8. L'ULTIMO TEST (2/2)






Michele mi disse di camminargli dietro, il suo segreto richiedeva tempo, ma promise che era davvero importante.

Ale sentì i nostri passi tra le piante e ci rincorse dietro: "Dove pensate di andare voi due? Lei è sotto esame!"
"Non mi sembra ci fossero limiti di tempo, né che lei non potesse muoversi dietro casa, solo non doveva venir davanti, all'entrata. Giusto? Poi il vostro giro lo avete fatto, tornate a casa o fate una camminata insieme. Io ho da fare."
Sembravano in piena sfida in quel momento, avvertivo la tensione tra i loro corpi, ma Ale si ritrasse, girandosi dall'altra parte: "Fai come cazzo ti pare."

Cazzo. Non lo avevo mai sentito dire parolacce così pesanti per discussioni leggere, pensai che poco dopo sarebbe andato a pregare per questo atteggiamento scurrile.

Io e Michele uscimmo dalla selva, capitando in strada, dove le macchine slittavano una dietro l'altra nella grande curva dopo casa della nonna.
Seguimmo per poco il percorso della carreggiata, su una stretta banchina - poco sicura - poi scendemmo dalla piccola collina ove sostava la strada, finendo su un terreno spiano e arido, completamente deserto ed esteso.

Lo facemmo tutto sotto il sol cuocente, raggiungendo finalmente una parte abitata, che procurava un minimo di ombra che mi risollevava.
Le case erano allineate, parallele da destra a sinistra, brutte e maltenute, pochissime erano colorate di una tinta diversa dal bianco.
Alcune non avevano nemmeno le tapparelle, altre sembravano più disabitate del rifugio stesso, tutte basse, massimo due piani, ed erano minori quelle con un tetto a punta mentre maggiori le abitazioni con il tetto piatto.

Quando tirava vento, spingendomi della fastidiosa sabbia negli occhi, ne seguiva anche un'orrida puzza di fogne.
Michele vedendomi stanca per la lunga camminata mi prese per mano, mentre seguivamo quella malandata zona di Spezzano Albanese, riuscendo così a portare di nuovo coraggio e menefreghismo nel mio cuore.
Man mano si andava avanti e peggio le case divenivano, fermandoci davanti ad una delle peggiori.

Poi disse ciò che già sospettavo, ma pregavo non fosse vero: "Questa, Sofia, è casa mia."

Mi spiegò che non era quello il segreto, in paese tutti sapevano chi fosse e da dove venisse, e si vociferava, nelle scuole ed al mercato, che fosse stato adottato anni fa da Giulio.

"Non ti porterò dentro, è un postaccio, ma volevo farti capire da dove vengo. Lì abitano i miei fratelli, che non ricordano nemmeno il mio nome, e mia madre, che è una pezzente. Non voglio rattristarti, volevo solo farti vedere dove sono cresciuto."

Era orribile, bastava l'odore putrido per farmi capire quanto amara fosse stata la sua vita e nella mia compassione, improvvisamente, iniziai a piangere.

"Ti prego fermati..." – mi disse lui – "i tuoi occhi non devono piangere per me."

Queste parole, queste maledette esclamazioni, sui miei occhi, sulla vita, sulle sue credenze, mi avevano già fatto crollare il cuore, lo spirito, la stessa anima che avevo promesso restasse qui a Spezzano con lui, per sempre.

Ma evidentemente non aveva letto ciò che gli avevo lasciato scritto nel diario, il mio segreto per lui, quello che solo Paolo sapeva, nonostante fosse solamente con Michele che volevo parlarne.

Mi strinse ancor di più la mano: "Torniamo indietro, scusami per la strada, ma ora ti dirò il mio segreto."

Ci fermammo in piazza Mercato, su di un muretto, dopo aver preso due gelati, decidendo, senza dire nulla, di allungare il ritorno, con una me felicissima, sola con lui per qualche ora.
Finito il gelato, sempre in silenzio, mi feci avanti io: "Allora questo segreto?"

"E va bene" – cominciò Michele – "so che rispetterai la prova della fiducia, perché io ne ho in te. Lo capisco da come sei: forte, sveglia, intraprendente."

Parlava seriamente? Non mi riconoscevo in quello che diceva, io di me non conoscevo nessuna di queste tre doti.

Continuò: "Il mio segreto eh ... il mio segreto è che volevo essere il figlio di Giulio. Il fratello di Ale, un ragazzo con una bella famiglia. Felice."

Non dissi nulla, era una confidenza davvero grande, più grande di quanto mi aspettassi. Pensavo avrebbe parlato della sua casa, di sua madre che magari viveva a stento per mantenerla, o dei fratelli bulli, invece no, niente di tutto ciò voleva rivelarmi Michele, ma anzi, solo il naturale bisogno di essere felice in una famiglia.

Una sensazione che io possedevo, mi parve la cosa più normale del mondo, seppur più volte, quell'estate, avevo scoperto di essere molto fortunata.
Michele e Paolo, due bambini, ragazzini, con una infanzia travagliata. Loro probabilmente avrebbero rispettato le regole dei loro genitori, se fossero stati buoni come i miei, mentre io ero davvero ingrata, infelice di ciò che già possedevo, affamata di ribellione, per chissà quale assurdo motivo.
Poi mi tornò alla mente Ale, che mi aveva confessato di non desiderare sempre la figura di Michele vicino, e mi venne quasi subito l'impulso di rivelarlo al ragazzo dagli occhi verdi.
Mi trattenni, forse era tutto un inganno ideato da loro, per spingermi a fallire il test: 'Ale non ti desidererebbe come fratello' avrei voluto urlare, ma rispettai i patti e non lo feci, mantenni il segreto, per tutta la vita.

"Tu non hai nessun segreto invece?"
Mi chiese, con gli occhi verdi e brillanti come non mai.
"Niente domande avete detto" – dissi io distogliendo il mio sguardo dal suo.
"Scusa. Hai ragione ..."


Mi feci forza: "Qualcosa c'è ..."

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