13. LA PARETE BLU (4/4)
Fu l'ultima volta che facemmo l'amore quella sera, poi tra una cosa e l'altra non vi fu più tempo, ci ripetemmo solo le nostre solite promesse: "In estate saremmo qui."
E la cantilena del suo fidati di me che riecheggiava nel vento invernale, i soffioni primaverili e infine il sole sempre alto di Giugno, mentre io e Paolo preparavamo le valigie, ansiosi di riunirci ai nostri unici veri amici.
Anche Ale, strano ma vero, iniziava a mancarmi: durante la primavera io e lui avevamo chattato tanto su Fecebook, ogni tanto mi inviava qualche foto di Michele immerso nell'orto, negli ulivi o nella lettura, poi ci scambiavamo qualche presa in giro e parlavamo allegramente del più e del meno.
La mia seconda famiglia, il mio pane, olio e vino, la mia tavola preferita, le facce più belle, i sorrisi più veri.
L'estate del 2013 mia madre doveva ancora frenare per parcheggiare, che io ero schizzata fuori in corsa, avevo abbracciato la nonna – che non vedevo da mesi – e inalavo dentro di me tutti gli odori di Spezzano Albanese.
La nonna era stata in quel piccolo paese, decisa ormai a non tornare più al Nord: "Sono vecchia e voglio stare a casa mia ora."
La capivo bene, eppure era difficile per me vivere senza la sua presenza vicino, se non le chiamate giornaliere che alle volte mi davano quasi noia: la solita ingrata.
Ero corsa di sopra prima di Paolo, ormai la differenza tra la mia gamba lunga e la sua corta era inarrestabile, sarebbe rimasto un tappo fino alla fine dei suoi giorni; salii le scale a perdifiato, percorsi il lungo corridoio buio, perché le tapparelle erano ancora abbassate, e spalancai la porta di camera mia.
Riconobbi subito i letti ancora uniti, lì dove io e Michele avevamo unito i nostri corpi l'ultima volta, eppure qualcosa non tornava: c'era davvero troppa oscurità.
La colpa era del soffitto, la parete sopra la mia testa era di un colore nuovo, non più bianca ma nera.
"Nera?" Pensai: perché mai la nonna aveva dipinto la mia stanza con un colore così funereo e infausto?
Feci dei lunghi passi veloci verso la finestra e spalancai i balconi, portando via quel nero dalla mia vista, con la luce, trasformandolo nel pigmento che in vero gli apparteneva: il mio soffitto era blu.
Allora capii che non era opera della nonna, e iniziai a piangere. Se avessi potuto – non badando a passare del tempo con la mia cara vecchietta o aiutare mia madre con i bagagli – sarei corsa fuori casa, avrei oltrepassato il recinto della piscina, gli alberi della selva, giungendo nell'orto di Giulio, abbracciando come in un film l'artefice di quel semplice, eppure potentissimo, pensiero sul mio muro.
Poi lo avrei baciato e gli avrei confessato il mio amore, perché ormai quella parete blu io la interpretavo come il suo 'ti amo'.
Ma la vita, come già detto, è stronza, brava ad illudere.
Scoprii qualche ora più tardi, che quel 'ti amo' in realtà non era altro che un 'Addio'.
Dentro ad una piccola scatola, sempre blu, avevo i miei regali per Michele: un po' di erba, procurata per fumarla con lui; il mio ipod, che avevo riempito di musica indie per donarglielo, in modo che mi pensasse mentre lavorava; un braccialetto fatto da me, durante le ore di oreficeria e plastiche.
La notte dopo, quando finalmente le lacrime si erano prosciugate, mi fumai tutta sola la canna sul balcone, ascoltando le malinconiche canzoni che tenevo nell'ipod.
Persa nel mio buio ebbi la conferma che finora avevo agito – o per lo meno spesso – solo per volontà di Michele. Spezzano senza lui mi sembrò spoglia di ogni forma di bellezza, risaltava solo l'amaro di quel piccolo borgo: la gente povera, triste, capace solo di sparlare degli altri pochi abitanti; le case brutte, vecchie, cadenti; la secchezza che circondava ogni cosa – eccetto la selva.
Era tutto orrido, come l'estate stessa, ed io non appartenevo a quella bruttezza, ma anzi, io ero una ragazza del Nord e tale sarei stata.
Addio anche da parte mia, Spezzano.
Quell'estate non badai a nulla, se non alla mia smisurata voglia di tornare a casa, chiudendo tutti i miei bei ricordi in un cassetto che avrei riaperto solamente tre anni dopo.
Perché sì, per tre anni io non tornai più a Spezzano Albanese.
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