10. CORPUS TUUM
10. Corpus Tuum
Il resto fu totalmente inutile, come sempre, per nove mesi mi fingevo un'altra, la ragazza del nord che di fatto non ero.
Arrivò Giugno, io e Paolo scendemmo, e tutto era come prima, anche quell'estate del 2012. Tutto immacolato, fermo, senza tempo.
Michele era solo un po' più alto, ma sempre stupendo ai miei occhi.
La prima sera a Spezzano Albanese non chiesi nulla ai miei genitori, semplicemente affermai: "A cena io e Paolo siamo da Giulio."
Una cena splendida, una preghiera, il pane, l'olio, il bicchiere di vino – che per Michele ed Ale si era trasformato in un calice pieno – e la pasta calda.
Poi di sopra, in camera di Alessandro, a giocare con il suo nuovo computer, degli stupidi Videogame che non capivo, ma Paolo si perdeva a guardare il più grande dei Mangiaterra, mentre sparava a degli zombie. Se loro due stavano distratti, io e Michele potevamo sederci vicini, sul letto, e sfiorarci di nascosto.
Passai molte sere a casa di Giulio quell'estate.
Un giorno Michele si ingegnò più del solito: "Io e Sofia abbiamo mangiato tanto. Facciamo due passi qua vicino. Voi volete venire?" – la risposta la conoscevamo già.
"No no, ci vediamo dopo." – disse Ale, senza staccare gli occhi dal desktop – come Paolo.
Successe a quel tramonto, raggiungemmo la casa abbandonata, entrammo nella stanza con l'armadio e facemmo l'amore per terra, poi sul balcone della finestra e persino contro le ante del mobile stesso.
Io avevo quindici anni, la mia prima volta per fortuna fu con Michele. Anzi, la nostra prima volta.
Dovetti aiutarlo, brandendo la sua erezione – come una spada pensai – aiutandolo a entrare dentro di me.
Incapaci di muoverci, di sapere cosa fare, ma estremamente desiderosi delle nostre carni, delle pelli che già due anni prima si erano sfiorate nelle acque della piscina.
Ero sua, e lui mio, anima e corpo si completavano in un'infinità di sensazioni, di gusti, di spasmi pieni di soddisfazione, dolore e piacere.
Da quella sera in poi prendemmo l'abitudine a scappare dagli altri: lo facevamo ovunque, in ogni momento, bastava sentirsi ansimare e si era felici.
Lasciavo che le sue dita scivolassero tra le mie cosce, sia mentre eravamo appartati, baciandoci, ma anche quando eravamo a tavola, l'uno di fianco all'altra.
A Spezzano Albanese era impossibile resisterci, eravamo perennemente svestiti, per il caldo, già pronti per il sesso in ogni momento.
Quell'estate Michele esaminò ogni centimetro del mio corpo con le sue grandi mani, sempre più forti e tozze; poi con la lingua, formando percorsi a me sconosciuti con la saliva; con i suoi capelli, che di giorno in giorno crescevano, sfiorando tutto di me.
Una volta finito mi asciugava il sudore con la mano, se ero visivamente esausta mi soffiava sulla fronte, lasciando che io potessi annusare l'odore di entrambi fuoriuscire dalla sua bocca.
Man mano che imparavamo a fare l'amore, Michele, si trasformava sempre di più in una bestia, pronta a divorarmi.
Sperimentammo molto in quei pomeriggi afosi, soprattutto lui, prendendomi con le mani la gola, facendomi mancare il respiro, o spingendomi contro l'armadio della camera; se il rifugio non era libero, mi faceva sprofondare nella terra umida della selva, sotto gli alberi, mentre mi aggrappavo alle radici di qualche albero.
La notte invece mi faceva attaccare con le mani al bordo della piscina, mentre il mio seno si schiacciava all'interno, e lui da dietro mi penetrava sott'acqua; per me fu sempre sorprendente scoprirlo così bravo, nonostante le bizzarre location.
Quando, raramente, mancava la voglia di amarci, allora stavamo con Ale e Paolo all'esterno. Chissà perché le volte in cui non si faceva sesso coincidevano con le poche occasioni che quei due si staccavano dal computer.
Aiutavamo Giulio, a concimare l'orto, a tagliare l'erba, potare gli alberi, le piante.
Lo accompagnavamo in chiesa, a volte pure a messa, e preparavamo sempre noi la tavola la sera.
Ero più da Giulio e Maria che a casa.
Da me ci potevamo rendere poco utili: innaffiavamo in compagnia dei vicini, Giuseppe e Teresa; ascoltavamo la nonna raccontarci delle storie, leggerle ad alta voce.
Eppure mio padre si distaccava da me, ogni volta che mi vedeva passeggiare con i Mangiaterra.
Li disgustava, lo si capiva dalla sua espressione, ed io lo ricambiavo con la medesima faccia.
Con gli altri filava tutto bene, eravamo tornati solamente noi quattro, a studiare la bibbia – io ascoltavo senza praticare – o la terra, le nuove scoperte di coltivazione, gli insetti, il potere degli elementi, tutte cose che ci piacevano da matti.
L'estate dei miei quindici anni era perfetta, era la stagione che avevo tanto desiderato l'anno prima, senza mai averla sul serio.
Il cellulare dimenticavo cosa fosse, io ero dipendente dalla bontà di Giulio, le scoperte di Ale e Paolo sulla natura, e soprattutto il corpo di Michele.
Non fui mai così felice come allora, mai.
Una notte, mentre io e Michele stavamo sdraiati nudi sotto una delle palme della mia piscina, glielo dissi: "Sei la mia religione."
Lui non disse nulla, non sorrise nemmeno, rimase fermo a guardarmi dritta negli occhi, spostandomi i capelli, rovinati dal sesso fatto, tutti su un lato, con una dolcezza sconfinata.
Per quanto riguarda Tiziana, Claudio e la sorella, li vedemmo solamente tre sere, trovandoci al White.
Questa volta ad accompagnarci fu mia madre che rigorosamente all'una di notte ci aspettava fuori con la macchina per tornare a casa.
Non sapeva certo della discoteca, pensava facessimo un semplice giro per Sibari.
Il ritrovo con gli altri non cambiò nulla, Tiziana ormai pareva essersi stabilizzata con Claudio, inoltre al White la musica era così alta che non bisognava parlarsi.
Persino la mia gelosia scomparve dopo la prima notte con loro.
Infondo io ero la numero uno, l'unica prima volta di Michele, e lo sarei sempre stata.
Questa era la realtà, in eterno io, la prima scopata di Michele.
Ecco, fu quando macinai questa frase nella testa che mi nacquero le paranoie: io ero solo questo, la prima scopata di Michele, ma dell'amore non vi era traccia. Non da lui almeno, ma in fondo nemmeno io mi ero dichiarata.
Lo amavo, lo amava ogni singola componente del mio corpo, ma ero incapace di dirglielo, di ammetterlo, impaurita di rovinare tutto, di distruggere quell'estate perfetta, scoprendo che non ero ricambiata ma che, in effetti, ero solamente la sua prima scopata.
A fine Agosto le parole erano tutto ciò che chiedevo, bisognosa di sentirmi chiamata 'amore' dalla sua bocca, di completare questo puzzle disfatto da tre anni.
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