16. DISFARE LA TAVOLA (1/3)



Alessandro mi passò la sua birra stappata: "Bevi?"

Avevo già assaggiato la birra, eppure quel gusto amaro che pareva sughero fuso proprio non mi piaceva: "Perché no" – risposi, perché mi ostinavo a volerla provare ancora.

Buttai giù un sorso e subito l'aroma di limone mi pervase il palato: "Ma che è?"

"Birra."

"Ma sa di limonata! E' frizzantissima poi."

Ale si mise a ridere: "E' aromatizzata Sofi, sei proprio una bambina, non cresci mai."

Tre anni prima avrei tanto voluto sentirla una frase così, sentirmi ancora dare della bambina, una piccola parte di me era totalmente soddisfatta da quelle parole, ma l'altra ringhiava inferocita, ed il vomito tornò, così sputai fuori parole di fuoco: "Allora perché mi vieni dietro? Non sai trovare nessun'altra che non siano gli avanzi di tutti e poi mi baci senza consenso. Bella merda che sei!"

Tentai di sembrare meno scortese, sorridendo, ma forse così apparvi più stronza che mai.

"Dammi la birra."

"Cristo scherzavo Ale!" Troppo tardi per cercare scuse.

"Scherzi su chi? Su di me? Sugli avanzi di tutti? Chi sarebbe l'avanzo Tiziana? Poi sono io una merda? Se ti diverte ridere dei morti tornatene al Nord, sicuramente lì apprezzeranno di più il tuo modo sfacciato e volgare di trattare le persone."

Di nuovo il rigurgito di frasi che mi saliva in gola, per poi venir buttato fuori dalla bocca e sbraitato con aggressività: "Non c'è problema, da Settembre non mi vedrai mai più! Non tornerò mai a Spezzano Albanese dopo questa estate. Contento?!"

Imparai quella notte che la gentilezza e la verità sono le armi più taglienti dell'essere umano, perché Alessandro abbassò i toni, rattristì gli occhi e mi disse: "No. Non sono contento, ma grazie di avermelo detto."

Mi diede una pacca sulla spalla, poi si girò dicendo: "Tieni la birra, te la offro ... ora torna dalla tua amica. Ciao Sofi."

Due poli distanti, da una parte la mia migliore amica e dall'altra il mio più grande spasimante, entrambi infatuati di me, eppure tutti e due che mi voltavano le spalle, lasciandomi sola nel mezzo.

Una nave che non sa se continuare ad affrontare il mare in tempesta o correre ai ripari su un faro.

La mia tempesta era Ale e le vele al momento voltavano tutte verso di lui; urlai: "Ti chiedo scusa Ale!"

Ma non si fermò, continuò a camminare distante da me sulla strada in discesa, con a sfondo il paesaggio di Spezzano, illuminata dai lampioni e le genti sveglie in casa.

Non mi aveva udita? Impossibile, mi stava ignorando come io avevo ignorato i modi garbati di trattare un amico di vecchia data, che però mai avevo sentito amico vero.

Venni dunque immersa da testa a piedi dall'onda della malinconia, che avvolse e distrusse la nave resistente che in quei mesi avevo creato.

Quel secondo fatto di nostalgia e ripensamenti bastò per rattristirmi tutta: tornò nella mia mente Michele e seppur tenevo gli occhi chiusi non c'era nulla da fare, ormai il dolore era anche lì, nel blu più scuro del mondo delle palpebre chiuse, e con la sofferenza anche l'incapacità di reagire mi pesavano troppo.

Ero ancora una stupida bambina, aveva ragione Ale, in totale balia degli eventi.

Per lo meno una decisione era stata presa, salutare per sempre quei luoghi.

Tornai da Giulia con la coda tra le gambe e la birra calda come il piscio in mano, lei mi aspettava fuori dal bar, pronta a tirarmi su il morale come sempre.

"Non vale, hai rimorchiato una birra! Potevi prenderne almeno due!! Dai fammi dare un sorso. In cambio io ti lascio una sigaretta se vuoi."

"Ma non fumi" – dissi io.

"E tu schifi la birra mi sembra, ma eccoci qui!" Tirò fuori dai jeans un pacchetto di sigarette, Lucky Strike rosse: "Mi hanno detto che sono forti ma non capendoci nulla di paglie mi son fatta comprare dal logo!"

Come già detto si rideva a crepapelle per niente, compresa quella frase, che riaccese subito l'umore scoppiando in una nostra tipica risata assordante.

La mia prima sigaretta e la mia prima birra finita – che ammisi migliorare di sorso in sorso.

Poi ne comprammo altre due, una a testa, e la scolammo coperte da delle alte case incrociate tra loro, poco distanti dal centro.

Donne che si parlavano da finestra a finestra, ma noi coperte dai loro balconi, sempre sorridenti, con la mani o l'anello della bottiglia per coprirci la bocca dallo sbraitare.

L'eco di bambini che si infrangeva nel vicolo in cui sedevamo, mentre loro correvano e giocavano a palla – ignorando il caldo – qualche casa più indietro.

Le undici di sera eppure sembrava orario di cena, con gli odori più forti del mondo che si intrecciavano nelle vie, i profumi dei sughi, del peperoncino, dell'aglio e del fritto.

Volevo tenere gli occhi, le orecchie e le narici spalancate quella notte, perché mai più sarei voluta tornare a Spezzano Albanese, ma la mia mente doveva ricordarsi tutto quel gioioso vivere.

Un paese povero della Calabria, fatto di persone semplici ma anche annoiate dall'impossibilità di tutto, pronte e spettegolare tra di loro di loro stesse, eppure sempre in festa la sera, unite, magari per il caldo che inibisce i sensi, o per la sola voglia di vivere a pieno anche quel poco che si ha.

La fotografia che la mia testa fece in quel momento era questa: il saper apprezzare tutto anche quando non si ha niente.

Tristemente quell'aria leggera sapeva dentro di me di Michele, che a suo modo possedeva tutte quelle doti dentro di sé. Ma questo pensiero mi scivolò di dosso con il volto quasi sollevato: dovevo dire addio a Spezzano Albanese, perché infondo lui e Michele rappresentavano per me le stesse immagini, ed era giusto così.

Proseguii concentrandomi sulla birra – che ormai scendeva come acqua – e il fumo di sigaretta, che non sapevo di fumare male, buttando fuori il fumo quando era ancora in bocca, senza mai aspirarlo fino ai polmoni.

Infine volli porre le mie scuse non dette a Giulia, quel mio chiederle perdono per il mio prossimo saluto, quel mio 'ciao per sempre Giulia', che pregavo con tutta me stessa non sfumasse in una sua caduta personale, ma anzi la aiutasse a cercare nuovi amici con cui stare.

Quelle scuse non sapevo fargliele a parole, perché con la voce avevo già detto abbastanza bugie, facendole forse credere con troppa superficialità che saremmo potute restare migliori amiche tramite cellulare e computer.

Allora occorsi per un inusuale modo di chiedere perdono, la guardai intensamente sorridendo a denti scoperti e poi la baciai.

Io strizzavo le palpebre per tenerle serrate, baciandola sempre ridendo, lei invece – mi accorsi quando scoprii un occhio – aveva la faccia appagata, addolcita, quasi dormiente da quanto pacifica.

Mi staccai e questa volta chiesi scusa a voce: "Non volevo, pensavo di farti un piccolo regalo divertente ma per te non so se è divertente!"

Lei mi prese la testa, come aveva fatto Ale qualche anno prima, spingendomi a sé, ma con una delicatezza che mi lasciò del tutto disarmata, facendomi abbandonare a quel secondo bacio con Giulia, sulle sue labbra carnose e morbide come la seta pura.

Mi appiccicai così tanto che potetti sfiorare persino la sua guancia sulla mia, scivolando su quel velluto di pelle fresca e giovane.

Ci dividemmo nuovamente: "Ti ho fatto anche io un regalo ... potremmo chiamarlo un regalo di addio, anche se manca ancora un po' prima che tu parta."

Fui sincera, sia con lei che con me stessa: "L'avevo pensato anche io così questo bacio ... questi baci ... per quello volevo ringraziarti, volevo dirti grazie di queste bellissime giornate."

Il vomito saliva, questa volta sugli occhi, e lo lasciai come sempre uscire a dirotto, in un mare di lacrime, un mare salato che però finalmente non navigava più in tempesta, ma trovava pace.

"Promettimi solo una cosa Sofia" – mi diceva la dolce Giulia dalla pelle ambrata consolandomi – "L'unica promessa che devi mantenere è questa, ok?"

Temevo di annuire, ma non lasciava altra possibilità ed io risposi 'sì' con la testa.

"Promettimi che non ti dimenticherai mai di me, va bene?"

Ripetei il gesto e la abbracciai forte, per tutto il tempo, anche il ritorno verso casa in motorino: strette come se fossimo una cosa sola, nella memoria, per sempre.

Questo bacio aveva una sincerità più assoluta di quelli di Michele, perché aveva portato delle parole, frasi di sentimenti aperti e di addii vicini, meno falsi e misteriosi.

'Se amassi una donna' – pensai – 'sarebbe tutto così semplice, potrei ricevere tutte le parole che mi servono e non solo baci pieni di amore. Se amassi una donna sarebbe tutto stupendo ...' – riflettei meglio – '... sarebbe tutto stupendo, tranne il mondo che mi circonda che non capirebbe quanto bene sto.'

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