorridere, fecce una faccia innocente, con gli occhi che mi studiavano: "Posso prendermi cura io della tua anima?"
Non ebbi il tempo di dire 'sì' che le sue labbra si attaccarono alle mie, ed io questa volta mi lasciai completamente andare, baciandolo con tutta la voglia che avevo da mesi.
Giorni, un anno, passato a sperare quel bacio: tutto era perfetto, la testa mi girava, ma non perché mi sentissi distante, estranea, ma ero un tutt'uno con lui, le nostre anime si stavano scambiando di bocca in bocca, esplodendo quando si scontravano.
Tolse dopo molto le labbra: "Ora posso farlo. La terrò io va bene? Dentro di me la tua anima! Così sono sicuro che starà viva e sana."
Risi: "Ma io volevo legarla a Spezzano Albanese, non a te."
"Te l'ho già detto, io sarò sempre qui per te Sofia. Fidati di me."
Come l'anno prima, lo feci, mi affidai alle sue parole e gli lasciai il mio spirito.
Passandoglielo anche i giorni successivi, continuando a baciarci di nascosto, lontani dagli sguardi altrui.
Paolo non era un grosso problema, Michele mi disse che si erano parlati: "Lo so che non stavate insieme. Lo ha ammesso in spiaggia a Sibari."
Però, ciò nonostante, preferimmo non farci vedere da nessuno, il tutto era anche più eccitante, ingegnarsi su dove trovarci, nasconderci, baciarci a lungo.
Furono otto giorni bellissimi, che volarono via come le briciole al vento.
Non ci promettemmo nulla, se non di esserci l'estate dopo: non avevo chiesto niente su Tiziana, Ale, Claudio, la sconosciuta, nessuno. Volevo mantenere quei giorni spensierati, tra un bacio e l'altro.
Quell'anno piansi per tutto il viaggio di ritorno, sentivo la mia anima staccata da me, quasi l'avessero tolta con la forza da dentro, lasciando la ferita aperta.
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