7. ESTATE 2010 (2/2)






Però volevo ancora che si scusasse, che chiedesse il mio perdono, per aver aperto bocca su mio padre, il mio eroe, la persona più speciale che avevo, colui che prima di chiunque altro aveva saputo farmi ridere della vita, donandomela insieme alla mia splendida madre.

Mi focalizzai su questo pensiero mentre tornavo a letto, di nuovo piena di rabbia nei suoi confronti: 'deve scusarsi lui' mi dissi 'la famiglia degli altri non si deve mai menzionare. Ha sbagliato lui.'
Chiusi gli occhi ancora ardenti e presi sonno inferocita come non mai, con l'imminente ritorno delle mestruazioni alle porte, ma questa volta la mia furia non era dovuta da alcuno sbalzo ormonale, per me, era tutta colpa di Michele.

Paolo si fece strano nei giorni a seguire, più chiuso, alle volte anche scocciato; non glielo chiesi mai il motivo, sapevo che mi odiava perché lo tenevo lontano dagli altri, dalla sua amata piscina, portandolo con me in paese, ignorando il mercato, quando c'era, per evitare Michele e Ale.
Dopo che mi passò il ciclo si fece avanti: "Io volevo finire la terza prova."
Allora gli dissi chiaramente che poteva farlo senza di me, incamminarsi per la casa dei Mangiaterra e stare con loro, ma non lo fece subito. Ci vollero altri tre giorni, dove arrivò persino a supplicarmi di accompagnarlo, ma io resistevo, doveva essere Michele a cercarmi.
Così andò da solo, tornando soltanto la sera stessa, dopo cena, mentre mia madre mi avvisava che Paolo mangiava da Giulio, ponendomi il piatto con il melone tagliato sotto al naso.

Non mangiai molto, ero arrabbiata anche con Paolo, mi aveva tradita, nonostante fossi stata proprio io ad incoraggiarlo di inseguire i ragazzi da sé.
Quando entrò in camera non so che mi prese, ma lo riempii di domande, di come fosse stata la prova finale, come stavano, cosa avevano fatto, volevo sapere tutto, viverlo se pur con distacco, immaginandomi lì tutti insieme, nella casa abbandonata.
Paolo non mi disse niente se non: "Sei interessata così tanto? Allora la prossima volta vieni anche tu."
La prossima volta, dunque l'esame doveva averlo superato, mi avrebbe lasciata sola altri giorni, ed io mi sarei logorata il fegato per la frustrazione.

Mentre lui dormiva, sempre più rumoroso dal primo giorno che eravamo arrivati a Spezzano, io tenevo gli occhi aperti verso la parete, distesa sul letto.
Lì mi venne l'idea, quella che forse, in maniera un po' disperata, avrebbe fatto sì che Michele si mostrasse di nuovo dinanzi a me, chiedendomi anche scusa.

L'indomani mi alzai presto, per una poco mattiniera come me, sgusciando fuori casa mentre mia madre faceva il caffè: "Faccio due passi fuori. Mi scaldi il latte?" - chiesi.
Accettò senza parlare, occupata a sbadigliare, intontita dal sonno non mi disse nulla, trovandosi disorientata per il mio alzarmi all'alba.
Fuori vi era un clima strano, quello fresco che solo di prima mattina si può avvertire in estate, con l'erba umida e il bisogno assurdo di una felpa leggera a fine Luglio.
Mi incamminai per il bosco, raggiungendo il rifugio, salii al primo piano ed entrai nella stanza con l'armadio.
Rubai il diario di Michele e tornai di corsa a casa, felice nel non aver trovato nessuno nei dintorni, nascondendo l'agenda dentro la mia felpa.

Sperai fosse un oggetto importante per lui, così che lo cercasse disperatamente, fino a chiedersi se lo avessi io, poi lo avrei ricattato: le sue scuse ed in cambio il diario.

Rientrai in casa e bevetti l'ormai tiepido latte, mentre mia madre si cimentava a leggere una rivista prima di andare a svegliare la nonna.
La calma assoluta viveva in casa, con il fresco, il suono degli insetti, dello svegliarsi lento delle altre case e persone.
Guardavo il cielo limpido e brillante fuori dalla portafinestra della cucina mentre iniziavo a sfogliare di nuovo quel diario.
Trovai finalmente una pagina interessante, la 'pagina dei Mangiaterra' s'intitolava, quasi fosse un capitolo per un libro. Lo trovai dolce, immaginandomi Michele scrittore un giorno, lui che si accontentava di poco, leggendo e giocando, un giorno sarebbe potuto essere un poeta, un filosofo, un cantautore perché no.
Quelle allucinazioni pregavo con tutta me stessa fossero sogni premonitori, come anche quello in cui crescevamo insieme durante le varie estati, fino ad innamorarci follemente.

'Secondo Dio, la terra è degli esseri umani, prima di tutti, buoni e cattivi. Poi un giorno solo i prescelti potranno tornarvi, camminarvi di nuovo, vivere la vera vita.
Essi sono coloro che la amano, gli ubbidienti che se ne prenderanno cura.
Io non voglio il cielo, non lo desidero. Sto bene dove sto. Spezzano Albanese, questo bosco, questa casa, sono miei e dei miei fratelli.
Noi ce ne prenderemo cura un giorno di questa terra. La amiamo più di ogni altra cosa, perché ci dà vita, ci ospita, ci dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Noi siamo i Mangiaterra, coloro che si nutrono di ciò che il pianeta ci offre, senza chiedere altro in più. Un giorno sapremmo ripagare questi luoghi, nutrendoli a nostra volta. La terra deve avere fiducia in noi.'

Così scriveva Michele, con una profondità a me sconosciuta, ma che mi colpiva l'anima, uno spirito a cui non credevo veramente, ma credevo in lui, nel suo amore per Spezzano e per i suoi amici.

Io invece ero la solita ingrata permalosa, capace solo di distruggere tutto, rovinando un rapporto splendido, nascondendomi dietro quella figura gelida da ragazza del Nord, che tanto rinnegavo. Volevo essere una Mangiaterra, forse la più intelligente e moderna di tutti i Mangiaterra, ma volevo affidarmi al loro sentimento per quel bosco, quei paesaggi, che anche io amavo immensamente tanto, soprattutto quell'estate.

Mi pentii del mio orrido piano, ma volli comunque far sapere a Michele che sapevo, avevo letto ed assorbito un po' della sua conoscenza affascinante, così trascrissi sotto a quella citazione:
'Per sempre, la mia anima, qui. Sofia.'

Rifeci lo stesso percorso intrapreso poco prima, riposi il diario nel suo armadio e stanca di stare in casa, feci la cosa meno naturale e spontanea del mondo: mi tuffai in piscina, nuotando fino al centro dove l'acqua era più alta.
Dopo un'ora in ammollo arrivò Paolo e, dopo molti giorni, tornammo a sorriderci giocando insieme nell'acqua, sguazzando e riappropriandoci del nostro spirito infantile, che io tanto volevo mantenere.
Quando tutte le mia dita ormai parevano quelle della nonna, uscii dalla piscina, sdraiandomi in uno spiazzo di sole intorno a quella zona ombreggiata, trovando incredibilmente piacevoli i raggi che mi colpivano, ma solo se tenevo gli occhi chiusi.
Sdraiata sulla luce mi misi a parlare, raccontando a Paolo quanto avevo fatto la mattina presto.

"Ci credi davvero a quello che hai scritto?" – mi domandò.
"Certo, perché?" Con Paolo le domande non mancavano, ma noi avevamo un rapporto diverso rispetto che con i Mangiaterra. Noi eravamo veri amici, pronti ad una vita di avventure insieme, almeno nel mio solito immaginario fantasioso.
Uscì dall'acqua: "Per sempre? Per sempre la tua anima sarà in questo luogo?"
"Certo, ripeto. Anche se mia nonna dice che il suo cuore è a Spezzano, mentre la sua anima è con i suoi cari. Ma non è più importante l'anima di una persona? Il cuore, se buono, è pur sempre una conseguenza dell'anima secondo voi religiosi. Allora sì, la mia anima è a Spezzano Albanese, per sempre."

Paolo chiuse gli occhi, inspirò forte e disse: "Su questo posso crederti davvero Sofia. Anche per me è così. La mia anima, credo, resterà per sempre in questo luogo."
Mi infastidì questa sua supposizione, ero io in fondo quella che veniva tutte le estati a Spezzano, lui non c'entrava un bel niente con quel posto, eppure sentii che il nostro legame si era stretto inesorabilmente di più, anche grazie a quelle sue parole.
Per sempre, la mia e la sua anima, in questi uliveti, nella piscina, nella casa della nonna, nel bosco e nel rifugio dei Mangiaterra.
Era forse questa la tanto decantata religione che tutti mi spiegavano: leggi vere, forti, intrinseche nella nostra società da sempre, come l'amore, il benessere, la bontà.

Paolo dopo pranzo mi salutò nuovamente, ma questa volta non ero gelosa della sua partenza per la selva, anzi, speravo parlasse con Michele di quanto gli avevo raccontato.
Tornò molto presto del solito, spiegandomi che gli altri dovevano andare a messa quel Sabato sera, ma non aggiunse altro, così tornai a pensare che forse era Michele a non volerne più saperne di me.
Anche a quella cena non mangiai quasi nulla, come ormai facevo da giorni, con mia nonna che mi assillava esordendo con frasi che contenevano la parola 'morte', 'anoressia', 'deperita'.

Stemmo a dormire da lei quella notte io e Paolo, ci appisolammo tutti e tre sui divani senza accorgercene, mentre la nonna ci leggeva un libro. Mi svegliai per il battere delle ante alle finestre, scosse da un improvviso vento fortissimo.
Fino a qualche giorno prima avrei desiderato immensamente l'arrivo di un temporale, ma non quel mese.

Agosto iniziò malissimo, con la pioggia che cadeva a dirotto, i fulmini, i tuoni, e soprattutto l'impossibilità di uscire e vedere gli altri, mentre lo scorrere del tempo avvicinava sempre più la lancetta al giorno della nostra partenza da Spezzano Albanese.

Quando la settimana di tempesta terminò, mia madre e mia nonna, si misero d'accordo con degli amici da Sibari, per passare almeno una settimana di mare e sole, impaurite dal possibile ritorno delle piogge.
Fu così che passammo ben otto giorni a Sibari, con il mio tipico odio nei confronti dell'acqua salata, la sabbia e la melanina, cercando insieme a Paolo il viso degli altri, di Michele, Ale, Giulio e persino 'la stronza' di sua moglie, sperando di trovarli in spiaggia almeno un pomeriggio. Solamente l'ultimo giorno di mare riuscimmo a incontrare Giulio, che amaramente, ci avvisò che Michele ed Ale erano partiti per un camping con l'ACR di due settimane.

La mia mente sintetizzò il tutto in un solo modo: 'tornano l'ultima mia settimana a Spezzano Albanese'.

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