5. LA PISCINA
5. LA PISCINA (PARTE 1)
Il mercoledì dopo eravamo tutti in viaggio.
Mia nonna, come suo solito, era partita di Lunedì, per assicurarsi che la sua casa nel Sud fosse in ordine.
La tenevano due gentilissimi vicini, anche loro di una certa età: Giuseppe e Teresa.
Io, i miei genitori e Paolo salimmo in macchina alle sei del mattino. Ricordo ancora quelle mattine, erano le uniche ore della giornata che amavo in estate.
Non ero mattiniera però. Quindi potevo assaporare quella particolare brezza fresca soltanto il giorno delle partenze.
Ci saremmo spinti in macchina fino alla Calabria, raggiungendo Spezzano Albanese, il paese d'origine di mia nonna.
Lei lo diceva spesso: "La mia anima è con i miei cari, ma il mio cuore è solo a Spezzano."
Il desiderio di restare vicina alla famiglia, di vegliare su tutti noi, era più forte del suo amore per la sua vera casa. Eppure la vedevo spesso guardare con nostalgia le vecchie foto, di lei e il nonno.
Abbracciati al loro matrimonio, vicini ad una modesta chiesa di Spezzano.
Con gli amici nelle spiagge. Seduti su una vespa, senza casco, ma felici.
Sorrisi che nemmeno nella vita reale avevo mai scoperto. Amavo quando le guardava, ogni tanto le scappava qualche splendido racconto. Era come ascoltarla leggere il libro più bello di sempre.
Paolo non chiuse mai gli occhi durante il viaggio. Ogni tanto io mi assopivo con la testa sul finestrino, ma qualvolta mio padre passava sopra un dosso, o quando colpiva i tombini, la mia testa sbatteva forte contro il vetro ed io ero costretta a risvegliarmi.
Il piccolo compagno di avventure invece teneva sempre lo sguardo aperto, studiando tutti i paesaggi con aria leggera, sinceramente catturato dalla meraviglia dell'Italia.
Allungava la testa premendo il naso sul finestrino quando stavamo in pianura, sperando di scorgere il mare.
La alzava invece quando vedeva le catene montuose. Sorrideva e girava il volto per non dover salutare troppo in fretta i girasoli della Toscana.
Aveva chiesto ad un certo punto: "Quello è il Vesuvio?"
Ci rimase male nello scoprire che non ci saremmo avvicinati nemmeno un po' a Napoli e la Campania.
A dire il vero parve perdere interesse subito dopo Roma.
Il Sud non lo attirava per niente, evitava di osservare fuori e si concentrava con altro.
Lollo mi dormiva in braccio ormai da un'ora, con le zampe anteriori schiacciate dai bagagli che dividevano me e Paolo.
Lui aveva portato due borse piene di vestiti, il costume non lo aveva, ma per fortuna mio padre ne teneva ancora uno di quando era più piccolo: "Lo stringeremo un po' con un elastico quando sarà l'ora. Sei così magro" – gli aveva detto.
Eccola poi, la terra della nonna, quella in cui mia madre nacque, vivendoci fino alle terza elementare.
Poi si trasferirono, mio nonno aveva trovato lavoro alle poste nel Nord, mentre mia nonna si occupava del bar dei suoi genitori, i miei bisnonni, trasferiti anche loro nella pianura Padana appena mia madre era nata.
Erano ostili nei loro confronti, del loro amore e del loro legame, perché mio nonno era Albanese: non approvarono mai la scelta di tenere un figlio suo.
'Dallo in adozione Elisa' – avevano detto a mia nonna – 'lascialo alle porte di una chiesa e vieni con noi al Nord. Non restare qui con quell'albanese.'
Ma lei non lo fece. Sposò mio nonno, vendettero olio d'oliva per anni ma, quando mia madre crebbe, volevano dargli di più.
Per questo salirono anche loro al Nord, per poterle permettere un futuro migliore.
Ma la casa in Calabria non la vendettero mai, era il simbolo del matrimonio di mio nonno e mia nonna.
Lo sarà per sempre. Ogni volta che scendevo a Spezzano con mia nonna, lei quando entrava in casa sospirava. Si sentiva finalmente nel posto giusto.
Riconoscevo subito i paesaggi Calabresi: i grandi cactus che nascevano sulla sabbia, la terra secca e arida ma contornata da spazi verdi incredibili da spiegare; il cielo che sembrava appoggiarsi al suolo, avvolgendomi del tutto, ed infine gli uliveti, uliveti ovunque.
E' vero odiavo il caldo, ma non a Spezzano Albanese, lì il caldo era secco, tirava persino aria; gli spazi erano aperti ed io mi sentivo improvvisamente libera.
Soprattutto quell'estate, che con grande gioia avrei avuto compagnia nella casa della nonna. Non più i soliti giochi di carte, ma anche Paolo.
Ancora non sapevo quanto mi avrebbe regalato quella decisione: la scelta di portare con me Paolo in vacanza, mi seppe donare una vita nuova.
Superata la collina che ci avrebbe portati a Spezzano, giungemmo alla casa della nonna: una vecchia villetta di tre piani, divisa in due abitacoli attaccati.
Vista di fronte era una casa alta, con un tetto a punta basso, i balconi con le sbarre in ferro arrugginito, tutta bianca ed apparentemente spoglia.
Una volta dietro però compariva l'uliveto del nonno, ancora sano e in piedi negli anni.
Una distesa di quasi sessanta uliveti.
La nonna era rimasta in contatto con alcuni contadini della zona, che rivendevano l'olio, ma negli anni anche loro erano invecchiati ed ormai soltanto i vicini Giuseppe e Teresa controllavano che le piante non morissero.
In quanto all'olio ci pensava mio padre a novembre, scendendo solo per la raccolta. Spezzano era diventata parte anche di lui una volta sposata mia madre.
Lui restava soltanto due settimane con noi in vacanza, poi il lavoro richiedeva la sua presenza.
Ero sempre triste quando se ne andava, ma quell'anno sapevo di aver un amico vicino.
"Corri Paolo, ti mostro una cosa!!" – urlai euforica, mentre lasciavo che fossero i grandi ad occuparsi dei bagagli.
Paolo sorrise con la bocca aperta e mi rincorse.
Ogni passo che facevamo alzava un enormità di sabbia da terra, ma non facevamo gli schizzinosi, per fortuna non avevamo ancora raggiunto quella triste età in cui il decoro e la pulizia ti importano di più del gioco.
Passammo davanti alla porta d'entrata del primo abitacolo, poi seguimmo fino al secondo, dove stava mia nonna. La palazzina era divisa in due, i primi tre piani della casa principale sarebbero stati nostri per tutta l'estate. Mia nonna invece dormiva nel secondo edificio, attaccato, con il piano terra e basta. Troppo anziana ormai per salire tutte le scale della dimora portante.
Girato l'angolo seguimmo le mura della casa all'ombra. Erano le tre del pomeriggio, ma per quanto alto fosse il sole quel lato della casa rimaneva coperto, un po' dalla dimora ma anche da una piccola boscaglia a lato.
Io non avevo mai varcato quegli alberi, scoprendo cosa vi stava dentro, mio padre me lo diceva spesso: "Vi è una casa abbandonata, ma dicono che ci siano tanti mostri. Non andare mai!"
Una frase poco efficace, perché per anni ebbi sempre la curiosità di scoprire quella zona, ma mai il coraggio.
Penso che papà trovasse quella soglia abbandonata un ottimo ritrovo per tossici. Non sapeva quanto si sbagliava.
Io e Paolo correvamo ancora veloci, raggiungendo il retro della casa: finalmente il suo sguardo tornò stupito, come lo era per metà viaggio in macchina. Gli mostrai l'uliveto del nonno, gli piacque tanto, volle subito percorrerlo a gambe levate, tutto d'un fiato.
Lo persi di vista per un po', ma ecco la sua voce chiamarmi: "Sofia! Sofia! C'è l'acqua Sofia!!"
Aveva trovato la piscina interrata.
La piscina era un altro punto vietato, non sempre, ma non appena calava il sole io non mi ci potevo avvicinare.
Perché? Semplice. Era spaventosamente vicina al bosco dei mostri, protetta a malapena da un recinto in legno, che negli anni era marcito sempre più perdendo pezzi.
Amavo le palme però, ve n'erano quattro in tutto lì intorno, le più alte di tutta Spezzano Albanese. Poi una piccola fontana, ai piedi di una palma, dove Giuseppe attaccava la pompa per innaffiare tutto il campo o riempire – con molta calma – la grande piscina.
Quel divieto non era un grande problema per me, odiavo l'acqua, la piscina tra l'altro era profonda e mi aveva sempre terrorizzata.
Morire annegata era il mio incubo. Ad oggi lo so per certo, se Lollo si fosse buttato nella piscina affogando, io non mi sarei mai buttata per salvarlo.
Eppure gli volevo un bene dell'anima. Ero una ragazzina paurosa e cocciuta, se era 'no' doveva restare tale.
Avrei potuto guardarlo morire annegato e dirgli: 'Affari tuoi.'
Possibile che nel cuore tenessi così poco alla vita altrui? Avevo ancora molto da imparare.
Paolo non ci pensò un attimo di proporre un tuffo in piscina.
Dissi: "Ma non hai ancora il costume!"
"Ci buttiamo nudi no?" – rispose saltando, come se fosse stato morso da una tarantola.
"Ma sei pazzo? Non mi spoglio certo davanti a te!"
"Però in giardino, a casa tua, non ti facevi problemi a rimanere in mutande."
Non pensai subito al pomeriggio con la sdraio, mentre lo aspettavo, con la maglietta di mio padre che mi aveva coperto appena. Ciò che mi scattò nel cervello fu un pensiero ancora più oscuro, malinconico e disperato: 'No Paolo. Non crescere! Non parlare del mio corpo. Non desiderarmi. Resta piccolo con me, ti prego!'
Non riuscii a dirglielo, lo guardai semplicemente levarsi la maglietta, poi sbottonarsi i pantaloni, mostrandomi di poco le sue mutande. Quando abbassò anche quelli lo vidi tentennare sul togliersi o meno i boxer.
In quel momento lo pregai con lo sguardo, non doveva farlo, sarebbe stato un gesto infantile si, avrei potuto sorvolare, se non fosse stato per quella frase detta prima.
Mi aveva imbarazzata ed allo stesso tempo riportata alla mia età. Tredici anni, non più dieci, eppure io volevo rimanere bambina, era presto, maledettamente in anticipo come quelle mestruazioni, che seppur in classe tutte già si vantassero di avere, io non vedevo l'ora sparissero.
Ci raggiunse mio padre. Nel vederlo sbucare dall'uliveto mi sentii arrossire il viso, incapace di spiegare quella situazione. Io sul bordo della piscina e Paolo dall'altro lato, ormai nudo con sguardo inebetito.
"Paolo che fai? Non hai nemmeno il costume!"
Paolo continuò a non preoccuparsi dei suoi boxer mezzi abbassati, con il pube di fuori: "Volevo provare l'acqua subito!"
Mio padre si sganasciò dalle risate: "Sei proprio fuori dal mondo! Non hai visto che gli alberi intorno coprono il sole? Questa piscina è calda solo in tarda mattinata. Non mi credi? Prova con un piede!"
Io lo guardavo con volto confuso, mia madre e mio padre si erano spesso immersi anche i pomeriggi.
Eppure funzionò, Paolo mise un piede dentro l'acqua e lo rimosse subito: "E' gelida!!"
Iniziò a rivestirsi, come se nel bagnarsi, il freddo avesse coperto tutto il suo corpo.
Fui di nuovo in salvo, lontana da quella nudità che avevo temuto nel profondo.
Tornammo in casa, mentre mio padre di spalle, con gli occhi puntati nella piscina, spiegò a bassa voce che 'vi diremo noi quando entrare e venire qui'.
Pensai fosse un modo carino per invogliarmi ad elencare tutte le regole del posto a Paolo, ma in quel momento non volevo parlargli, né guardarlo in faccia.
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