16. DISFARE LA TAVOLA (2/3)


Dunque per fortuna o sfortuna, chi lo sa, non amavo una donna come amavo un uomo, ma amavo la mia migliore amica come si ama un vero amico.

Come un tempo amavo Paolo che ora mi dormiva a fianco in silenzio, rendendo fredda quella stanza con la parete blu, nonostante il caldo estivo.

Era tempo di tirare le somme della mia vita, il prossimo anno sarei stata dedita ad affrontare il mondo scolastico della terza superiore e non avevo ancora una compagnia di amici così stretta e ben solida nel Nord quanto gli strampalati esemplari di Spezzano. Come Giulia anche io mi sarei tirata su le maniche impegnandomi per crearmi una nicchia tutta mia, nuova, di persone strette.

Non solo, era ovvio che il rapporto con mia madre si fosse così tanto incrinato da non poterla perdonare con facilità. In questi casi dire mai era esagerato quanto irrispettoso, eppure non spiaccicavo parola con 'la schifosa' fingendo che non esistesse in casa.

Perché mai avrei dovuto vivere con lei il mio prossimo anno?

Tenevo tra le mani Bobo, il mio orsetto di peluche, seduta sul letto con le gambe incrociate.

Quando trovai le risposte che cercavo mi sentii forte, grande, come quando anni prima mi mettevo in punte di piedi per allungarmi e intimidire gli altri.
Scivolai con il corpo dal lenzuolo poi saltellai fuori casa, con ciabatte, costume e shorts indosso, senza mai cercare di nascondere il mio fidato amico d'infanzia peloso, con le cuciture sfilate e malridotte.

Camminai lenta fino alla casa nel bosco e salii le scale con la stessa leggerezza con cui stavo affrontando quella soleggiata giornata.

Giunsi alla stanza con l'armadio, la camera della mia prima volta con Michele, il nascondiglio del suo diario, in quelle pareti sporche dove non venivo da tempo.

Aprii l'anta cigolante del mobile e poggiai al suo interno il mio Bobo: 'Addio anche a te mio piccolo e dolce amico. Resta tu qui, bada a questa casa, che resti per sempre dei piccoli Mangiaterra di un tempo, quelli che non conoscono il male, il dolore, la nostalgia, ma solamente la spensieratezza dell'estate. Addio mia arma contro le bastarde e gli spacca cuore. Addio mio confidente di ogni preoccupazione, mio scaccia incubi, mio eterno alleato contro le notti più tenebrose. Addio.'

Così lo lasciai nel rifugio, con gli occhi lucidi ma il cuore più leggero, perché in quel gesto c'era tutta la forza del mio addio a quelle terre e della mia tenera, innocente età, che era stata difficile da lasciare.

Il momento era giunto: dovevo essere donna e disfare la tavola che avevo apparecchiato anni orsono.

Quel banchetto fatto di cose semplici ma essenziali, composto dagli ingredienti più importanti del mondo: pane, olio e vino.

Abbandonare loro tre sarebbe stato lo sforzo maggiore, ma andava fatto, presi coscienza che da troppo tempo ero rimasta attaccata a dei bei ricordi e nient'altro, senza vedere con nitidezza il futuro, appesa al passato su una corda sottile e spinosa, con le mani sanguinanti e le lacrime sempre agli occhi.

Michele dovevo lasciarlo andare, ricordarlo come il mio primo amore ma non l'ultimo.

Ci sarei mai riuscita? Provare non mi costava nulla di certo.

Ale era da sempre il più distante, mai sulla stessa lunghezza d'onda e fin troppo disinteressata io nei suoi confronti. Sarebbe stato l'ingrediente più facile da salutare per sempre.

Mentre Paolo? Paolo era il bambino della porta accanto, il mio primo amico in carne ed ossa, ora sempre più uomo e più diverso da me.

Anche lui era parte di quel ricordo splendido di questi anni passati, ma se pensavo al futuro proprio non riuscivo a trovare un posto in cui collocarlo.

Per quanto riguardava gli altri nuovi aggiunti in tavola erano tutte parti di Spezzano che avevo già salutato in qualche modo.

Giulia, con quel bacio ci eravamo dette tutto, aprendoci con gesti e parole di affetto, per sempre nei nostri cuori speranzosi.

Giulio sarebbe stato un insegnante di vita e allo stesso tempo il distruttore di ogni realtà conosciuta, l'uomo di tutti i mali, colui che nell'ombra aveva rovinato tutto.

Un secondo padre all'inizio mentre adesso di lui non restava altro che il mio rifiuto verso l'umanità, grazie a lui – e mia madre – avevo compreso la menzogna, la cattiveria, la falsità degli esseri umani.

Gli dovevo molto, con questi insegnamenti sarei stata più attenta in futuro, magari anche diffidente, ma almeno protetta.

Addio anche ai piccoli personaggi di contorto: il gelataio, il barista, Giuseppe e Teresa, Anita e Maria.

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