𝘀𝗵𝗼𝗻𝗿𝗮𝗶𝗰𝗵𝘁𝗲
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Senso di colpa.
Quello che provo al momento, un passo dopo l'altro nel buio della notte fonda, è senso di colpa.
Non me ne sono accorto subito, ma credo di essere arrivato dopo un prolungato momento di riflessione, che quel che provo, sia senso di colpa.
Senso di...
Senso di colpa.
Tooru sembra rinato, sembra tornato completamente privo di preoccupazioni mentre zompetta ad un paio di metri da me nell'oscurità, affiancato da un Tobio mortalmente rincoglionito, ma io non ce la faccio, a pensare che vada davvero tutto bene.
Noi abbiamo...
Non è l'atto, non è il fare sesso che mi fa sentire in colpa.
È tutto ciò che c'era intorno.
− E dai, perché non posso salirti sopra? Non ho voglia di camminare, lupo. –
Muso scuro, occhi azzurri e passi incerti, Tobio si allontana verso sinistra e guaisce proprio come un cagnolino, in puro e semplice disagio.
− Stai per caso dicendo che sono troppo pesante? Stai dicendo che sono grasso? –
Ringhio, altro guaito.
− Sei un cafone, cane. Sei davvero un cafone. –
Mi viene da ridere, lo faccio, sottovoce.
− Diglielo anche tu, Iwa-chan! –
− Non dargli fastidio, Tooru, fa' il bravo. –
L'Elfo mi guarda, gli passano sul viso la tentazione di darmi fastidio e quella di fare l'offeso, ma alla fine scrolla le spalle e ricomincia a camminare.
Mi sento in colpa perché...
Ora suonerò tremendamente smielato, tremendamente romantico e idiota, lo so. So che lo farò, perché è vero, di dire una cosa del genere ad alta voce mi vergognerei fino alla fine dei miei giorni.
Ma la sto pensando, quindi direi che è possibile.
Avrei voluto che fosse... speciale.
Non un atto di consolazione disperata in un momento in cui nessuno dei due ci capiva più un cazzo.
Non pretendevo petali di rosa, cena a lume di candela o qualcosa del genere, no, però...
Volevo che fosse speciale.
Volevo che fossimo tutti e due coscienti di quel che stava succedendo, che fossimo felici, che potessi ripetergli quanto mi piace e che potessi sentirmelo dire da lui, volevo che fosse... carino, ecco.
E invece no.
E invece mi sono fatto prendere dal panico io, e Tooru è tornato a cercare consolazione in qualcosa che gli era familiare.
Mi sento in colpa perché gli avevo promesso di essere diverso dagli altri.
Invece sono stato proprio come loro.
− Ma voi lupi non dovreste ululare alla Luna? –
Tobio fa un movimento che somiglia ad un no col muso, Tooru ride appena.
− Sei un lupo strano tu, o non lo fa nessuno? –
Non può rispondere.
Non lo fa.
Tooru lascia perdere.
Gli ho persino strappato i vestiti, miseria. E per quanto sia convinto che quel genere di cose gli piaccia, non mi è sembrato il momento giusto, la cosa giusta da fare.
Nella mia fantasia, nella mia aspettativa, glieli avrei tolti io, l'avrei guardato, baciato, toccato e adorato come merita, non l'avrei trattato a quel modo. L'avrei custodito, Tooru, perché è così meraviglioso ai miei occhi, così perfetto.
Invece sono stato uno stronzo.
Sono stato uno stronzo perché mi ha fatto incazzare la sua reazione. È saltato indietro e il suo corpo ha reagito come quello dei soldati con cui combattevo, come il mio.
Solo che io e gli altri soldati reagiamo così perché siamo abituati a prendere colpi.
E connettere le due cose mi ha fatto incazzare davvero.
Però... non lo so, non sono felice. Mi sento a disagio, mi sento come se avessi fatto qualcosa di sbagliato. Mi ero ripromesso che avrei cercato di affrontare la rabbia quando si fosse ripresentata, e invece si è mescolata col tormento dell'Elfo e ne è uscita una versione diversa, nuova, ugualmente dannosa.
Avrei voluto... sedermi su quel letto, accarezzargli i capelli, dirgli quando valesse ai miei occhi.
Invece ho iniziato a blaterare di tagliare teste e uccidere, ci ho fatto sesso e mi sono addormentato poco dopo aver finito.
Mi sento in colpa.
Mi sento in colpa perché non ho mai avuto una relazione che avesse questo valore, per me, non credo che mi sia mai piaciuta così tanto una persona, e avrei voluto fargli capire quanto importante penso che sia.
Lui è completamente tranquillo, adesso.
Lo guardo da dietro, lo osservo ondeggiare le anche ad ogni passo in un movimento curvilineo e sensuale, allungare un braccio per tirare i peli di Tobio e ridere quando lo sente ringhiare.
Sembra che sia abituato.
Non mi piace che sia abituato.
Non sono un mago del consolare gli altri, per la miseria, non lo sono mai stato, ma ho la sensazione che questo modo non sia quello giusto. Ho la sensazione che se l'Elfo usa questo per consolarsi, ci sia un problema su cosa ha vissuto.
E quanto cazzo mi fa sentire in colpa il pensiero che invece di aiutarlo ad uscire da un circolo vizioso che ha instaurato per sopravvivere in un ambiente che lo trattava male, non ho fatto altro che cedere e rifargli quel che ha sofferto.
Io...
Vorrei essere diverso, per lui.
Ma non per il gusto di essere qualcosa di nuovo. Vorrei essere diverso perché vorrei essere per lui come lui è per me, sicuro, accogliente, protettivo.
Maledetto me, cazzo, maledetto me. Certo che è normale che mi sarei incazzato al pensiero che qualcuno abbia picchiato Tooru, è ovvio, e la situazione era confusionaria, frettolosa e problematica, ma non mi sento in grado di scusarmi per questo.
Credo di essere un disastro sociale, cazzo.
Non sono proprio in grado di gestire lo stress, eh?
Zero, è impressionante.
Però, ed è l'unica cosa che mi permette di star qui a camminare guardandogli la schiena invece di seppellirmi vivo per la vergogna, credo che non mi sarei reso conto che la situazione fosse dannosa, se fossi stato quello di prima.
Il senso di colpa è comunque un'evidenza del fatto che sto cambiando, no?
Almeno mi sono accorto che c'è stato qualcosa di sbagliato.
Almeno mi sono posto il problema.
Devo solo un attimo imparare come risolverlo.
Dici poco, Hajime, dici poco. Ma se un passo l'hai fatto, concediamoci una pacca sulla spalla almeno per questo.
− Sei super silenzioso, Hajime, che c'è? –
Ha la testa sopra la spalla, si è fermato, Tobio con lui.
Devo essermi perso nei miei pensieri.
− Niente, camminate. –
− In che senso "niente"? Hai la faccia di qualcuno che è andato ad un funerale. –
Sbuffo, scuoto la testa, come per lasciar cadere la questione.
− Non è che per caso mi hai sentito parlare con la figlia della locandiera, vero? –
A questa, riprende la mia attenzione completamente.
Ha parlato con la figlia della locandiera? Ricordo di essermi addormentato come un sasso ad un certo punto, che il sesso è stato impegnativo e lo stress stanca, e quando mi sono svegliato, Tooru era seduto vicino a me che mi passava le dita fra i capelli.
− No, stavo dormendo. Che le hai detto? –
Arrossisce, come se stesse pensando qualcosa che non vuole dire.
− Niente di che. –
Mi avvicino, lui ricomincia a camminare, ci ritroviamo fianco a fianco.
− Non hai la faccia da "niente di che", Tooru. –
− Ho la faccia da "niente di che". – mente.
No, non ce l'ha. Ha le guance rosse, lo sguardo evasivo.
Cerco un segnale di fastidio nel suo volto. Le ha detto qualcosa di brutto, o forse lei l'ha fatto con lui? L'ha minacciato? Gli ha fatto pesare il fatto che avessimo fatto sesso prima che lo conoscessi?
− Avete litigato? –
− No, no, abbiamo... discusso. –
− Discutere e litigare sono la stessa cosa, Elfo. –
Sbuffa, sporge il labbro, pende col corpo verso Tobio.
− Non sono la stessa cosa e non è successo niente di importante, Hajime, davvero. –
Aggrotto le sopracciglia.
"Hajime"?
Ho imparato quale stato d'animo assegnare ad ogni nomignolo che mi dà.
"Iwaizumi", vuol dire che qualcosa non va. Vuole mettere una distanza fra di noi, quando mi chiama per cognome, vuole tirare su un muro e allontanarmi. Mi preoccupa, "Iwaizumi", non mi piace.
"Iwa-chan", è la normalità.
"Hajime", c'è qualcosa di serio in ballo. Qualche emozione forte, che sia positiva o meno. Mi chiama "Hajime" quando vuole entrarmi sotto la pelle e infilarsi nel mio cervello.
− Tu mi nascondi qualcosa, Elfo. –
− Non ti nascondo niente, non fare il musone. –
Continua a non guardarmi negli occhi.
− Stai bene? – borbotto, alla fine.
A questa, sposta lo sguardo sul mio, sorride e sembra addolcirsi istantaneamente.
− Oh, Iwa-chan, certo che sto bene! Ti stavi preoccupando per me? –
− No, che cazzo dici. –
Sporge il braccio, lega le dita al mio bicipite, stringe.
− Sei adorabile, Iwa-chan. Sei la persona più adorabile del mondo. –
Cazzo se non lo sono.
Per consolarti ti dico che voglio tagliare la testa alla gente, per la miseria.
− Non sono adorabile. –
− Sei adorabilissimo. –
Non è vero.
Guardo per terra, verso i miei piedi, dove cammino.
Io non sono adorabile. Il fatto che mi senta in colpa per non aver avuto una prima volta speciale con te, il fatto che mi metta un'ansia infinita il pensiero che tu possa star male, l'averti comprato un regalo che ti darò quando ci fermeremo e l'adorare il tuo sorriso non mi rendono adorabile.
Ok?
− Smettila con questa cazzata, sono uno stronzo, non sono adorabile. –
Scende con la mano sul mio braccio fino a legare le dita con le mie.
− Ma che dici? –
Che dico?
La verità, dico.
Tu sei... così speciale, vorrei dirgli, così speciale.
Vorrei solo che potessi sentire quanto lo sei.
Tira su le nostre mani collegate, sento le sue labbra premersi sul dorso della mia.
− Sei un po' aggressivo, è vero, ma non sei uno stronzo, Hajime. Quantomeno, non con me. –
E invece sì, con te.
− Sei molto dolce, anzi. –
− Non è vero, non dirmi stronzate. –
Appoggia le mie nocche contro la sua guancia.
I passi sono lenti, non disturbano particolarmente la sua gestualità, e per un attimo mi dimentico di Tobio che arranca come se fosse mezzo morto a un metro da noi.
Non sono dolce, sono un bastardo.
Sono una testa calda che si è fatta prendere e ha combinato un casino.
Lo so che lo volevi, lo so che me l'hai chiesto, ma...
Slego le mani dalle sue, gli prendo il viso, ci fermiamo. Tobio continua a camminare, noi no.
Non credo se ne sia accorto, il lupo, che è davvero in uno stato pietoso.
Per la cronaca, non aveva mai bevuto una goccia di alcol in tutta la sua vita, era ubriaco fradicio con due boccali di birra e dopo aver dormito come un morto per tutta la nostra permanenza alla locanda, quando siamo partiti sei ore dopo era ancora conciato uno schifo.
− Che fai, Hajime? –
− Zitto. –
Io...
Lo so che è il tuo modo per scappare dalle cose. Lo so che è il tuo modo per sentirti meglio, vedere quanto gli altri ti amino, quanto non sappiano resisterti. Ti fa sentire forte, in quell'istante.
Ma poi, cosa ti rimane?
Io vorrei rimanere, è per questo che mi sento in colpa.
Perché sarei voluto rimanere, e invece sono convinto che della sensazione che ti ho dato non si sia stratificato nulla, e la prossima volta ti sentirai di nuovo male.
Lo sporgo verso di me.
Chiudo gli occhi quando premo le labbra sulla sua fronte.
Io rimarrò, fammi restare.
Non per esorcizzare il male di un minuto, ma per dimostrarti quanto speciale penso tu sia.
C'è il silenzio della notte, attorno a noi, contaminato dall'unico rumore delle zampe di Tobio più avanti che affondano sulle sterpaglie secche del termine dell'estate, a malapena lo vedo.
Quando lo lascio andare, ha l'espressione un po' confusa e un po' stupita.
− Hajime? –
− Io e te dobbiamo imparare a parlare, Elfo, perché fra tutti e due facciamo davvero cagare. –
Sorride, continua a non capire.
Non capisce perché è abituato, merda. Il mondo non è stato clemente con te, se ti sei abituato.
− Ricomincia a camminare, prima che Tobio svenga e ci tocchi andare a cercarlo. –
Non indaga oltre, quando fa spallucce e si sporge per baciarmi velocemente.
− Ci manca solo che perdiamo la palla di pelo. –
Non lascia la mia mano quando ricominciamo a camminare.
− Se vuoi passare la notte senza congelarti, sarà meglio. –
− Stai dicendo che dovrei dormire col cane? Ma io voglio dormire con te, Iwa-chan! –
Rido appena, con lo sguardo cerco di distinguere le forme di fronte a me. Quando intravedo qualcosa che si muove, che si sposta, e riconosco Tobio, sospiro.
− Non possiamo accendere il fuoco, non so se ci stiano cercando nelle vicinanze. –
− E non possiamo arrivare direttamente al villaggio e dormire là? –
Se continuassimo a camminare fino alla mattina presto, potremmo. Ma Tobio è distrutto, Tooru non si è riposato e vorrei evitare di affaticarli.
− Preferirei che dormiste tutti e due. –
Muove le dita contro le mie stringendole piano.
− Guarda che posso... −
− Non era una domanda. Tu devi dormire, Tobio deve dormire. –
Non si viaggia stanchi, soprattutto se c'è qualcuno che ti insegue. Ci nasconderemo nella boscaglia e risposeremo un po', o quantomeno lo faranno loro.
− Come vuole, Comandante. –
− Non chiamarmi così. –
Prende fiato come per scherzare, ma si ferma quando sente quanto forte stia stringendo la sua mano.
"Comandante" è un nome che ho sentito rivolto a me. Non è il mio preferito, se posso permettermi.
− Scusa. –
− Non ti preoccupare. –
Sento la punta della coda di Tobio strisciarmi contro le ginocchia all'ennesimo passo, un paio di occhi blu come il ghiaccio mi brillano contro.
Era più vicino di quanto mi aspettassi, eh?
− Tu stai bene, Tobio? –
Non risponde perché non può, ma guaisce piano.
− Sei ancora devastato? –
Un altro guaito che interpreto come un "sì".
− Mi chiedo cosa ti abbia detto la testa. –
− È colpa mia, l'ho convinto io. Lui non c'entra niente. – interviene Tooru al mio fianco, col tono frettoloso ma colpevole.
Tobio si ferma e aspetta che mi avvicini per spiaccicarsi, maledetto cane troppo cresciuto, contro la mia gamba e strofinarmi il muso contro la pancia.
Miserabile, che fai? Chiedi scusa?
− Non è un cretino, Elfo, ha deciso da solo. E ha deciso male. –
− Che sarà mai, per un po' di birra. –
Sbuffo.
− Tobio non è adulto, non può bere. –
− Io ho preso la prima sbronza a quattordici anni. –
Schiocco la lingua.
− Questo perché tu sei cresciuto troppo in fretta, Tooru. –
− Dici? –
Se lo dico? No, non lo dico. Si vede, Elfo.
− Il Capobranco ti fa secco, quando ti sente puzzare di alcol, lo sai, vero? –
Tobio guaisce per l'ennesima volta, strofina più forte il naso contro il mio fianco.
− Mi stai chiedendo di intercedere, stronzetto? –
Ai lupi gli occhi brillano nella notte, che sono fondamentalmente creature fatte per la luna, per risplendere nelle ore più tarde.
Sono grandi e azzurri come il ghiaccio, quelli di mio figlio, quando li punta su di me e sbatte le palpebre.
"Ti prego".
− Sì, va bene, come vuoi. Ma la prossima volta ti ammazzo se lo rifai, intesi? –
Sento umido sul braccio quando mi lecca per ringraziarmi, e fa schifo, lo so, ma è anche carino. Mi perdo ad arruffare il pelo scuro sul suo capo per un secondo.
− Ti sei almeno comportato bene, da ubriaco? –
Tooru ridacchia vicino a me.
− Credeva che fossi sua madre, fai un po' tu. –
− Eh? –
Ora tocca a Tobio fare l'evasivo. Rimane spiaccicato contro il mio fianco, ma non vedo più i suoi occhi brillarmi di fronte alla faccia.
− Al primo sorso mi ha chiesto se fossi sua madre. Sai, col fatto che io e te stiamo... insieme, ecco. –
Sua madre?
Tooru?
Devo rispiegargli l'anatomia, al lupo?
− Così quando sono arrivati i tizi del bar a fare le domande e a spiaccicarmisi addosso, si è incazzato e ha urlato per una ventina di minuti "lasciate stare la mamma". –
Lascio perdere il dettaglio dei tizi del bar, con fatica, ma lo faccio, quando mi viene da ridere.
− Davvero? –
− Verissimo, croce sul cuore. Poi ha iniziato a parlare di sesso e da lì in poi l'ho perso. –
Idiota di un lupo, anche se non è il mio figlio biologico ha decisamente preso qualcosa da me. So che non si addice alla mia persona, so che sono grande e grosso e minaccioso, ma nemmeno io ho mai retto bene l'alcol.
Anzi.
− Di sesso? –
− Sì, mi ha chiesto se è normale avere diciassette anni e non volerlo fare con nessuno. –
È normale?
− Ho provato a spiegargli che la normalità è sfaccettata e potrebbe darsi che gli venga voglia di farlo con qualcuno o con nessuno nella vita, ma non mi ha lasciato parlare. –
Un ringhio basso e decisamente imbarazzato si spande attorno a noi.
Si vergogna?
Oh, piccolo Tobio. Non è colpa mia se sei un chiacchierone quando bevi, no.
− Ce l'aveva col fatto che ci sono i Riti di Luna e lui deve stare da solo e vorrebbe aver voglia di fare sesso ma non ce l'ha, che lui vuole sposarsi e avere tanti bambini ma come fa senza fare sesso, eccetera. –
Rido di nuovo.
Scemo di un lupo, sei davvero scemo.
− Vuoi avere tanti bambini, Tobio? –
Guaisce.
− Puoi adottarli, se non vuoi fare sesso. –
− Gli ho detto anche questo, ma a quel punto era cotto. –
Mi riservo un altro momento per accarezzare il pelo scuro e sorridere al suo muso che non vedo, ma so essere imbronciato.
− Sei tutto tuo padre, tu, eh? –
− Sono piuttosto sicuro che tu voglia fare sesso, Iwa-chan. –
− Non intendevo quello, Elfo. –
No, non intendevo quello. Di tutte le cose che mi danno da pensare e di tutte quelle che mi preoccupano, l'assenza di impulso sessuale è davvero l'ultima.
Soprattutto da quando ho incontrato un cretino con le gambe lunghe e le orecchie a punta, ma questo ad alta voce, non lo dico.
− Intendevo che diventa completamente idiota quando beve. Te l'avevo raccontato, no? –
− Di quando tu e il tuo amico andavate a fare risse e ci provavate con la gente a caso nell'esercito? Sì, me l'hai raccontato. –
Se ci penso mi viene da ridere, davvero. Non ho amato quello che l'esercito mi ha reso e non ho amato quel che ho fatto, ma certi momenti sono piacevoli, è innegabile che lo siano.
− Sai che ridere se ti avessi incontrato da ubriaco in una taverna, Elfo. – scherzo, pensandoci su.
Che ridere, sarebbe stato esilarante.
− Perché? –
− Perché visto l'effetto che mi fai ora da sobrio, non vorrei neanche immaginare cosa sarebbe successo quando avevo vent'anni completamente ubriaco. –
− Oh, ti faccio un effetto, Iwa-chan? –
Lo guardo e nel definirsi della notte, al chiaro di luna che batte sul suo volto, vedo la soddisfazione mista a strafottenza che il suo viso assume.
− No, stavo scherzando. –
− Stavi scherzando? –
No che non stavo scherzando, per la miseria, ma mi vedi? Ti vedi? Ci vedi, insieme? Solo un cieco non capirebbe che mi fai un effetto, o un coglione.
− Possiamo non parlarne? –
− No di certo, Iwa-chan, sei tu che hai tirato fuori l'argomento. Che effetto ti faccio? –
− Un effetto di merda. Ogni volta che ti vedo mi viene da vomitare. –
Sento un verso provenire da Tobio che ricorda lontanamente una risata.
Tooru spalanca gli occhi, pensa un attimo, poi sorride.
− Ne sei davvero sicuro? –
Se ne sono...
Sorride, come sorride, con gli occhi grandi e i capelli morbidi mossi dall'inerzia dei suoi passi, la pelle chiara e la linea della clavicola messa in mostra dalla camicia – la mia – tirata giù sulla spalla.
− No, non ne sono davvero sicuro. –
Si lecca le labbra, distoglie lo sguardo.
− Come pensavo. –
In che senso "come pensavo"?
Mi fai sembrare prevedibile, così, e io non sono prevedibile. Non è prevedibile che tu mi piaccia così tanto, non si vede, ok?
Ma non ho appena pensato un minuto fa che fosse la cosa più visibile del mondo?
Sono confuso.
Maledetto Elfo.
Ti odio, mi confondi.
Schiocco la lingua, giro il mento dall'altra parte. Il mondo ti ha mandato per darmi noia, di' la verità, non è vero che stai scappando, il tuo unico obiettivo è farmi uscire completamente di testa.
− Ti sei offeso, Iwa-chan? –
Io non mi offendo, sono un uomo adulto.
No?
No, sto sporgendo il labbro.
Rimango zitto, pesto i piedi nelle foglie secche e non dico nulla.
− Non imbronciarti, Iwa-chan, stavo solo scherzando! –
Sbuffo.
− Ti disprezzo con tutto il mio cuore, Elfo, davvero. –
− Oh, scemo, vieni qui. –
Qualsiasi forma di fastidio ci fosse sul mio viso, scompare quando chiude le braccia dietro al mio collo e appoggia le labbra sulle mie.
Diventa distante e diventa ininfluente, mentre muove il viso per incontrare il mio e mi accarezza le guance con le dita.
Si stacca sorridendo.
− Ora stai meglio? –
Mi sporgo, catturo la sua bocca in un altro bacio appena accennato.
− Meglio, sì. –
− Perfetto. –
Sono un cretino? Sì, sono un cretino. Ma sono un cretino con una cotta, per cui 'fanculo, non voglio sentire ragioni.
Quando riprendiamo a camminare nella notte fonda, mi rendo conto di non aver sentito Tobio lamentarsi mentre baciavo Tooru. E l'opzione che abbia finalmente capito che è normale che due adulti in una relazione si bacino non è percorribile, per cui...
− Tobio? Dove cazzo sei? –
Guaito stanco, sfinito, che proviene dal basso.
− Stai bene? –
I tratti iniziano a definirsi nel buio, vedo la forma del suo corpo stesa a terra.
Apre la bocca, i denti bianchi e affilati riflettono la luce della luna, vedo la lingua arricciarsi e...
Sta sbadigliando.
Stupido piccolo Tobio, domani mattina diventerai rosso come il fuoco quando ti racconterò in che condizioni eri oggi. Ma per ora, direi che posso anche concederti un po' di riposo.
Senza contare che credo serva anche a qualcuno che sembra da fuori molto più frizzante.
− Per stanotte ci fermiamo. Vi sveglio domani prima dell'alba per ripartire. – concludo, sganciando la borsa dalla mia spalla e rivolgendomi verso Tooru che mi guarda per un secondo.
− Qui è sicuro? –
Non siamo esattamente nei boschi, ci sono pochi alberi e la regione è sufficientemente scoperta, ma penso di poter fare un po' di veglia per loro due e ho seri dubbi che il lupo riesca a continuare.
− Sì, non c'è problema. –
− Oh, ok, se lo dici tu. –
Tobio mi guarda, leggo il ringraziamento nei suoi occhi chiari, poi si accascia di lato e scompare nel sonno.
− Dormi un po' anche tu, Elfo. –
− Se tu stai sveglio rimango sveglio con te, Iwa-chan. –
− Non se ne parla, mettiti vicino a Tobio e dormi. –
Non possiamo permetterci di dormire tutti, e io ho già dormito. Se qualcuno ci attaccasse, poi, credo di avere un po' più possibilità di lui di difenderci.
− E dai, voglio rimanere sveglio con te. –
− Ci saranno un sacco di occasioni per farlo, ora devi dormire. –
Non mi rendo conto della frase che ho detto, all'inizio. Ne prendo coscienza quando vedo il suo viso illuminarsi.
− Lo pensi davvero? –
− Cosa? –
− Che ci saranno un sacco di occasioni. –
Ringrazio la notte di essere così scura perché credo di avere le guance rosse, a questo punto.
− Sì. –
− Sei così adorabile, Iwa-chan, così adorabile! –
Si infila contro il mio petto in un attimo, fronte contro la spalla e profumo di fiori sotto il mio naso, le mani eleganti che mi stringono forte.
Rispondo all'abbraccio.
− Te l'ho già detto, non lo sono. –
− E io ti ho già detto che sei molto dolce. –
Piego il viso, annuso direttamente dalla sua pelle il suo odore.
− Non so che cosa tu abbia bevuto, Elfo, ma qualcuno deve averti dato una pozione per farti impazzire. –
− Nessuno mi ha dato nessuna pozione. –
Non lo so, sai? Non ne ho idea. Forse sei solo completamente pazzo, per reggere qualcuno come me. Forse non conosci niente di meglio e mi metti su un piedistallo, forse...
No, Hajime, un attimo.
Un attimo.
Tu sei grande, sei adulto, sei troppo vecchio per le stronzate. Cresci un po', datti pace.
− Vorrei parlarti di una cosa, Elfo. –
− Dimmi. –
− Io... −
Prendo un grande respiro.
− Prima stenditi. –
− È così scioccante che devo stare steso? –
Rido appena.
− Non è scioccante, è che vorrei che dormissi. –
− Mi stendo solo se ti stendi anche tu. –
Mi stacco per guardarlo negli occhi.
− Non ho sonno, guarda che... −
− Puoi anche stare sveglio vicino a me, non credi? –
− Oh, se la metti così. –
Mi bacia la punta del naso prima di trascinarmi a terra, vicino a Tobio.
Se c'è un punto comodo in cui dormire, quello è sulla pelliccia di un lupo di quasi due metri, lo so. La loro pelliccia sembra ispida ma è piuttosto soffice, soprattutto se sono giovani, e poi tengono caldo come se fossero delle stufe.
Tooru si appoggia con la schiena contro il suo fianco, Tobio si sposta nel sonno e si accoccola di più contro di lui, che come quando era piccolo non ama chiedere contatto fisico ma ama riceverlo. Mi siedo vicino a lui, aspetto che si sistemi.
Invece di muoversi, però, mi guarda negli occhi.
− Che aspetti? –
− Che ti avvicini e ti metti come fai a casa. –
Mi diventa la faccia viola.
− Non posso... se siamo seduti. –
Vuole che mi metta con la faccia sul suo petto e, a dirla tutta, lo vorrei anch'io.
Vorrei farmi stringere e trattare come se fossi un bambino.
Fa spallucce.
− Metti la testa sulle mie gambe, allora. –
La testa sulle sue gambe?
La testa...
Mi avvicino strisciando il palmo aperto contro le foglie secche, trattengo il respiro come se stessi facendo qualcosa di pericoloso. Gli do le spalle, prima di abbassarmi lentamente sul suo grembo.
Non credo... non credo di essermi mai messo in questa posizione con qualcuno. È carino, è piacevole, credo sia anche un po' romantico.
Sorride così affettuosamente quando mi guarda che mi sembra che tutte le mie preoccupazioni scompaiano, appoggia le dita sul mio viso con delicatezza, si china.
− Non stai meglio, così? –
Sì che sto meglio, quando mi tratti con dolcezza, quando mi coccoli. Sto così bene che non vorrei andarmene mai, sto così bene che rimarrei qui per sempre.
Mi fa effetto il pensiero che sto meglio ora che qualche ora fa su quel letto in quella locanda.
Stavamo facendo sesso, ed eppure sto meglio ora.
E non è perché ci sia qualcosa che non va con l'interazione sessuale, Tooru, no. È perché ci stiamo scambiando qualcosa di sano e qualcosa di onesto.
− Abbassa la testa. –
− Arrivo. –
Si sporge di più, catturo il viso con le mani, lo sposto perché sia nella posizione che voglio.
Stampo le mie labbra sulla sua fronte.
Non puoi mandar via quel che non va baciandogli la fronte, Hajime, lo sai? Lo so, lo so. Ma la mia gente, quella che ho ucciso e che mi ha rifiutato crescendo, quella che ho amato male come male so amare io, mi ha insegnato che è il massimo gesto di affetto.
Non sarò bravo con l'amore, Tooru, ma posso provarci.
E tu mi fai morire dalla voglia di provarci.
− Mi dispiace di aver fatto sesso con te. Mi dispiace davvero, non so come scusarmi. –
S'irrigidisce sotto le mie mani, ma non lo lascio andare.
− Cosa stai dicendo, Hajime? È normale che noi due facciamo sesso, non ti devi scusare. –
Respiro contro la sua fronte.
− Non è stato sano, Tooru. Non è sano usare il sesso per seppellire i problemi, non è sana la mia gelosia e non è sano il tuo odio per te stesso. –
Rimane in silenzio.
− Non avremmo dovuto farlo. Non so chi ti abbia detto che è quello il modo per sentirti meglio, ma era una stronzata. Avremmo dovuto... parlarne. –
Non dà cenno di voler dire niente.
Ho un po' paura, ce l'ho, perché mi sto esponendo, ma dall'altra sono felice di averlo fatto per qualcuno che se lo merita davvero.
Premo una terza volta le labbra sulla sua fronte.
− Per cui mi dispiace, di aver fatto sesso con te. Mi dispiace di averti strappato di vestiti, mi dispiace di averti parlato di morte e teste mozzate mentre stavi male, mi dispiace di averti spaventato. –
Il suo viso si piega contro il mio.
− È la prima volta che qualcuno si scusa per aver fatto sesso con me, mi è nuova, questa. –
Rido appena.
− Non mi hai spaventato, comunque. Certo, forse sarebbe stato meglio se avessimo fatto qualcos'altro, ma non ho avuto paura di te. –
− Non voglio che tu debba averne mai, Tooru. –
Non voglio essere minaccioso o fare gli stessi errori che ho fatto in passato perché voglio che tu rimanga, e se nulla è rimasto nella mia vita immagino sia stata anche colpa mia.
− Vorrei fare le cose giuste, con te. – mormoro appena.
− Le cose giuste? –
− Le cose giuste, che so, quelle che fanno le coppie. Tipo cenare insieme, credo. –
Si stacca quanto basta perché riesca ad intravedere la forma dei suoi occhi, brillano. Sorride con quel sorriso che mi fa venire le ginocchia molli e le farfalle nello stomaco.
− Tu non sei molto pratico di relazioni, Hajime, non è vero? –
Scuoto la testa.
− Non proprio, ma sicuro so farlo meglio di te, Elfo. –
− Io sono bravissimo nelle relazioni, Iwa-chan. –
− Bravissimo il culo, sei disastroso, te l'ha mai detto nessuno che sei irritan... −
Non finisco la frase che le sue labbra sono sulle mie, morbide e sottili e dolci come al solito. Soffoca una risata nel bacio, che esce appena dalla sua gola verso la mia.
Non mi faccio prendere dall'emozione e rimango a baciarlo con calma nella notte che ci circonda.
È un po' strano, col suo viso ad un'angolazione diversa rispetto al mio, con le braccia che rimangono inermi lungo i fianchi e le sue mani che mi tengono il viso, ma è piacevole.
− Non ho la minima idea di come si faccia funzionare una relazione, è vero, siamo due coglioni. Ma in modo o nell'altro possiamo inventarci qualcosa, no? – è quel che dice quando si stacca.
− Possiamo, possiamo. –
− Esatto. –
Sento i polpastrelli appoggiarsi sulla mia fronte e disegnare il tratto delle sopracciglia, il lato degli occhi.
− Le persone che stanno insieme cosa fanno di solito? Si fanno i regali, magari? –
Fulmine a ciel sereno, ecco cosa mi stavo dimenticando.
− Oh, merda, hai ragione, Elfo! Prendimi la borsa, spicciati. –
− La bor... −
− La borsa, cazzo, dai che è lì. –
Vedo confusione nel suo volto, ma obbedisce e si sporge, tirandomi la borsa addosso.
So perfettamente dove ho messo il sacchettino delle monete, e mi tremano un po' le mani, mi batte il cuore. Non credo di aver mai fatto un regalo a nessuno, e inizio ora a chiedermi per quale motivo.
È piacevole, quest'ansia di voler sapere se piacerà o meno.
È piacevole lo sguardo confuso che ha, è piacevole un po' tutto.
Apro il sacchetto con le dita, pesco il bracciale e lo tiro fuori con calma, sperando che non si sia rovinato nella fretta.
Non si è rovinato, no.
È sempre lo stesso.
− Lo so che sembra una stronzata ma ho pensato che visto che ti piacciono tanto i gioielli magari... c'erano tante bancarelle e lo so che non è bello come le cose che tu compri di solito, ma... −
Silenzio.
Silenzio?
Distolgo lo sguardo dal braccialetto che stavo squadrando e Tooru ha...
Gli occhi lucidi.
No, non piangere, Elfo. Sei un frignone, piangi sempre, mi piaci molto di più quando sorridi, e vederti piangere mi manda nel panico.
− Mi hai comprato un regalo, Hajime? –
− Io... sì, credo di averti comprato un regalo. –
Grandi, i tuoi occhi, così grandi, così espressivi. Non si vede bene che cosa sia l'oggetto che tengo in mano, non se ne vede il colore e la fattura, ma la soddisfazione, la felicità su Tooru le riconosco bene.
Mi fa sentire così bene, l'idea che sia perché il regalo gliel'ho fatto io, quel viso, e non per il regalo in sé.
− Non è niente di che, è solo ferro e vetro colorato. Niente di prezioso. –
Ha le dita incerte quando le toglie dal mio viso per prendere l'oggettino che ho fra le mani.
− Non si vede di che colore è. – borbotta, portandolo vicino agli occhi per guardarlo meglio.
− Rosso, mi piace il rosso su di te. –
− Ti piace il rosso su di me? –
Sì, lo sai che mi piace. Mi piace perché ti fa sembrare... forte e potente e eccitante e tutte le altre cose che piacciono tanto ad un uomo sulla persona con cui sta.
− Ti sta bene. –
− E io che pensavo mi spegnesse l'incarnato. –
Studia i dettagli con attenzione. So che non è perfettamente realizzato, so che non è niente di che, ma sorride sempre di più, sorride.
− È il regalo più bello che mi abbiano mai fatto, Hajime, e considera che mio padre all'ultimo compleanno mi ha regalato un castello. – confessa, facendo sorridere me, questa volta.
− Lo pensi davvero? –
− Non lo penso, Hajime, lo so. È... bellissimo. Mi sento felice che nemmeno lo immagini. –
− Credo di poterlo immaginare, Tooru. –
Credo di poterlo fare, sì, perché sorridi. Credo di poter immaginare la tua gioia perché è quella che provo io quando ti guardo sorridere, e ora stai sorridendo, e il mio petto è pieno zeppo di cose piacevoli.
Tiro su una mano.
− Devi metterlo qui, ha detto la signora. – chiarisco, indicando con le dita il suo braccio.
È assordante, il silenzio della notte, quando lo vedo incastrare il bracciale sul suo bicipite. È un po' largo, ma credo di poterlo stringere con le mani.
Sistemo la stretta su di lui, ma prima di farlo, mi concedo la pazienza di chiedere.
− Posso? –
− Mh-mh, certo. –
Faccio attenzione, così tanta attenzione, a non strizzare la sua pelle fra le dita.
Non sento versi di fastidio, non sento lamentele e tolgo la mano.
Gli sta... bene, credo. Ne ha tanti, ne mette tanti, di bracciali in questo punto del corpo, e credo che ce ne siano parecchi nella sua collezione ben più costosi e raffinati di questo.
Però...
− Non so come ringraziarti, Hajime, davvero. –
− Non c'è bisogno. –
Sbatte le ciglia nel buio, i suoi occhi catturano la luce della luna.
− Accetta i ringraziamenti, quando te li fanno. – mi sgrida.
Chiudo la bocca e cerco di non sorridere, ma non so quanto il mio tentativo riesca.
− Grazie del regalo, grazie di aver pensato a me. – mormora.
Vorrei rispondere, ma prende fiato e decido di lasciarlo parlare.
Ha le dita fredde ma delicate fra i miei capelli, quando inizia a passarle fra le ciocche corte e sorride.
− Grazie di avermi salvato, di averci salvato. Grazie di aver fatto quello che ti chiedevo, anche se è stato sbagliato. Grazie di aver pensato come essere migliore, grazie di esserti reso conto anche per me che non abbiamo reagito bene. –
Giro il viso contro la sua pancia come per nascondere la mia espressione.
Mi... fa scattare qualcosa, quest'Elfo.
Qualcosa che fa paura persino a me.
− Grazie di avermi chiesto scusa anche se non ce n'era bisogno, anzi, grazie di aver sentito il bisogno di farlo. –
Chiudo forte gli occhi per evitare di affrettare parole che potrei dire e sarebbero vere ma che non è il momento giusto di buttare fuori.
Ferma le mani sul mio capo, stringe più saldamente, mi gira.
Non faccio resistenza, quando mi costringe a guardarlo negli occhi.
Si abbassa un'altra volta, Tooru, con una lentezza e una calma quasi solenni, chiude gli occhi grandi e sorride.
Io, prima che lui arrivasse, ho baciato sulla fronte solo tre persone. Tobio, che era qualcuno verso cui mi sentivo in colpa per la famiglia che gli avevo tolto, mia madre, che è stata l'amore per me durante i primi anni della mia vita, e il mio vecchio migliore amico, di cui mi fidavo più di chiunque altro.
Dall'altra, solo la mia mamma mi baciava sulla fronte, quand'ero piccolo.
E pensavo fosse la forma più pura di amore, quella che mi dava. Non era come quello che sto costruendo con Tooru, era completamente diverso, ma era forte e destabilizzante.
Se mi avessero chiesto, un mese fa, se mai avrei voluto farmi baciare sulla fronte da qualcuno, avrei detto "no". Ma non perché io sia aggressivo, non perché mi faccia schifo l'amore o altre cose che penso perché ho un carattere ruvido, no. Perché non credevo di meritarlo, perché non credevo che mai qualcuno avrebbe voluto farlo nel senso in cui lo intendevo io.
Mi sembra che il mondo si fermi, quando Tooru appoggia le labbra poco sopra lo spazio fra le mie sopracciglia.
Mi sembra che il mio cuore perda un battito, che mi manchi la terra sotto i piedi, mi sembra di cadere nel vuoto.
Io...
− Grazie, Hajime. – sussurra contro la mia pelle.
Io...
Mi viene da... piangere? Io non piango, mai. Io non ho pianto quando ho visto il cadavere di mia madre, non ho pianto quando il mio migliore amico mi ha attaccato e abbandonato dandomi del folle psicopatico. Io non piango da quando avevo dodici anni e sono dovuto scappare di casa per sopravvivere.
Ma ora...
Non le verso, le lacrime, ma sento l'impulso, chiaro, netto e nitido.
Credevo che sarei diventato una persona più completa quando avrei baciato sulla fronte qualcuno che mi piaceva tanto, ma non è questa, la verità.
Sono diventato una persona più completa ora, che ho lasciato che qualcuno lo facesse.
Non è proteggere tutti, l'essenza della felicità.
È permettere a chi ami di proteggerti.
Sento le mie braccia muoversi da sole quando mi giro sul fianco, avvolgo la vita di Tooru e lo stringo forte, schiacciando il viso sulla sua pancia un'altra volta.
Non odiarti, non piangere mai più perché pensi di non essere niente, non rifiutare la paura che provi e la rabbia, Tooru.
Perché sei speciale, sei così speciale, per me.
Non capisco come tu non riesca a vederti come ti vedo io.
Vorrei però che lo facessi, piccolo Elfo irritante.
− Possiamo prometterci una cosa, Tooru? – borbotto contro i suoi vestiti.
− A meno che non sia di vestirci di beige per tutto il resto della vita, certo. –
Rido addosso a lui.
− Possiamo prometterci che non faremo mai più sesso se c'è qualcosa che non va ma prima cercheremo di risolverlo insieme? –
− Ti ha dato così fastidio, questa cosa? –
Dita fredde contro il retro del mio collo. Mi fa rabbrividire per un attimo, il gesto, ma poi mi sembra di sciogliermi come neve al sole.
− Sì. Perché tu sei un Elfo scemo che quando sta male cerca la gente per tirarsi su il morale, ma io non sono "la gente" e vorrei che non mi allontanassi. –
− Ti sei sentito allontanato? –
Mi ci sono sentito?
Lì per lì no, ma ero preso anch'io dalla violenza di qualcosa di sbagliato.
Ma quando ho ripreso coscienza, direi proprio di sì.
− Mi sono sentito allontanato, Elfo, sì. Perché avremmo potuto confrontarci su quello che era successo e discuterne e invece col sesso abbiamo completamente evitato la conversazione. –
− Ah, non l'avevo mai vista così. –
Avresti dovuto, perché è la verità. La verità è che sembra che tutti ti stiano vicini, ma li spingi via quando si tratta di aprirti, è il tuo modo di difenderti.
Non vorrei che ti difendessi da me.
− Allora va bene, te lo prometto. –
− Te lo prometto anch'io. –
− Bene. –
− Perfetto. –
Finisco le parole, mi sembra per un attimo che le abbia finite anche lui.
Ma l'Elfo non le finisce, le parole, no. Lui ne ha così tante in testa che credo sia per lui obiettivamente impossibile stare zitto.
− E quindi il piccolo Hajime è rimasto imbronciato tutto il pomeriggio perché si è sentito escluso? Per Yggdrasill, sei davvero un cucciolo, tu. –
− Come mi hai chiamato? –
Ride, rido anch'io a staccarmi per guardarlo nell'espressione più offesa che il mio volto mi permette di fare.
− Credevo che avessi mal di pancia, che so, che avessi mal di schiena perché sei vecchio e fare tutte quelle acrobazie ti avesse distrutto. –
− Io non sono vecchio! –
Infila la lingua in mezzo ai denti.
− Sei un padre di famiglia, Iwa-chan, sei secolare. –
− Guarda che ho solo... −
− Mi sono anche sentito male, sai, pensavo di averti ucciso. Già è tanto che tu non abbia avuto un attacco di cuore mentre lo facevamo, sai. –
Afferro la parte davanti della sua – mia – camicia con la mano, lo spingo verso il basso, lo bacio come per zittirlo.
All'inizio fa un po' di resistenza, ma dopo un attimo cede e si lascia baciare.
− La prossima volta che ricapita te lo faccio vedere, chi è vecchio, Elfo. –
− Devo prenderla come una promessa anche questa? –
− Non è una promessa, è una predizione. –
Tira su gli angoli della bocca e le sue iridi ballano per specchiarsi nelle mie.
Sembra perdersi nei suoi stessi pensieri per un istante. Mi fissa come se mi studiasse, come se volesse scoprire e svelare ogni angolo di me.
− Non ringrazierò mai abbastanza la divinità che mi ha fatto scappare quel giorno, Hajime. –
Sento le mie guance scaldarsi.
Mi tocca il viso, le spalle, il collo con le dita sottili, mi squadra con così tanta attenzione.
− Non ringrazierò mai abbastanza la divinità che mi ha dato te. –
Sorrido anch'io, nella notte.
Sorrido anch'io nel silenzio completo della solitudine e nel buio, perché anche se la luce non c'è, io la vedo lo stesso. La vedo nel viso di qualcuno che non credevo avrei mai adorato così tanto.
− Tu sei così speciale, Tooru, così speciale. –
− Credo di esserlo solo quando mi guardi. –
Indietreggia con la schiena, si stende meglio sul ventre di Tobio completamente immerso nel sonno, guarda il cielo notturno per un istante prima di chiudere gli occhi.
− Ma la sai una cosa, Hajime? –
− Dimmi. –
− Credo che vada bene così. −
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➥✱"shònraichte" in gaelico significa "speciale"
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