7. A Cuore Spezzato - Hazel
A volte si fanno scelte troppo affrettate.
Ecco, ne sono un esempio. Le mie scelte sono così.
Affrettate.
Egoiste.
Dei. Puri. Disastri.
Mi sono messa nei casini, per evadere dal mio mondo e correre verso un universo sconosciuto, da un ragazzo sconosciuto, fidandomi di uno sconosciuto che credevo amico.
Piego le lenzuola sul letto su cui ho appena dormito, e apro la finestra della camera.
Aviana è appena andata a scuola e non ho ancora parlato con James (credo che non lo farò mai più), non voglio più pensare a nulla e godermi la natura, ma come metto il naso fuori per ascoltare il cinguettio degli uccellini, vengo invasa da un odore pungente e inizio a tossire.
Dei carri non trainati da cavalli, ma che vanno da soli, non mi permettono di ascoltare il suono della natura e le sue dolci melodie.
Sembrava un sogno, e invece si sta trasformando in un incubo.
Mi dite il nome "James"? Non sento più niente. Nulla. Niente di niente. Le farfalle sono scappate dal mio stomaco o, peggio, morte.
In più, dopo il sogno che ho fatto (di cui non posso verificare la verità), temo di aver preso tropo in fretta la decisione.
Devo lasciare assolutamente questa casa e trovare un modo per tornare a casa. Chiudo la finestra e faccio per aprire la porta della camera per parlare per l'ultima volta con questo ragazzo così pericoloso, ma mi blocco.
"Che le hai fatto?"
Silenzio.
"Papà, rispondimi, ti sembra normale? Tradire così la mamma?"
"Non puoi capire, James. Tornatene a studiare."
"Perché non mi consideri? Ti ordino di smetterla di prendere in giro quella povera donna!"
"Ma ti senti? Chi è che ti ha sempre coperto nelle risse? Io! Chi ti teneva la mano mentre mamma stava male? Io!"
"Mi sembra di ricordare che intanto tenevi la mano anche ad una donna, e non sto parlando della mamma!"
"Vedrai quando tu sarai vecchio! Capirai quello che ho passato!"
"Io non diventerò schifoso come te!"
"Lo sei già. Sei già me. Una copia sputata, forse io sono anche meglio."
Silenzio.
Poi un botto, tipo un vetro rotto.
"Papà, fermati!" un urlo, poi una parola detta dalla voce del padre con troppa aggressività.
Trattengo le lacrime, ma le gambe si muovono e mi trovo a camminare verso gli urli.
"Che sta facendo?" urlo anche io.
"E questa chi è?"
"Smettila! Hazel, che ci fai qui?"
"Una delle tante, ora sì che ho capito"
"Non ascoltarlo" non mi servono gli ordini di James per non ascoltare il padre, mi blocco.
I pugni serrati lungo i fianchi, l'aria che non entra più nei polmoni.
Sono bloccata.
E fisso il sangue che c'è a terra, e fisso i cocci blu macchiati di rosso, e fisso il padre che strangola al collo il figlio, dalla cui fronte esce un fiume bordeaux.
"Ti è andata bene, ragazzaccio. Ma tornerò, e tu non dirai nulla a tua madre per proteggere sia la tua che la sua incolumità"
Il padre lascia la presa e James cade a terra, io gli vado vicino e mentre l'uomo chiude la porta d'entrata, cerco di tranquillizzare il ragazzo.
"Stai tranquillo, è tutto finito, ora ci sono io." lo prendo per un braccio, ma non si muove.
"Faccio da solo!"
"No, davvero, ti aiuto io."
"No, non voglio il tuo aiuto."
"Ma..."
"Ti ho detto di no!" strattona il braccio e si alza, troppo in fretta, perché diventa tutto bianco.
Lo prendo e lo faccio stendere sul divano.
"Vattene!"
"Ma hai bisogno di aiuto!"
"No! Vai via! Sei una seccatura, non dovevi assistere a tutto questo. Non ti voglio più vedere!"
Un attimo per realizzare, poi scoppio in un singhiozzo.
Prendo degli stivali che mi hanno prestato, un cappotto viola scuro che non usa più nessuno e appoggio la mano sulla maniglia.
"Allora ciao..." biascico mentre lo guardo esausto sul divano, gli occhi che non sono più i suoi e i capelli sparati da tutte le parti, tutto il pavimento rosso come il suo viso.
Non mi risponde, e io esco in strada. Inizia a piovere e mi accorgo che non ho la più pallida idea di dove andare.
Tutta la città è strana, ci sono cose che non ho mai visto e persone che mi fissano come se fossi un nobile che ruba a tutti le ricchezze.
Senza di lui questo mondo non ha più senso. Non lo riconoscevo più: dov'erano finite la responsabilità della sera prima, i sorrisi, gli sguardi che avevo sognato, ma che erano veri?
Chiudo il cappotto stringendomelo ai fianchi, come se fosse l'ultima cosa che mi è rimasta. Mi fermo sul ciglio della strada, la pioggia che mista alle lacrime mi bagna il viso congelato.
Un palo con un prisma di tre colori diversi (rosso, arancione e verde) lampeggia e attira la mia attenzione. Sembrano candele con luci diverse che cambiano colore come per descrivere sentimenti.
Ammiro la luce che da gialla diventa rossa e attraverso la strada, ma una carrozza emette un suono strano e mi fa sobbalzare.
"Ma che ti viene in mente?! Cosa ammiri con aria così persa? Sei forse ubriaca?" dalla carrozza scende un ragazzo con un cappotto come il mio, ma più curato. Appena mi vede in faccia, cambia espressione.
"Ma tu sei Haz- tu chi sei?" sembra che abbia capito chi sono, ma la sua domanda mi confonde.
"Io... ho bisogno di un posto in cui stare. Conosci un castello che mi può ospitare?"
"Un castello? Te lo faccio vedere io, un bel castello! Salta su!" apre la porta e mi fa salire, ma la carrozza è diversa rispetto a quelle che ho visto nei miei diciassette anni.
"Ti ha lasciata il ragazzo eh?"
"Non direi proprio così, però diciamo che è una cosa simile..."
Maneggia una specie di stampo per ciambelle però sottile e guarda la strada con attenzione. Una volta che arriva al palo di tre colori che si fa rosso, si ferma.
"Ma che fai?" chiedo "Perché ti fermi?"
"Il semaforo è rosso."
"Che cos'è il semaforo?" il palo di tre colori si chiama semaforo?
"Quello" e indica il palo.
"Semaforo" ripeto "e quello stampo di ciambella che hai in mano come si chiama?"
"Intendi il volante?"
"Volante" ripeto a mia volta.
"Di che famiglia sei?"
"Intendi come mi chiamo? Sono Connor Forry. Non mi hai detto il tuo, di nome"
"Hazel"
"Hazel...?"
"Hazel, sì."
"E il cognome?"
"Eh?"
"Non ha importanza. Eccoci arrivati" sembra sia un po' a disagio, ma non ci faccio caso. Ho fame, e sono ancora scossa per tutto quello che è successo.
"Allora, il fidanzato?"
"Ma questo non è un castello!"
"Io... no, davvero credevi che vivessi in un castello?"
"Sì. Lo hai detto tu."
"Ero ironico..."
"Io... ero così convinta che intendessi un castello come quello di casa mia..." poi mi torna in mente la casa di Aviana e di quell'altra persona: non è un castello, in questo mondo i castelli non esistono.
"Lascia stare" biascico mentre scendo dalla carrozza.
"Come fa a muoversi senza cavalli?" chiedo appoggiandole una mano sopra.
"Questa è una macchina, di cavalli non ce ne sono... ha un motore"
"Motore? Macchina?"
"Sì, però meglio andare in casa, ora. Sta diluviando e ti stai inzuppando ancora di più." Apre un ombrellino che usano di solito le dame e mi prende per un braccio, per farmi andare lì sotto con lui. Così non mi bagno più.
Percorriamo un vialetto di sassolini bianchi tutti uguali, dei prati verdi che fanno da perimetro e una fontana un po' più in là a destra. A sinistra una panchina di legno, e davanti a noi una casa con muri di pietra, una lunga vetrata che fa vedere il camino acceso e le poltroncine attira subito la mia attenzione.
"Vieni, l'entrata è per di qua" seguo Connor come se lo conoscessi da una vita, mi guida verso una porta di legno marrone chiaro, che apre.
Il mio viso gelido fa contrasto con il caldo della casa, come gli stivali sono fuori luogo abbinati al mio cappotto, come le promesse che ci siamo fatti io e James, la sera prima, e la litigata di oggi.
Ripenso a lui mentre vedo uno specchio all'ingresso, ma sposto subito lo sguardo sulle poltroncine avvistate prima di entrare e al camino.
"Wow" sussurro.
"Bello, eh? Non è un castello, ma è una Signora Casa!" mi tolgo le scarpe per non imbrattare di fango il Bukara e Connor mi viene a fianco, per prendermi il cappotto viola sbiadito.
"Grazie"
"Questi sono del tuo ragazzo?" chiede mentre mi fissa i vestiti.
Non mi sono accorta dei bizzarri vestiti che indosso (quelli che avevo messo la sera prima), perché nella fretta di scappare ho buttato addosso la prima cosa che mi è capitata.
Ho avuto paura.
Paura dei miei sogni che si stavano infrangendo,
paura dell'uomo che avevo davanti,
paura dell'idea che mi stavo facendo di James,
paura del casino in cui mi ero messa uscendo da quella stanza.
"Perché indossi dei pantaloncini e una t-shirt in pieno inverno?"
"Cosa?"
"Poi quelle calze... hai bisogno di un bagno caldo e di vestiti decenti..."
"Questi si chiamano pantaloncini?" chiedo mentre prendo la stoffa rossa dei pantaloni tagliati tra le mani. Lui si avvicina.
"Sì, e questa si chiama T-shirt" mi prende una manica della camicia senza bottoni. "e queste" fa cenno alle calze "sono..."
"So cosa sono queste!" inizio a ridere.
Una risata diversa da quelle contenute che sono costretta a mostrare ad ogni battuta di un nobile, una risata vera.
Vedo che Connor mi fissa.
"Che c'è?" chiedo diventando rossa.
"Sei troppo bella, ti devo per forza dire la verità, non ti posso tradire..." quale verità? È anche lui complice di Kiestun?
"Io ti conosco, Hazel. So chi sei e so che ti avrei incontrata. So che ti devo salvare."
"Sei... sei... tu sei un alleato di Kiestun? Non è così? Dimmi la verità in faccia, perché non voglio stare male di nuovo!" mi avvicino alla vetrata, le gocce di pioggia che cadono come pianto e non mi permettono di ammirare il prato ben tagliato e i sassolini tutti uguali e bianchi.
"No. È un mio nemico. Voglio dire, non lo so. So chi è, ma allo stesso tempo non lo so. So che è un nemico, ma un mio nemico indiretto. So che ti devo salvare e che hai sofferto." Le sue parole mi commuovono, perché intanto mi fissa con i suoi occhi azzurri e una faccia resa simpatica dai brufoli, un leggero taglio sul naso e il ciuffo dei capelli marrone bagnati dalla pioggia.
"Hazel" mi si avvicina, e riesco a guardarlo in faccia, perché a differenza di James, lui è alto poco più di me. "voglio aiutarti, te lo giuro, ma non so tutta la tua storia completa, aiutami a capirti, e aiutami ad aiutarti. Non voglio farti del male."
E così ci sediamo sulle poltroncine, io stretta in una coperta, lui con le gambe incrociate. Stringiamo nelle mani delle tazze di cioccolata calda: una bevanda di qui, fatta molto probabilmente con il cioccolato (James, perché tutto mi porta a te?).
"Sono tutt'orecchi"
Inizio a raccontare.
Racconto di come ho vissuto la mia vita fino a quando non mi è apparsa la visione di James, di come ne sono rimasta abbagliata, di come sono sempre stata romantica, di come ho voluto lasciare tutto per lui.
Dall'altra parte, ho anche detto che James mi vedeva in sogno e nello specchio della sua università, sognava e vedeva ogni singola cosa che avevo vissuto.
Poi sono arrivata a ieri, a quando sono atterrata in questo nuovo mondo, ad Aviana, bambina affettuosa, e a quel bel ragazzo di James.
"Oggi quando l'ho visto con quell'espressione, con quegli occhi... non era da lui, lui non è così. Ne sono certa, Connor. Non farebbe mai una cosa del genere."
"Quindi ha litigato con il padre?"
"Sì, quando sono corsa da lui mi ha cacciata via."
"E così ti ho trovata io..."
"E la tua versione dei fatti? Come fai a conoscermi?"
"Sapevo già tutto, tranne che per gli eventi di oggi... so che ti avrei dovuta aiutare, ti avrei dovuto... dare un altro motivo per restare."
"Io voglio tornare a casa. Non trovo più nulla di bello qui, e mi accorgo delle cavolate che ho fatto."
"E a James non ci pensi?"
"Magari, se me ne andassi, quello successo qui si cancellerebbe..."
"Non credo, e poi non è colpa tua se è successo tutto questo... suo padre era già violento prima..."
"E che ne sai?"
"Sono cose che si sanno..." rimane vago su questo, e decido di lasciare un po' di mistero: scoprirò qualcosa più avanti.
"Non mi convince... ma mi aiuterai a tornare a casa?"
"Certo che sì."
A volte, per capire quello che la vita vuole da noi, serve sia qualcuno che ci faccia battere il cuore, ma allo stesso tempo qualcuno che ne raccolga i pezzi, quando quest'ultimo va in frantumi.
Quindi, grazie, Connor.
E grazie a voi che state continuando a leggere!
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