1.2
Rigel si stava rivestendo, seduto sul bordo del letto, la maglietta tra le mani e lo sguardo perso come a cercar di riuscire a vedere qualcosa oltre la finestra dalle tende verdi tirate.
La camera in penombra lasciava intravedere il corpo di Alhena coperta fino alla vita dal lenzuolo, i lunghi capelli biondi incorniciavano la sua figura come una cascata di luce dorata. Il viso ovale, le labbra carnose, gli occhi nocciola, le forme sinuose. Era davvero una bella donna, Rigel stava bene durante il tempo passato con lei, quando facevano l'amore a volte, gli pareva di provare qualcosa in più di un semplice affetto, ma una volta terminato, quando quell'illusione svaniva, i suoi demoni tornavano a parlare nella sua testa. Gli sussurravano che era tutto sbagliato, che sarebbe dovuto scappare, che non era la cosa giusta da fare.
Scappare da chi, da cosa? Rigel dopo aver finalmente trovato la pace a casa di Maia, si era illuso che fosse tutto finito, che quelle voci finalmente lo avrebbero lasciato in pace. Tuttavia, se adesso non lo tormentavano più nella ricerca di un luogo da considerare casa, avevano cominciato a roderlo dentro, ripetendogli di trovarla, cercarla, che soltanto lei sarebbe stata quella giusta.
Trovare chi? Non ne aveva la minima idea.
A volte nei suoi sogni gli sembrava di averla accanto, sentiva la sua voce, percepiva il suo dolce profumo, la cercava, la rincorreva. Una fitta nebbia però avvolgeva tutto, impedendogli di vedere, di riuscire a scorgere anche un solo piccolo particolare di lei che gli sfuggiva, era sempre più distante, finché non si ritrovava da solo, al buio e si risvegliava, madido di sudore a urlare un nome che subito dopo gli scivolava via dalla mente e per quanto si sforzasse, non riusciva più a ricordarlo.
Possibile che dovesse trovare lei? Stava forse impazzendo, cercare una donna che non esisteva tranne che nei suoi sogni, un miraggio, un fantasma, l'illusione di un amore che non avrebbe mai trovato con nessuna donna su questa terra.
Con il cuore dolorante e la mente confusa ripensava al suono cristallino della sua risata, era così dolce ma capace di procurargli tanto tormento da sentire nuovamente la rabbia ritornare, ma lei non poteva averla vinta, non questa volta, non sarebbe più scappato quella era casa sua e sarebbe rimasto, lo doveva a Maia, che lo aveva cresciuto come un figlio e a Talitha.
Sorrise al pensiero di quanto fosse forte il legame che li univa, sapeva che non ci sarebbe mai potuto essere nulla di simile con nessun'altra, tuttavia non poteva amarla, lei era cos' giovane, perfetta in tutto ciò che faceva, lui invece era un disastro.
Alhena si rigirò nel letto, distendendo le braccia :«Te ne vai già?».
«Sì, ho del lavoro da finire».
«Perché quando hai terminato non torni e passiamo la notte assieme» disse abbracciandolo e tirandolo a sé.
Rigel la afferrò per le mani e s'irrigidì, non gli andava di restare un solo minuto in più in quella casa. Si sentiva in colpa verso di lei, la stava trattando come un passatempo, come tutte le altre, quella ricerca costante di cercare la donna giusta, di trovare "lei". Lo spingeva a non fermarsi, a non trovare pace tra le braccia di nessuna.
Si alzò e infilò la maglietta :«Scusa si è fatto tardi, devo andare» le diede velocemente un bacio sulla fronte, afferrò le chiavi sul comodino e la lasciò da sola, nel letto, dove le aveva detto parole dolci, che in realtà avrebbe desiderato sussurrare all'orecchio di un'illusione.
Tornato alla fattoria, si gettò a capofitto nei vari lavoretti arretrati: accatastare le casse contenenti scatolame, pulire la stalla, tagliare le assi per la staccionata e cambiare le cerniere a un paio di finestre. A sera era talmente stanco che non se la sentiva neanche di andarsi a gettare sul letto.
Si accomodò sul divanetto a dondolo, dando una leggera spinta con i piedi.
Maia uscì, con un vassoio su cui vi era una caraffa e un paio di bicchieri, lo poggiò sul tavolino in vimini e si accomodò sulla poltrona al lato della porta.
«Davvero una bella serata».
«Già» versò da bere a entrambi.
«Qualcosa non va?».
«Sono soltanto stanco».
«Sicuro? Hai lo stesso sguardo di quando sei arrivato qua».
Rigel sorrise, Maia lo conosceva fin tropo bene, a lei non sfuggiva mai nulla :«Tranquilla non ho intenzione di andarmene».
«Mi fa piacere sentirtelo dire, con tutto il lavoro che c'è da fare».
Maia con i suoi occhietti vispi lo scrutò, come se volesse entrare nella sua mente e scoprire ogni suo più recondito pensiero.
Lo aveva accolto in casa sua con vero piacere, aveva visto in lui il potenziale che a tutti gli altri sfuggiva, o semplicemente non avevano la pazienza e l'amore necessari per tirarlo fuori. Certo i primi tempi furono alquanto complicati, lui aveva in caratterino difficile, testardo, sfrontato, credeva di sapere già tutto della vita.
Maia, invece di punirlo quando sbagliava, cercava di farlo parlare, affinché cacciasse fuori quella rabbia verso il mondo che lo circondava, senza un motivo apparente. Quell'astio lo stava corrodendo lentamente, rischiando di trasformarlo in un uomo privo di valori, empatia, amore per se stesso e per gli altri.
Quando finalmente iniziò a fidarsi di lei, a calmarsi, imparò a trovare il bello nelle persone, apprezzare la vita, trovare la felicità nelle piccole cose che lo circondavano o la soddisfazione di riuscire a portare a termine un lavoro con le sue sole forze.
Il rombo di una moto che si avvicinava li attirò. Il mezzo si fermò a una decina di metri dalla staccionata, Maia vedendo che si trattava della nipote s'incupì, preferendo entrare.
Rigel rimase a osservare la scena. Talitha scese dalla moto, gli sembrava quella di Altair. Sfilato il casco lo passò al giovane che l'aveva accompagnata, il quale levato il suo casco scese di sella, mise la moto a cavalletto e tirò a sé Talitha.
Rigel si mise in piedi, poggiandosi alla trave che sosteneva il tetto della veranda.
Talitha abbracciò il ragazzo e lo baciò, fu un bacio breve, lei rise e si staccò da lui. Rigel si sentì gelare il sangue, non riusciva a capire cosa lo portasse a sentirsi così, provare gelosia verso di lei sarebbe stato soltanto stupido da parte sua, in fondo lui sperava che lei non provasse nulla nei suoi confronti.
La moto ripartì e senza che se ne accorgesse Talitha gli si era fermata di fronte.
«Ciao Rigel».
«Ciao» non riuscì a dirle altro.
Talitha rimase alcuni secondi a guardarlo, come ad attendere qualcosa da lui, una parola, una reazione per ciò che aveva appena visto, ma non accadde nulla, così abbassò il capo ed entrò.
«Ciao cara, come te la sei passata?» Le chiese con un sorriso appena accennato.
Talitha chiuse la porta, sospirò e andò ad abbracciare la nonna :«Tutto bene, c'era anche il cugino di Miranda».
«Mi fa piacere che ti sia divertita, durante l'anno non fai altro che pensare allo studio» tolse dal forno la teglia con il pasticcio.
Talitha andò a prendere i piatti :«Devo impegnarmi se voglio realizzare il mio sogno, a volte è stancante, ma ne vale la pena».
«Mi è parso di sentire una moto, ti ha accompagnato qualcuno?».
«Si Altair».
Maia la guardò senza dire nulla, aspettando che fosse lei a dire se era accaduto qualcosa, li aveva visti baciarsi spiando dalla finestra, ma non le avrebbe chiesto nulla, almeno per il momento. Era ancora presto, per la Notte delle lacrime ci volevano ancora diverse settimane e tutto poteva accadere. Doveva comunque stare in guardia, così da poter evitare il peggio nel caso, la nipote prendesse scelte che potevano rivelarsi nefaste per tutti loro.
«Ḗ un bravo ragazzo, forse un po' troppo spericolato con quella moto».
Talitha rise :«Sì, hai ragione».
Quando l'aveva accompagnata, si era tenuta talmente stretta a lui che credeva di avergli rotto un paio di costole.
Maia si affacciò sulla veranda per chiamare Rigel :«Vieni è pronto».
«Di già» per non sporcare in casa si tolse le scarpe e andò a sciacquarsi al rubinetto esterno dove tenevano attaccato il tubo estensibile per innaffiare i cespugli di rose e i bulbi di tulipano, gladioli e glicine che Maia amava coltivare.
La cena fu nuovamente silenziosa a parte qualche osservazione di Maia sui vari lavori da fare cui Rigel rispondeva per monosillabi.
Talitha cercava di concentrarsi sul suo piatto, ogni tanto guardava di sfuggita Rigel, domandandosi che idea si fosse fatto su di lei e Altair.
Rigel fece per sparecchiare, ma Maia lo fermò :«Per favore va a lavarti, qui ci pensiamo noi».
«Ḗ un modo gentile per dirmi che puzzo come un caprone?».
Talitha rise e Rigel si sentì invadere piacevolmente la mente da quel suono.
«Che ti viene in mente, adesso però vai» e lo scacciò come fosse stato una gallina.
«Agli ordini, obbedisco» e andò filato a chiudersi in bagno, aveva davvero bisogno di una bella doccia rigenerante
Talitha, data la buona notte a Maia, salì a coricarsi, ma con la mano sulla maniglia della sua camera si fermò,
Guardò in direzione della camera di Rigel, la tenue luce dell'abatjour filtrava da sotto la porta.
Sentiva il bisogno di andare da lui, di chiacchierare della sua giornata, come avevano sempre fatto; dentro di sé qualcosa la bloccava, come se fosse sbagliato, ma perché si sentiva a quel modo? Cos'era cambiato dall'oggi al domani tra loro, non era accaduto nulla, non avevano litigato, nessuno di loro aveva mancato di rispetto all'altro. Allora cosa la frenava?
«Rigel» sussurrò e in quel momento la porta della sua camera si aprì.
Rigel ritrovandosela di fronte rimase a guardarla, voleva conservare nella sua mente ogni suo più piccolo particolare, nella penombra del corridoio, con la finestra sullo sfondo aperta, da cui si vedeva un pezzo di cielo stellato, era perfetta. Sembrava attrarre su di sé la luce degli astri e la rifletteva argentea, eterea, perfino i suoi occhi, nonostante il buio, gli parvero colmi di stelle.
«Talitha» riuscì a dire.
Lei, quando sentì pronunciare il suo nome, gli corse incontro e gli saltò in groppa come faceva da bambina, lui la afferrò e la strinse.
«Qualcosa non va?».
«No» lo sottolineò scuotendo il capo.
Rigel affondò il viso nei suoi capelli, lasciandosi avvolgere dal suo dolce profumo che gli ricordava la vaniglia.
«Noi siamo amici vero?».
«Certo perché, ne dubiti forse?».
Lei si strinse ancora di più a lui, Rigel comprendendo che aveva qualcosa da dire, rientrò in camera con lei in braccio e si lasciò cadere sul letto.
Talitha si mise comoda, poggiando il capo sulla sua spalla e stringendolo forte, non avrebbe più voluto staccarsi da lui, ma lui si sciolse da quel suo abbraccio e si mise a sedere, con la schiena contro il muro.
«Vuoi dirmi cosa non va?».
Lei rimase in silenzio per un po', sospirò e preso il suo cuscino, lo abbracciò forte, sapeva di lui, di Rigel. Lo guardò negli occhi e cercando di comportarsi con naturalezza, come tutte le volte che gli aveva detto qualcosa, gli raccontò come fosse andata la sua giornata.
Non voleva perderlo, sentiva che se avesse iniziato ad allontanarlo non sarebbe più stato possibile recuperare il loro rapporto e non voleva che accadesse, il bene che provava per lui era troppo grande.
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SPAZIO AUTRICE
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Ciao a tutt3, vi sta piacendo la storia?
Come sempre vi invito a lasciare consigli e a segnalare eventuali errori.
Come andrà tra Talitha e Rigel, rimarranno soltanto buoni amici?
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