4. SONO ABITUATO AGLI ADDII
4. SONO ABITUATO AGLI ADDII
Camminammo fianco a fianco io e Paolo, fino alla porta di ferro che ci avrebbe riportati a casa mia, abbandonando la nonna ad un sonnellino. Non volevamo svegliarla né disturbarla.
Paolo teneva gli occhi bassi, senza emettere una parola, poi disse: "Tranquilla. Sono abituato agli addii."
Stavo per aprire il catenaccio quando lo guardai con aria stupita: "Chi se ne va?"
Ricordai solo in quel preciso momento le parole della nonna.
Dissi: "Non vado mica via per sempre!"
"Me lo dissero anche i preti, quando parlavano dei miei genitori. 'Prima o poi torneranno' dicevano. Ma non è vero. Non torneranno mai."
Per la prima volta volli toccare Paolo in modo dolce, delicato, proteggerlo da tutto il male della vita – che non potevo conoscere a tredici anni – e dirgli che io ci sarei stata per sempre, stringendogli la mano forte.
Non lo feci. Lasciai scorrere quel poco di aria, vicini al kiwi, protetti dalle sue foglie che diramavano anche nel giardino di mia nonna.
Poi gli risposi ridacchiando, ma lui non saprà mai che quella di allora fu una risata isterica.
"Non vado via per sempre ho detto. Sto solo per andare in vacanza con i miei genitori!"
Non fu precoce a ribattere, ma quando aprì bocca mi spiazzò.
"Lo avevo capito. Tua nonna aveva parlato della casa in Calabria, quella sua in cui andate tutta l'estate.
Non parlavo a caso, prima o poi anche tu andrai via. Lontano. E' giusto così, è la vita che conduce qualsiasi persona fortunata come te."
Io non ero così risoluta dal pormi certe questioni, di chiedermi se un giorno mi sarei staccata dal paese di campagna, nel Nord Italia, in cui vivevo. Non mi domandavo cosa avrei fatto, che sogni inseguire, che città abitare.
Paolo sì. Quel bambino dall'aspetto buffo si tormentava così.
"Perché pensarci ora? C'è tempo per la miseria! Mi metti ansia." Lo dissi senza più sorridere. Nel mio inconscio qualcosa delle sue parole aveva fatto breccia, spaccandomi il cuore.
"Per questo non esco mai dalla parrocchia. Non per il sole, cioè anche. Ma in realtà ho paura di trovare amici. Loro non torneranno mai a cercarmi quando se ne saranno andati."
Parlava di me? Forse, per la prima volta nella sua vita, stava parlando ai suoi genitori, quelli che lo avevano lasciato solo per sempre.
Io non volli capire.
"Stai dicendo assurdità."
Ma niente da fare. Il suo sguardo malinconico mi salutò pochi minuti dopo, entrando nella parrocchia, sedendo sui gradini fuori dall'entrata, senza voler chiedere ad alcuno di farlo entrare.
Paolo viveva così, senza disturbare. Lui non voleva essere il peso di nessuna persona.
Era un fantasma, l'ombra di sé stesso, ridotto a tenersi compagnia da solo per una vita intera.
Io, che ero così speranzosa nel profondo, volevo curarlo.
Ci pensai tutta la notte, addormentandomi tenendo tra le mani un libro che non avevo minimamente capito.
Ero troppo impegnata a pensare a quello sguardo tremolante e sofferente.
In sogno ebbi di nuovo il suo volto presente. Occhi color del cuore, pensai.
Il mattino seguente trovai una soluzione, una cura per il suo animo.
Ne parlai con i miei genitori, non servì nemmeno supplicarli. Mi dissero solo: "Parlane con la nonna."
Lei ne fu entusiasta. Paolo sarebbe venuto con noi in Calabria.
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