9. FIDATI DI ME (4.0)






Ricordo ancora che mia madre impazzì quando mi vide così, pensando che mi avessero ferita, quando invece mi ero ridotta in quello stato da sola. In parte, per il resto ci avevano pensato tutti gli altri: i miei genitori, che odiavo, per avermi tenuta lontana da Spezzano Albanese; Ale, per non aver allontanato Michele da quella ladra; Michele, per non avermi aspettato; la ladra, solamente perché esisteva; mia nonna, per non avermi legata in casa, trattenendo le mie gambe dal raggiungere quelle immagini.

Odiavo tutti, tutti eccetto Paolo. Volevo solo lui, ed egli stette con me tutto il tempo, chiudendoci a chiave in camera, rifiutandoci di mangiare – io perché non avevo appetito e lui perché mi voleva troppo bene.

Non uscimmo nemmeno in terrazza, non mi interessavano le stelle, desideravo solo dormire e far si che quella brutta, orrenda giornata terminasse.

Fu la prima volta che dormii nello stesso letto di Paolo, con lui che mi teneva stretta a sé, ed io con la testa sotto al suo mento, che mi addormentavo.

Chiudendo gli occhi sotto al sole, tra le piantagioni di mio nonno, non avevo trovato pace, continuando a vedere le stesse scene ripetersi all'infinito: il cartello, Michele, la sua ragazza, il mio Bobo, le loro risate.
Eppure coccolata da Paolo, riuscivo a perdermi nel buio dietro le mie palpebre, lasciando che tutto mi scivolasse via, liberandomi dalla sofferenza.

Non saprò mai ringraziarlo abbastanza, quello strambo ragazzino di tredici anni, per essermi stato vicino in quei giorni, staccandosi insieme a me dalla selva e i suoi componenti, rimanendomi vicino, annoiandosi insieme a me con i giochi da tavolo, andando mezz'ora al giorno in piscina da solo, e poi abbracciarmi tutte le notti perché se no non si dormiva.
Paolo era la mia àncora di salvataggio, anche quando sentivamo i sassi di Ale cadere sul terrazzo, per invitarci a inseguirlo la notte.

Facevamo finta di non esistere, prigionieri in casa nostra, evitando il mondo esterno il più possibile.

Ma non durò molto, Ale riuscì a scovarci al mercato di Spezzano Albanese, chiedendoci spiegazioni che conosceva benissimo.
"E' colpa di Tiziana vero?"

Tiziana, così si chiamava la ladra, lo scoprii solamente quella mattina per bocca di Alessandro.

"E' colpa di tutti." Dissi io con la testa bassa.

"Anche mia? Che ti ho fatto? Non ho chiesto io di innamorarti di Michele."

Non era amore, era una cotta, ma non era quel termine ad infastidirmi, quanto più il suo parlare solamente a me, come mia nonna, ignorando Paolo, come se fosse tutta una mia decisione; in parte lo era, ma non stavo obbligando nessuno a inseguirmi, nemmeno Ale che non si era arreso nel tentare di riportarci con lui al bosco.

"Dovresti parlarci Sofia. Con Michele, parlaci, lui non è cattivo, è solo che ..."
Non seppe continuare, si stava arrampicando sugli specchi: "Fai troppe domande. Non era una regola dei Mangiaterra quella di non farle? Allora taci, accetta ciò che ho scelto per me stessa e lasciami stare!"

"No."

"Lasciala stare ha detto" – si immischiò Paolo, difendendomi come un vero amico.

"Stai zitto tu!" Ale lo spinse con una mano e tutt'un tratto quel lato violento di Paolo riemerse, sferrando un calcio alla caviglia di Alessandro, facendolo cascare sull'asfalto davanti ad una folla di paesani.

"Che cazzo fai idiota?"

"Ripeto: lasciala stare o ti ammazzo."

Così disse Paolo, quelle parole così dure e pesanti, dette con una furia che non lo rappresentava per niente.

"Andiamo via" – dissi io, ma Ale si avvicinò di nuovo a noi.

"Cerca di tenerlo buono il tuo schiavetto."
Paolo sentendogli pronunciare quelle parole fece un passo di nuovo contro Ale, ma lo trattenni.

"Che vuoi Ale?" – chiesi io, preoccupata di più per le reazioni del mio bizzarro amico dagli occhi rossi, che dalle motivazioni dello spilungone dai capelli scuri.

"Vacci a parlare Sofia. Glielo devi. Noi vi abbiamo aspettato per un mese, anzi che dico, per tutto l'anno, ma non vi siete mai fatti vedere. Nemmeno vostra nonna ci ha informati di nulla, quando le abbiamo chiesto se sareste venuti a Spezzano questa estate lei ha negato. Poi comparite dal nulla, tu fai una scenata perché Michele ha una ragazza, spacchi un cartello e Paolo mi picchia. Vi sembra il modo di comportarsi tra amici?"

Amici. Eravamo amici noi ed Ale? Forse sì, ma ciò che mi roteava nella mente era solo quell'informazione a me sconosciuta, il loro dialogo con la nonna, che io non sapevo avessero avuto.

La odiai ancora di più in quel momento, era colpa sua, non dei miei genitori, non di Michele e nemmeno di Tiziana.
Tutto questo male era avvenuto per le parole di mia nonna, che aveva mentito riguardo al nostro tardo arrivo a Spezzano Albanese.

"Ne riparliamo Ale. Ok?" – gli parlai con lo sguardo supplichevole e tutta la trasparenza che riuscivo ad avere.

"Quando?"
"A mezzanotte in piscina."
"Perfetto" – mi rispose – "E' una promessa tra Mangiaterra!"
Scossi la testa per sottolineare la sua frase, era davvero una promessa e l'avrei rispettata.

Una volta a casa aspettai impaziente il ritorno della nonna dal mercato, avevo camminato frettolosamente, premendo con tutto il peso del mio corpo i piedi sul cemento, affaticando il povero Paolo – dalle gambe corte – che con il fiatone mi stava dietro.
Stetti sul tavolo fuori, nel retro, vicino alla portafinestra della cucina di mia nonna, finché non arrivò accompagnata da Giuseppe e Teresa – i vicini.

Non avevo più un briciolo di pazienza, le corsi incontro mentre riponeva gli scatoloni, con le bottiglie di olio, ai suoi piedi.

Lei mi aveva dolcemente salutata, poi aveva riposto la merce per terra, e stava cercando le chiavi per aprire la cucina, ed io le apparsi alle spalle, con gli occhi ardenti, i denti che mordevano il mio labbro inferiore, e la furia di una tempesta.
Mi vide attraverso il riflesso della porta, cancellando il suo volto leggero, facendosi seria, girandosi verso di me.

Non le lasciai il tempo di dire nulla: "Che cavolo ti è saltato in mente?!"
Mi ignorò, rigirandosi spalancando le ante, raccolse una scatola e mentre entrava in casa mi disse: "Raccogli l'altra scatola per favore?"

Poteva scordarselo, non le avrei mai più fatto favori, la inseguii con il passo pesante che avevo tenuto poco prima e le urlai contro ancora: "Sai di cosa sto parlando. Non fare finta di niente! Interpreti bene il ruolo della dolce nonnina smemorata, quella che pensa sempre agli altri, al nonno, alle belle cose. Poi ti comporti così? Dicendo ai miei amici che non mi vedranno mai più?!"

"Non sono tuoi amici Sofia. Hai visto anche tu no?" Domandò senza guardarmi, occupata a recuperare il secondo contenitore e mettere tutto al suo posto in una mensola.

"Ho visto cosa?"

Nel rispondermi fece molte pause, forse per l'orario caldo o per la semplice vecchiaia che la stava rendendo sempre più debole, ma non le diedi nemmeno un dito per aiutarla: "Hai visto quanto poco ci hanno messo a dimenticarsi di te? Soprattutto quello lì ... come si chiama? Michele mi sembra."

"Ma bene! Conosciamo pure i nomi. I bimbi sperduti li chiamavi vero? Ma non prendermi per il culo."

Mi fissò per la prima volta dentro in cucina: "Non parlarmi in questo modo volgare bambina. L'ho fatto per il tuo bene."
"Il mio bene?!" Gridai a più non posso: "Davvero nonna? Perché mai dovevi rovinarmi l'estate per il mio bene?!"

Mi prese per le spalle, avvicinandosi con la sua testa alla mia: "Perché non desidero tu resta intrappolata in questo posto senza futuro! Quel ragazzo lo so anche io che è bello, carismatico, interessante. Si vede piccola mia! Te l'ho già detto, è come il nonno. Ma tu non meriti di innamorarti qui, in queste terre senza tempo. Quelle sono persone capaci di rapire il tuo cuore debole, ingenuo, e strappartelo via per sempre senza che te ne accorga."

Mi staccai con prepotenza dalle sue mani, la guardai in cagnesco e le dissi, pacatamente: "Tu sei una pazza. La vecchiaia ti ha reso proprio stupida. Non sai niente né di me, né di loro, e ti basi su delle esperienze tue, personali, per decidere di me, della mia vita."

Me ne stavo andando, uscendo fuori da quella cucina per prendere aria, quando aggiunse: "Non resteranno qui per sempre Sofia. Non lui per lo meno."

"Anche fosse, tu me lo hai tolto prima che il tempo potesse farlo."

Uscii fuori e camminai lontano, oltre gli uliveti, dove c'erano solo lunghi campi spogli e secchi, avevo bisogno di stare sola.

Tornai dopo pranzo, mentre mia nonna faceva il suo sonnellino pomeridiano e mia madre guardava la televisione in camera sua.
Stetti con Paolo nella cucina del mio abitacolo, quella in alto, al secondo piano: volle sapere che era successo, di cosa avevamo discusso e se c'erano delle motivazioni valide per aver agito in maniera così subdola.

In vero non ci eravamo dette niente, avevo solo sentito altre frasi senza senso e che non la scusavano affatto.

Non avevo scordato il libro 'Peter Pan', ma non lo lessi nemmeno quell'estate: dopo quel litigio lo volli tralasciare, sarebbe stato come farle un favore, ed io mi ero ripromessa di non ascoltarla o aiutarla più.

Aspettammo insieme, io e Paolo, la mezzanotte, per vederci finalmente con Ale.

Era l'unica cosa che ancora riusciva a profumare di speranza, quell'incontro che non sapevo ancora cosa significasse o avrebbe portato.

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