1.2


Dopo un paio d'ore trascorse a chiacchierare Miranda tornò a casa, Rigel riprese il suo lavoro e Maia iniziò a preparare per la cena,

Talitha ne approfittò per farsi un lungo bagno, nella vasca laccata con i piedini nel bagno al piano superiore.

Sua nonna un paio di anni prima se ne era fatto costruire uno soltanto per lei collegato alla sua camera al piano inferiore, dicendo che ormai aveva una certa età e fare le scale svariate volte al giorno era stancante. Per lei era soltanto una scusa per avere tutto il tempo a disposizione per coccolarsi. La nonna stava tutto il giorno a fare lavoretti, commissioni varie e si occupava degli animali e della casa, era peggio di una macchina da guerra.

Talitha soffiò la schiuma che raccoglieva con le mani, giocherellando come una bambina, anche se oramai aveva compiuto diciotto anni tre mesi prima.

Le sue forme erano più femminili, morbide, non era più una tavoletta liscia e i suoi coetanei avevano iniziato a notarla sotto quell'aspetto.

Uscita dalla vasca si avvolse nel morbido telo blu che profumava di lavanda. Avvolse i capelli in un asciugamano e aprì il mobiletto sotto il lavandino alla ricerca di un phon, non trovandolo immaginò che forse sua nonna l'aveva lasciato nell'altro bagno. Così indossò dei pantaloncini di jeans e una canottiera blu come i suoi occhi e scalza, con l'asciugamano ancora in testa, scese per chiedere a sua nonna.

Maia era intenta a infornare il suo pasticcio alle verdure, quando la vide le sorrise dolcemente come sempre.

«Cara, ti serve qualcosa?»

«Si nonna, il phon, non sono riuscita a trovarlo».

«Ah, sì! Si era rotto, ma ce n'è un altro di là, appena vado in paese ne compro uno nuovo».

Talitha diede una bacio alla nonna e una volta in bagno, iniziò ad asciugarsi i capelli. Nel voltarsi , dalla finestra vide Rigel sul retro della casa, intento a portare alcune casse nel capanno.

Si era tolto la maglietta e Talitha, senza rendersene conto, si avvicinò alla finestra e si perse nel seguire i movimenti ritmici del ragazzo, i suoi muscoli che si contraevano, il sudore che imperlava la sua schiena, i glutei messi in evidenza da quei pantaloni troppo aderenti.

"Dovrebbe essere vietato per legge ai ragazzi andarsene in giro a quel modo" si ritrovò a pensare intanto che le gote le si avvampavano.

Quasi rendendosi conto di quanto fossero assurdi quei suoi pensieri, specialmente su Rigel, "cavoli, ci conosciamo da quando avevo otto anni". La portava sulle spalle, le aveva insegnato ad arrampicarsi sugli alberi, a pescare e andare in bici. Lei lo aveva sempre visto come il fratello che non aveva mai avuto. Era semplicemente fuori luogo, poi adesso lui aveva una ragazza, sì, nulla di serio come al suo solito, ma era impegnato.

Chiuse la tenda e cercò di concentrarsi su i suoi capelli che, avendoli asciugati senza spazzolarli avevano assunto l'aspetto di un cespuglio rinsecchito.

«Cavoli!».

Prima di uscire dal bagno diede un ultima occhiata fuori, ma Rigel non c'era più e la porta del capanno era chiusa, sospirò, ritrovandosi improvvisamente a provare uno strano desiderio misto a imbarazzo. Che le prendeva? Rigel era sempre stato come un fratello per lei, poi era vecchio.

Ritornata in cucina si accomodò al suo solito posto e rimase a osservare la nonna che, intanto che aspettava lo scampanellio del timer, passava il tempo a fere le parole crociate.

«Hai chiamato tua madre?»

«Ancora no» disse svogliata poggiando il mento alle braccia incrociate sul tavolo.

«Lei lo ha già fatto tre volte».

«Va bene, ho capito, vado» disse alzando le mani in segno di resa.

Salì in camera e preso il cellulare dallo zaino prima di tutto controllò tutti i messaggi che le avevano inviato le sue amiche. Chi era partita per il mare, chi all'estero, chi semplicemente era rimasta a casa. Rispose a tutte e poi, con tutta calma chiamò sua madre, che per il suo parere era un po' troppo apprensiva, andava dalla nonna tutti gli anni, l'unica cosa di diverso era che quell'estate, finalmente, era andata da sola. I suoi si erano concessi delle ferie brevi dai parenti di sua madre, cercando di staccare la spina dagli impegni della loro attività e le preoccupazioni per quella figlia che per loro continuava a essere la loro bambina.

Dopo aver risposto "Si mamma, non preoccuparti mamma, certamente mamma" a tutte le sue raccomandazioni, chiuse il telefono e si gettò sul letto, afferrò il peluche a forma di stella e lo strinse al petto, restando a fissare un punto non ben precisato del soffitto, la stanchezza per il lungo viaggio iniziava a farsi sentire, dopo cena sarebbe semplicemente andata a dormire.

Sorrise felice di essere finalmente dalla nonna, nella sua cameretta sempre uguale, ma lei non avrebbe cambiato una sola cosa. La carta da parati era bianca, con sottilissime righe verticali argentate, il soffitto lo aveva fatto dipingere di azzurro e c'erano attaccate stelle glitterate d'oro e argento, a formare le costellazioni. Le piaceva perdersi a guardare le stelle, specialmente quelle vere, sdraiata sul prato, durante la "Notte delle lacrime",

In paese si teneva la festa, lungo le  sponde del lago si accendevano i falò e a mezzanotte si spegnevano tutti, anche le luci del paese, per poter ammirare al meglio il cielo e il suo spettacolo di stelle cadenti, che puntualmente ogni anno incantava tutti.

Cenarono in cucina, la sala da pranzo sua nonna l'usava soltanto per il Natale o se aveva ospiti.

«Hai deciso a quale facoltà iscriverti?» Le domandò Maia versandosi del vino rosso.

«Pensavo a medicina veterinaria».

«Immagino la faccia di tuo padre quando glielo avrei detto».

«No, nessuna faccia strana o ramanzina, dopo tutto lui ha chiuso il suo studio di avvocato per lavorare con mamma».

«Si è vero, ma i genitori purtroppo, hanno sempre in testa strane pretese sul futuro dei loro figli».

Talitha strinse le spalle, lei era stata fortunata, i suoi l'avevano sempre appoggiata in ogni sua decisione, poi le dissero che con una nonna come la sua era impossibile che non avesse trasmesso l'amore per gli animali anche a lei.

«Quindi ti avremo fra i piedi a occuparti dei nostri animali» la punzecchiò Rigel.

«Già, ma credo che prima dovrei fare pratica con te, non credi?».

«Cosa vorresti dire, che sarei una specie di cane?».

«Più una sorta di montone con la testa dura che ti ritrovi» rise.

Finita la cena Talitha si occupò di mettere in ordine, Rigel la aiutò e Maia andò a coricarsi, la mattina si svegliava appena sorgeva il sole, anche se ormai era Rigel a occuparsi della maggior parte delle mansioni.

Messo tutto in ordine i due andarono a sedersi sul divanetto a dondolo in veranda, l'aria era piacevolmente fresca, si sentiva soltanto il frinire dei grilli e l'abbaiare di un cane. Il cielo era terso e le stelle sembravano ancora più numerose quella notte.

«Mi era mancato questo posto» si mise comoda poggiando la testa alla spalla di Rigel.

«Si sta bene qui, e Maia è fantastica» a Rigel piaceva osservare le stelle, si sentiva in pace, come se quello fosse il suo elemento naturale.

Quando arrivò da Maia era stato cacciato da tre casa famiglie ed era scappato da cinque famiglie affidatarie. Era sempre stato pieno di rabbia, senza un motivo apparente, era come se qualcosa dentro di lui lo spingesse a non restare mai in un posto. Ogni luogo era quello sbagliato e dentro di lui una forza invisibile, che non riusciva a ignorare, lo spingeva a cercare, cercare e non fermarsi mai.

Cercare cosa poi? Se lo era chiesto così tante volte, perché si sentiva sempre come se gli mancasse qualcosa, un pezzo importante, qualcosa di necessario per la sua esistenza come l'aria, a cui tuttavia non riusciva a dare un nome. Finché, quasi diciottenne, venne mandato da Maia, a lei serviva una mano con i suoi animale e lui voleva evitare di finire in riformatorio. Quella volta aveva esagerato, per scappare dalla famiglia che si occupava di lui, aveva rubato la loro moto che, esasperati dal suo comportamento lo denunciarono.

Ma appena mise piede in quella casa, uno strano senso di appartenenza lo avvolse, e quella voglia di scappare svanì, come per magia. Quella era casa sua, quello era il mondo a cui apparteneva, almeno era quello che il suo cuore gli stava suggerendo.

«Sì, mia nonna è una donna travolgente» aggiunse parlando sempre più piano.

«Tu le somigli parecchio, specialmente quando ti impunti su qualcosa» non ricevendo alcuna risposta chinò il capo a guardarla, ritrovandola addormentata sorrise.

Cercando di fare attenzione a non svegliarla, la prese in braccio e la portò in camera sua, proprio come quando era più piccola. La adagiò sul letto e preso il plaid che stava ai piedi del letto la coprì, lei farfugliò qualcosa nel sonno, ma non riuscì a capire nulla.

«Buona notte stellina» le scostò i capelli dal viso e uscendo socchiuse la porta.

🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟

SPAZIO AUTRICE

🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟🌟

Prima di tutto grazie a tutte le persone che mi stanno dando consigli e segnalando errori, siete fantastic3.

Bello avere un amico come Rigel non trovate?

Secondo voi tra i due potrà nascere qualcosa o rimarranno buoni amici?

Fatemi sapere cosa ne pensate, se c'è qualcosa da migliorare e cosa vi piacerebbe che venisse approfondito, buona lettura.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top