14. GLI SCHIFOSI (5/5)




Mai mi ero accorta di tale sentimento, mai mi ero resa conto di essere una calamita per Michele, Alessandro, Paolo e anche questa ragazza.

Ero una versione di Michele al femminile, quel magnete da cui era impossibile staccarsi, e mi trovai odiosa per questo.

Mentre ignoravo Paolo, che usciva dalla camera con lo sguardo indignato facendosi il segno della croce, improvvisamente tutto dentro di me si capovolse e non fu più la sorella di Claudio ad avere la faccia commossa, ma ero io a compatirla, lasciando che le emozioni, finalmente, uscissero fuori.

Piansi, abbracciando forte la splendida piccola donna che mi aveva liberata da quella maledizione, e nella mia mente il suo nome sbucò di colpo: Giulia.

Che strano, pochi giorni prima era stato un uomo con il nome suo a trasformarmi in una pietra sprofondata negli abissi, ed ora la omonima – femminile – mi riportava a galla, aiutandomi a tirare su quel cuore perso nelle acque.

Avevo ancora delle cose belle a Spezzano Albanese, Giulia, Ale, le estati con Paolo e la nonna, eppure il dolore che provavo era così forte da non riuscire a farmi cambiare idea: non volevo mai più tornare in quella cittadina.

Ciò che però volli fare, prima della mia partenza da Spezzano Albanese, era vivere quelle splendide persone a pieno, in quegli ultimi giorni, per avere almeno di loro un ricordo felice da appendere all'interno del mio petto.

Mi elettrizzò avere una ragazza che mi volesse quel tipo di bene, Giulia aveva persino alzato la mia autostima, ora mi guardavo allo specchio e quel brutto anatroccolo che mi sentivo a inizio estate scompariva.

Più le ero vicina e più il tempo, le cose brutte, la tristezza volavano via, lasciando dentro di me solo la certezza che prima o poi quella splendida ragazza non l'avrei mai più rivista.

Quando giunsi a chiamare Giulia 'la mia migliore amica', il mio cuore si stava ricomponendo, ma la furia era recidiva, la mia mente era un cumolo di ira funesta, pronta a scatenarsi ogni qualvolta mia madre aprisse bocca per cercare di scusarsi.

Le avevo urlato tutto il male che le volevo, mai prima d'ora mi era successo di rendere quella forte donna una bambina più piccola e insicura di me.

Non provai mai pena, nemmeno quando i pianti strisciavano nelle pareti della casa, tenendo sveglio Paolo; per me invece erano la ninna nanna più funzionale del mondo, mi migliorava il sonno sentir soffrire la schifosa.

Il mio amato padre, a breve avrei fatto le valige, raccolto Lollo dal mio giardino e insieme – io e il mio fidato cane – saremmo entrati in una nuova casa, la dimora dell'uomo che mi ha dato la vita, lasciando alle spalle il viso infelice della mamma.

"Che cerchi consolazione da Giulio" – ripetevo a Paolo quando cercava di farmi ragionare, ed una sera non ne potei più delle religiose banalità buoniste che il ragazzo mi propinava ogni santo giorno: "La vuoi piantare? E' una troia, perché cerchi di difenderla? Nella tua religione si prendevano a sassate le puttane lo sai?"

Era proprio quello che mi aspettavo da Paolo, che ripudiasse mia madre, che la lapidasse mentre io gli passavo le pietre.

Invece no, no Paolo stava dalla parte del mezzo – come sempre – non sapendo prendere una posizione. Non parlava più a Giulia perché era lesbica, ma con 'la schifosa' non mancava cena che non aiutasse a sparecchiare la tavola.

Perciò iniziai a stancarmi di lui, della sua inutile presenza, un ragazzo inetto senza spina dorsale, invasato dal Cristianesimo di cui però accettava solo determinati insegnamenti.

L'adulterio non era peccato per Paolo mentre l'omosessualità sì.

Allora addio Paolo: divenne velocemente un fantasma in casa mia, passava le giornate in piscina, solo, mentre io sfrecciavo in motorino, aggrappata alla schiena sudata di Giulia.

Sembravamo due cretine io e la mia migliore amica, ridevamo sempre, non si sa nemmeno bene per cosa ma era una continua risata, probabilmente anche isterica.

Esplodevamo in un tripudio di schiamazzi e chiassose sghignazzate, che fosse per come mangiavamo il gelato, a detta nostra in modo 'zozzo'; o per come lei gesticolava, per il mio accento, con quelle vocali lunghe e noiose. Ridevamo costantemente degli altri: "Guarda quello come cammina? Ma ti immagini se ora fa questo? Che brutto taglio!"

L'ilarità non mancava con Giulia, lei gonfiava il mio spirito di gioia.

Se restavo a pensarci troppo, però, mi tornava in mente che la mia anima non mi apparteneva più, l'aveva Michele, strappatami con il nostro primo bacio, ed ora viveva dentro di lui.

'Te ne stai prendendo cura anche ora? Non mi pare.' Dicevo tra me e me.

Il mio primo bacio con Michele, lo ricordavo bene, era come se mi fosse stato incollato sulle labbra negli anni.

Decisamente diverso fu invece il mio ultimo bacio a Spezzano, quello con Giulia.

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