Capitolo 3. Brodick
Lo avevano detto: pioverà! E così è stato. È una pioggia abbastanza inconsistente, fuori dalla finestra. I cervi (una decina) nel prato vicino non mi sembrano troppo preoccupati e contemplano il mare grigio a poca distanza.
Faccio colazione con i ciclisti che, mi spiegano, sono in questo tour per una raccolta fondi per la costruzione di una scuola in Afghanistan. Ecco un modo nobile di viaggiare. Mi faccio dare le coordinate e spiegare il tutto, chissà che non si possa pubblicizzare un po' anche in Italia, o magari ripeterla, a piedi o in bici per qualche altra causa. Credo che quando la proporrò ai miei amici dell'associazione per la Colombia mi odieranno.
I due ragazzi dell'ostello sono preoccupati per me. È come se credessero che non riuscirò a trovare da dormire per le prossime notti: dicono che è da pazzi girare in questo modo in questa stagione, non ho possibilità. Per il momento, invece, prolungo di una notte la mia permanenza a Lochranza, in parte per scelta, in parte per cause di forza maggiore. Si cambia itinerario (come se mai ne avessi avuto uno) e si andrà a Mull anziché a Islay. Tanto su Islay ci sarei andato solo per le distillerie, e peraltro ne posso fare a meno e ce ne sono anche sulle altre isole.
Sia come sia, per il momento non prenoto nulla.
Al volo prendo il bus per Brodick, il centro principale dell'Isola, nella parte meridionale. Passo attraverso un paesaggio incredibilmente verde, con boschi e prati, ma me ne perdo una parte dormendo. Per fortuna mi sveglio prima di Brodick e questo mi permette di arrivare senza intoppi all'ufficio informazioni.
Il problema non è la pioggia, anche perché io l'ombrello non lo uso da anni, da quando mi sono reso conto che perdendolo ogni due volte che lo portavo con me era impensabile ostinarsi in questo acquisto inutile. Alla pioggia sono abituato. Il vero problema, dicevo, è trovare una borsa, possibilmente impermeabile, dove appoggiare la guida, il quaderno, i libri! Ma ecco a neanche due sterline la mia salvezza: una borsa di tela blu piena di scritte 'Scozia' in tutte le lingue.
La gentile signora mi indica una strada pedonale per il castello 'una bellissima passeggiata di neanche mezz'ora'. Incurante della pioggia che si fa sempre più decisa mi metto in marcia e scopro due cose interessanti sul mio abbigliamento. La prima è che le scarpe, che dando retta alla mia mamma avrei dovuto buttare un anno fa, fanno acqua da tutte le parti e con il sentiero allagato non è propriamente l'ideale. Poi c'è la questione della fantastica mantella 'Invicta'. Quello che la rende impermeabile dovrebbe essere l'imbottitura argentata. Sembra intatta eppure l'acqua entra come se fosse tessuto.
Quando al Castello la tolgo per la prima volta e vedo riflessa nel vetro la mia immagine con una faccia argentata e le spalle puntinate d'argento capisco tutto.
Al castello, sia come sia, arrivo totalmente zuppo. Sto per entrare e mi accorgo di un banchetto di libri usati. C'è una interessante enciclopedia Collins della Scozia, me la darebbero a 5 Euro... ma sono più di 1300 pagine di peso da portare a spasso, perciò, anche se presto logorato dal rimorso, rinuncio.
Mi apre la porta un maggiordomo, che mi annuncia che sono stato fortunato, sono arrivato in un Victorian day. Rido, pensando che si riferisca al clima piovosamente British, ma mi sbaglio di grosso. In effetti significa invece che ogni custode di ogni singola sala del museo è vestito con i costumi dell'epoca vittoriana. Ci sono anche delle attività.
La migliore è una signora che, nella camera della Contessa Anna, finge di essere la contessa stessa, coricata a letto. Ci comunica che deve aver il suo 'beauty sleep' pomeridiano data l'età e che pertanto ci deve ricevere in quelle condizioni, sebbene la cosa sia inusuale. Il tutto con un accento, una posa e un'espressione di alterigia vittoriane, se pure volutamente attoriali.
Un paio di bambini provano a provocarla ridendo di lei. Dopo un notevole 'Are you laughing at meeeeee?' con inarcamento delle sopracciglia comunica loro con serietà che le segrete del castello sono ancora in funzione e i ceppi di legno (le gogne) vuoti! I bambini scappano terrorizzati tra le risate dei presenti e un sorriso sotto i baffi della bonaria megera.
Poi con me, saputo che sono italiano, si trasforma in una sorta di Miss Marple, cercando di stabilire un improbabile ponte tra me e degli allievi veronesi di suo nipote, che insegna inglese per stranieri a Edimburgo.
Per non parlare della sala con il pianoforte, dove una signora esile e molto anziana accompagna una corpulenta cantante della stessa età con tanto ampio cappello ornato di piume mentre si esibisce in arie dell'opera lirica...
Il meglio lo do comunque all'uscita. Mi offro, in cambio di una tazza di caffè e latte bollente, di correggere gli errori della loro miniguida in italiano.. Sono d'accordo e mi fanno entrare nel retroufficio per sistemare il tutto. Tra pile di scartoffie, bollitori, polvere e arredi d'epoca, alla luce di una lampada anni '70 del '900 porto a termine il mio compito.
Dopo il castello, è la volta della birreria. Questo è uno di quei giorni con l'etichetta 'arrivo al momento giusto' e perciò esattamente quando arrivo c'è l'unicva visita guidata del giorno alla produzione, con tanto di degustazione finale.
Il proprietario è gentile e competente e sa divertire dando anche al contempo una serie di informazioni scientifiche, come i plastici delle molecole.
Concludo che la Arran scura, invecchiata nei fusti usati per il whiskey e nota come 'la birra più torbata al mondo' è la mia preferita... mi starò convertendo da amante delle bionde?
Ne prendo una per cena, e già che ci sono passo anche dalla latteria vicina per aggiudicarmi un cheddar alle erbe.
MI manca ancora un piccolo museo, quello dell'Arran heritage. È una collezione ricchissima di oggetti, ma anche un museo etnografico, allestito per di più in edifici d'epoca. Penso ai musei di casa nostra, anche a molti di quelli appena riallestiti, e realizzo che davvero siamo all'anno zero e non c'è speranza. Anche la parte archeologia, se pure molto artigianale, è chiara e didattica, è il posto dove si può portare una classe per spiegare davvero l'archeologia.
Sempre più fradicio e con una vera tempesta in atto proseguo per il villaggio, dove in un supermercato cooperativo mi compro il resto degli ingredienti della cena: pane nero, pomodori e prosciutto di tacchino. In un primo momento di pazzia ho tradotto 'prosciutto di piccione' ma per fortuna ho capito che era solo un errore linguistico.
Quanto al pranzo è frammentario, ho mangiato un gelato, un po' di formaggio, patatine alla paprika e integro il tutto successivamente con caffelatte e un muffin al cioccolato: non so se sia proprio nutrizionalmente a posto ma in qualche modo sto meglio.
Nel frattempo è giunto il momento dello shopping: butto nel cestino la mantella e le scarpe ormai marce e le sostituisco con due must locali: la mantella 'Regatta' e le scarpe 'Trespass' 'Go further' o qualcosa del genere.
Faccio così pena che la commessa del negozio mi regala le calze.
Quando mi decido per il ritorno a Lochranza l'ultimo bus, stranamente, è già partito. Con i piedi e la schiena asciutto e il morale altro faccio un po' di strada verso Lochranza, tra torrenti in piena e un traffico quasi assente. 3 passaggi (e 8 miglia a piedi) dopo sono all'ostello, accompagnato da una signora bionda dalle sembianze angeliche (magari era un'allucinazione).
Resto sotto la doccia bollente un tempo lunghissimo, voglio sentire il calore entrare in ogni singolo osso e fibra del mio corpo. Prenoto un packed lunch (una specie di pranzo da asporto) per domani e mangio la mia cena. E siccome la sfiga esiste, i miei tentativi odierni di socializzazione vengono frustrati dall'offerta insistente di cheddar al mio vicino di tavolo, che si rivela però essere vegano.
Mi ipnotizzo nel guardare la lavatrice e l'asciugatrice e mi ritiro esausto... domani mi aspetta un lungo percorso.
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