𝗱𝗶𝗻𝗻𝘀𝗲𝗮𝗿
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Odio essere povero.
È una merda.
Chi vorrebbe essere povero?
Io no di certo, cazzo.
Le mie mani da angelo fanno male, mentre trascino dai boschi allo spiazzo centrale della radura un tronco alla volta.
I lavori manuali?
Io?
Ma di che stiamo parlando?
Terrificanti.
Mi fanno male le cosce e giuro che nessuno degli allenamenti di equitazione o scherma che facevo a palazzo sono mai stati così faticosi, i pantaloni color amaranto mi si appiccicano alle gambe per il sudore e gli anelli che quasi mi scivolano dalle mani.
Non li tolgo, piuttosto mi faccio decapitare, ma il fatto di non poterli indossare come meritano mi affligge.
Ecco, in realtà l'errore è stato mio, ammetto che sia stato mio, ma sono nato e cresciuto in un palazzo, cos'avrei dovuto fare?
Tutto questo perché non capisce le mie priorità, quel maledetto.
È iniziato quando stamattina mi sono svegliato contro quelle maledette lenzuola di cotone – e non di seta – e il mio corpo ha chiesto pietà.
Non sono abituato alle cose che graffiano, ok?
La mia pelle brucia, poi.
Quindi la prima cosa che ho pensato è che per continuare il mio pacifico sonno per un altro paio d'ore l'unica soluzione sarebbe stata trovare qualcosa di morbido contro cui dormire.
Che scelta avevo?
Dormire senza le coperte, ma fa freddo.
Dormire vestito, ma non se ne parla, io più di una camicia di seta per riposarmi non la metto, è fuori discussione.
Non dormire. Era presto, l'alba era appena comparsa all'orizzonte e sarebbe stato un crimine.
Dormire contro la pelle calda di qualcuno. Perché no? Mi sono detto che non era una cattiva idea, che sarebbe stato geniale, in fondo.
La pelle umana è morbida, è delicata e non mi rovina la carnagione.
E poi c'era anche tutta la faccenda che Iwaizumi è super bellissimo e non credo di aver mai visto qualcuno di così bello, ma quella è un'altra storia.
Volevo solo dormire in pace, io.
E non è colpa mia se quell'energumeno di muscoli e cattiveria è stato la prima cosa che mi è venuta in mente, no?
Anzi, è totalmente colpa sua, ne sono certo.
La mia situazione era quella che era, mettetevi nei miei panni per un secondo.
Prima di tutto, l'incontro.
Un minuto prima ero piegato in due dal dolore che i miei genitori non mi avessero mai amato, in fuga in un posto pericoloso.
Quello dopo mi stavo svegliando in una radura che sembra uscita da un quadretto rurale e a due metri da me la personificazione del sesso, alto, pieno di muscoli e cicatrici, con la faccia da uno che ti vuole uccidere e le mani grandi, gli occhi cattivi e l'accetta in mano, stava spaccando la legna.
E poi il fattore lenzuola, combinato alla prospettiva di strusciarmi contro addominali d'acciaio. Non è colpa mia, vero?
Non posso prendermi la colpa se stamattina mi sono infilato nel suo letto, no?
Che poi sul momento, immagino fosse molto assonnato, non si è nemmeno lamentato. Ha borbottato qualcosa di incomprensibile, ha alzato il braccio e mi ha strizzato contro di sé senza fare una frizza.
E io credevo di essere davvero nel miglior posto possibile.
Dorme senza la camicia, Iwaizumi, penso che sia un tipo piuttosto sensibile al caldo, e immagino si fosse lavato da qualche parte perché la sua pelle profumava. Non so se sia mai stato abituato a dormire con qualcuno o sia semplicemente il tipo che dorme abbracciando il cuscino, ma mentre sgattaiolavo fra le sue braccia lui le stringeva addosso a me, come se non aspettasse altro.
Ho dormito le migliori due ore di sonno della mia intera vita, con il naso fra i pettorali di quell'uomo, garantisco.
Il problema è che poi si è svegliato.
E la sua faccia non era contenta come mi sarei aspettato.
Ha detto che non gliene "fotteva un emerito cazzo" se la mia pelle si sarebbe rovinata, e che ero invadente e appiccicoso e...
Ho adorato ogni istante di quell'uomo grande e grosso che mi spiega per filo e per segno in che modo intendeva distruggermi.
Solo che poi ha detto che mi avrebbe ucciso se non fossi andato a fare qualcosa di utile.
E io, che ora sono povero, maledetto me, sono stato costretto a trovare un'idea e tutto quel che mi è venuto in mente è stato raccogliere la legna dal bordo del bosco.
Gli serve la legna?
Dio, non ne ho idea.
Ma ho notato i ceppi già spaccati da trascinare e ho pensato che fosse qualcosa di semplice e veloce e la prospettiva di vederlo con l'accetta in mano ha avuto la meglio.
Non sono un folle, ok?
Sono giovane.
E i pettorali sono meglio delle famiglie disfunzionali.
Lascio uscire un minuscolo gridolino di dolore all'ennesima scheggia che mi trafigge e graffia il polpastrello, mentre la mia schiena piange quando trascino il milionesimo pezzo di legna fino alla radura.
Maledetto Iwaizumi.
Che male c'è se dormo con lui?
C'era bisogno di costringermi a... lavorare?
Che barbarie.
Ritorno nel Bosco con i passi più pesanti di quanto mi si addirebbe, pestando forte fra le frasche.
Non ho neanche mangiato niente, miseria.
Ho fame, sono stanco e fa caldo.
Essere poveri è una condanna.
Mi guardo attorno.
Iwaizumi è andato a caccia, credo di aver capito.
Ha preso l'arco e la faretra, mi ha urlato addosso che sarebbe tornato per pranzo e di non distruggergli casa ed è corso in mezzo alle frasche.
Ancora non riesco a comprendere perché possa entrarci con quella facilità.
Io mi infilo di qualche metro nel Bosco e sento l'aria già farsi pesante, e la mia magia è uno schifo.
Lui è un umano, e per quanto gli umani non ne possiedano ne sono comunque affetti e dovrebbe essere morto da tempo.
Credo c'entri il sangue misto.
Chissà cos'era sua madre.
Scherzando gli ho chiesto se fosse un troll ieri sera, di fronte al fuoco, mentre mangiavo le uova che diceva di non aver assolutamente cucinato per me ma che gli erano avanzate.
Credevo si sarebbe ben che arrabbiato ma tutto quel che ha fatto è stato girarsi, guardarmi con un sopracciglio alzato e chiedermi se davvero sembrasse un mezzo troll.
No, che non sembra un mezzo troll.
Sembra un sogno erotico fatto realtà.
Sono giunto alla saggia conclusione che prima di essere il sensuale padrone della casa nel bosco era sicuramente una qualche forma di combattente.
Un soldato, un mercenario, qualcosa del genere.
Ha le braccia piene di cicatrici, il petto, persino un taglio che corre dal collo alla mandibola, il fisico imponente e nonostante questo è anche inaspettatamente silenzioso.
È addestrato per uccidere, ha lo stesso modo di fare delle guardie a palazzo.
Inizio a radunare i ceppi uno per uno nella radura, ma il caldo diventa asfissiante.
Iwaizumi non c'è, il sole batte forte e io sono stanco morto.
Pausa?
Ma no, devo rendermi utile, ha detto che dovevo rendermi utile.
Ma lui non è qui, quindi...
Poi ricomincio.
Giuro che poi ricomincio.
Lascio metà della legna sparsa a caso sulla radura e zompetto allegramente verso l'interno della casa.
Di cibo cotto non c'è neppure l'ombra e di cuocerlo io non me lo sogno neanche, che sono pur sempre un principe, non un maledettissimo cuoco.
Non perdo la speranza, qualcosa ci sarà, no?
Chiudo gli occhi, inspiro e...
Erbe mediche. Erbe da infuso.
Posso farmi un tè.
Non sono un cane, ma sono comunque nato e cresciuto in mezzo alla natura, giuro.
Nello scaffale più in alto della cucina, dietro a diversi barattoli di quella che credo sia farina, ci sono piccole ampolline che sembrano essere esattamente quello che cerco.
Mi arrampico su una delle sedie della cucina, per raggiungerle, e rimango a saggiarne l'odore per quelli che saranno più di dieci minuti.
Betulla, tarassaco, scorza di limone essiccata, finocchio, menta, salvia, rosmarino e lavanda, mirtilli secchi e zenzero, aghi di pino, erbe selvatiche, viole di campo e fiori assortiti.
Faccio una rapida selezione e metto l'acqua a bollire sulla teiera che ha usato Iwaizumi ieri sera, cerco un bicchiere e tutto quel che trovo è un enorme boccale non so per cosa e mi asciugo la fronte con uno straccio a caso trovato sul tavolo.
Il maledetto poteva farmelo un tè, stamattina, no? Non chiedo una colazione di pasticcini e paste ripiene, non le fragole con il cioccolato e le bacche di bosco, ma un tè.
È così che tratta gli ospiti?
Il tempo è troppo caldo per un tè, però, mi rendo conto.
La sera ha senso, anche la mattina presto, per respingere quel pizzicore del vento fresco che t'entra fin nelle ossa, ma ora fa un caldo devastante e sono sudato per tutto il mio durissimo lavoro.
Posso usare un pizzichino della mia magia per rinfrescare l'infuso, credo, penso che potrebbe funzionare.
Non domino gli elementi, li uso pochissimo e con mezzucci da umani, ma per un bicchiere potrebbe anche funzionare, andiamo.
A palazzo, ci sono regole d'infusione specifiche per ogni miscela.
Ora, non posso misurare la temperatura ficcando le dita dentro l'acqua che bolle, per cui aspetto una quantità di tempo a caso.
Spero venga buono, ecco.
Quando il coperchio della teiera di rame inizia a borbottare, coprendomi le dita con il canovaccio – e questo lo faccio giusto perché Iwaizumi l'ha fatto ieri prima di me e me ne sono ricordato, se no la dolce pelle dei miei polpastrelli sarebbe già arrostita contro il manico – la tiro su e verso l'acqua nel boccale.
Non ho trovato un colino di qualche genere e di infuso ho davvero voglia, quindi tralasceremo sul particolare di me che taglio e lavo un pezzo della tenda della cucina per farci un sacchetto da infusione.
Non se ne accorgerà, ok?
Non lo farà.
E il tessuto era cucito in una rete sottile perfetta per lo scopo.
Osservo l'acqua che si tinge, tiro su il mio infusore di fortuna, annuso l'odore.
Non mi mancano i miei genitori perché da loro fuggo tutt'ora, ma la sensazione di casa un po' sì e questo, questo mi ricorda decisamente casa.
Mi ricorda servitrici che mi mettono la crema, lenzuola di seta e dolcezza nei modi di fare.
Non cotone, parolacce e occhiate cattive.
Appoggio i polpastrelli sulla superficie di vetro già appannata dal vapore.
La mia magia è scarsa.
Uno schifo.
E per usarne quel barlume che la vita mi ha concesso, devo concentrarmi. Visualizzarmi sospeso ed etereo, in contatto con la natura che voglio risvegliare, lasciar fluire dentro di me l'energia come un torrente.
Con calma, Tooru, con calma.
Con calma.
Pizzica come scoppiettasse nelle vene, sale bruciacchiando lungo tutte le braccia, si annida nelle dita lunghe.
Chiudo gli occhi.
Mi concentro e penso al freddo, al gelo, al ghiaccio.
Inspiro, trattengo il fiato e...
Mi sembra di sentire una piccola scarica elettrica che mi falcia tutto il corpo, mi irrigidisco e sento fermo, poi di nuovo morbido ed espirando, apro gli occhi.
Ha funzionato, cazzo.
Ha funzionato.
Il bicchiere è condensato sui bordi e ci sono persino piccole porzioni ghiacciate che ballano contro il liquido verdognolo.
Ha...
Sono un grande incantatore, mi dico fra me e me, un grande incantatore.
So raffreddare il tè.
Tutto contento e soddisfatto prendo il boccale fra le mani, sistemo gli anelli sulle dita e torno fuori, per gustarmi il mio delizioso infuso al sole mentre mi riposo dopo... venti minuti, credo, di durissimo lavoro.
La radura è un bagno di sole, mi farà bene.
Esco fuori, l'odore pungente del Bosco che mi entra nelle narici e sospirando mi siedo nel prato, le gambe incrociate e la bocca che sta per avvicinarsi al boccale quando...
− Primo, perché c'è legna da tutte le cazzo di parti, secondo, perché ti stai già riposando e terzo, quello che cos'è. –
Mi sale un brivido lungo la schiena.
Merda.
Merda, mi sono dimenticato di guardarmi intorno.
Cerco di azionare il mio cervello.
Dopo essermi infilato nel suo letto totalmente a caso, averlo accidentalmente molestato ieri – a mia discolpa era bello e io convinto di essere morto – ed essermi imbucato in casa sua, credo che potrebbe uccidermi sul serio, senza doppi sensi in mezzo, questa volta.
− Ho pensato che facesse caldo e ti ho fatto un infuso per quando saresti tornato. – mento spudoratamente, allontanando il bicchiere dalla mia bocca.
Ci sono due cervi molto molto morti sul tavolo di pietra vicino alla casa.
Che schifo.
− Perché lo stavi bevendo, allora? – chiede, con lo sguardo indagatore.
Merda.
− Volevo sentire se fosse venuto come volevo. –
− Mmh. –
Non è convinto, sa perfettamente che è una stronzata, ma forse la corsa nel bosco l'ha convinto a lasciarmi un po' in pace.
Ieri mi rotolavo nel lusso, miseria, non è colpa mia se sono uno schifo a lavorare, ok?
Tutto mi andrebbe di fare tranne che cedere il mio meraviglioso intruglio rinfrescante ma, mio malgrado, anche evitare che l'unica persona che può essermi d'aiuto al momento mi cacci via a pedate nel culo è una priorità, per cui allungo il boccale.
− È buono, assaggialo. –
Lascia andare la mano con cui teneva l'arco, appoggiandolo sulla spalla.
Le sue dita toccano le mie quando le infila dentro il manico e come il più innocente dei ragazzini, un po' mi emoziono. So che è ridicolo, per uno che viene definito "mangiauomini", ma ecco, questo umano è...
Bello in maniera vergognosa, decisamente inapprocciabile e scontroso.
Mi fa un effetto un po' strano.
Avvicina il boccale alle labbra e mi lancia un'occhiataccia.
− Perché nel boccale da birra? –
− Non so cosa sia la birra. –
Alza le sopracciglia, poi il suo viso si rilassa e prende un sorso.
Si lecca le labbra, quando smette di bere.
− La birra è la cosa più buona del mondo. Dopo le fragole delle Fate. –
− Le fragole delle Fate? –
− Ah, lascia perdere. –
Manda giù un altro po' del mio infuso.
− Com'è? – mi viene spontaneo chiedere, un po' per sapere che gusto abbia, un po' per farmi del male all'idea di non aver potuto assaggiare il mio magico intruglio.
− Buono, bravo, Elfo. –
A questa, altro che raffreddare il tè, io mi congelo.
Ok, un attimo.
Lavorare è meraviglioso.
Seguite il mio ragionamento.
Prendiamo un Elfo di diciannove anni con una situazione familiare complicata, pressoché incapace in tutto ciò che non sia sedurre uomini vecchi e abbinare colori, senza talenti particolari.
Nessuno complimenta quell'Elfo per cose che non siano riferite al come si presenta.
Aggiungiamo al miscuglio un uomo di sangue misto molto molto bello e molto molto affascinante da cui il suddetto Elfo si farebbe fare le peggio cose, con la tendenza a dire un sacco di parolacce e dal carattere respingente.
Pizzico finale, l'uomo dice "bravo" all'Elfo.
Che cosa potrebbe succedere?
Ve lo dico io cosa potrebbe succedere, sto per scoppiare a piangere.
Ha detto... bravo.
A me.
Lui.
Amo lavorare.
− Tutto bene? – mi sento chiedere.
Annuisco senza parlare.
− Boh, certo che sei strano. –
Sono stranissimo, ma sono anche bravo.
Nasce in me la profonda volontà di fare qualsiasi cosa Iwaizumi voglia, solo per sentirmi dire un'altra volta "bravo". Devo uccidere tutti gli animali del bosco? Lo faccio. Raccogliere tutta la legna del mondo? Sono già Tooru il falegname, per lui.
Mi metterei i pantaloni color cachi, se questo comportasse un altro complimento.
− Perché hai preso tutta quella legna? L'ho spaccata ieri, non ci serve. – è invece quel che dice, e la mia trance di adorazione finisce in un attimo.
− Pensavo ti servisse altra legna. –
Beve un altro po' del mio tè, lo finisce, anzi, e appoggia il boccale vicino ad uno dei due cadaveri di cervo sul tavolo.
Fa spallucce.
− Può sempre servire, in effetti. Se ne spacco un altro po' potrei iniziare a costruire la rimessa. –
Cos'è, questa, la puzza di una buona idea?
Ho fatto un'altra cosa giusta?
Che giornata di soddisfazioni, miseria.
− Che rimessa? –
Indica uno spiazzo vuoto verso il bosco.
− Là. –
Inclino la testa.
− Ci starebbe benissimo la mia cabina armadio. –
− La tua che? –
Lascio svolazzare una mano come per scacciare le mie parole.
− Oh, niente. –
In effetti, ci starebbe benissimo la mia cabina armadio. Certo, non programmo di rimanere qui più di un altro giorno, ma se dovessi per qualche caso fortuito rimanere, ci starebbe perfettamente.
− Là ci metto la rimessa delle armi, Elfo. Non la tua casetta di cosine per farti bello. –
Ingoio la risposta che suonava come un "allora pensi che io sia bello?" e ripiego su altro.
− Quante armi hai da aver bisogno di una rimessa? –
Altro punto per la mia teoria del soldato o mercenario o quel che è.
− Un po'. –
Perché mi sembra voler dire "una marea, cazzo, davvero un sacco di armi mortali con cui uccidere gli schifosi frivoli stronzi come te"?
Mi alzo per portare dentro il bicchiere.
Magari mi dice "bravo" un'altra volta.
− Fa' un altro po' di quella roba, con questo caldo credo potrei averne bisogno. –
− Ma la legna... −
Non me ne frega un cazzo della legna, lo sappiamo tutti e due, ma fingere è sempre una scelta.
− La metto a posto io. –
Sorrido mentre rientro e poi, quando sto riarrampicando me stesso sulla sedia, mi rendo conto che sto sorridendo.
Questo...
Sto pensando che vorrei abituarmici, vero?
Ma domani te ne vai, Tooru, che ci pensi a fare?
Mi sto un po' adagiando nell'idea che nonostante io sia nullafacente e inutile, fastidioso e lo so e pure un po' petulante, io e Iwaizumi sembriamo andare d'accordo.
Ok, so che stamattina mi ha urlato dietro, ma poi non è che mi abbia tenuto il muso.
Mi ha detto "bravo".
E poi è quotidiano, dividersi i compiti, alla pari, onesto persino.
Lui sistema la legna, io faccio il tè.
Nessuno dei due che deve niente all'altro, solo reciproco aiuto.
Miseria, sarà meglio non pensarci, prima che il problema della fuga diventi più gigantesco di quanto già non sia.
Utilizzo la mia magia una volta ancora e inaspettatamente funziona, anche sulla brocca ben più grande del boccale di prima.
Spero che non sia venuto una merda, mi dico, di non aver fatto un casino colossale e aver sbagliato una ricetta che ho inventato dieci minuti fa.
Porto la brocca fuori che Iwaizumi sta sistemando gli ultimi ceppi.
Come fa a farlo così in fretta?
− Dove sono le tazze? –
− Vicino al camino, sulla destra. –
− Grazie. –
Rientro superando il grande camino di pietra, apro lo scaffale e la quantità di tazze è sconcertante. Sono di ottima fattura, di ceramiche sottili o vetro lavorato, non di grezza terracotta come mi sarei aspettato.
Mi avvicino per guardarle meglio.
Sono orlate d'oro, come se fossero state dipinte finemente.
Che ci fanno delle tazze così belle in un posto del genere?
Non che la casa sia brutta, non lo è, ma non è un palazzo o una Corte, non capisco.
Ne scelgo due appaiate, di vetro soffiato color carta da zucchero. Farà ridere, vedere Iwaizumi bere da qualcosa di tanto delicato, ma sono davvero bellissime.
Rubo i piattini che mi sembrano essere dello stesso servizio, scappo in cucina per tirare fuori qualcosa di somigliante ad una tovaglia, torno fuori.
Ci sono ancora i cervi sul tavolo, cazzo, avrei dovuto spostarli prima di...
− Un attimo, arrivo. –
Una poesia, alle mie orecchie, l'idea del cattivone grande e grosso che sembra odiarmi che mi aiuta.
Oggi non ha la camicia di ieri, quelle di tessuto grezzo che portano di norma i paesani, ma una con le maniche tagliate, immagino per il caldo.
Le sue braccia che si flettono sono davvero un bello, bello, bello spettacolo.
Sposta i cervi in un secondo, li appoggia su quello che immagino sia il retro della casa e ad occhio e croce anche il punto dove macella gli animali, mi guarda sistemare le cose sul tavolo.
Gentile.
È stato... gentile.
Metto la tovaglia, sistemo piattini e tazzine e alzo lo sguardo, quando ho finito, come per invitarlo qui vicino a sedersi.
− Hai scelto proprio quelle tazzine, eh? – borbotta, prendendosi una sedia per sé e mettendosi al mio fianco.
Abbiamo mangiato insieme anche ieri, ma in un religioso silenzio che non sembrava voler spezzare, per cui stare fianco a fianco a tavola è ancora una cosa inesplorata.
− Erano belle, davvero belle, non avrei dovuto? –
Alza una spalla.
− No, no, non fa nulla. –
Ha le mani più grandi delle mie, anche se non di molto, e le dita scure fanno un contrasto meno crudele di quello che avrei immaginato, con il vetro fine.
Pensavo che sarebbe stato ridicolo, vederlo bere da una tazzina così piccola, ma l'azzurro si mescola con il colore della sua pelle in un modo quasi delicato.
− Erano di qualcuno a cui volevo bene. – mormora, come se fosse un bel ricordo che gli è navigato nel pensiero.
Sorrido.
Alza un angolo della bocca, poi... l'altro.
Ha davvero un bel viso, Iwaizumi, fatto di tratti aggressivi e occhi affilati. Ha una bellezza davvero molto maschile, meno eterea di quella elfica, più grezza.
Verso un po' di tè nella sua brocca, ne beve un po' in silenzio.
− È una ricetta di palazzo? – chiede qualche istante dopo.
− No, sono andato un po' a caso. –
Annuisce.
− Se mi dici cosa ci hai messo dentro me lo scrivo, così non me lo dimentico. – dice, guardando improvvisamente in un punto non definito dietro di me, come se volesse evitare il mio sguardo.
Nel mio corpo, senza ovviamente lasciar trasparire nulla nel viso, esplode qualcosa. Questo è meglio di "bravo", questo è un "hai fatto qualcosa di davvero mirabile, Tooru, grande lavoratore".
Decido all'istante che d'ora in poi sarò un lavoratore.
− Quando vuoi. –
Finalmente, ho occasione di assaggiare anch'io il mio strabiliante infuso, e ammetto che è davvero buono, più di quanto io stesso mi aspettassi.
Questo sì che è talento, amici.
La nota speziata dello zenzero in coda rende la miscela meno noiosa, più interessante, e il gusto è pieno nonostante alla fine non sia altro che acqua quella alla base.
− Sai scuoiare un cervo? –
Alzo la testa di scatto.
− Che? –
− Sai scuoiare un cervo? –
Scuoto la testa.
− Io non... −
− Non importa, dai, davvero. Lo faccio io dopo. –
Miseria, no. Io volevo essergli utile. Ho bisogno quasi, di essergli utile. Magari mi dirà che sono "bravo" un'altra volta, no?
Ed eppure come scuoiare un cervo, io non lo so proprio.
− Non c'è niente che io possa fare? – chiedo, e mi sa che il mio tono è un po' troppo speranzoso e disperato, per suonare serio.
− Non... credo. Non con quelle manine delicate, Elfo, non credo. –
Mi osservo le mani.
È vero, sono morbide e non hanno toccato mai nulla che non fosse soffice e sottile, ma posso comunque fare qualcosa, vorrei ugualmente fare qualcosa.
− So cucire. – sputo fuori, all'ultimo.
Alza un sopracciglio.
− Sai cucire? –
− I miei genitori dicevano che nessuno dei vestiti di corte mi sarebbe mai entrato e si sono rifiutati per anni di farmene comprare dagli umani, per cui ho imparato a prendere i tessuti elfici e cucirli. Poi ci hanno pensato le servitrici dopo, ma ho imparato a cucire. –
Quelli sono momenti che non amo ricordare.
I miei primi due o tre anni alla corte, non sono stati da principe né da reale, ma da ragazzino estraneo.
Immagino non avrei dovuto fare l'errore di credermi niente di diverso.
− Ok, allora. Credo di avere qualche vestito da riparare da qualche parte, forse la biancheria del letto, non lo so. –
− Quello che vuoi. –
Credo lo stupisca un po' la mia faccia, a questo punto.
Che schifo essere poveri, ho pensato e penso tutt'ora, ma che schifo anche essere complimentato tutta la vita solo per qualcosa che non hai scelto.
"Sei bello" è piacevole, da sentire, ma alla fine che ci puoi fare, davvero?
Ma se sei "bravo", invece, la soddisfazione è...
Finisce la sua tazzina di tè, ne versa un altro po' e cade un cubettino di ghiaccio dalla brocca con il liquido scuro.
− Il ghiaccio l'hai fatto con la magia, vero? –
− Sì, quantomeno ci ho provato. –
Annuisce.
− Se ti porto le cose da rammendare qui pensi di poterlo fare? –
Qui sul prato? Perché no, dopotutto?
− Certo, così non mi perdo lo spettacolo! –
Rimane un po' interdetto, forse confuso.
− Che spettacolo? –
− Tu che tagli la legna! –
S'irrigidisce, il suo viso diventa più rosso di prima e tossisce, piantandosi una mano sulla fronte come se ci fosse un mal di testa che lo punge.
− Tu... −
− Io cosa? –
− Sei incorreggibile. – borbotta, ma questa volta, a differenza di stamattina e di ieri, quasi quasi non sembra così infastidito.
Sembra che la cosa sia quasi divertente.
Lavoratore e giullare, quante altre cose posso essere oggi?
− Sono un intrattenitore nato, di' la verità. – lo stuzzico, sporgendo con la gamba verso di lui e spingendo di poco il suo ginocchio.
− Sei un cretino. –
− Un meraviglioso e davvero simpatico Elfo di bella presenza. –
− Un folle. –
Vedo una crepa minuscola formarsi sulla sua facciata di ferro, come se si stesse trattenendo, e sorrido ancora di più.
− La cosa migliore che esista nell'intero Regno degli Elfi. –
Sento un accenno di risata fermarsi dietro al suo viso.
− Di sicuro la più fastidiosa. –
Lo indico con la mano.
− Tu non capisci la vera comicità. –
− E tu sei un pessimo falegname. –
Mi stringo nelle spalle, prendo un altro sorso di tè.
− Non sarò fenomenale, ok, ma almeno sono bravo a fare i tè. –
A questo non risponde.
Perché non risponde?
No, non posso essere sfacciato e sicuro di me se non risponde.
− Vero? –
Si gira verso di me e vedo in quell'istante che lui sa. Sa e basta. Sa quanto peso abbiano le sue parole. Sa che cosa può combinare dicendo le lettere sbagliate.
Iwaizumi sa.
Non nascondo così bene con lui.
O forse è abituato a vedere la menzogna e la finzione delle persone come me, a scavarla e tirarla fuori, schiacciarla e romperla.
Merda, forse ho usato le armi sbagliate contro un nemico impenetrabile.
Forse ho...
− Sei bravo, è vero. – risponde dopo qualche istante, col tono serio e pacato.
È come se qualcosa si spezzasse dentro di me.
Perché l'ha detto?
Lui sapeva, e allora perché non ha fatto quel che fanno tutti? Perché non si è appigliato all'unica parte vulnerabile scoperta e ha strattonato finché ogni insicurezza sarebbe uscita?
Lui, lui che mi detesta, lui.
Perché?
− Grazie. – borbotto, anche se non so né con quale tono né in quale modo, abbassando lo sguardo verso il mio grembo.
Non ha senso.
− Penso ancora che tu sia irritante e appiccicoso, non farti strane idee. – commenta, ma il tono è chiaramente scherzoso, non minaccioso.
Io non riesco a capire.
Non posso.
Non ce la faccio.
Sento il mio cervello che come alla ricerca di un ago in un pagliaio scartabella l'intero archivio delle cose che so come fare, di modi in cui mi so porre, ma non ne esce nulla.
Che cosa dico?
Che cosa dico per ottenere l'effetto che voglio?
− Sai cucire la pelle? Ho una cosa vecchia di una vita fa che non so come sistemare, non è che mi serva sul momento, ma se sai farlo sarebbe utile. –
Non registro bene le parole, mi rimbombano nel cervello.
Quest'uomo mi terrorizza, giungo a questa conclusione.
Non come i miei genitori, che mi rendono nulla con poche parole, né come la vita di palazzo che mi necessita perfetto nonostante tutto, neppure come gli sguardi lascivi delle persone che volevano di me solo l'aspetto esteriore.
Mi terrorizza fin nelle viscere.
Perché non so come fare a piacergli.
E ho la sensazione di non avere il minimo controllo su di lui.
− Elfo? –
Alzo lo sguardo.
Mi trova bello, so che mi trova bello, lo vedo da come mi guarda.
Ed eppure non gli basta.
Non gli serve.
Bello e basta non lo vuole.
Incognita, un'enorme, gigantesca, muscolosa e affascinante incognita.
− Ho cucito le casacche dei soldati un paio di volte, penso di riuscire. Se è qualcosa di delicato però non voglio rovinarlo. – dico, con il tono a metà fra l'incredulo e il cauto.
E ora che faccio?
Una parte di me dice che non mi deve importare, che domani sarò già lontano e di questo spavento non ricorderò nulla, ma l'altra dice...
Finalmente.
Qualcuno che mi guarda come se fossi una persona.
− È solo un ricordo di una vita fa, non è che importi così tanto. –
Annuisco.
Posso farlo.
Meglio pensare che posso fare questo che pensare ad altro.
Meglio vivere nelle cose che succedono che in quelle che potrebbero succedere.
La brocca è semi vuota quando si versa un'altra tazza di tè, stende le gambe davanti a sé e rilassa i muscoli della schiena.
− Mangi la carne di cervo, vero? –
So che intende, molti Elfi non mangiano la carne. I miei genitori e i miei fratelli, ad esempio, la trovano ripugnante.
A me piace.
− Sì. –
− Elfo anomalo. –
Direi di sì, direi proprio di sì.
Finisco l'infuso nella mia tazzina e lo bevo d'un fiato.
− Ora, la legna, Iwa-chan. –
Pettorali vincono su spaventosa tendenza a non cadermi ai piedi.
No?
− Non chiamarmi in quel modo. –
− Impediscimelo. –
Si gira, i muscoli tesi e il viso contrito, poi rilassa e scrolla le spalle.
− Non eri il più furbo a palazzo, vero? –
− Ero il più bello, se fossi stato anche intelligente sarebbe stato impari per gli altri. – rispondo, ridacchiando.
Ridacchia anche lui.
Merda.
Mi alzo di scatto.
− Porto le cose in cucina, c'è ancora acqua per lavare tutto? –
− Con calma, Elfo, mi hai fatto prendere un infarto. –
Si alza in piedi accanto a me, la spalla che tocca la mia, poi prende la brocca e aspetta che io prenda il resto.
− Metti tutto sul tavolo della cucina, se stasera non ho voglia di lavare le cose lo fai tu domani mattina, va bene? –
Deglutisco.
− Va bene. –
Lo seguo e cerco davvero con tutto me stesso di non focalizzarmi sui muscoli della schiena che spuntano dalla camicia mentre si muove.
Appoggio le cose dove mi dice di farlo, lo vedo prestare particolare attenzione alle tazzine, poi si gira nella cucina e squadra tutto con fare un po' guardingo.
C'è qualcosa che non va?
Si fissa sulla...
Scappo fuori.
− Elfo, mi hai tagliato la tenda? – sento tuonare dentro.
Ormai sono uscito, non posso aver sentito, no?
− Elfo? –
E dai, ma come ha fatto ad accorgersene?
Mi devo... ma che mi devo nascondere, ho già fatto abbastanza casini, non mi ucciderà per questo, vero?
Il problema, è che non ne ho idea.
Non lo so.
E non perché non lo conosco, non è la prima persona che non conosco che incontro, ma perché è imprevedibile.
Se fosse stato chiunque altro, mi sarei grattato la nuca, avrei detto uno "scusami" un po' più trascinato del solito e sarebbe finita lì.
Esce dalla porta con i passi che sembrano di ferro.
Lo sguardo che mi lancia mi fa tremare le ginocchia.
− Come ti è venuto in mente di tagliare la tenda per fare un filtro da tè? –
Cosa devo dire?
Cosa posso inventarmi?
− Era la prima cosa che ho visto e non trovavo un mestolo per togliere le foglie. –
Si avvicina di un passo.
− E hai tagliato la mia tenda. –
Annuisco.
− Ho tagliato la tenda. –
Il mio cervello è nel panico.
Un pezzo dice "non uccidermi", un altro "uccidimi", uno "piegami sul pratino e fammi implorare pietà" e un altro "scusami, scusami, scusami".
Si avvicina ancora.
Alza una mano, passa l'indice sotto il mio mento e lo alza verso l'alto in un gesto a metà fra l'affetto e la semplice voglia di contatto fisico, poi passa oltre.
− Bravo, Elfo, hai lo spirito d'adattamento del soldato. –
Faccio davvero fatica a non cadere a terra.
Le gambe sono gelatina.
È troppo per il mio povero cuore.
Iwaizumi è troppo ma credo sia troppo anche il modo in cui mi stia per venire un infarto ad ogni parola che dice, l'incertezza completa all'idea di non sapere cosa fare o come per farlo comportare come vorrei che facesse.
Non è scorbutico, non lo è.
Ma non è nemmeno gentile.
Che cos'è?
Cos'è, Iwaizumi Hajime, cos'è?
È così che si sentono le persone normali? Quelle che non vengono indottrinate alla via del comandare e dominare?
Tutte queste emozioni, hanno, quelle persone?
Il cuore sembra volermi esplodere nel petto.
Non so se mi piace.
Non so se sia mai stata vita quella di prima.
− Le lenzuola rotte sono nella cesta di vimini vicino al mio letto. Inizia con quelle e poi vedo se potrebbe essere una buona idea farti continuare. Ho degli aghi da qualche parte nel mobile dove hai trovato le lenzuola, i fili ingegnati tu. –
La cesta di vimini.
La cesta vicino al letto.
Non so cosa mi prenda quando, invece di fuggire come sono tanto bravo a fare, mi fermo e mi giro con l'espressione completamente assente in volto.
− Grazie, Iwaizumi. – sento dire dalla mia stessa voce.
− Non c'è problema, Tooru. –
Fuggo prima di impazzire.
Il mio nome, ha detto il mio nome, il mio cazzo di nome. Perché non l'ha detto prima? Perché mi odiava? Perché mi voleva trattare male?
E allora perché l'ha detto ora?
Cazzo, cazzo, non so cosa fare.
Sono fuori di me e non so neppure quale sia il motivo.
Questo è quasi più sconvolgente di scappare di casa, rendermi conto che nel mondo c'è qualcuno che non vede di me le gambe lunghe ma le cose che faccio.
Che magari le vede anche, le gambe lunghe, ma mi sembra che...
Ci sia dell'altro?
Corro sulle scale, la cesta accanto alle lenzuola disordinate su cui sono stato mollato questa mattina.
Era così arrabbiato stamattina.
Non poteva essere felice perché ero una conquista ambita? Non poteva pensare "tanto che è qui vedo com'è fatto senza i vestiti addosso"?
Perché non l'ha fatto?
Prendo la cesta fra le mani, la tiro su e la porto al piano di sotto.
Gli aghi li ritrovo dove mi ha detto che li aveva messi.
Perché non ha voluto niente in cambio dell'ospitalità?
O quantomeno, perché non ha voluto me, in cambio?
Perché ha voluto che facessi qualcosa, perché mi è piaciuto fare qualcosa, perché il cuore sembra volermi saltar fuori dal petto all'idea che a qualcuno importino le cose che faccio?
Sono fottuto, non è vero?
Sono fottuto.
Incastro gli aghi nella manica larga della tunica che porto oggi.
Scendo le scale in totale confusione, torno fuori e al sole nella stessa confusione.
Non riesco a darmi un motivo, non riesco a capire, sono interdetto.
La cosa che mi frulla in testa è che se non so come piacergli, allo stesso modo, non so come non dispiacergli.
E se mi trovasse insopportabile?
− Elfo, sembra che tu abbia visto un morto che cammina. Stai male? – mi sento chiedere, quando raduno le lenzuola per terra e mi siedo in ginocchio.
Ho gli occhi sbarrati, quando li alzo.
− Io non riesco a capirti. – sputo fuori.
Rimane zitto, interdetto, sbatte le palpebre.
− In che senso? –
− Perché sei gentile con me? –
Il viso gli si scalda appena, ma quel rossore svanisce in un attimo.
− Perché sei una persona in difficoltà. –
In difficoltà.
Non perché sono bello, non è vero?
− Tu non vuoi nulla da me, giusto? –
A questo, invece, è disgusto quello che gli dipinge i tratti del volto. Ma ho l'impressione che non sia di me, ma delle mie parole.
− Che ricuci le mie lenzuola e mi fai il tè, basta. – ribatte.
− Nient'altro? –
Sembra prendere fiato per rispondere, ma poi lo perde e rimane in silenzio.
Si allontana per prendere l'accetta, tira su i ceppi che non faccio altro che fissarlo senza dire una parola, la domanda che ballonzola nell'aria.
Si gira prima di calare l'ascia.
Credo che a quest'uomo piaccia sconvolgermi la vita mentre taglia la legna.
− Nessuno che ti chieda altro è qualcuno che merita la tua attenzione. – dice.
E l'unica cosa che capisco, quando il ceppo si spezza è che non c'è più nulla da fare.
Ormai, credo di essere davvero, davvero fottuto.
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➥✱"dinnsear" nonostante a me faccia ridere per l'assonanza con "dinosauro" significa "zenzero".
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