14. GLI SCHIFOSI
14. GLI SCHIFOSI (parte 1)
Agosto 2013, finalmente mi risollevavo, volendo tornare a vivere, accettando che Michele non sarebbe mai più riapparso e che non dovevo rovinarmi un'estate in balia del mio stupido amore.
Quell'amore arrivato troppo presto, troppo giovane, troppo tutto.
Chiesi a Paolo se potevo uscire con lui quella sera, perché il caldo iniziava a darmi alla testa, il sudore era parte integrante di me, costantemente incollato alla mia pelle, e forse uscendo sarei tornata a respirare, arieggiando quelle braccia puzzolenti che mai erano state così pesanti come all'ora.
Potevo, mi disse Paolo, ma mi era vietato fare domande riguardanti lui.
L'onnipotente innominato, non trovavo più differenze ormai tra la figura di Cristo, Voldemort – di Harry Potter – e Michele.
Tre figure che non dovevano venir menzionate, nemmeno sotto tortura.
Ma accettai, la nostalgia per gli altri personaggi di Spezzano Albanese – Ale, Tiziana, Claudio e la sorella – improvvisamente tornò a galla, ma durò poco, il tempo di indossare le mie nuove Vans e la voglia di uscire passò.
O la và o la spacca, si dice, e così agii.
Fuori casa ci aspettava lei, la sorella di Claudio, di cui ancora non ricordavo il nome, così dissi solamente 'ciao', senza alcun appellativo in più, per non destare sospetti e evitare figuracce.
Montai sul suo motorino, con metà sedere fuori per lasciarle spazio, mentre sul manubrio si posizionava Paolo – ché tanto era piccolo.
Mia madre fortunatamente stava lavando i piatti, altrimenti sarebbero stati guai seri; eppure a Spezzano tutti i giovani giravano così, un ammasso di corpi sul due ruote più piccolo che potesse esistere.
Viaggiamo piano, senza casco, e la nostalgia mi tornò grazie alla giovane che pilotava il veicolo, la bella dai capelli scuri e la pelle ambrata, ché mai il sorriso perdeva: profumava di rose, lo sentivo chiaramente nei suoi capelli che mi svolazzavano in faccia, poi si voltò e mi prese un braccio, trascinandolo verso la sua pancia.
Mi ritrovai così, finalmente spensierata, nella fresca brezza che tirava la corsa verso il centro, abbracciata ad una sconosciuta che mi sollevava lo spirito, in quella sua schiena calda.
Un caldo che riconobbi subito, lo stesso calore di Michele.
Nascosta dai suoi capelli, gli schiamazzi di Paolo, e il rumore del motore, piansi di nascosto ancora, perché sì, a quanto pare le lacrime non volevano lasciare il mio volto.
Giunti in piazza Mercato parcheggiammo a caso in mezzo ad altri venti motorini, incastrati tra di loro nei peggio modi. Io e la ragazza ci specchiamo sul minuscolo retrovisore del mezzo, controllandoci viso e capelli, e poi corremmo svolazzanti al bar con gli ombrelloni consumati.
Lì vi era Alessandro, che non vedevo da quando la sua bocca aveva pronunciato: "Mi spiace Sofia, Michele se né andato per sempre."
Poi il vuoto, ricordo solo che come mio solito scappai via, rifugiandomi tra gli uliveti del nonno.
Ci stringemmo forte, dandoci due baci sulle guance, e sempre due baci diedi a Claudio, che era sempre più brutto.
"Mi piacciono i capelli corti, ti donano." Si complimentò con me Claudio, sorridendomi, con i denti staccati, come quelli di Michele.
"Lo penso anche io, stai proprio bene" – ripeté la sorella, ed ormai imbarazzata, finsi di guardarmi intorno, poi chiesi: "Tiziana viene?"
Mai prima avevo visto le loro facce farsi così cupe, di un buio che non riconoscevo, un buio che nemmeno ad occhi chiusi ero mai riuscita a scoprire.
Erano volti spenti, sconvolti o abbassati dalla mia stupida e semplice domanda.
"Non glielo hai detto?!" – urlò Claudio ad Alessandro.
"Doveva farlo il bimbo!" – rispose Ale, spingendo con una mano la spalla di Paolo.
Nessuno parlava più, si guardavano tutti quanti i piedi, ma io non ero mai stata una paziente: "Cosa dovete dirmi?"
Pensai che la risposta era chiara, Michele non c'era, nemmeno Tiziana: chiaramente dovevano essere fuggiti insieme, andati a convivere da giovanissimi, lei incinta magari e lui obbligato a lavorare per suo padre.
Li immaginai davvero in tutte le salse in quei pochi secondi di stacco tra la mia domanda e la loro risposta, ma nulla di tutto quello che mi frullava nella mente corrispondeva all'orribile realtà.
Tiziana, mi spiegarono, era morta a Febbraio, un mese dopo la mia partenza dalle vacanze invernali: il dieci Febbraio per l'esattezza, il giorno del mio compleanno.
Mi morsi la lingua, perché le domande a quel punto erano tante, ma la sofferenza di un brutto ricordo era una sensazione che ormai conoscevo bene, e non volevo che tale pena cadesse anche sulle spalle dei presenti.
Avrei tartassato Paolo, un giorno, facendomi dire tutte le verità che non conoscevo.
Ma la mia testa non smetteva di pensarci, quello no, mi era impossibile, e anche se tutti riuscirono a ridere e scherzare, tra una birra e l'altra, io stetti zitta, un silenzio esteriore che nascondeva un'enormità di caos dentro di me.
Ciò che collegavo a tutto era comunque la scomparsa di Michele da Spezzano, la sua assenza da metà primavera in poi nelle chat, il suo fuggire senza dire nulla, e la morte di Tiziana.
Ero certa che quello che mi avevano messo davanti era un puzzle fatto di dure realtà, che solo domandando avrei saputo assemblare. Ma non quella sera.
Quando tornammo verso il motorino della bella calabrese non riuscii a coprirmi dietro le spalle di nessuno, piangendo a dirotto, davanti a tutti.
Mi confortarono, pensando che fossero per Tiziana quelle lacrime, ed in parte lo erano.
Quella testarda, cocciuta e arrogante meridionale mai mi era mancata così tanto, perché nella sua scomparsa c'era anche l'addio del mio amore per quei luoghi, l'abbandono della gioventù perfetta, fatta di sciocchezze e cose frivole, quanto semplici.
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