18. Settimane - Hazel

Le settimane passano veloci e inesorabili e James ha un sorriso stampato sul viso che non si riesce a cancellare (per fortuna!), passiamo molto tempo assieme e oggi mi ha invitata al parco: una bella passeggiata sotto al sole e tante risate fatte insieme.

Mi preparo e aspetto che esca dalla sua stanza mentre bevo un bicchiere di aranciata in cucina: il sole splende alto nel cielo e i raggi che entrano dalla vetrata battono sulla libreria del salotto.

"Ci sono!" esulta mentre scende le scale velocemente: i capelli sono ancora leggermente bagnati e ha un ciuffetto di dopobarba sulla mandibola. Mi metto a ridere.

"Che hai? Perché ridi?" si guarda allo specchio e alza le sopracciglia, mettendosi in posa come se fosse il ragazzo più bello del mondo. Si accorge che ha della schiuma in faccia e se la toglie velocemente, pulendo la mano nella maglietta.

"Hai smesso di ammirarti e possiamo andare o rimaniamo qui tutto il pomeriggio?" chiedo con ancora qualche risata che mi impedisce di rimanere seria.

Mettiamo le scarpe e percorriamo il marciapiede per pochi minuti per arrivare al parco.

Molti bambini corrono e si urlano a vicenda ridendo, uno mi investe e per poco non cado a terra: James riesce a prendermi per un braccio al volo per fortuna...

Ci sediamo su una panchina per ammirare tutto questo, illuminati dal sole e influenzati dall'allegria: qualche vecchietto (probabilmente che accompagna qui i nipotini) parla seduto sulle panchine intorno alla nostra e si sentono piacevoli risate. Mi viene malinconia, la malinconia di una famiglia che non ho mai avuto.

Qualcosa mi distrae dai miei pensieri: una musichetta che proviene da una trombetta suonata a qualche metro da noi. Un uomo vestito con una veste blu coperta di stelline si fa sorprendere dai bambini che gli saltano addosso attaccandosi alle spalle oppure al tessuto stropicciato.

"Guarda!" esulta James guardandolo. Noto che i suoi occhi scintillano e mi rendo conto della sua sensibilità: ma perché si emoziona davanti ad una scena simile? Mi prende per mano e ci avviciniamo pure noi, come due bambini curiosi.

"I miei mi portavano qui ogni domenica pomeriggio: stavamo insieme e io giocavo con i miei amici, poi andavamo a mangiare una pizza e stavamo tutto il tempo noi tre, senza nessuna barriera. Mio papà non urlava contro a mia mamma, dormivano insieme, erano innamorati." Osservo ancora una volta il mago che tira fuori dal suo cilindro cinque fazzoletti di colori diversi.

"E poi?"

"Poi mia mamma si è ammalata e mio papà non l'ha più voluta: troppa fatica tra me e lei."

"E hai smesso di credere all'amore?" non so perché gli abbia fatto questa domanda, ma ora che mi è uscita dalla bocca voglio una risposta.

"Tra di loro sì. Perché farsi promesse infinite se poi non si sanno mantenere? Perché mentire alle persone che ami?"

"Questo non lo so, ma sono sicura che i tuoi si siano amati almeno per qualche anno." Non mi guarda in viso ma continuo a parlare, "e per fortuna, perché sennò tu non saresti qui..." sposta lo sguardo sul mio e io distolgo lo sguardo, ma vedo con la coda dell'occhio che si sofferma a fissarmi.

"Signorina!" tutti i bambini si girano verso di me, il mago mi guarda. Sono forse diventata troppo rossa?

"Venga qui con il suo ragazzo, dobbiamo farvi una sorpresa!" il mio cosa? Guardo la mia mano, ancora stretta in quella di James. Lui mi fissa, ancora più rosso del rosso della mia felpa, se è possibile.

Nonostante l'imbarazzo, la mia mano resta nella sua.

I bambini ci fanno passare e finisco stretta tra due uomini che mi fanno sentire ancora più bassa: James e il mago.

"Noi non siamo..." cerco di dire, ma un bambino mi tira un braccio e mi fa accovacciare vicino a lui.

"Questa è una sorpresa" mi sussurra all'orecchio mentre mi benda con una fascia che sa di zucchero filato.

Mi alzo titubante mentre un altro bambino mi prende una mano: la sua manina calda dentro alla mia ghiacciata, ho paura di fargli sentire troppo freddo.

"Dite la formula magica e vediamo cosa succede!" urla il mago ai bambini.

"Abracadabra!" urlano tutti in coro e una corrente di allegria mi investe ancora una volta.

"Vediamo se ha funzionato... aiutatemi, su! Ohhhhhhhhh"

"Ohhhhhhh" dicono ancora una volta insieme i bambini.

Un esulto in cui io non capisco cosa stia accadendo, poi la luce.

Metto a fuoco prima di tutto James che mi sembra ancora più bello ed emozionato: è forse questo l'incantesimo?

Il mago tira fuori dal cappello un mazzolino di viole che lancia al ragazzo tutto rosso in viso: mi guarda impacciato e io mi porto una ciocca dietro all'orecchio.

"L'amore è nell'aria!" esultano i bambini e io vorrei sotterrarmi. Credo che pure il mio compagno voglia fare la stessa cosa, eppure con molto coraggio si avvicina e mi porge quel mazzo tutto viola.

"Grazie" cerco di dire mentre tutti applaudiscono.

Vorrei scomparire immediatamente.

Qualche metro fuori dal parco, il colore della mia pelle si sta schiarendo, ma le orecchie sono ancora bollenti e tappate. James mi cammina a fianco senza dire nulla, imbarazzato molto probabilmente.

"Io... non mi ricordavo così gli spettacoli di quel mago..." biascica guardando la strada.

"Immaginavo: non mi avresti mai portata lì fosse stato così..."

"E le cose sono cambiate un'altra volta: niente più genitori, spettacoli diversi..."

"Magari la pizza è rimasta uguale..." tento io.

"Magari sì, proviamo?" e lui abbocca.

Mi porta in un ristorantino vecchiotto, i cui proprietari sono due settantenni, marito e moglie.

"Ma non mi dire!" esulta la donna, "tu sei James! Come sei cresciuto!"

"Salve signora!" esulta lui mentre l'abbraccia. Un abbraccio pieno di intimità che non mi sento di violare, perciò guardo da un'altra parte.

"E lei chi è? La tua fidanzata?" mi studia da capo a piedi e io le rivolgo un sorriso.

"No signora, sono un'amica." Dico mentre le stringo la mano.

"Come ti chiami?"

"Hazel"

"Che bel nome! Vi faccio sedere al solito tavolo?"

Ci porta in una stanzettina appartata, con un tavolo rotondo a tre posti: toglie una sedia e James l'aiuta a portare il piatto e le posate in cucina.

Dal tavolo sposto lo sguardo ad una parete piena di bicchieri di cristallo e ad un pianoforte fatto di legno un po' rovinato: degli spariti aperti e ingialliti segnano note che non ho mai saputo leggere.

Madden.

"Evidentemente, questa pizzeria è rimasta uguale." Dice James mentre torna da me. Nota che sfioro i tasti dello strumento e si siede allo sgabello, pronto per suonare.

"Sai... suonarlo?"

"Sì, ogni domenica io e papà suonavamo una melodia e tutti i clienti venivano ad ascoltarci..."

Inizia ad accarezzare lo strumento come se fosse il viso di un bambino, con delicatezza ma decisione e facendomelo amare ancora di più.

Rimango abbagliata da quelle note confuse che trasmettono tante emozioni: il cuore inizia a battermi quando una nota viene ripetuta più volte e poi si calma mentre le sue spalle si rilassano.

Quando arrivano le pizze, non ho più fame.

"Che brutto che è stato litigare con te" dico mentre lui divide la pizza in quattro parti e ne mette una tutta intera in bocca. Mastica velocemente e poi è finalmente pronto per parlare.

"Stessa cosa per me, non voglio farlo mai più."

"Mi dirai sempre tutto, vero?"

"Tu lo farai?"

"Sì."

"Allora farò lo stesso pure io."

Uscendo dal ristorante, saluto la signora e io e James camminiamo sotto ad un cielo stellato, io stretta nel mio cappotto e lui nel suo giubbotto.

Fisso le macchine che si fermano dopo aver percorso un metro, immerse nel traffico. In questo momento mi sto pentendo della promessa fatta durante cena: dire tutto.

Direi sempre tutto a James, ci mancherebbe, ma una piccola parola di sei lettere mi blocca: Elliot. Mi sono completamente dimenticata di lui oggi e non ho la più pallida idea di cosa dire al ragazzo dagli occhi color carbone.

Io ed Elliot ci siamo incontrati due volte per ogni settimana e mi ha portata in negozi e ristoranti. Il rapporto tra di noi si sta rafforzando e non voglio tenere all'oscuro James. Mi fermo e lo fisso.

"Ti devo dire una cosa"

"Dimmi tutto." Hazel, diglielo.

"Io... sto uscendo con un ragazzo." corruga la fronte e alza l'indice, indicandomi.

"E chi sarebbe il fortunato?"

"Si chiama Elliot." Gli si rilassano le spalle, come se sia più tranquillo dopo aver sentito il suo nome.

Cosa lo rende così tranquillo?

"E com'è? Simpatico?"

"Sì. Mi fa tornare il sorriso." Poi aggiungo: "sai, è un po' come te: quando sto con voi, sto bene."

"Ah, bene" sussurra lui. Dopo aver ammesso questa piccola cosa, c'è una luce diversa nei suoi occhi: sembra che abbia paura.

"Fa parte anche lui della croce rossa" elenco le cose che hanno in comune, per fargli vedere che è un ragazzo perbene, "e pensa che gli piace il gelato al cioccolato come a te!"

"Pazzesco"

"Non volevo parlarti solo di lui, scusa, mi dispiace tanto..."

"No, va tutto bene..."

"Mi fate stare entrambi molto bene... vorrei che vi conosceste!" a quel punto inizia a camminare in direzione di casa e non mi guarda più in faccia.

"James! Che fai? Torna indietro!" gli corro dietro e lo prendo per un braccio per fermarlo.

"Se non vuoi incontrarlo non fa niente, ma non andartene, per favore."

"Non è quello, mi piace come ragazzo per te, solo, sei sicura che ti possa dare tutto quello di cui hai bisogno? È una cosa importante da tenere in conto."

"Io... non sono da te questi discorsi, sei sicuro di stare bene? Mi devi dire qualcosa?"

"No, non devo dire nulla. Va bene, invitalo. Usciamoci insieme e vediamo com'è"



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