𝗳𝗮𝗶𝗹𝗹𝗲𝗮𝗱𝗵
➥✱ SMUT alert
(l'ho riletto cinque minuti fa ma non dormo da due giorni, quindi mi scuso per eventuali errori. se li beccate fatemeli notare che io non sono nelle condizioni di riguardarli)
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Se l'insicurezza è sempre stata la mia croce, i chiodi che mi ci hanno tenuto attaccato, sono sempre stati la delusione.
Se la sensazione di non essere abbastanza è ciò che ha distrutto e creato in me crepe così profonde da sembrare fossi interminabili, la pala che ha tirato su la terra per seppellirmi vivo, è lo sguardo disilluso di chi da te si aspettava di meglio.
Se sei deludente, gli altri si stancano di te.
Facile, no? Mi sembra facile, da capire, mi sembra un concetto semplice.
E quindi che fai? Fai finta, metti su una bella messinscena, leggi, cerchi, capisci.
Che cos'è che vogliono sentirsi dire, gli altri, per pensare di te che sei il migliore?
Che cos'è che devi fare?
Devi fingere finché la bugia non sarà così abituale nella tua mente da sembrarti verità.
Fai finta.
Ho sempre fatto finta.
Ho fatto finta una vita intera.
Sono così pochi, diciannove anni, per un mondo che vede creature millenarie, non è vero? Ed eppure mi sembra così reale, così tangibile un dolore che mi sembra avermi invecchiato, avermi fatto avvizzire.
Non credevo forse di star bene, a palazzo?
Ricordo di essermi sentito bello, forte, mentre camminavo fra i corridoi di vetro.
Ora, invece, ora mi sento incredibilmente debole.
Ma quanto è grande la differenza che sento nel petto, all'idea che non sono fuori a fingere chi non sono ma dentro a mostrare la realtà a qualcuno che per me ha importanza.
Un guscio vuoto.
Sono sempre stato un guscio vuoto, o meglio, un guscio svuotato, che se avessi lasciato qualcosa là dentro, sarebbe stato peggio.
Sono sempre stato così superficiale, così inutile.
Un bel soprammobile.
Sorridi, Tooru, piega la testa, inarca la schiena, muovi le mani, passati la lingua sulle labbra. Allunga il braccio, intreccia le dita, di' il nome di qualcuno che non conosci, stringi le cosce, lascia sfarfallare le ciglia.
E poi quand'ero da solo, quando il motivo stesso della mia esistenza, lo sguardo altrui, veniva meno, quando gli altri non c'erano, io, cos'ero?
A guardare il soffitto in un letto lussuoso, ascoltando il rumore del mio respiro.
Che cosa c'era, in me?
C'era...
Non c'era niente.
Mi giravo di lato, chiudevo gli occhi, neppure piangevo che le lacrime sono per i vivi, non per i morti come lo ero io, aspettavo che il sonno arrivasse.
Sono sempre stato bravo a nascondere le cose.
Agli altri, era così facile. Bastava controllare il proprio viso un attimo, il movimento del corpo, il tono della voce. Manipolarsi per manipolare, non è forse questa l'essenza di avere sempre il controllo?
Ma nascondere le cose a me stesso, è sempre stato il vero talento.
Intessere un arazzo di menzogne e interpretazioni che sapevo non essere veritiere per ferirmi il meno possibile, questo ho fatto per diciannove anni.
Non è mai quel che le persone mi fanno, a ferirmi, è il momento stesso in cui devastano le mie bugie. Non m'importa se mi dicono che sono una puttana per accordi politici, che sono inutile, mi distrugge l'istante in cui calano la lama sui miei fili e mostrano un lato di me che coprivo con fatica.
Iwaizumi, in questo, è la persona più violenta che abbia mai conosciuto.
Il mio corpo trema sul letto, la fronte preme contro le ginocchia.
Iwaizumi non è delicato, non è gentile, non è comprensivo o dolce. Iwaizumi tiene in mano una lama affilata e squarcia i disegni un colpo alla volta, il rumore del tessuto che si rompe attorno a lui, le immagini che scompaiono una per una.
A lui non frega un cazzo che ci sia tutta un'impalcatura di una vita nascosta dietro di me, a lui non importa della fatica che ho fatto, non del dolore che ho nascosto.
Le parole che ha appena detto risuonano nella stanza, e c'è in loro qualcosa di così esplicativo, così descrittivo della persona che è.
Qualunque altra persona, qualunque, a sentire quel che avevo chiesto, avrebbe risposto che non facevo schifo. Avrebbe risposto che un errore non mi rendeva uno schifo, che non avrei dovuto parlare così di me stesso.
Iwaizumi no.
Lui lo sa, che faccio schifo.
Ed eppure...
"Questo è il momento in cui capisco quanto schifo fai e imparo ad amare anche quello."
Faccio schifo.
Ma non importa.
Tu sei così reale, Hajime, sei così vero, così diretto. Tu guardi le cose in faccia e se ci sono ragnatele che coprono la verità le distruggi con le tue stesse mani, tu non hai paura di guardare le cose come sono davvero.
La cosa che più mi stupisce, di tutto questo, è che tu sia qui.
Che cosa ci fai qui?
Mi sembra che tu capisca, dal modo in cui mi hai guardato, mi sembrava che avessi capito.
Perché sei ancora qui?
Ci sono persone da proteggere, vite da salvare, ci sono la tua solitudine e la tua sicurezza che camminano sul bordo di un baratro al quale le ho avvicinate io.
E allora che ci fai qui?
Perché hai usato la parola "amare"?
Vorrei poter dire che menti, che lo dici tanto per, nascondermi dietro un'ennesima immagine, ma non credo di poterlo fare.
Devo... alzarmi e guardare in faccia la realtà.
Posso trovarla ingiusta, posso pensare che sia scorretta.
Ma è così.
Si sporge di più verso di me, seduto sul letto, non dice una parola ma alza una mano dalla mia parte, come se si aspettasse di essere fermato.
Non lo fermo, quando la appoggia sul mio ginocchio e stringe piano.
Calda, la tua pelle, calda e affettuosa, dolce, così dolce.
Non credevo che sarei mai uscito dalla mia impalcatura di menzogne, Hajime, credevo che sarebbe diventata così grande, così imponente da cadermi addosso e soffocarmi.
Non credevo di avere alcun bisogno di tirarla via, che tanto era l'unica cosa che mi rimaneva, per non vedere le persone deluse, deluse da me, deluse per me.
Perché tu non sei deluso?
Perché non mi guardi e pensi che sono solo il solito coglione che fa casino? Perché non mi dici che da me non ti aspettavi nient'altro? Perché non mi dici che ti ho tradito?
Perché sei qui a sorridere?
Perché non mi stai facendo male?
Perché, Hajime, perché non stai alzando la mano verso di me, perché non mi stai guardando con gli occhi spenti, perché, perché...
Si muove per avvicinarsi e nel momento stesso in cui lo fa, il mio corpo reagisce da solo e si muove tutto insieme indietro.
Hajime si blocca.
− Tooru? –
Scusa, scusa, non volevo, io...
Le mie braccia si chiudono più violentemente addosso al mio corpo, le gambe iniziano a tremare, sento le lacrime ricominciare a scendermi sul viso una dopo l'altra.
Non volevo, Hajime, non volevo. Ho fatto una stronzata, sono stato un cretino, mi sono sentito insicuro e ho provato a mettermi in mostra perché è la cosa che so fare meglio, ma non volevo.
Ripete lo stesso movimento, si sporge verso di me.
Prima che il mio cervello elabori, prima che risponda, le mie gambe mi spingono indietro, verso la testata del letto.
Il mio corpo sta...
− Tooru, che cosa stai facendo? –
Il mio corpo sta scappando.
Ci sono cose di me, di cui non parlo. Paradossalmente l'idea dell'essere stato nulla più di una troia per tanti anni, è l'aspetto che di quello che ho vissuto mi turba di meno.
C'è il resto.
E il resto...
Stringo forte le braccia sopra la testa, il mento scende giù, inizio a singhiozzare.
Perché non fai nulla, Hajime? Quanto vuoi farmi aspettare, quanto? Fai quel che devi fare, fallo e basta.
Fallo, fallo e io...
− Fai piano, per favore, fai... −
− Fare piano cosa, Elfo? –
Potrei fare così tante cose, capirne altrettante. Potrei cercare di essere logico e vedere chiaramente che lui non mi farà niente, potrei difendermi da qualcosa che potrebbe arrivare, ma non faccio nulla di tutto questo.
È come la memoria muscolare.
È qualcosa che sta dentro di te, si siede in un angolino e si fa i cazzi suoi finché qualcuno non va a ripescarla. È qualcosa che certe volte si alza, ti cammina dentro e si mette in mezzo alla tua testa, senza che tu possa farci niente.
Vorrei reagire in modo diverso, vorrei.
Ma non posso.
Non ne sono in grado.
Io so come fare questo, so reagire a questo.
Piccolo, Tooru, più piccolo, devi essere più piccolo, più indifeso, più inerme. Quando ti fa del male è più soddisfatto se soffri, vuole che tu soffra, quindi fai finta, fai finta che faccia più male di quanto non sia, così smette prima.
Non dire una parola, non fiatare, non chiedere aiuto.
Non gli piace quando chiedi aiuto.
"Chi verrà ad aiutarti, Tooru?", è quel che dice sempre. Chi, in effetti, chi? Nessuno, che a nessuno importa, che è quel che ti meriti perché sei deludente.
Io...
No, cazzo, non è vero, non è vero.
I pensieri iniziano a soccombere gli uni sugli altri nella mia testa, iniziano a lottare e spingersi in basso l'uno con l'altro.
C'è qualcuno che viene a salvarmi.
Lui...
Lui ci viene, lui ha detto che ci viene, a lui importa, lui non è deluso, lui...
− Tooru, mi stai spaventando. Che cosa c'è? –
Lui ha la voce ruvida ma calda, lui ha le mani gentili nonostante le cicatrici che ci porta sopra, lui ha dato morte ma profuma di vita quando mi parla, lui è buono.
− Hajime, tu... −
− Io...? –
Non si lascia rifiutare, quando si avvicina, questa volta.
Il mio corpo lo rifugge istintivamente, ma lui non si fa intimidire, si avvicina e mette le mani sulle mie braccia che mi coprono, le dita delicate, il contatto appena accennato.
− Tu mi salveresti, se qualcuno mi facesse del male? – esce dalle mie labbra.
Rispondimi, dimmi, dimmelo. Lo voglio sapere, ho bisogno che la mia testa stia zitta, ho bisogno che vinca tu un'altra volta, ho bisogno di... un punto di riferimento.
− Mi stai chiedendo se... −
− A te importa di me, vero? Se qualcuno mi facesse male, se qualcuno... −
Apre le dita, le spalanca sulla mia pelle chiara, le lascia scorrere fino alle spalle scoperte. È lento, il movimento, lento e misurato, calmo. Cerca di farmi sentire e vedere che cosa vuole fare, perché faccia in tempo a fermarlo.
Tremo, io, tremo e mi scuoto e sento il respiro che mi salta nel petto come se non trovasse pace.
− Mi stai facendo una domanda idiota, Elfo. – dice dopo qualche istante, la voce pacata, calma, un po' rigida.
Una domanda...
Perché è una domanda idiota per te? Perché è scontato che sia così, perché dai come assodato il volermi proteggere, perché pensi che io sia importante, perché, perché...
− Ma se vuoi che te lo ripeta un'altra volta lo faccio. –
− Fallo, per favore. –
Continua ad accarezzarmi le braccia, le spalle. Infila le dita sotto al collo, spinge il mento verso l'alto.
− Guardami. –
− Prima... −
− Guardami in faccia, Tooru. –
Mi s'interrompe il respiro nel petto, il cuore batte sempre più forte.
Perché, Hajime, perché? Perché sei qui seduto sul bordo del letto a chiedermi di guardarti quando potresti essere in qualunque altro posto con qualunque altra persona migliore di me, più meritevole, più giusta per te?
Tiro su la testa.
Apro gli occhi.
Oh, Hajime, quanto sei bello, Hajime. Sei bello, sei forte, sei qualcuno che ispira istintivamente rispetto. Non so cosa tu ci faccia con me, non so perché tu sia qui.
Sono così felice, però, così felice. Distrutto da me stesso e terrorizzato da un ricordo che non so perché si sia svegliato, ma felice di poter vivere tutto questo con te.
Sono un fallito, sono inutile, lo sappiamo entrambi.
Ma mi va bene esserlo, se posso esserlo con te. Riesco a dormire senza sentirmi vuoto, riesco a dirmi che anche se non valgo niente va bene lo stesso, riesco a sopportare meglio.
Riesco a guardare in faccia la realtà che alla fine sono solo un impostore.
Tutta la vita, solo un impostore.
"Sono nato per essere un principe", cazzo, ma non è forse la più grande delle bugie? Sono nato in mezzo alla polvere, non ho la magia, non ho niente, non sono niente.
Ma mi va bene, essere niente, se posso esserlo con te.
Hajime si china, si piega piano verso il mio viso, le sue labbra sanno del sale delle mie lacrime quando le preme sulle mie.
− Tu sei molto più di importante per me, Tooru. Sei... dolce, sei divertente, sei vivace, mi fai venir voglia di aprire gli occhi la mattina e guardarti sorridere. –
Mi sembra che il mio cuore si fermi.
− Mi ha fatto arrabbiare quello che hai fatto, non ne capisco il motivo, penso che tu sia stato infantile e sconsiderato, pure un po' scemo. –
Non sei... non sei cattivo, quando lo dici, e usi parole oneste, non gratuitamente cattive. Non dici "deludente", perché non lo dici?
− Riguardo all'altra cosa, Tooru, se qualcuno ti facesse male non ci sarebbe bisogno di salvarti, perché lo farei sparire dalla faccia della Terra conosciuta. –
Muove il pollice sul mio viso, sul lato della mia mascella.
Mi guarda con dolcezza, ma quella dolcezza si raffredda un attimo alla volta, diventa di ghiaccio. Ha lo stesso sguardo maniacale, freddo e pungente che aveva quando...
Quando ha ammazzato quel mercante.
La sua mano stringe appena di più sulla mia pelle.
− Ora vorrei farti una domanda io, se permetti. –
Deglutisco, non rispondo.
− La reazione che hai appena avuto è quello che penso? –
La reazione che...
Intende... intende me che tremo, me che mi scosto, me che indietreggio sul letto ad ogni suo movimento, no? Intende il terrore, il pianto, cercare di proteggermi.
Annuisco.
− Pensavi che ti avrei fatto del male? –
− No, no, io... −
− Non ti devi scusare, dimmi solo la verità. –
Non voglio che pensi che io abbia paura di lui. Non ho paura di lui, paradossalmente, no. È l'unica persona che mi faccia sentire al sicuro, nonostante sia la più letale.
− Ho avuto paura di averti deluso. –
− E anche l'avessi fatto? Sarebbe stato un motivo per farti del male, Tooru? –
Sento le mie ciglia riempirsi di nuove lacrime che scendono verso il basso.
− Non lo è? –
Mascella serrata, occhi color del bosco che si fissano su di me.
Si china un'altra volta, le labbra si fermano a pochissimi centimetri dalle mie.
− Chi è stato? –
− Io... −
− Non voglio costringerti a dirlo, ma vorrei davvero che lo facessi. Pensi di potermi fare questo favore? –
Sembra un'altra persona, quando succede questo. Vedo il soldato, vedo il sanguinario distruttore di vita, vedo il terrore.
Ed eppure forse è sbagliato, forse è malato, ma...
− Non posso lasciare in vita le persone che ti hanno fatto questo, che ti hanno fatto sentire così, lo capisci? Tu mi sembri così... sofferente, Tooru. –
Sento gli angoli della mia bocca alzarsi in un sorriso rassegnato.
− Lo sono perché ho fatto un casino e mi sento una merda, non per colpa dei traumi del passato. –
− Hai avuto paura di me per colpa loro, e per me è la cosa più grave, ora. –
Unisce l'altra mano a quella già sul mio viso, appoggia le dita sulle mie guance, le muove per accarezzarmi piano.
− Ti porterò le loro teste e ti sentirai sempre al sicuro, Tooru. –
Sorridere e parlare di tagliare teste, è una combinazione che ha qualcosa di fortemente inquietante, ma ugualmente bello. Come il sangue, di quel genere di bellezza violenta e sfacciata che arriva più diretta di qualsiasi altra.
− Vorrei che tagliassi la mia, in certi momenti. –
Scuote il capo, sembra preoccuparsi.
− No, no, non dire così. Non lo farei mai, mai. Poi cosa farei se tu non ci fossi? –
− Vivresti una vita tranquilla e serena come hai cercato di fare negli ultimi dieci anni. –
Non è quello che hai sempre voluto? Startene tranquillo e vivere per te stesso, senza dover dipendere da nessuno, senza fare del male, senza finire in affari che non ti riguardavano?
Ti faccio fare cose che odi, Hajime, non lo vedi?
Tu...
− Non voglio che tu viva di nuovo con tutta quella rabbia che hai provato per tanto tempo. – aggiungo, singhiozzando appena.
Sorride, ma solo con le labbra.
Ha gli occhi freddi, freddissimi, ghiaccio scuro che cala su di me.
− E cosa di questo dovrebbe essere colpa tua, Tooru? –
− Se io non fossi entrato nel Bosco, se... −
− Sei entrato nel Bosco perché volevi? Sei entrato nel Bosco perché hai deciso di farlo, per incontrare me? L'hai fatto per scappare, come ti hanno costretto a fare le persone che ti hanno ferito. –
Mi tremano le mani, le gambe, il petto.
Non sembra dar segno di voler mollare la presa, in ogni caso.
− L'unica colpa che hai, e non è una colpa ma un merito, è quella di avermi dato qualcosa da proteggere. –
Da proteggere?
Come, Hajime, come puoi dirlo? Come puoi dirlo se proteggermi ti ferisce e basta, come puoi dirlo quando ho visto il tuo viso, sentito il tuo corpo tendersi al racconto del male che non volevi più fare agli altri?
− Non mi sono mai pentito di aver ucciso il mercante, forse non sono stato chiaro sulla questione. Sono pentito di aver ucciso innocenti, donne, bambini e anziani. Ma la feccia che ho eliminato, la eliminerei daccapo se ne avessi l'occasione. –
Ha la voce fredda e affilata come una lama.
− Distruggerei questo mondo se servisse a farti sentire al sicuro, Tooru, lo farei. –
Si avvicina di nuovo, il suo viso al mio.
− Farai anche schifo, ma morirei per darti la possibilità di esserlo, perché non sono qui per costringerti ad essere sempre perfetto, ma per guardarti fare tutto quello che ti pare, che sia bello o meno. –
Faccio schifo? Lo dici, che faccio schifo, lo dici anche tu. E allora perché non mi getti via, perché non mi allontani, se faccio schifo?
− Faccio schifo anch'io, Tooru, ho le mani sporche del sangue di gente che non si meritava di essere uccisa, là fuori mi chiamano "Sterminatore", sono un egoista psicopatico che vorrebbe rinchiuderti in una stanza e non farti vedere a nessuno. –
− Mi piace lo schifo che fai, Hajime. –
− E allora perché è così difficile capire che vale lo stesso per me? –
Perché sono da buttar via, se non sono perfetto, Hajime. Perché ho passato l'infanzia a sentirmi dire questo, perché sono stato punito per i miei errori, bacchettato per le mancanze, picchiato per le sbavature.
Dovrei essere qui a rotolarmi nelle coperte ridendo, guardandoti sorridere.
Invece sto piangendo dopo aver messo in pericolo te e tuo figlio solo perché non sono riuscito a contenere lo schifo che faccio.
− I tuoi lati peggiori sono quelli che mi hanno portato ad essere qui con te, Tooru. Sono quelli che mi hanno fatto capire che mi volevi davvero, non potrei rifiutarli neppure se lo volessi, e non voglio farlo. –
I miei lati peggiori?
I miei...
− Mi piace il modo in cui ti lagni, mi piace il tono che prende la tua voce quando ti arrabbi. Mi piace che tu sia pigro perché amo fare le cose per te, mi piace che tu sia altezzoso, bisognoso, infantile. –
− Ti piace? –
Le sue dita si premono contro il mio zigomo.
− Mi fai sentire importante, mi fai sentire forte. –
Mi muore il fiato in gola, si piega in un rumore sottile e lamentoso.
− Hai questo vizio di pensare di poter avere tutto quello che vuoi solo perché sei bello, e ho sempre trovato questa cosa insopportabile negli altri. Ma in te... −
È diverso?
Non è superficiale, inutile, fallimentare, deludente?
− È eccitante. Vedere come ti comporti come se avessi il mondo in mano e poi pregare per un complimento l'attimo dopo. –
Eccitante?
Non sono più eccitante quando sto zitto, quando mi faccio guardare in silenzio?
Porto gli occhi sui suoi con più attenzione. Sono sempre freddi, ma non è forse vero che il ghiaccio brucia, quando lo tocchi? Che è così pungente nel gelo che ha da ustionarti?
− Io sono solo una messinscena. –
− Lo saresti se fossi perfetto, ma con me non lo sei stato un solo istante. Sei stato pessimo, petulante, fastidioso, Tooru. –
Le mie menzogne bruciano, le tratti senza un minimo di delicatezza. Le prendi a piene mani e le distruggi, le accendi e le fai scomparire.
Sei violento, nel cercare la verità, Hajime.
− Sei stato così imperfetto con me, Tooru, che non puoi convincermi di aver solo recitato una parte. Saresti un pessimo attore, e ho l'impressione che tu sia bravo a far finta di essere chi non sei, quando ci provi davvero. –
È vero, è vero, che sono bravo a fingere.
Ma la domanda rimane, rimane ed è grande e grossa che pende sopra le nostre teste.
− E allora perché sei ancora qui, se hai capito qual è il mio trucco? –
− Perché il vero Tooru è quello che mi piace di più. –
Le mie braccia scattano prima che possa farlo la mia mente. Saltano in avanti e lo prendono forte dalle spalle, spingendolo verso di me.
Apro la bocca prima di schiantarla contro la sua, la apro e la apre anche lui.
Sai di...
Di qualcosa che mi spaventa da morire.
Sai del terrore di averti mostrato la parte più vulnerabile di me, sai della violenza di averla messa al centro senza timore di toccarla, sai di dolore passato che sei disposto a vendicare per me.
Hajime, sai di tutte le cose sbagliate di questo mondo, di quelle che fanno schifo.
Ma non mi spaventa, fare schifo, se tu mi guardi farlo con quegli occhi che non sembrano volermi lasciare mai.
− Ho fatto il coglione perché ero geloso della figlia della locandiera. –
− Come sapevi che... −
− Sua madre continuava a parlare di te come se fossi un suo spasimante e non ho retto. –
Ride appena, il suo petto vibra contro il mio.
Apro le gambe contro di lui per accoglierlo su di me, lo stringo forte mentre osservo il suo viso raggiungere il mio.
− Volevi dimostrare che non c'è competizione, Tooru? –
− Volevo che pensasse che fossi migliore di lei, anche se non mi ci sentivo per niente. –
Piega un angolo della bocca, inclina la testa.
− Oh, e come mai? –
− Lei è meglio, per te. È pratica, si vede che lo è, è seria e non superficiale come me. –
Passa le labbra sulle mie, scuote la testa.
− E che me ne dovrei fare, io? –
− In che senso? –
Ride un'altra volta, sempre nello stesso modo delicato e basso. Vorrei guardarlo negli occhi ma ho le pupille fisse sulla sua bocca che si avvicina ed allontana dalla mia.
− Che ci faccio con qualcuno che non posso custodire, proteggere e tenere per me? Che ci faccio con qualcuno che non cerca di entrarmi nella testa e fare piazza pulita di tutto? –
La punta del suo naso si appoggia contro la mia.
− Lei sarebbe più facile da tenere a bada, Hajime. –
− E chi l'ha detto che voglio qualcuno da tenere a bada facilmente? –
Le mie cosce si aprono di più, il suo corpo si abbassa più sul mio.
− Credevo che mi piacesse quel tipo di persona prima che arrivassi tu, Tooru. Ma come potrei tornare indietro dopo averti incontrato? –
− Io non sono mica... −
− No, non sei perfetto, non in generale. Ma sei perfetto per me. –
Perfetto per...
No, non ci avevo mai pensato.
Pensavo che la perfezione, quella che volevo, quella a cui aspiravo e che bramavo come l'aria, fosse qualcosa che avrebbero visto tutti, che tutti mi avrebbero riconosciuto.
Ma non avevo mai preso in considerazione che forse potesse non essere così.
Che potesse avere l'aspetto che ha il tuo viso, invece di un qualcosa che era mio e basta.
− Ti ho detto che sei mio, quando ci siamo fatti il bagno qualche giorno fa. Ma che tu sia mio implica che sono tuo, ricordatelo. –
Mi sento avvampare.
− Tu sei... mio? –
− Mmh, assolutamente sì. –
Apro di nuovo le labbra e lo stringo forte con le braccia dietro al suo collo, quando mi spingo un'altra volta verso di lui.
Mio?
Io non ho mai avuto niente, Hajime, non sono mai stato niente.
Ma se avessi te e se fossi tuo, non cambierebbe completamente tutto?
− Poi, anche se non è questa la caratteristica principale, sul versante aspetto fisico non hai rivali, e lo sai bene. –
− Pensi che sia più bello di chiunque altro? –
Ride una terza volta, mentre sento le sue labbra aprirsi una volta ancora, la sua lingua intrecciarsi alla mia.
− Devo ripetertelo ancora? Che sarà, la millesima volta? –
− Fai mille e uno. –
Scende con le mani dalle mie spalle ai miei fianchi.
− Sei la cosa più bella che abbia mai visto, Tooru, la più bella di tutte. –
− Grazie, Iwa-chan. –
Stringo le ginocchia sulla parte bassa della sua schiena, lo tiro giù.
Voglio che tu mi schiacci e comprimi col tuo peso sul mio, Hajime, che tu mi faccia mancare il fiato e che mi ricopra completamente.
Perché sei mio, e voglio averti sempre.
No?
− Non c'è competizione, non devi nemmeno pensarlo. Ed è sia per quanto sei bello, sia per quanto sei... perfetto per me, Elfo. –
Di più, stringimi di più.
Mangiami e mandami giù, Hajime.
− Darei fuoco al mondo per te e non lo farei per nessun altro. –
E brucialo, se vuoi bruciarlo. Fallo cadere in cenere, fallo scomparire finché non rimarrà niente attorno a noi, isolaci dalla realtà, non ti fermerò.
Perché per quanto non sia certo ancora di quel che sono e non creda in me stesso, per quanto so che il passo che devo compiere sia raccontare a me stesso una storia che ora attribuisco ad altri, ora ho comunque qualcosa.
Ho qualcosa, sono qualcosa.
Non parte da me, non finisce in me, la crescita è appena iniziata.
Non brillo da solo.
Ma Hajime, che mi faccia brillare tu è la sensazione più bella che abbia mai provato.
Sento le mie labbra aprirsi appena, il mio respiro uscire in un sospiro pacifico, quando nel silenzio di tante cose che sono successe avvicino la bocca all'orecchio dell'unica persona di cui mi fidi per davvero.
− Hajime. –
− Dimmi, Tooru, dimmi. –
Prendo la pelle morbida del collo fra i denti, mordicchio appena, lo sento irrigidirsi sotto il mio contatto. I muscoli sono più tesi, la voce esce in un qualche improperio sbottato senza controllo, il cuore batte sul mio come un martello.
− Vuoi scoparmi, Hajime? –
Voglio...
Che metta lui stesso, con le sue mani, quel che ha dato a me nel mio corpo. Non è questo quel che fai ogni volta che mi parli, Hajime? Non è riempirmi di una dolcezza che vorrei meritare ma non sento di poter avere da solo?
− Sei... −
− Strappami questi cazzo di vestiti di dosso, Hajime. –
Silenzio tombale, silenzio.
Poi Hajime si scosta, mi prende le spalle fra le mani ed eccomi, con le spalle sul materasso, il viso premuto contro il cuscino, a sentirmi toccare ovunque.
La tristezza non si annienta col sesso, lo so anch'io, questo. Ma la mia non è tristezza, è solo la sensazione di essere tornato indietro all'inutilità che ero prima, al vuoto completo del me che non sa neppure quello che vuole.
Hajime è violento, è rude, è diretto.
Hajime è vero, e quel che voglio sentire ora, è quanto lo sia.
− Merda, se non ti ho detto quanto mi eccita sentirti fare l'autoritario. – borbotta mentre mi sento tirare su il bacino.
Rido contro il cuscino, mi rendo conto solo ora che ho smesso di piangere.
Ricomincerò a farlo, lo so, ma saranno lacrime diverse.
− Che cosa aspetti? –
− Niente, Tooru, niente. –
Dita che s'incastrano sul tessuto di seta, ma che non si premurano di perdere tempo con lacci e bottoncini. Fa quel che gli avevo chiesto, Hajime, prende e strappa, apre con la sola forza delle mani. Mi ha spaventato, prima, quando mi ha trascinato qui sotto rompendomi il vestito, ma ora apprezzo la plateale messa in mostra dei muscoli.
− Cazzo, quanto sei bello. –
− Stai parlando con il mio culo? –
L'aria sulla pelle è fredda, ma non mi fa tremare quella, quanto il modo in cui Hajime mi guarda che vedo piegando il viso.
Come se...
Merda, ma come ho fatto a pensare di non essere perfetto per te?
Tu mi guardi in un modo così bollente.
− Con le tue cosce. –
− Oh, perfetto. –
Si appoggia sul materasso, sento il suo viso avvicinarsi a me.
L'ha già fatto, non c'è bisogno che...
Morde una coscia, forte, fortissimo.
− Il dolore ti piace, Tooru, vero? –
− Lo adoro. –
− Non hai paura? –
Le ginocchia tremano quando le apre.
− Il male che mi fai tu è diverso. –
Sento l'aria fendersi per un movimento netto.
Quando la sua mano finisce su di me con uno schiocco, le iridi mi ruotano indietro, la mia voce si perde, si alza, rotola nell'aria.
− Diverso in che senso? –
Mani che scorrono, che prendono la mia vita sottile e la piegano ancora verso l'alto, denti che affondano sulla mia pelle.
− Mi fai riprendere qualcosa che credevo di aver perso. È come se lo rendessi bello, come se trasformassi ricordi brutti di cose che sono successe. –
Sorride contro la mia gamba, lo sento.
− Quando vuoi. –
− Ora, ora voglio. –
Ride ancora, lascia un altro paio di morsi, lecca i segni e stringe la pelle arrossata, prima di rialzarsi e guardarmi un'altra volta.
− Ci serve qualcosa per non farti male. –
Schiocco le dita col braccio che trema.
Sì, ho un canale magico anche per questo. È ridicolo? No, non lo è, è dannatamente utile, dannatamente pratico e dannatamente quel che mi serviva in questo momento.
− Che è? –
− Una cosa che usano nel regno degli Elfi, rende tutto più... scivoloso. –
Hajime aggrotta le sopracciglia, afferra la bottiglietta di vetro che è atterrata sulle lenzuola e la squadra come se gli avesse fatto qualcosa.
− Sicuro? –
− Fidati, Hajime. –
Lo vedo stappare il sughero e inclinare la bottiglietta verso le sue dita, ma scuoto la testa.
− No, non prepararmi, non voglio. –
− Elfo, guarda che ti faccio... −
− Voglio non riuscire a sedermi per la prossima settimana, così non mi dimenticherò che sei mio, Hajime. –
Il suo viso si piega, il sorriso si perde, gli occhi saltano sui miei.
La possessività è qualcosa che funziona, su di lui, che lo fa sentire dominante e potente, esattamente come io lo vedo.
− Che ti scopi o meno, tu non te lo dimentichi lo stesso. Capito? –
− Non hai paura che me lo scordi? Che me lo scordi e finisca a fare questo con qualcun altro? –
Gelosia, il più infido dei sentimenti, il più tremendo, quello che ti s'infiltra sottopelle e rovina tutto. Ed eppure nel suo errore, la gelosia è qualcosa che ti fa ribollire il sangue, che t'infiamma.
La sua mano fende l'aria un'altra volta e mi atterra sul culo più forte di prima.
− Se qualcuno osa toccarti, Tooru, se qualcuno osa anche solo toccarti con un dito, impazzisco. –
Si morde il labbro, mentre slaccia i lacci dei suoi pantaloni, come se cercasse di calmarsi da un fuoco che dentro lo sta bruciando vivo.
− Mio, Tooru, tu sei mio, e sei perfetto per me. –
Allungo un braccio indietro, verso di lui, cerco di toccarlo, di prenderlo da qualche parte, di sentirlo su di me. Si sta spostando per togliersi i pantaloni, ma nota il tentativo e mi tira su la mano, ci preme sopra le labbra.
− Anche tu sei mio, Hajime. –
− Sì, è vero. –
Vorrei...
Usare un'altra parola per lui. Dire un'altra cosa. Non posso dirla perché non la conosco, non posso perché è presto, ma vorrei poterla tirar fuori da me.
Io...
Non credo di essermi mai sentito così in tutta la mia vita.
Anni a rincorrere la perfezione quando quel che mi è sempre servito era imparare ad apprezzare il modo in cui facevo schifo.
Che non sono felice e non sono soddisfatto di me stesso, ancora, ma sento di aver imboccato una strada nuova e più sicura.
Il liquido gelatinoso è freddo contro di me, le mani di Hajime severe ma attente. Ne lascia cadere un po' sul mio corpo, lo sparge con le dita.
Piego il mento verso la spalla per guardarlo.
Bello, bello come niente lo è mai stato ai miei occhi.
Le spalle larghe e la mascella serrata, i muscoli delle gambe flessi per stare sulle ginocchia di fronte a me, gli occhi scuri e il sorriso che non promette niente di buono.
Non bello come il Sole, non bello come la Luna.
Bello come il sangue, che ti inorridisce, ti spaventa, ma che non riesci a smettere di guardare, tanto è nobile la violenza che porta con sé.
− Se ti fa troppo male me lo dici e smetto, va bene? –
− Va bene, va bene, ora... −
Non li sfila, i pantaloni, ma li abbassa e basta, alla fine. Sembra che non riesca a trattenersi, e non riesco nemmeno io.
La seta costosa che ho addosso ora è squarciata un po' ovunque, pende dai fianchi senza alcun senso, si sparge sulla mia pelle in un modo che non ha nulla di elegante.
Hajime si avvicina, poi si blocca.
Prende una delle mie ginocchia dal retro, e mi ribalta immediatamente verso l'alto.
− Voglio guardarti in faccia la prima volta che facciamo sesso. – borbotta, prima di sporgersi e baciarmi con le labbra aperte, il corpo che s'irrigidisce sotto le mie mani.
Meglio, meglio, ecco cos'era a darmi fastidio.
Così posso prendere le sue spalle, guardare il suo viso, fargli vedere quel che mi fa, come mi rende.
Posso...
Prendo la bottiglietta dalle sue mani, spiaccico il liquido sul palmo di una delle mie.
Posso toccarti, Hajime, posso toccarti anche dove sei vulnerabile, perché sei mio e con te ci faccio tutto quello che mi pare.
Stringo le dita sulla sua erezione, faccio un timido su e giù. Incastro il labbro fra i denti quando chiama il mio nome con la voce a metà fra un sospiro ed un gemito, mi tremano le gambe, mi sento bruciare.
Sono sempre stato un seduttore, io, una di quelle persone che dà piacere agli altri per sentirsi amato e apprezzato, anche se in realtà non vuole.
Ma ora non lo faccio per sentirmi amato e apprezzato, lo faccio perché voglio che stia bene.
Voglio che Hajime stia bene.
E che stia bene con me.
Mi lecco le labbra e stringo appena le dita, l'istinto è quello di tirarmi su e mettermi in ginocchio, ma al minimo cenno, Hajime mi spinge sul materasso con una mano.
− Ingordo, una cosa per volta. –
Lo guardo con gli occhi spalancati.
− Non vuoi? –
− Voglio più un'altra cosa al momento. –
Mi lascio cadere indietro, apro le gambe.
− Come preferisci. –
− Bravo, Tooru, esattamente come preferisco. –
Tremo al "bravo", strizzo gli occhi e mi sento sciogliere come neve al sole, mi perdo in me stesso. "Bravo", eh? No, non lo sono, non lo sono mai stato.
Io non sono bravo, io sono una pessima, pessima persona, che vuole e pretende e fa senza scrupoli per sentirsi migliore degli altri.
Ma mi basta esserlo per te.
Mi basta essere bravo per te.
Mani sulle mie cosce, aperte e spiaccicate sulle lenzuola, alza il mio bacino con le mani, si allinea su di me e...
Dentro.
Dentro di me.
Dentro di me è un luogo così buio e così pericoloso, di solito, che neppure io voglio starci. Dentro di me è dove sono la versione peggiore di me, dove sono orribile, dove sono brutto, dove non sono niente.
E tu invece...
− Hajime, cazzo! –
Affondo le unghie sul tessuto della camicia e chiudo forte gli occhi.
Fa male.
Brucia.
Ma non è quel male insopportabile, quello che mi spaventa e mi fa sentire piccolo e indifeso. È quel male che mi piace, perché mi fa sentire vivo, mi fa sentire qualcosa, mi fa sentire vero.
Appoggia il naso contro la mia tempia, si ferma, respira.
− Cazzo, Tooru, sei stretto. Ti fa male? –
− No, no, muoviti. –
Preme le labbra contro il mio zigomo, respira la mia stessa aria, mi tiene le gambe aperte con le mani.
Dentro, fuori, dentro di nuovo.
La mia voce non sta zitta e non si trattiene, esce sempre più forte.
− Urli così forte che ti sentiranno tutti, Tooru. –
Sudore, calore, mi aggrappo di nuovo alle sue spalle. Lo guardo negli occhi prima di premere le mie labbra contro le sue, aperte, spalancate, ed accogliere il suo sapore nella mia bocca.
Sai di casa, Hajime, anche se è passato così poco tempo.
Mi tremano le ginocchia quando si stacca per dire il mio nome.
− Vuoi che ti sentano tutti? –
Voglio che...
− Vuoi che la gente là fuori senta quanto tu sia mio, Tooru? –
Io voglio...
− Vuoi fare il bravo e prenderlo finché ogni persona nel mondo non si renderà conto che tu appartieni a me? –
− Sì, Hajime, cazzo, sì, sì, io... −
Affonda i denti sulla mia spalla, la mano fra i miei capelli, tira indietro la mia testa finché la schiena non assume un arco perfetto.
− Allora urla ancora un po' per me, da bravo. –
Il ritmo è...
Serrato, veloce, niente di normale. Come se non riuscisse a fermarsi, come se non potesse fare altro. Ho fatto sesso con tante, tante persone, davvero, ma...
Yggdrasill, quest'uomo non è umano per niente.
Prende le mie ginocchia, le piega indietro, il mio corpo mi sembra che lo stia spezzando a metà.
− Hajime, cazzo, Hajime, io... −
− Più forte, Tooru, ti voglio sentire più forte. –
Mi mordo il labbro quando cambia angolazione spostandosi ed entra dentro di me toccando il punto che mi rende più debole.
Mi sembra di...
Cazzo, mi sembra di morire. Ma di morire nel modo migliore, nel modo migliore.
− Hajime! –
Questa l'hanno sentita tutti. Questa l'hanno sentita tutte le persone in questo seminterrato, e se spero da una parte che Tobio sia ancora addormentato come un morto e non ci sia nessuno, dall'altra vorrei che tutti lo sapessero, che tutti l'avessero sentito.
Io, urlo questo nome.
Io e basta.
Io anche se faccio schifo, perché fa schifo anche lui, ed è decisione nostra far schifo insieme.
Tiro indietro un braccio per aggrapparmi alla testata di ferro battuto, stringo le gambe sulla sua vita, il mio corpo si muove sballottato da una forza che non è mia.
− Bravo, così, così, bravo, bravo. –
Stringo i muscoli interni.
− Hajime, Haji...me... −
Si morde il labbro, mi regge da una spalla, aumenta il ritmo. Il rumore del letto che sbatte contro il muro è ritmico con quello del suo bacino che sbatte contro il mio, la mia voce non si ferma, la sua continua a dirmi "bravo".
Appoggio una mano sotto il mio ombelico, lo guardo attraverso le ciglia.
− Ti voglio qui per sempre, Hajime. –
Sorride e geme, si china per baciarmi.
− Perfetto, perché non ci entrerà mai nessun altro. –
Mi sarei aspettato... dolcezza, nella nostra prima volta. Forse delicatezza, forse timidezza o quella sensazione di imbarazzo che si addice a due persone che interagiscono per la prima volta.
Ma non siamo a casa, non siamo in un posto sicuro, dove c'è calma, silenzio. Non ci siamo solo noi due, ci sono tante cose, là fuori.
È un po' come marchiarsi prima di scendere in battaglia, un po' come stringersi per dimenticarsi del resto.
Avremo tempo per la dolcezza quando saremo al sicuro.
Ora stringimi e ricordami che qualsiasi stronzata io faccia, vieni sempre a pararmi il culo.
Pensavo che sarebbe stato qualcosa di speciale, qualcosa di sacro, qualcosa di importante e diverso.
È disperato, non è dolce.
Ma non sono forse io disperato e non dolce? Non sono forse violento e pretenzioso e arrogante invece che dolce e delicato e importante?
Spreme le mie ginocchia al petto, mi sembra di essere letteralmente aperto in due.
− La prossima volta lo facciamo per bene, ok? Questa conta come...cazzo, Tooru, cazzo, conta come consolazione. –
Consolazione?
Lui che consola me perché sono triste?
− Vorrei essere triste più spesso. – scherzo, la mia voce ridotta ad un gemito ridicolo.
− Puoi chiedermi di scoparti anche se non sei triste. –
Più forte, più forte, la mia schiena s'inarca, i miei polpacci sono appoggiati sulle sue spalle, le mani scavano nelle mie cosce, mi sembra di non vederci nemmeno più bene.
− Posso chiederti di farlo per dimostrare agli altri che sei mio e basta? –
Gira la testa di lato, affonda i denti sulla mia gamba, lecca il morso che ha appena lasciato, lo bacia.
− Puoi, Tooru, puoi quello che ti pare. Ora... −
Se possibile ancora più piegato, ancora più aperto, ancora più fermo e immobile col suo peso sopra il mio che mi copre fino a farmi sentire al sicuro, protetto.
− Ora urla un'altra volta il mio nome. –
Nasconde il viso contro la mia spalla, il suo respiro che batte contro il mio orecchio, il sudore del suo corpo vestito sul mio, tessuto a brandelli, cuore che batte all'impazzata.
Stringe, mi stringe, mi copre e...
È così a fondo dentro di me che mi sembra che voglia scomparire nel mio corpo, che non voglia lasciarmi mai più.
Non ho mai provato niente del genere.
Non ho mai provato una sensazione simile, facendo sesso, in tutta la mia vita.
Oh, Hajime, che meraviglia di persona sei. Sei rotto e distrutto come lo sono io e non cerchi di rimettermi a posto, cerchi di apprezzare ogni mio frammento senza impormi di ricomporre quel che sono.
− Hajime! –
− Ancora, ancora, anco... −
− Hajime, cazzo, Hajime! –
Fa' di me quel che vuoi, Hajime, mi fido.
Io ti...
Affonda i denti sulla mia spalla, la mia schiena s'inarca, lo sento tremare dentro di me e la visione mi sbianca.
Dentro di me.
Tu sei... dentro di me.
Mi sveglio una quantità indefinita di ore dopo che sono completamente nudo – credo che mi abbia tolto i vestiti a brandelli – sotto le coperte con un braccio muscoloso che mi copre i fianchi, indolenzito e con gli occhi gonfi.
Ho pianto, parecchio, e mi sa che ho pianto di dolore quanto di piacere.
Cerco di mettere a fuoco ciò che mi circonda e mi giro sul fianco, la mia fronte che atterra su un paio di pettorali che conosco.
Hajime dorme.
Deve essersi stancato, Hajime. Immagino non sia facile far quello che ha fatto a me con quell'enfasi, no?
Mi sporgo per baciare la sua pelle.
Ti sveglierei per farmi abbracciare ancora, ma meriti di riposare, dopo tutto quello che ti ho fatto passare.
− Grazie, Hajime. – è l'unica cosa che dico, sussurrando, sorridendo mentre guardo il suo viso.
Non risponde, non serve che lo faccia, era qualcosa che era giusto che dicessi a prescindere.
Mi tiro su cercando di non fare troppo casino e invece di schioccare le dita per cercare un cambio pesco la camicia di Iwa-chan dal pavimento, la infilo e la osservo sul mio corpo.
Arriva sotto il culo, appena appena, e mi è larga sul petto. Ha quello scollo tipico che s'intreccia con un laccio che si può stringere e allentare, quello che sta tanto bene sul solco fra i pettorali del mio mezzo umano preferito.
Esco dalla stanza piano, ci sono le candele accese sul corridoio.
Un'occhiatina a camera di Tobio, che è ancora addormentato e non dà segno di vita, e qualche passo in avanti, mi ritrovo a guardar dentro una piccola sala da pranzo, apparentemente vuota.
Dovrei chiedere ad Hajime che cos'è questo posto, ma dorme, quindi che sia benedetta l'esplorazione, credo.
Caccio dentro la testa, la giro, e...
− Urli peggio di una donna, Elfo. –
Capelli biondi, volto stanco, pergamena e gambe lunghe attorcigliate sotto al corpo.
Lei è la figlia della locandiera.
Quella che...
− Pardon, Iwa-chan è stato un po'... rude. –
− So come fa, l'ha fatto anche con me. –
Alzo un sopracciglio dalla sua parte quando mi appoggio sullo schienale di una sedia libera.
− Hajime non ha scopato te come ha scopato me, questo lo sappiamo tutti e due. Non metterti in una competizione che non puoi vincere. –
Ammutolisce, sospira, appoggia un gomito sul tavolo e la testa sulla mano.
Prendo fiato anch'io, ma quando lo faccio mi rendo conto che non è più insicurezza, quella che provo, non è più inferiorità. È serenità e calma, forse un po' d'arroganza.
Sto... sto meglio.
− In ogni caso, mi dispiace davvero. Ho messo in pericolo te e tua madre, questo posto, e tu invece mi hai salvato la vita portando Hajime da me. Se posso sdebitarmi in qualche modo... −
− Lasciami Iwaizumi. –
− Qualunque altro modo. −
Sorrido, lei storce il naso, poi fa spallucce.
− Non posso farci niente, vero? –
Scuoto la testa.
− Niente, niente di niente. Soldi, vestiti, quel che vuoi. Ma... no, su quel versante non ti lascio nulla, mi dispiace. –
Distoglie lo sguardo, c'è tristezza sul suo volto.
Sembra parlare da sola, quando mi risponde, come se le parole che dice non fossero state pensare per essere dette a me, ma a se stessa.
− Come se potessi davvero competere col modo in cui ti guarda. Sembra che tu gli abbia salvato la vita o che cazzo ne so io. –
Le mie guance si scaldano.
Come se...
Come se l'avessi salvato?
Sospira.
− Domani mattina vi voglio lontani da qui. Non tornate mai più, questo è il modo in cui voglio essere ripagata. –
− Va bene. –
− E mettiti dei cazzo di pantaloni, le tue gambe mi... mettono in soggezione. –
Sento la mia voce ridere nell'aria.
− Cosa c'è che non va nelle mie gambe? –
− Sono così perfette che mi danno fastidio. –
Le sorrido, ringrazio sottovoce. Sì, lo sono, sono perfette, come tutto quello che compone l'aspetto che ho.
Dentro, invece, è tutto il contrario, no?
Dentro sono orribile, inguardabile.
Ma quest'orrore non mi mangia, quando ti guardo, perché Hajime lo apprezza come apprezza di me la bellezza, e questo non puoi cambiarlo.
− Torno di là. Grazie ancora di tutto, davvero. –
Faccio per andarmene.
− Elfo. –
Sono a metà strada verso la porta, quando mi giro e la guardo.
Ha... le lacrime agli occhi.
− Prenditi cura di lui. –
Sorrido.
− Lo farò. –
È più lui a prendersi cura di me, ma non credo che sia questo il punto, no?
Il punto è che...
− Credo che si sia innamorato di te. –
Appoggio il mento sulla spalla.
− Sono io, che mi sono innamorato di lui. −
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
➥✱"fàilleadh" in gaelico significa "fallimento"
LO SO CHE NON VE LO ASPETTAVATE LO SMUT EHEHEHEH (no magari ve lo aspettavate) e niente anche qui ora torniamo sulla trama perdonate ma mi serviva un po' di introspezione del buon oikawa (QUANTO LO AMO AAAAAAAAAAAA)
(mi hanno fatto anche notare una cosa che è :: perchè metti spesso il "non è forse vero" o il "non è forse così" al fondo delle frasi? è una cosa che faccio spesso perchè ho il vizio (molto inglese da mio fratello che al posto mio parla un british 100%) di mettere sempre "innit" alla fine delle frasi. niente, è una curiosità scema su come funzioni la mia mente bilingue ma mi ha fatto ridere la domanda :D)
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