𝘁𝗹𝗮𝗰𝗵𝗱-𝘀𝗵𝘂𝗯𝗵
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Oggi non è venuto.
Quando apro gli occhi, con la luce pulita del giorno che filtra dalla finestra aperta, mi accorgo che oggi non è venuto.
Non c'è nessun ammasso di arti e capelli castani nel mio letto, nessun peso rassicurante al mio fianco, nessuno fra le mie braccia.
Il letto è vuoto.
E m'incazzo con me stesso quando, nel torpore della mattina, mi ristendo sul cuscino con una lieve sensazione di fastidio che mi serpeggia nel corpo.
Dimmi tu se uno deve iniziare ad arrabbiarsi il momento in cui apre gli occhi.
La rabbia potrebbe essere un mio problema, ora che ci penso.
Spalmo la faccia contro i cuscini, tiro su la coperta e mi giro con la pancia sotto, cercando di godermi qualche altro minuto di sonno.
Mi fa anche incazzare che ieri io me ne sia accorto, quando è venuto nel mio letto.
Sono un soldato, ho il sonno leggerissimo.
Ho sentito il materasso abbassarsi sotto il peso di qualcuno che non ero palesemente io e, nel dormiveglia, con gli occhi semichiusi e una incomprensibile situazione di affetto fulmineo, l'ho tirato a me.
Quando me ne sono reso conto, più tardi, più sveglio e più cosciente, mi sono incazzato.
Comunque, il problema non si pone.
Non si pone.
Non si pone, cazzo.
Ma...
Ancora più incazzato, tiro su la faccia dal cuscino.
Il suo letto è vuoto.
Ma che mi frega se il suo letto è vuoto? Posso continuare a dormire, soprattutto se non è qui a darmi fastidio con i suoi grattini inaspettatamente piacevoli e il suo profumo intossicante.
Richiudo gli occhi, faccio per lasciarmi cadere sul materasso.
La mia mano si apre sul letto per impedirmi di stendermi ancora.
Se n'è andato senza dire niente?
Ha detto che se ne sarebbe andato via oggi, l'ha fatto senza dire niente?
Maledetto.
Mi alzo.
Dormo a torso nudo perché patisco il caldo, ma non mi preoccupo di rivestirmi quando mi strofino gli occhi con la mano e mi stiracchio le spalle imbucando le scale.
Non se n'è andato senza salutare, vero?
Mi farebbe incazzare.
E di incazzarmi, non ho voglia.
Fossi stato più cosciente e paziente sul letto, avrei sentito l'odore di erbe in infuso dalla camera, ma me ne rendo conto solo quando i miei piedi si fermano sulla terracotta del pavimento della cucina.
Non se n'è andato senza salutare.
E non saprei dire per quale motivo la cosa mi scioglie un nodo di ansia nelle spalle.
La luce non entra bene dalle finestre, giunge in piccoli quadrettini tagliati dalle tende nella stanza.
C'è silenzio.
Ieri non aveva questa addosso.
Non aveva...
Vestaglia sarebbe riduttivo, ma è quello.
Di un tessuto che temo sia seta, di un color perla che si mescola con la sua carnagione, trasparente in alcuni punti. Calata sulle spalle tanto da lasciarle scoperte, lunga fino ai piedi, legata da una cintura in vita e nulla più.
Mi muore il fiato in gola.
Cazzo.
Ha i capelli castani che sono meno perfetti, appena sveglio, e vagano un po' da tutte le parti sul collo chiaro e sottile, la luce squadrata che illumina il profilo del suo corpo e poco più, l'aria che sembra farsi pesante e persino misteriosa nel silenzio che ci circonda.
Quando si gira verso di me...
Appoggia il mento sopra la spalla, gli occhi grandi e innocenti, un sorriso accennato sulle labbra.
− Buongiorno, Iwaizumi. –
Ero incazzato, prima?
Ero...
Ieri sera mi ha detto puntandomi addosso un indice ingioiellato che chiunque avrebbe pagato per ospitarlo, e ricordo di avergli risposto che erano solo stronzate.
Mi ha parlato della vita a palazzo, con un velo di nostalgia e uno di tristezza, delle grandi feste e del gala che si sarebbe tenuto oggi o domani.
Ridacchiando ha agitato la mano dicendomi che si divertiva a concedere sempre e solo un ballo a serata, guardando i pretendenti scannarsi per un po' d'attenzione.
Ho pensato, ieri sera, che a quest'Elfo nella vita hanno fatto troppi complimenti, e poi mi ha intristito l'idea che un "bravo" per lui fosse più scioccante di un "sei bello" e ho pensato anche che mi sembrasse solo.
Però...
Io non posso dire che non trovi ripugnante il modo in cui sembra essere stato trattato una vita intera.
Ma non posso dire che non comprenda cosa intendano le persone quando dicono che è bello.
Non sembra reale.
Sembra...
Le maniche della vestaglia sono larghe, lunghe e spaziose, cadono aperte sui gomiti.
Si vedono perfettamente le braccia, l'osso sporgente dei polsi, le dita lunghe.
M'incazzo di nuovo e da capo.
M'incazzo perché penso, per un solo attimo che fugge subito dopo, che se qualcosa del genere fosse mio, se mi appartenesse, non permetterei a nessuno di rovinarne anche solo il più piccolo particolare.
Smerciarlo come un pezzo di carne?
Questo genere di bellezza è quella che vuoi dire tua, custodirla e tenertela stretta come un avido figlio di puttana, non venderla in giro.
Ma dimentico l'argomento quando mi rendo conto che il discorso è ridicolo e soprattutto che l'Elfo non è un oggetto.
Senza contare poi che, bastasse per piacermi l'aspetto esteriore, non sarei qui a trattenermi.
− Che cazzo fai, Elfo? – borbotto, con la voce roca per il sonno, ancora fermo e immobile davanti alle scale.
Il suo bel viso si piega in una smorfia.
− Sempre così gentile, Iwa-chan, sempre così gentile. Siediti. – risponde, sporgendo il viso verso la sedia.
Non mi piace seguire gli ordini degli altri.
Ma decido che sbuffare è un più che valido modo di esprimere quanto io sia contrariato e faccio quel che chiede.
− Non riesco a dormire la mattina nelle tue lenzuola ruvide, te l'ho già detto. Volevi che facessi come ieri? – dice, tornando verso gli scaffali intagliati e armeggiando un po' con la fiamma.
− No, che schifo. –
Si gira per farmi la linguaccia, poi prende fra le mani la teiera e la porta verso il tavolo.
− C'erano i vassoi di ieri sera da lavare. Ho pensato di fare qualcosa di utile. – mormora, tenendo il coperchio con le dita e versando un po' di tè sulla tazzina che intendo essere per me.
Finisce di parlare e mi fissa.
Perché mi fissa?
Oh.
− Bravo, Elfo. –
Sorriso a trentadue denti e procede a versarsi del tè per se stesso.
Mi fa una tenerezza incredibile. Non sono un uomo che si fa intenerire facilmente, quantomeno non mi definirei tale, ma questo Elfo mi fa davvero tenerezza.
Quanto poco credito deve darti la gente per farti arrivare al punto di sperare in un complimento da uno sconosciuto?
A prescindere da quanto sia bello o inopportuno o irritante, sono ferreo nel credere che meriti qualcosa di più, dalla vita, di questo.
Si siede tutto soddisfatto sulla sedia di fronte alla mia.
Mi porge un piattino di fragole.
− Mi pareva di averti sentito parlare di fragole, ieri. – commenta, inclinando la testa.
Alzo le sopracciglia.
− Davvero? –
Annuisce.
Sarà.
Non ho paura di mangiare o bere quel che prepara lui per due motivi principali. Il primo è che sono certo, davvero, certo che la storia del principino in fuga sia vera. Secondo, perché se l'avesse avvelenati con la magia non mi farebbero alcun effetto.
Allungo una mano per prenderne una, ma indietreggia all'ultimo e m'impedisce di raggiungerle.
− Come si dice? –
Sul serio?
− Per favore? – tento, a metà fra l'incazzatura e il divertimento.
− No, Iwa-chan! Devi dirmi che sono stato bravo. – mi sgrida.
Tenero, miseria, quant'è tenero quando fa così.
Alzo gli occhi al cielo.
− Bravo. –
Mi piacciono le fragole. Credo siano il mio cibo preferito, mi ricordano la mia infanzia.
Tengo il picciolo fra le dita e ne stacco un morso.
Sanno di... giornate assolate, profumo di fiori, laghetti limpidi e voci che tintinnano.
Sanno di...
Spalanco gli occhi.
− Dove cazzo le hai trovate? –
L'Elfo sobbalza quando sente la mia voce, il piattino gli salta fra le mani e un paio di fragole gli cadono sul grembo.
− Merda, Iwa-chan, mi hai fatto prendere un colpo. –
Procede a raccoglierle.
− Rispondimi, dove cazzo le hai prese? –
Sospira.
− Ma che ne so, dietro casa! Sono fragole, per la miseria, c'è bisogno di essere così aggressivi di prima mattina? –
Mi sporgo oltre il tavolo, con l'eleganza che mi contraddistingue stacco il picciolo dalla fragola e gliela infilo nella bocca aperta.
− Ma che... −
− Mangia, Elfo. –
Lo vedo arrossire un po' sulla cima degli zigomi e iniziare a masticare. La situazione sarebbe imbarazzante, convengo anch'io, se poi non sentisse quel che ho sentito io.
Lo vedo assumere un'espressione quasi stupefatta, poi serrare le labbra e lasciarsi andare in un verso deliziato.
− Sanno di miele, Iwa-chan! –
Sanno di miele.
Le fragole non dovrebbero sapere di miele.
Continua a masticarla, manda giù con grande soddisfazione, poi si sporge per prenderne un'altra.
Schiaffeggio la sua mano via dal piatto.
− Sai cosa stai mangiando, almeno? –
Si gira verso di me.
− Ti sembra forse che m'interessi, Iwa-chan? –
Prendo il piatto e lo tiro indietro togliendolo dalla sua portata.
− Fragole delle Fate. Te ne ho parlato ieri, scemo di un Elfo. –
Non sembra particolarmente colpito.
− Grazie Fate per le fragole, allora. Ora dammene un'altra. Se volessi imboccarmi di nuovo fai più piano che mi hai fatto male ai denti. –
Si sporge e...
Lo spingo indietro dalla spalla.
− Elfo, ora ti farò una domanda e prendila pure sul personale. Sei scemo? –
Lo vedo zittirsi e mettere su il broncio.
− Perché me lo chiedi? Guarda che ero il primo della mia classe a palazzo. –
− Quanti eravate in classe? –
− Io e basta, ma cosa c'entra? –
Sbuffo, mi alzo e sposto il piattino di fragole sul mobile di legno intagliato, prima di sedermi un'altra volta.
− Le fragole delle Fate sono fatte apposta per essere così buone, perché inizi a mangiarle una dopo l'altra fino a scoppiare. –
− Seh, esagerato Iwa-chan. Non rovinerei la mia linea perfetta per dei fruttini carini. – mi prende in giro, accavallando le gambe e prendendo una tazzina in mano.
Così lo spacco centrale della vestaglia scivola sulle cosce.
Non sono attratto da caratteristiche particolari nelle persone, di solito, mi piacciono nell'insieme per come sono, ma mi chiedessero qualcosa a cui sono un po' più debole direi un bel paio di gambe.
Mi piacciono le gambe, non tanto da guardar solo quelle, ma se dovessi dire una di tante parti, sarebbe quella.
Le gambe dell'Elfo sono ben più di un bel paio di gambe.
Sono lunghe, lisce, definite nei muscoli ma slanciate, di quel colore avorio che ha la sua pelle.
Stacco lo sguardo dalle sue gambe quasi immediatamente sperando che non mi abbia beccato a fissarle.
− Non sto scherzando, sono serio. Alla corte le usavamo per torturare i prigionieri. –
− Che corte? –
Idiota di un Elfo, si concentra sempre sui dettagli sbagliati.
Come me sulle sue gambe, dopotutto.
Sono fatto di carne anch'io, non è colpa mia.
− Corte degli Umani, sono stato nel loro esercito per più di quarant'anni. –
Prende un sorso e si lecca le labbra, prima di avvicinarsi e darmi un buffetto sulla spalla.
− Lo sapevo, non vai in giro con tutte quelle cicatrici se non combatti. Vedi che sono un genio? –
− Credo l'avrebbe capito anche un bambino. –
Non cosa ci sia di divertente nel contraddirlo, ma lo è.
Cerco di ri-concentrarmi.
− Se riesci a mangiarne una o due, la cosa diventa anche fattibile, ma se hai una pianta di fragole delle Fate a tiro ci rimani secco. Dopo mi fai vedere dove le hai trovate e strappiamo le radici, va bene? –
Annuisce un po' turbato.
Se non ci fosse lui qui davanti mi rimpinzerei.
La magia delle fragole non mi fa niente e riesco a fermarmi senza problemi, ma non ho proprio voglia di spiegargli il perché e ho impressione che l'Elfo chiederebbe senza posa.
Prendo l'infuso anch'io e ne bevo un sorso.
Non è quello di ieri, è molto più buono.
− Dev'esserci uno scompenso col sigillo degli Elfi nel Bosco, ultimamente succedono cose strane. – mi capita di borbottare.
− In che senso? –
− Le fragole delle Fate non nascono quasi mai. E poi ieri notte quando sono uscito per andare a prendere l'acqua al fiume, era ghiacciato. Non ghiaccia nemmeno d'inverno, quello stronzo, mi ha rovinato il bagno. –
Lo vedo aggrottare le sopracciglia, poi alzare le spalle.
− Magari il sigillo dei miei perde colpi. –
− Forse, o forse è solo che si avvicina il saluto all'Estate. –
L'ultimo giorno della stagione estiva era sacro per il popolo del Bosco, forse ci sono rimasugli di magia che fanno casino tanto per.
Non che la cosa mi preoccupi più di tanto, a dirla tutta.
Penso che l'ultima cosa di cui posso stupirmi è che succedano cose strane in un posto che si chiama "Bosco Proibito". Sarebbe stupido.
L'Elfo si sistema sulla sedia, beve un altro po' di tè dalla tazzina e alza lo sguardo verso di me.
− Dopo ti va di rispiegarmi bene la strada per il villaggio degli Umani? – mormora, con un tono che mi rende difficile dirgli di no.
− Te la sei già dimenticata? –
− Dormire poco mi confonde. – ribatte.
Si passa le dita sul viso, delicatamente, poi studia i polpastrelli.
− Ho la pelle sporca. Devo anche lavarmi. –
La pelle sporca?
Dove, esattamente?
A me sembra una meravigliosa pelle chiara e distesa.
Ma questo non lo dico.
− Devi andare a prendere l'acqua alla fonte, se il fiume si è sghiacciato. –
Sbatte le ciglia verso di me.
− No, Elfo. – rispondo alla domanda che mi fa con lo sguardo.
Si sporge ancora.
Merda, gli si vede l'addome dalla vestaglia che penzola.
È piatto, e ha le linee appena accennate degli addominali.
− Per favore, Iwa-chan, non vuoi farmi solo quest'ultimo favore? –
− Manco morto. –
E come spiegarvi in quale modo io sia finito una quantità indefinita di tempo dopo con due bacili d'acqua in equilibrio su un bastone appoggiato sulle spalle, io non ne ho idea.
Davvero, non lo so.
Come è successo?
Non lo so.
Non chiedete.
Non voglio parlarne.
L'unica cosa che importa è che ora sto tornando a casa ancora più incazzato di prima, con l'Elfo che mi saltella dietro tutto contento, e l'unica cosa che riesco a pensare è che se un paio di belle gambe mi smuovono più della mia volontà, allora sono messo davvero male.
Tooru si è cambiato in un'altra delle sue tuniche molto poco sobrie questa volta di un tenue color lavanda che esalta i colori freddi del suo volto.
Mi sembra di essere diventato coglione con tutti questi colori pastello.
Stringe fra le dita un secchiello grande quando la sua mano e sta versando l'acqua da tutte le parti.
Elfo inutile.
− Pensi che si scalderà velocemente? – chiede, riferendosi palesemente al bagno che progetta di fare.
− Hai fretta? –
Piega la testa.
− Devo ancora imparare a memoria il sentiero e ci vorrà più di una decina di minuti, Iwa-chan, non sono uno con la memoria di ferro. –
Alzo gli occhi al cielo.
− Sei un idiota. –
Scuote la testa.
− Fantasioso. –
Cretino.
L'unica cosa che gli riconosco è che quantomeno non è noioso.
− Che sapone hai? –
− Un sapone. – rispondo.
Che cazzo di domanda è?
− L'hai fatto tu? –
− L'ho comprato, idiota. –
Si avvicina di qualche passo, sorride come se nascondesse qualcosa.
− Perché ha davvero un buon profumo. –
Mi sta dicendo che ho un buon odore, vero?
E quando l'avrebbe sentito?
− Compratelo. –
Chiude la bocca e rimane interdetto a fissarmi.
Poi scoppia a ridere camminando e sono io che rimango interdetto a fissare lui.
− Non sai proprio accettare un complimento, tu, eh? –
No, non so farlo e no, non voglio imparare.
− Non mi fido dei tuoi complimenti, Elfo. – borbotto per levarmi d'impiccio la situazione. Sento che la mia faccia sta diventando più rossa di prima e di tutte le cose che posso fargli vedere questa è l'ultima.
Alza le spalle.
− E pensare che a me i tuoi piacciono tanto. Dovrò trovare qualcun altro che mi dica "bravo" fuori da questo bosco. –
Anche no, magari.
Ma dai, alla fine che m'importa?
− Basta che lo faccia per i motivi giusti. Se vengo a sapere che t'infili in qualche giro losco vengo di persona a scuoiarti, Elfo. –
Si stringe nelle spalle.
− Ooh, mi stai dicendo di prendermi cura di me stesso? Che carino, Iwa-chan! –
Non stavo dicendo quello.
No, vero?
− No, solo che ti vorrei uccidere e vorrei avere un motivo valido per farlo. – sputo fuori cercando di mascherare il fatto che, indubbiamente, quel che volevo dirgli è "non fare stronzate".
Non so perché m'importi così tanto, a dirla tutta.
Miseria.
Arriviamo alla casa poco dopo, e invece di entrare, guido Tooru verso la porta sul retro.
Due rampe di scale portano al seminterrato, ben più in basso di quanto mi sarei aspettato fosse quello di una casa normale, ma uno prende quel che trova, no?
La vasca al centro è di pietra e per quanto il materiale sembri ruvido, devo ammettere che dopo un po' diventa piacevole stare a mollo.
− Ti vado ad accendere la caldaia sotto, un attimo. – borbotto, prima di versare l'acqua nella vasca facendo attenzione a non versarla.
Oikawa si guarda attorno senza ascoltarmi.
− Quella vasca è così grande che ci entreremmo entrambi. – commenta.
Ignoro la questione giusto perché la scena di lui che versa nella vasca già piena l'acqua del suo secchiello è esilarante.
Sistemo i bacili all'angolo della stanza, per non essere uno stronzo gli lancio un asciugamano addosso che il cretino non riesce a prendere al volo, apro la botola per scendere sotto la stanza.
− Perché mi ignori? –
− Perché non voglio ancora farti secco. – rispondo, scendendo un piolo alla volta.
− Cattivo Iwa-chan! –
Ruoto gli occhi.
Non mi mancherà la sua voce.
Non è che ci metta molto ad accendere il fuoco sotto la vasca, in realtà pochi istanti, ma perdo qualche minuto a sistemare la legna di modo che sia il più centrata possibile.
Non lo faccio per lui.
Lo faccio per me.
Giuro.
− Ho fatto, Elfo, aspetta un po' e quando si scalda lavati. – grido, prima di ricominciare a salire.
Gambe.
La prima cosa che vedo quando salgo è...
Gambe.
Lunghe, lunghissime, bellissime, bianchissime gambe.
Vorrei quelle gambe sulle mie spalle.
Che belle...
− Chi cazzo ti ha detto di spogliarti, Elfo? –
Porta le mutande di seta, come tutto il resto dei suoi stupidi vestiti, ma le porta strane.
Perché sono legate in vita e gli si vede mezzo culo?
Le mie non sono così.
E poi sono davvero coordinate alla tunica? Sul serio? Io non credo di poter davvero subire tutto questo, non scherzo.
− Potresti non guardare. – mi dice, girato ancora verso i suoi vestiti piegati, a togliere i gioielli, immagino.
− Non lo sto facendo. – mento.
Il retro delle cosce è liscio, sodo e teso, chinato com'è.
Tutta una serie di strani pensieri attraversa la mia mente.
È grande abbastanza perché lo guardi così? Sì, ha diciannove anni, sono pochi per sposarsi ma abbastanza per essere fisicamente adulti.
Voglio continuare a fissarlo? So che non dovrei ma guardare è gratis e non fa male a nessuno.
Se mi chiedesse di buttarmi a terra e farmi calpestare in questo momento, lo farei? Probabile, non nego che la prospettiva mi alletterebbe.
Resta comunque l'Elfo più irritante del pianeta? Cazzo, sì.
Ed è solo quest'ultima considerazione che rende possibile il mio salvataggio.
Stacco gli occhi con enorme sofferenza e marcio verso le scale.
− Se ci metti più di un'ora vengo qui e ti stacco... le mani. – borbotto, imponendo a me stesso di fissare gli scalini, solo gli scalini, nient'altro se non i fottuti scalini.
Stavo per dire che gli avrei staccato le gambe ma non sono sicuro che sarei riuscito a non guardarle un'altra volta.
− Come faccio a sapere che è passata un'ora? –
− Che ne so, conta i secondi. –
Salgo il primo scalino.
Poi il secondo.
Il terzo, il quarto, il quinto e...
− Iwaizumi? –
Mi giro alla velocità della luce.
Sono autorizzato a guardarlo se mi chiama.
E dico al mio cervello da depravato che se ne va oggi, è solo principio di autoconservazione guardare un po' quando mi ritroverò da solo per altri innumerevoli mesi.
So che non è elegante ma, fanculo, questo Elfo mi ha rubato cibo, acqua, tempo e pazienza per due giorni, potrò rubare io un'occhiatina alle sue gambette.
− Dimmi, Elfo. –
− Sei stato molto gentile con me, grazie di aver portato l'acqua. –
Sorride guardandomi.
Smetti di guardarmi.
Girati.
Girati così posso guardarti le gambe.
− Prego. – confermo, con la voce un po' più impostata del solito e la faccia, sono convinto a questo punto, al cento per cento da maniaco.
Mi fissa.
Io lo fisso.
− Iwa-chan, vuoi rimanere qui? Non c'è problema, se vuoi rimanere, mica mi vergogno. – ipotizza, squadrando meglio la mia faccia.
Merda, la mia reputazione.
Mi giro sbuffando.
− Come se fosse qualcosa che anche solo lontanamente desidero fare. – rispondo di fretta, prima di buttarmi letteralmente fuori dal seminterrato.
Ma che cazzo mi è preso?
Ah, merda, merda, merda.
Faccio il giro della casa, arrivo sul giardino davanti e invece di entrare, mi abbasso sul prato verde.
Scendo finché la mia faccia non è premuta contro l'erba.
Iwaizumi, no.
Non è il caso, no.
Non è il caso né di pensare che dietro a tutte quelle parole leziose e frivole sia in realtà una persona divertente, né che sia così bello da farti calpestare.
È irritante.
Ma anche tenero nel suo modo e...
Irritante.
Elfo irritante che se ne va oggi.
Raduno le braccia sotto la fronte.
Devi spiegargli come arrivare vivo dall'altra parte del bosco, fargli mille raccomandazioni sugli Umani e dargli qualche dritta su come sopravvivere, non pensare che potresti essere quasi quasi affezionato alla sua presenza.
In effetti, dovrei dirgliene un sacco, di cose.
Gli Umani sono davvero inaffidabili, e per quanto lui sia smaliziato e decisamente sveglio, inizio a temere che sia anche teneramente ingenuo.
Si fiderebbe della prima persona che passa?
Non so se la risposta sia "sì", ma non so nemmeno se sia "no".
La cosa migliore sarebbe...
No, no.
Non hai combattuto quarant'anni e subito quel che quelli ti hanno fatto per non custodire la tua pace. L'hai meritata, non devi sbrandellarla per puro senso di responsabilità.
E se non fosse senso di responsabilità?
Cos'altro dovrebbe essere?
Sono tre giorni che lo conosco e per quanto ammetto che sia davvero bello e che mi ricordi qualcosa di misterioso e passato, è un fardello bello grande da tenersi.
È pur sempre un principe di una Corte degli Elfi, qualcuno prima o poi lo verrà a cercare, anche se dice di no.
Sarebbe un rischio troppo grosso.
Non posso fare il bambino che chiede "posso tenerlo" con me stesso, al momento, non posso permettermelo.
Tiro su la faccia.
Sopperirò ai miei sensi di colpa insegnandogli più o meno quel che c'è da sapere su come sopravvivere.
Mi tolgo la terra dai pantaloni rimettendomi in piedi, entro spedito in casa.
Gli dirò di rimanere nella città vicina per un po', così potrò andare a vedere se è vivo.
Fine.
Marcio fino alla biblioteca, inizio a tirare fuori le mappe dell'altro giorno, due o tre libri e due o tre cataloghi e trasferisco tutto sul tavolo.
Ci sono diverse cose che può fare e io ho conoscenze per tenerlo al sicuro per un po'. Non sarà un gran problema, no?
Starà bene.
Starà...
Apro la mappa del Bosco, quella delle strade degli Umani e quella della città qui a fianco.
È facile.
So che può imparare la strada.
Lo so e basta.
Prendo uno dei libri polverosi fra le mani e lo apro per cercare la parte dedicata alle razze. Ci dovrebbe essere un paragrafo sugli Umani che lo spaventerà al punto da non fidarsi di nessuno.
So che non è la migliore delle prospettive, ma visto com'è fatto, secondo me è meglio che sia cauto.
Non posso neppure immaginare cos'avrebbero fatto a quel corpo così perfetto tante delle persone che ho conosciuto nell'esercito, davvero.
Sfogliando le pagine, mi capita che mi cada l'occhio sul paragrafo degli Elfi.
Elfi della Luna, capelli bianchi, lentiggini che brillano e pelle eburnea non toccata da luce solare.
Elfi Silvani, capelli verde bosco, statura sottile, lentiggini color terracotta.
Elfi Marini, capelli biondo sabbia, occhi blu oltremare, carnagione scura e abbronzata.
Elfi del Sole, capelli arancioni, occhi grandi e castani, statura minuta.
Quell'Elfo è un incrocio di sicuro, mi dico.
Lascio perdere la questione e continuo a scorrere fra le pagine.
Trovo la parte che parla degli Umani quasi con fastidio. Ho vissuto così tanto tempo in mezzo a loro da credere quasi di esserne uno, ma più ci penso, più la cosa mi disturba.
Non ho bei ricordi.
Ho amici, ne ho avuti.
Se non fossi rimasto giovane mentre loro invecchiavano forse sarei più contento, ora.
Ma considerando che quella feccia del Re ha approfittato dei miei prolungati vent'anni per farmi servire come condottiero una quantità di tempo impensabile per un Umano, non credo di aver più spazio per qualcosa che non fosse violenza e sangue.
Mia madre aveva ragione.
Quel lavoro non faceva proprio per me.
So che l'aspetto è minaccioso, che sono una persona aggressiva e rabbiosa, ma sotto sotto non sono il tipo che fa del male senza rimpianti.
Non m'avessero manipolato come hanno fatto, forse sarei più sereno, ora.
E non starei qui a fantasticare sulle gambe lunghe di un Elfo con la lingua biforcuta, cazzo.
Lascio il libro aperto, sistemo gli altri, mi alzo e vado verso la cucina.
Ci sono ancora le fragole.
Ottimo momento per mangiarle tutte una dopo l'altra. Lo facevo anche a palazzo, a dirla tutta, le rubavo ai boia e mi ci sfondavo notti intere.
Ci sono vantaggi ad essere immuni alla magia, no?
Sfondarsi di fragole è uno di questi.
Ora che ci penso ci vorrebbe un infuso, ma dubito di saperne fare come l'Elfo e devo mio malgrado ammettere che sono un viziato dal punto di vista alimentare, se mangio o bevo una versione migliore di un cibo, è difficile che torni indietro.
Devo solo farmi spiegare come si fa, no?
Oppure...
E no, Iwaizumi, che fai, cedi?
Maledetto.
Soffoco i miei rimpianti in un'altra fragola che trattengo dal picciolo.
È davvero strano che siano nate, ricordavo che il sigillo del Re degli Elfi avesse rinchiuso per bene la magia di questo posto nelle nebbie.
Forse l'Elfo ha fatto casino negli equilibri entrando.
Potrebbe anche darsi.
Spero che ne siano nate più di una piantina, a dirla tutta, così posso seppellire i rimpianti nel cibo. Tanto non metto su peso e anche lo mettessi su, non sono qui a cercare l'apprezzamento altrui, ok?
Sanno di miele, queste fragole.
Hanno il gusto acidulo sulla lingua della frutta, ma quando mastichi si espande nella bocca questo sentore dolciastro e avvolgente che ti assuefà completamente.
Le mangiavo da piccolo.
Mi ricordano cose felici.
Chiudo gli occhi per concentrarmi sulla memoria dei quei giorni che vedo a malapena, di questi tempi, ma più ne mangio, più ricordo cose che non volevo ricordare.
Ricordo me seduto su sacchi di grano a mangiare le fragole mentre sento le persone che ho catturato urlare nelle segrete.
Ricordo la mia mano attorno all'elsa di una spada che gronda sangue.
Ricordo tante cose che vorrei non aver fatto.
Quella che ho in mano la lascio solitaria sul piatto.
Mi è passato l'appetito.
Mi viene da vomitare.
Devo distrarmi.
Credo capiti un po' a tutti i veterani di avere brutti momenti. Certo, se hai comandato legioni che sterminavano forse un po' più degli altri, ma è del tutto normale.
Va tutto bene.
Sono da solo, sono in mezzo al Bosco, qui non c'è nessuno.
Nessuno a cui fare male.
Nessuno...
− Iwa-chan! Hai visto come ho fatto in fretta? –
Se c'è qualcosa che odio con tutto il mio cuore, è essere spaventato o preso alla sprovvista. Mi mette un incredibile senso di ansia.
Ma al momento mi... rilassa?
− Che cazzo, Elfo! – dico in ogni caso, nonostante non sia esattamente quel che mi passa per la testa.
− Hey, non trattarmi di merda. Ho fatto in frettissima! –
È fradicio.
Non si è nemmeno asciugato.
Ed è anche mezzo nudo, con l'asciugamano legato sotto l'ombelico.
E credo sia sapone quello sui suoi capelli.
Cretino.
− Vieni qui. –
Alza una mano verso di me.
Ah, che palle.
− Sei bravo, Elfo, sei bravo. Ora vieni qui. – dico, e ridacchio pure perché è... simpatico, credo. Irritante ma simpatico.
Sorride e obbedisce assolutamente soddisfatto.
Quando mi arriva vicino, alzo una mano e gliela metto sulla spalla.
Spalanca gli occhi.
Li chiude forte quando lo spingo sulla vasca in pietra dove lascio le cose da lavare.
− Sta fermo, hai la testa piena di schiuma, idiota. – ordino, sporgendomi per prendere un po' dell'acqua che ho raccolto prima.
− Che? –
− L'hai messa sott'acqua la testa? – lo sgrido, facendo attenzione a tirarla via con le mani.
− No, quello lo fa la servitri... sono un coglione. –
Ridacchio.
− Lo sei. –
Ha i capelli morbidi e più lunghi di quanto sembrino.
Non ci metto molto, ma rimango un pelino più del dovuto a tirare le ciocche color biscotto solo per dargli fastidio e sentirgli sopprimere gli "ahia" per un pavido tentativo di mantenere la sua dignità.
Prima di lasciarlo andare, cerco uno straccio pulito da qualche parte e glielo butto in testa.
Spero gli dia fastidio.
Purtroppo non è così.
Ringrazia e si alza strofinandosi i capelli.
− Di che colore ti senti oggi? – chiede poi, pensandoci seriamente.
− Eh? –
− Se dovessi descriverti oggi con un colore, come ti sentiresti? –
Sento le mie sopracciglia prendere il volo sulla mia faccia.
− Ma che razza di domanda è? –
− Rispondi e basta! –
Che colore...
Ma che ne so di che colore mi sento, cazzo, non so neanche se so i nomi di più di tre colori.
Gli lancio uno sguardo un po' spaesato quando gli rispondo con...
− Grigio...? –
− Più antracite o polvere? –
Ma che è "antracite"?
− Il primo. –
Si prende il mento fra le mani, annuisce pensandoci su, poi schiocca le dita.
Scopro in questo istante che il grigio antracite è un grigio scuro. Non era più facile chiamarlo "grigio scuro"?
Questa volta è una veste completamente aperta chiusa da un bottone di quella che sembra madreperla in mezzo al petto, con lo spacco che si apre sopra e sotto.
Non si risparmia quei pantaloni strettissimi che mette sempre.
− È stato difficile, non ricordavo se avessi accessori adatti, Iwa-chan. La prossima volta possiamo farti avere una giornata verde menta? –
Sto per rispondergli male quando le parole mi muoiono in gola.
Non ci sarà una prossima volta.
Non credo ci sarà.
E non riesco a capacitarmi del fatto che mi dispiaccia così tanto.
− Devo spiegarti un po' di cose, accendi il cervello e vedi di ascoltare. – taglio corto, scacciando il dispiacere in favore di qualcosa di più razionale.
Non posso fare così.
L'Elfo perde per un attimo il sorriso, poi ne rimette su uno più finto del mio tentativo di non guardargli le gambe.
Non so se qualcuno ci caschi davvero, ma si vede che certe volte è rotto dentro, quando sorride.
Lo trovo così palese.
− Fa' pure, Iwa-chan. –
Mi asciugo le mani contro la camicia e raggiungo le cose che ho lasciato sul tavolo.
Lo osservo sedersi al mio fianco, tirare la sedia esattamente accanto alla mia e sporgersi dalla mia parte invadendo platealmente il mio spazio personale.
Ormai.
− Ti ho fatto vedere la strada qualche giorno fa, ti ricordi? –
Annuisce.
− A Nord. –
− Bravo. Ora... −
Appoggio il polpastrello nella mappa della zona, dove invece del Bosco appare una scrittina e nulla più.
− Dopo essere andato a Nord, troverai una strada. La riconosci perché è disseminata di cartelli con su scritto che non bisogna entrare qui. Hai capito? –
− Strada e cartelli, ricevuto. –
Lascio scorrere le dita sulla pergamena ingiallita.
− Quando trovi la strada vai verso Est. Troverai un villaggio dove puoi dormire un po', c'è una sola locanda. Di' che ti mando io e nessuno verrà a darti fastidio. –
Mi colpisce la spalla.
− Sono tuoi amici? –
− Ho fatto fuori qualche ladro per loro. –
Uno usa quel che sa fare, no?
− Dalla locanda parti la notte dopo, non prima, sei ancora troppo vicino al palazzo per rilassarti. Quando la Luna è alta, continua verso Est. Portati qualcosa da mangiare, ci vorrà sì e no un giorno di cammino, arriverai in una città un po' più grande. –
Sento i muscoli irrigidirsi.
− Nelle lande degli Umani ci sono i Mutaforma, stai attento. Se ne trovi uno, chiedi di poter parlare con Kageyama Tobio. –
Alza un sopracciglio.
− E chi è, questo? –
− Un Mutaforma, uno che mi deve un favore. È nel Branco delle lande, può tenerti in vita. Digli che ti manda Iwaizumi Hajime e se ti chiede chi sei inventati qualcosa che non c'entri con gli Elfi del Sole, ok? –
− Perché? –
È... complicato?
− Non gli piacciono gli Elfi del Sole, il resto non sono affari tuoi. –
Annuisce poco convinto.
− Quando arrivi in città, vendi qualche gioiello, trovati un posto e cerca di uscire il meno possibile per un mese o due. Ricomincerai a vivere una vita tranquilla dopo un po', ti abituerai, ma non rischiare. – spiego mettendo più enfasi possibile in ogni parola.
− Un mese? –
− O due. –
Si mordicchia il labbro nervosamente.
A questo punto, sento quasi il bisogno di guardarlo in faccia, come se volessi rassicurarlo, anche se non ho altro che pessime notizie per lui.
− Ora, ascoltami bene. Non ti fidare degli Umani, mai, non credere ad una sola parola di quello che dicono. Ti offrono qualcosa? Rifiuta e scappa. Una mano, un posto dove dormire? No, non accettare mai. –
Inizio a vedere un'ombra formarsi fra i tratti eleganti del suo viso.
− Perché? –
− Sono avidi, attaccati alle cose materiali. Se vedessero qualcuno come te, non resisterebbero un minuto. E non devi cedere alle pretese, mi raccomando, puoi benissimo sopravvivere senza farti toccare con un dito. –
Sbatte le palpebre.
− Come lo sai? –
Perché è quello che farei io se non mi controllassi, Elfo.
− Lo so e basta. –
Annuisce con fare un po' mesto.
− So che ti costerà tantissimo, e non ti sto neanche prendendo per il culo, ma devi iniziare a vestirti come un paesano, se vuoi rimanere nella città. Ti noteranno tutti, se vai... così. –
Storce il naso.
− Non se ne parla. –
− Se non vuoi morire, se ne parla. O sposarti, Elfo, come ti pare. –
Questo lo...
Infastidisce più del resto.
E troverei la cosa superficiale, imbarazzante e leggera, se non vedessi di lui quel lato così morbido e ingenuo venir su dalle crepe delle sue espressioni di vetro.
− È l'unica cosa... l'unica che ho, Iwa-chan. Se smetto di curarmi, che mi rimane? –
Prendo il suo mento fra le dita, lo alzo.
− Sei più di un bel faccino, Tooru. –
Vedo lacrime annidarsi sulla rima inferiore dei suoi occhi.
− Dopo un paio di mesi, quando la situazione si sarà calmata, puoi andare verso le terre degli Elfi Silvani. Sono in guerra con gli Elfi della Luna, hanno firmato una pace, ma sono ancora in guerra. Se chiedi protezione, te ne daranno e ricomincerai a mettere le tue stronzate colorate. –
Annuisce tirando su con il naso.
− Dici? –
− Te lo prometto, Tooru. –
Cazzo, cazzo.
Mi sono...
Affezionato all'Elfo.
Non va bene.
− Ricapitolando, Nord, Est, Est. Se incontro i Mutaforma chiedo di Kageyama Tobio. Non mi fido degli Umani. – dice, con la voce un po' rotta e un po' triste.
− Sì, bravo, esatto. –
Arrossisce.
− Puoi anche smettere di dirlo, ormai. –
Mi sono...
Davvero affezionato.
− Smetterò quando non ci sarai più. –
− Ok. –
Lo vedo tremare un po' sulla sedia, asciugarsi una lacrima solitaria dalla guancia.
− Se mi toccano, che faccio? –
La voce nella mia testa urla "chiama me". "Chiama me e taglierò le loro mani un centimetro alla volta, se provano a toccarti, Elfo irritante con le gambe lunghe".
− Sai un po' usare la magia, no? –
− Poco. –
"Li faccio soffrire se provano a sfiorarti anche solo con un dito."
− Agli Umani la magia fa paura perché non ce l'hanno. Fa' qualcosa di un po' appariscente e ti lasceranno in pace. –
− Oh, capisco. –
Deglutisco la saliva che ho in bocca.
− Non avvicinarti mai alle guardie, non sono affidabili. Se finisci nelle grinfie della Corona, è un casino. L'unica persona che può darti una mano è il medico di corte, quindi quello che devi fare è fingere di avere qualcosa, farti mandare dal medico e dirgli il mio nome. Non so se ti può tirare fuori ma... −
"Mi chiama e io ti tiro fuori, Elfo"
− ... può aiutarti. –
Fa "sì" con la testa.
Passo in rassegna tutte le informazioni che ho.
− Non mangiare i funghi a caso, anche se hai fame. –
− Questo lo sapevo da solo. –
Lo vedo sorridere un po', di un sorriso genuino, e la cosa mi fa piacere.
− Non ne sarei così sicuro. –
− Cattivo, Iwa-chan. –
Ridacchio.
− Mi... −
"Mi mancherai", sto per dire.
Ma non le concludo, le parole.
Invece mi alzo e con la sensazione di un peso che mi schiaccia il petto, dico che è tutto.
E di parole, dopo quel momento, ne scambiamo solo per battute dalla stupidità immane mentre cucino qualcosa da mangiare prima che la Luna sia alta e l'Elfo scompaia nel Bosco.
Pensavo che sarebbe durata di più, la cena, ma vola via.
Il tempo scorre come acqua fra le dita.
E se l'istante prima stavo dicendo all'Elfo che non può avere l'argenteria per mangiare che poi non so come pulirla e mi dà fastidio tenere le cose sporche, quello dopo sto tirando fuori il pane che ho avanzato per metterlo in un panno.
Non ha bisogno di cibo.
Ma se avesse fame?
Lui è seduto davanti al caminetto, con le gambe incrociate, non mi guarda.
Fissa le fiamme che scoppiettano.
− Ti do una delle mie borse, non rovinarla. Se mai dovessimo rivederci, me la ridai. – scherzo col tono non così sollevato come vorrei far intendere, mentre sistemo il cibo al fondo.
Non risponde.
− Ti lascio un paio delle mie camice, i pantaloni puoi usare i tuoi neri, penso che tu li abbia. Se becchi i Mutaforma, fagli annusare le mie cose. –
Altro silenzio.
− Quando arrivi alla città, vai allo stagno ad Ovest del campanile e parla alle piante, ci sono gli gnomi che ascoltano. Di' che sei arrivato, così lo verrò a sapere anch'io. –
Non si muove neppure, sembra sia congelato.
− Se non sento di te entro una settimana, mando i Mutaforma a cercarti. –
Si alza senza dire nulla.
Stamattina era etereo, con la luce che filtrava dalla finestra, ora sembra davvero il principe che dice di essere, con le fiamme che lambiscono il bordo della pietra e danzano sul suo viso.
Un principe rotto, però.
Ha il volto rotto, questo bell'Elfo.
− Se fossi morto? –
− Non sarai morto, Elfo. –
Si gira piano.
− Dovrei tornare indietro? –
A sposarsi, intende?
So come sono i matrimoni elfici, sarebbe una tortura. Legare le proprie essenze vitali è per sempre, e non respiri se l'altro non c'è, e non c'è cosa che puoi nascondere, non c'è autonomia.
− Se vuoi farlo non ti fermerò, ma se chiedi a me la libertà vale più della sicurezza. –
Annuisce.
− Già. –
Non andare.
Non...
Si avvicina alla porta della casa, la apre, esce di pochi passi sull'erba fresca.
Lo seguo, la borsa in mano.
− Sognavo di sedermi sul trono. –
− E io di essere una ballerina, non tutti hanno quello che vogliono, scemo di un Elfo. –
Ride contro la notte, ma è una risata amara.
Si gira verso di me.
Che bello.
È così bello.
Allunga il braccio e appoggio la borsa sulla sua mano. Poi cambio idea, la tiro su sulla sua spalla e gliela sistemo addosso.
− C'è la possibilità che di incontrarci di nuovo, Iwaizumi? –
Mi piace come dice il mio cognome, ora che ci penso. Mi piace, la sua voce.
− Ho un sacco di anni davanti e anche tu, chi lo sa. –
− Ci spero. –
Deve...
Ora deve andare.
Dovrebbe andare.
Non voglio che vada.
Fa un passo verso di me, ci separano pochi centimetri.
Appoggia una mano sulla mia guancia.
− Grazie, Iwaizumi Hajime, sei la prima persona che mi abbia trattato come se fossi qualcuno per davvero. Non dimenticherò mai quello che hai fatto per me. – dice, piegando la testa e sorridendo con le lacrime agli occhi.
Non dimenticarlo, no, non dimenticarlo.
Non credo che io...
Si sporge.
Preme le labbra contro la mia guancia e non mi scosto.
Si gira e i suoi passi si allontanano l'attimo dopo.
Sento gli occhi che iniziano a pizzicare.
Che strana vicenda, mi dico, quella dell'Elfo stordito che scappa dalla vita che gli cuciono addosso. Che vicenda senza senso.
Chissà cosa sarebbe successo se non l'avessi mai trovato.
Credo che non avrei questa sensazione di oppressione sul petto.
Credo che...
Torno in casa.
Torno alla vita che ho e che ho scelto. Quella in cui sono innocuo e non faccio del male a nessuno, quella in cui niente mi turba e niente mi emoziona.
È stato divertente, Elfo.
Ma le cose finiscono, e posso dire di essere contento che sia finita prima di farti del male.
Questa casa è silenziosa.
C'è sempre stato così tanto silenzio, qui dentro?
Mi ha sempre dato fastidio, il silenzio?
Mi ritrovo con le mani in mano pensando a cosa io debba fare.
Cosa facevo prima dell'Elfo?
Ieri a quest'ora lo trascinavo a letto dicendogli che tentare di bruciare le doppie punte sul caminetto era il modo migliore per prendere fuoco e crepare sul colpo.
Domani mattina che farò?
Me lo ritroverò addosso che dorme, o in cucina che sembra uscito da un mito antico nella bellezza fluttuante e perfetta di com'è?
Che farò domani a pranzo?
Ho troppa carne per me solo.
Guardo l'orecchino che mi ha lasciato sul tavolo, è quello che gli ho tolto la prima volta che l'ho visto.
Credo terrò a questo ricordo.
Spengo il fuoco.
Salgo le scale.
Mi tolgo la camicia, cambio i pantaloni, apro il letto, appoggio una gamba sul materasso.
Merda.
Mi mancherà.
Mi sono divertito.
Maledetto Elfo con le gambe lunghe.
Mi stendo sul letto e...
Sono sulle scale la seconda volta che sento bussare, e non ricordo di essermi mosso così rapidamente nemmeno durante le battaglie più difficili.
Il cuore mi martella nel petto.
Spalanco la porta.
− Iwaizumi, io... io non mi ricordo dov'è il Nord. – è quello che mi accoglie, assieme ad una sequela di singhiozzi, un viso pieno di lacrime e un petto che trema.
Non vale niente, il mio orgoglio, quando lo stringo forte.
− Sarà meglio che tu non te ne vada, allora. −
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
➥✱"tlachd-shùbh" significa "fragole di bosco" e spero davvero che il prossimo capitolo non sia il nome di un cibo che se no diventa una lista della spesa lol
(ringraziamo anche "lucciole" di blanco per le vibes)
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