6. PANE, OLIO E VINO






6. PANE, OLIO E VINO (parte 1 di 3)

La seconda volta che li vidi eravamo in paese, stavamo girando per il mercato di Spezzano quando incrociai nuovamente quegli occhi verdi. Non ci salutammo, io ero con i miei genitori e la nonna, Paolo invece era rimasto a sguazzare in piscina.
Ormai non potevamo farci niente, amava stare in acqua. Quando usciva sembrava un vecchietto da quante rughe gli erano sbucate fuori.
Nemmeno le storie intimidatorie di mio padre erano riuscite a farlo tenere lontano almeno un giorno da quel luogo.

Mia nonna stava su una bancarella con Giuseppe e Teresa, vendendo l'olio rimasto dalla riserva.
Amavo l'olio della nonna, era leggero, poco piccante, più liquido rispetto agli altri. Insaporiva ogni cibo senza nascondere gli altri gusti.
Negli anni le vendite decollavano sempre più, ma per un trio di pensionati non importava, erano contenti anche con poco, l'importante era riuscire a mantenere vive quelle piantagioni, come lo spirito di mio nonno restava salvo nel cuore della nonna.

Raramente ero riuscita ad aiutare nella lavorazione delle olive, venivano raccolte verso Novembre ed io ero occupata per mesi a studiare, leggere e disegnare.
Eppure era una pratica che, qualvolta mi capitava fare, ne ero estremamente soddisfatta, sentivo il sapore della mia fatica dentro all'olio e mi rendevo pure utile. Non mi sentivo la tipica ragazza incapace che aspetta l'amore sospirando, ma ero una piccola adulta che svolgeva un compito, un lavoro, come si dice 'portare la pagnotta a casa', ecco, io portavo l'olio e mi rendeva felice questo.
Colpa anche della nonna che mi elogiava troppo: "Il tuo olio è stato il più venduto!"
Oggi se ci penso bene mi chiedo se davvero sapesse in quale bottiglia fosse contenuto il mio, il suo o quello degli altri.

Quando tornammo a casa sapevo già dove trovare Paolo. Mi prese un colpo quando lo vidi galleggiare sull'acqua come un morto, pensai fosse successo qualcosa: aveva gli occhi chiusi, il suo solito sorriso era sparito e notavo le scottature su tutto il corpo raggrinzito per le troppe ore in ammollo.
Iniziò a parlare senza che gli chiedessi niente, fu un sollievo: "Vorrei restare qui per sempre Sofia. Con te, i tuoi genitori, la piscina e l'ulivo."

Una vita a Spezzano, era davvero un sogno, perché nella realtà avevo sempre sentito parlare dell'estrema povertà che si portava dietro quel paese, scavalcato da Sibari, la città lì vicino che per lo meno godeva di una mare e turisti per le spiagge.
Mi venne in mente la vera attrazione di Spezzano Albanese: le terme.
"Un giorno ti porterò alle terme del paese, non ci vado da un po' di anni, ma restano sempre belle."
"Va bene" – aveva risposto lui, riaprendo gli occhi e sorridendomi ancora.
Ero debole davanti a quella sua espressione contenta, mi sentivo utile come quando preparavo l'olio, adempivo al mio compito: curare l'animo di Paolo.
Non sapevo ancora quanto fosse ardua tale impresa.

La sera decidemmo di tornare in piscina, come qualche notte prima. Nonostante le punizioni di mio padre, era troppo forte l'eccitazione di violarle, e troppo potente quello sguardo di Michele sul mio, che volevo assolutamente rivivere da vicino.

Eravamo appena tornati a stare nella nostra camera, già pronti a fuggire di nuovo, a farci scoprire e riempirci di prediche. Ma poco importava, ci divertivamo talmente tanto che nessuna restrizione era capace di fermarci.
Tutto era divenuto una provocazione, qualsiasi cosa, un consiglio, un divieto, un aneddoto dei miei genitori aumentava sempre più in noi la voglia di disobbedire.
Quando fummo in piscina non c'era ancora nessuno, pensammo fosse troppo presto, eppure l'orario era stato precisamente rispettato a discapito della volta precedente.
Paolo suggerì di riprovarci il giorno dopo, accennò anche su un potenziale rientro dalle vacanze di quei due, come se abitassero in altre zone d'Italia, ma io non volli dargli retta. Impossibile pensare che quegli accenti, di Michele e Ale, provenissero da altre parti se non Spezzano.
Loro erano lì, ne ero certa, dentro il bosco dei mostri. Forse ci stavano persino guardando, ma noi non riuscivamo a scoprirli.

Mi fissai su quell'idea, sentivo i loro occhi che mi studiavano, allora senza dire niente mi spogliai come la prima volta. Paolo mi seguì a ruota.
Scesi nelle acque in modo delicato, tenendomi stretta su un bordo, ma fui elegante, leggera, oserei dire sensuale.

Era come se di notte, in mezzo a quelle tenebre, mi trasformassi in un'altra Sofia, lontana da quella del Nord. Forse era solo il caldo a darci alla testa, oppure i nostri ormoni che pesantemente ci divoravano dentro giorno dopo giorno.

Rimanemmo soli in acqua ancora per poco, poi li sentii ridere. Erano più vicini di quanto immaginassi, sedevano sopra di noi, sugli alberi, da chissà quanto.
Mi sentii ridicola ad aver tenuta la testa rivolta verso il nulla per tutto quel tempo, per quanto poco fosse, era stato troppo.

"Stiamo qui ormai, così tuo padre non ci vede" – disse Ale, sogghignando.
"L'altra sera ci ha davvero spaventati assai. Ci ha rincorsi per tutto il bosco, finché non siamo saliti su un albero per nasconderci." Aggiunse Michele.
Io non li ascoltavo, notavo solamente che loro erano vestiti, mentre io no. L'imbarazzo si perse subito, appena scesero iniziando a spogliarsi per entrare con noi in acqua, un vero peccato che la luna fosse meno limpida quella notte, non riuscii a vedere bene il corpo di Michele.
"Ti sei calmata sta sera" – disse mentre si avvicinava al bordo piscina dove stavo io.
Aveva ragione, ero stata esageratamente scontrosa la volta prima.

Sguazzammo un po' nell'acqua, probabilmente passò più di un'ora ma sembrò niente. Poi, al cinquantesimo sbadiglio di Paolo, mi decisi a tornare in casa.

Ero abbattuta, non vi era stato nessun contatto, solo qualche gioco con l'acqua, un tuffo in più dal mio solito, mentre mi facevo coraggio in piscina, ma niente più. Sembrò di stare con tre bambini al mare, nulla dell'eccitazione, subita la scorsa notte, riapparve .

Erano tornati i giochi, le risate sottovoce, le prese in giro: tutti piccoli, non più adulti, in un'età confusa che non sa cosa vuole.
Non mi ero mai posta la domanda, ma cosa volevo io? Fu solo un momento, ma non ci pensai più per tutta l'estate.

Le giornate trascorrevano così, noia di giorno, in un'eterna attesa dell'arrivo della notte; poi si andava in piscina non sapendo se fossimo stati ragazzi o bambini.
La minaccia di mio padre era svanita, tornato a lavorare, lasciando solo mia madre che non badava alle nostre uscite nascoste. Le sapeva, molto probabilmente era conscia che ci trovassimo in piscina a mezzanotte, ma forse anche lei da ragazza aveva vissuto quei momenti estivi. In fondo quella era stata la sua prima casa, le mura di sua madre e suo padre (nonna e nonno). Pensai per anni che ci tenesse a mantenerle gioiose, per me, ma anche per lei.

Una notte non so cosa accadde, ma vollero rovinare tutto quanto, portarmi via quelle ore e trasformarle in appuntamenti più frequenti: "Vediamoci qui domani pomeriggio. Vi va?"
Lo propose Michele, non seppi dire di no, ma nel profondo non volevo. Ci saremmo visti alla luce del sole, da vicino, stringendoci la mano e diventando amici ufficialmente.
Non sapevo perché ma mi pesava, poi soccorse il ricordo di Paolo che mi avvisava: 'un giorno non ci sarai più'. Erano state queste le sue parole, ed io gli avevo promesso di restare per sempre. Ci credevo fermamente a quell'amicizia, ma non era lo stesso con Michele e Ale.
Loro erano solo una compagnia per le nottate estive, poi li avremmo salutati per davvero, senza mai più rivederci.

Eppure accettai, nonostante tutto, volli vedere quei due misteriosi personaggi anche di giorno.
Ricordo benissimo quella notte, senza sonno, mentre mi chiedevo come sarebbe stato vedere quei corpi nudi con degli abiti, al sole, fingendo di non sapere nulla e di non aver visto nulla.

Non andò proprio così.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top