Capitolo 3.
Il pub dove lavoravo, solitamente era sempre vuoti nei giorni settimanali, a meno che non ci fosse stata qualche partita importante.
Quella sera ero stata fortunata poiché, nessuna partita c'era in programma e per questo il mio capo John, mi aveva permesso di staccare il turno prima, rispetto alle altre volte.
Ero felice e contenta di potermene ritornare a casa, erano stati giorni pesanti quelli precedenti e l'unica cosa che volevo fare era un bagno caldo e maratona di film insieme al mio cane.
Entrai dentro a uno sgabuzzino che usavamo noi camerieri per cambiarci e nel momento esatto in cui mi stavo sbottonando la camicia, il mio cellulare incominciò a squillare.
<< Pronto amore! >> urlò mia madre dall'altro capo, mentre io girai gli occhi già a sentire la sua voce squillante.
<< Oh.. ciao mamma come va? >> le chiesi io, sinceramente stanca e desiderosa di chiudere al più presto.
<< Va benissimo Cath, tu invece come stai? >> mi rispose e poi chiese anche lei, mentre io sbuffai.
<< Bene dai, come mai mi stai chiamando? >> le domandai poi, aspettando di sapere la verità su quella chiamata.
<< Ah si, volevo dirti che dovrai venire a cena a casa, io e tuo padre abbiamo organizzato tutto ora in poche parole, è da tempo che non ti fai viva e vogliamo assolutamente che tu sia qui per rivederti >> m'informò lei, come se non ci fosse una seconda opzione.
Il rapporto con mia madre era abbastanza strano, lei era una persona molto esagerata se cosí la si poteva definire. Era una tuttofare, pignola, perfettina e rompiscatole più di chiunque altro conoscessi. Era innamorata follemente di mio fratello Jake, non avevamo in pratica niente in comune io e mia madre, litigavamo su tutto, ma era ovvio che le volessi bene nonostante i buchi enormi nel nostro strano rapporto tra madre e figlia.
<< Mi dispiace mamma ma devo lavorare qui al pub.. sta sera è pieno di persone! Anzi non potrei neanche parlare con te! >> mentii io rapidamente, mentre lei fece una risatina.
<< Ah si? perché ho chiamato prima John e mi ha detto che ti ha detto che potevi andare a casa! Ed io che stavo per dirli se poteva liberarti questa sera, ha fatto tutto lui >> rise ancora di più, probabilmente contenta di avermi beccata alla grande.
<< Hai chiamato John? >> le chiesi nervosa mentre lei non mi rispose << Quante volte ti ho detto di non farlo! >> conclusi, mentre lei fece un'altra risata.
Mia madre era convinta che il mondo fosse suo, che lei potesse sempre decidere su tutto e tutti e che aveva ragione a prescindere.
<< Dai smettila di arrabbiarti ogni volta e non farla lunga per una telefonata! Detto ciò, vieni per le otto e vestiti bene, perché ci sono ospiti per cena >> disse velocemente, per poi chiudere la chiamata, mentre io sbuffai lanciando il cellulare dentro la borsa.
Frustrata uscì dallo sgabuzzino mettendomi il capotto e quando arrivai all'uscita, mi girai verso John intento a contare i guadagni e nemmeno alzò lo sguardo nonostante non fossi stata silenziosa.
Lo fissai un attimo, ricordandomi che lui era uno di quegli uomini stronzi ed egocentrici, poi feci un piccolo respiro rumoroso per farmi notare.
<< Allora io vado, grazie >> gli dissi, mentre lui si girò e mi fece un piccolo cenno << Devo aiutarti a chiudere? >> gli chiesi, cercando di essere gentile ed educata.
<< No vai pure, tua madre era molto impaziente sta sera >> mi disse chiudendo la cassa, mentre io feci un piccolo sorriso.
<< Oh.. mi dispiace John mia mamma è un pochino.. estroversa, sai >> gli spiegai, mentre lui alzò un sopracciglio come se sapesse già tutto.
<< Conosco tua madre Catherine, non mi da fastidio >> mi rispose lui, girandomi le spalle e continuando a contare altri soldi << A
domani >> mi disse poi, mentre io rimasi interdetta.
<< A domani >> lo salutai, per poi andarmene da quel posto che odiavo.
Oggi mi era sembrato strano, non aveva fatto battutine su di me o su Sasha, non ci aveva stuzzicate o provocate o sgridate, niente di niente, e questa era la cosa più inquietante dato che lui era l'uomo che rompeva le scatole quasi più di mia madre, cioè in pratica loro due andavano a braccetto.
Andai a casa a piedi, la mia macchina era a riparare da Robbie, il fidanzato di Jess, che faceva il meccanico, mi aveva salvata con quel prezzo di favore che mi aveva fatto. Quando entrai dentro, Puzzolo mi saltò addosso ed io mi abbassai per accarezzarlo.
<< Allora, la questione caro Puzzolo, è che mi devo preparare per andare da Malefica, prima mi ha chiamata >> spiegai al mio cane, per poi alzarmi mentre lui fece un mugolio di dissenso per poi andarsi a sdraiare sul divano.
Dovevo prepararmi e sinceramente non m'interessava se Malefica aveva detto che c'erano ospiti sta sera, chi poteva aver invitato oltre al vicino di casa loro che era un cinquantenne burbero e maleducato, che tra l'altro non sopportavo affatto, oppure i soliti familiari pettegoli.
Ero indipendente ormai, e mia madre non sapeva comportarsi con me, mi trattava come una bambina e questo mi dava terribilmente fastidio come non mai, non era giusto nei miei confronti, mi faceva sentire una sedicenne ribelle con questi monologhi che poi irrimediabilmente mi frullavano in testa per le sue frasi del tipo "vestiti bene e non sciatta come al solito!" o "ti prego inizia a pulire decentemente la credenza".
Certo, mi sarei potuta vestire "bene" come intendeva lei, ma dopo mi sarei sentita sconfitta, volevo farle vedere che non ero più una bambina, e che non tutti avevano i suoi gusti, se lei preferiva le gonne al posto dei jeans che io adoravo, non significava che io mi vestivo orribilmente.
Così fiera di quella decisione mi misi un paio di jeans neri a vita alta che stringevano i miei fianchi un po' troppo fuori posto, che a me a dirla tutta non dispiacevano affatto. Dopodiché indossai un dolcevita nero semplice che infilai dentro ai jeans, mi misi un paio di scarpe bianche da ginnastica e il mio capotto lungo nero. Presi la borsa a tracolla e le chiavi di casa, prima di uscire guardai il mio cucciolone che mi fissava tristemente.
<< Ti prometto che domani resterò tutto il giorno con te >> dissi al mio cane che dal divano mi fissò e con questa promessa, chiusi la porta e corsi per le scale.
Ero in ritardo e Dio solo sa cosa mi avrebbe fatto mia madre, lei che pignola com'era non aspettava altro che farmi notare un altro difetto.
Arrivai a casa dopo circa venti minuti, e suonai il campanello aggiustandomi il dolcevita e il reggiseno.
Si aprì la porta di scatto, e vidi mia zia Brittney che fece un urlo di gioia.
<< Margaret è arrivata tua figlia!>> urlò lei, per poi sporgersi per abbracciarmi calorosamente e con altrettanta falsità, poi si staccò fissandomi per un attimo.
<< Ciao zia.. potrei entrare sai non vorrei morire di ipotermia... >> scherzai, mentre lei si spostò facendomi entrare.
Iniziai a togliermi il capotto mentre mia madre arrivò quasi di corsa con un grembiule da cucina ridicolo e con un sorriso a trentadue denti.
<< Catherine, potevi mettertelo un vestitino carino >> iniziò subito a battibeccare, mentre io ignorai la sua mini predica.
<< A me piace questo dolcevita invece >> borbottai guardandomi.
Alzai lo sguardo e vidi mia madre e mia zia sorridersi stranamente, così alzai un sopracciglio pensando che ci fosse qualcosa di strano.
<< Come mai sei in ritardo? >> mi chiese, per poi prendermi per il braccio per condurmi in salotto, come se non sapessi come fosse fatta la casa dove avevo vissuto da piccola.
<< Fino a prova contraria mi ricordo dov'è il salotto mamma... >> dissi io risoluta, mentre lei m'ignorò.
<< Mi raccomando fai bella figura che ti ho trovato degli amici di tuo fratello bellissimi >> disse lei prima di spintonarmi in salotto.
Feci una faccia disgustata, pensando che mia madre volesse soltanto accaparrarmi un uomo come se avessi sorpassato la soglia dei cinquant'anni.
E una volta entrata in salotto, guardai le persone che c'erano all'interno.
Con mia grande sorpresa, non c'era Tobias il vicino maleducato seduto sul divano con tutta la sua arroganza, ma bensì c'erano tre uomini che scherzavano insieme a mio fratello e mio padre.
Non c'era nessuna traccia dei miei nonni, soltanto mio zio che però se ne stava rannicchiato sul divano mezzo addormentato.
Poi appena mi videro calò un attimo di silenzio, dove tutti si girarono dalla mia parte e mentre io spalancai gli occhi, senza parole.
Vicino a mio fratello c'era quel poliziotto, proprio quello che mi aveva messo una multa di centoventicinque dollari, che in pratica mi aveva rovinato una giornata intera, e che se ne stava lì, bello tranquillo a bersi una birra insieme a mio padre e a Jake, e agli altri due uomini che non conoscevo.
Rimasi a dir poco sbalordita, mentre mio fratello mi fece un sorriso e mi salutò.
Mi fissava ed aveva smesso di ridere, come tutti d'altronde, nel suo sguardo però c'era un po' di stupore, e teneva la bocca semichiusa preso in contropiede e, a dirla tutta pure io non mi aspettavo di certo di ritrovarmi questa persona qui a casa dei miei genitori.
Era ancora bello come l'avevo lasciato, aveva sempre quello stesso sguardo interessante e ipnotizzante che lo contraddistingueva
Non riuscii a spiaccicare una sola parola, rimanemmo a guardarci per una manciata di secondi mentre io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso.
<< Allora uomini! >> urlò mia madre mentre mi spinse prorompente indicandomi << Lei è mia figlia, si chiama Catherine, ha ventitré anni ed è sana, vaccinata e single! >> continuò lei, mentre Jake e uno dei suoi amici scoppiarono a ridere e mentre io mi girai fulminandola con lo sguardo.
Mia madre era per davvero Malefica, aveva architettato tutto questo per accaparrarmi un uomo perché lei e le sue tradizioni prevalevano su tutto.
La sua idea era che bisognava sposarsi a venticinque anni, la mia idea era che per sposarsi ci voleva maturità e responsabilità.
<< Margaret.. >> l'ammonì mio padre, mentre io mi avvicinai per dargli un bacio sulla guancia.
<< Si Cliff spostati! Allora Cath questi sono amici e colleghi di tuo fratello >> m'informò poi mia madre entusiasta e spingendomi ancora per salutare gli amici di mio fratello che mi porsero la mano.
I due uomini che non avevo mai visto prima d'ora, mi fecero un sincero sorriso, che ricambiai, e poi si presentarono.
Uno biondo si chiamava Dan, e quell'altro con i capelli neri, si chiamava Robert.
Poi arrivò il momento suo, che guardandomi mi porse la mano con un mezzo sorriso, io glie la strinsi con decisione e guardandolo negli occhi cercai di stritolargliela.
Il suo sorriso si allargò, forse capendo il messaggio, mentre io gli tirai un'occhiata ancora più eloquente per fargli capire che non mi ero affatto scordata della multa.
<< Piacere Terence >> disse lui facendomi l'occhiolino, con una voce vicina al sensuale, che non mi passò inosservata.
Non mi era balenata in testa l'idea che potesse essere un collega di mio fratello la scorsa volta, anche perché allora me lo sarei dovuta chiedere per ogni poliziotto.
Ma sapevo che Jake, portava a casa soltanto gli amici stretti e per vari motivi, io non conoscevo nessun amico di Jake, se non Robbie perché era il fidanzato della mia migliore amica Jess.
Quella cena sarebbe stata un disastro e ahimè non era ancora iniziata.
Con mia madre e mia zia alle calcagne, e con il poliziotto più finto giochista che avessi mai potuto conoscere, sarebbe stata una lunga cena, che molto probabilmente non avrei digerito poi così presto.
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