12. DICIASSETTE ANNI 2.0




Sfilai dal pacchetto anche io una sigaretta e l'accendemmo insieme, avendo un solo accendino, sfiorando le nostre paglie mentre prendevano fuoco.

"Non ti fidi a passarmi l'accendino?" – chiese ridendo.

"So come sei fatto, ti dimenticheresti di ridarmelo!"

"Mi stai dando del ladro Sofia? Forse hai ragione, ma l'unico furto che ho intenzionalmente voluto fare, non è mai andato a segno."

"Di quale parli?"

"Te lo spiegherò durante il mio racconto."

Sbuffai: "Sono tutta orecchie."

In qualche modo l'atmosfera si era calmata, una sorta di tregua, ma volevo comunque che continuasse in fretta il suo discorso.

"E' inutile che ci giri tanto intorno a dirla tutta. Sarà il nostro piccolo segreto, uno dei tanti che ci siamo confidati negli anni, gli stessi che ci hanno portato a dividerci forse.
Sappi solo che ti ho voluto veramente bene, nonostante l'invidia."

Di che stava parlando? Ero in silenzio che lo guardavo con aria scossa.

"Non fare quella faccia, non saranno queste mie parole a dirti cosa provavo, era palese, in ogni mio gesto, ogni mio sorriso, ogni volta che accettavo qualcosa che Michele voleva fare.
Ero totalmente suo, e lo sarò per sempre, lui lo sa meglio di chiunque altro.
Per un po' ho pensato che mi prendesse in giro, sfruttando la cosa a suo favore. Ma non potevo odiarlo, ero innamorato di Michele, come non lo ero mai stato con nessuno, nemmeno di me stesso. Un amore platonico, mai corrisposto, eppure enorme, sentito in ogni sua parte.
Per colpa di questo amore, così sbagliato, così contro natura, io lasciai entrare il male dentro di me, allontanandomi da Dio. Lo sentivo chiaramente, Dio non mi parlava più, non mi diceva più come comportarmi, mi lasciava solo nell'invidia più totale. Quella che provavo nei tuoi confronti Sofia.
Ti ho maledetta quella notte, vedendovi abbracciati, nudi, sott'acqua. Volevo essere io al posto tuo, in quella morsa di corpi freddi e bagnati.
Ma non mi era possibile, la natura stessa era stata crudele con me. Il figlio di nessuno, con il sesso sbagliato, amante del più abominevole dei sentimenti.
Ancora non so spiegarmi come potessi essere così felice, ignoravo le emozioni e lasciavo che le giornate trascorressero come se nulla fosse, gioioso dei miei nuovi fratelli e della mia unica sorella.
Però in realtà sentivo bene il diavolo dentro di me, che lentamente cresceva, cibandosi del mio spirito, logorandomi in tutto e per tutto. E' stato lui Sofia, e solo oggi riesco a chiederti scusa."

Si mise le mani tra i capelli ed iniziò a scuoterli, poi con violenza strappò un ciuffo dalla testa e fu lì che lo presi, allontanando le sue unghie dalla cute: "Paolo non devi dire queste cose! Queste sono solo idee che ti hanno messo in testa negli anni! Non hai nulla per cui scusarti."

Lo dissi mentendo, in realtà mi ferì scoprire che entrambi amavano lo stesso uomo, perché per anni avevo pensato che tale privilegio fosse concesso solamente a me.

Ma non potevo sputare in faccia alla realtà di Paolo, egli si era solo scoperto grazie a Michele, come lo era stato per me; chissà invece per quanti anni si era punito per questo sentimento puro e normale, provando disgusto per sé stesso.

"Tu non vuoi capire ..." – disse – "Il diavolo mi ha portato persino a colpirti quella notte. Era tutta la mia gelosia quella, Sofia, la notte in cui presi quel bastone da terra e ti colpii con rabbia la gamba. Lo feci perché desideravo esistere solo io per lui.
Vedevo come ti guardava, come ti bramava: era il modo che sognavo facesse con me tutto. Ti chiedo scusa Sofia, perdonami per tutta la rabbia che non avrei dovuto provare nei tuoi confronti!"

"Paolo ..." – pensai se fosse giusto proseguire con il discorso, e gli aprii la mano, facendo cadere i capelli a terra, per poi stringergliela forte: "Io ti perdono, ma tu dovresti imparare a perdonare te stesso."

In fondo lo sapevamo tutti, Paolo si era capito non voler intraprendere la carriera di sacerdote, né pareva un asessuato, eppure dormiva con me, abbracciati, senza mai abusarne.

Staccò velocemente le nostre mani e si aggrappò di peso alla bottiglia di birra. Rifletté su qualcosa, osservando il cielo, poi butto giù un sorso e si asciugò la bocca con il polso.

"Dovrai scusarmi più volte in questo viaggio Sofia ... ci sono cose ... anzi mostruosità che tu nemmeno immagini."

Deglutii, temevo molto le sue parole: "Si tratta di Tiziana?"

Lui mi fissò finalmente dritta in faccia, con gli occhi lucidi: "Perché parli di Tiziana?"

"Lo sai perché. Sono qui anche per quello."

"Dunque dopo quattordici lunghi anni, tu hai ancora in testa quella povera ragazza? Anzi, quella triste tragedia."

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