𝗱𝗮𝗶𝗹

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Ok, parliamone.

No, davvero, per pietà divina, parliamone.

Ora voglio sapere, sul serio, quale cretino testa di cazzo ha deciso che fosse una buona idea infilarsi in un bosco che si chiama "Proibito" – e se si chiama così un motivo ci sarà, miseria – fare tutto quel casino, spaventare il cervo che stavo cercando di cacciare e crollare a terra come un misero sacco di organi.

Voglio saperlo.

Voglio davvero saperlo.

E io che cazzo mangio stasera? Non posso campare d'ebra del pratino, e al momento non ho altro.

Sbuffo ad alta voce lasciando cadere la testa contro il tronco che ho al mio fianco.

Cazzo.

Uno cerca un po' di pace nella vita e quello che ottiene è gente improbabile che entra in posti dove non dovrebbe.

Non l'ha letto il cartello?

C'è un cartello, nel sentiero che porta qui.

C'è palesemente scritto che è severamente vietato entrarci.

Per cui...

Perché diavolo c'è qualcuno in questo posto?

Perché?

Cerco di lasciar defluire la rabbia e il fastidio dai muscoli intorpiditi.

Mi toccherà andare anche a vedere chi è, no?

Maledetto senso di responsabilità. Se fossi un coglione qualsiasi l'avrei lasciato a crepare nei fumi magici di questo posto, ma ho questo bisogno da buon samaritano di aiutare gli altri, anche se non vorrei.

Idiota.

Le creature magiche non ci possono entrare, qui.

Qualcuno dovrebbe averglielo detto.

A malapena gli uomini, riescono, per cui non comprendo davvero che cosa ci faccia in un posto come questo.

Strizzo gli occhi, lascio scivolare l'arco dalla mano alla spalla, sistemo la faretra e mi asciugo il sudore dalla fronte.

Qui a disturbare la mia cena.

Miserabile.

So perfettamente dov'è, perché il coglione brilla. Luccica come se fosse una cazzo di lanterna, in mezzo al bosco che invece è fitto e nero come la pece.

Che cos'avrà fatto, lo sa solo lui.

Mi riprometto di cacciarlo a calci nel culo appena possibile.

I miei passi sono felpati, inerti e non producono rumore, mentre mi avvicino. Quarant'anni nell'esercito hanno dato i loro frutti, dopotutto.

Non sono un ex condottiero per nulla.

Seguo il bagliore a vista d'occhio ma mi mantengo cauto, nel caso fosse aggressivo. Non voglio combattere, non lo faccio da una vita, e nonostante abbia ancora fiducia nel mio corpo preferirei non testare la fortuna.

Senza contare che poi odio i bastardi che usano la magia.

Non funziona, su di me, non ha mai funzionato, ma sono comunque fastidiosi.

Acuisco i miei sensi per cercare di capire che minaccia rappresenti, ma quel che sento è solo un mesto rumore di... pianto?

Sta piangendo?

No, cazzo, le persone che piangono no. Se piange sul serio me ne vado e lo mollo qui, non ho alcuna intenzione di consolarlo, non è il giorno di "Iwaizumi passione balia per cuori infranti", oggi.

Ah, cazzo, non riesco a muovermi.

Perché devo essere una bella persona, perché? Quanto sarebbe più facile andarmene? E perché i miei fottuti piedi non si muovono?

Il pianto diventa più flebile, accasciato, e il rumore delle frasche si fa più intenso.

Si è steso?

Idiota, non deve stendersi.

Il banco di nebbia lo farà affogare, se si stende.

Certo, ci vorrà un po' prima che accada, e comunque lo poterei fuori prima, ma sono così indignato dalla sua esorbitante ignoranza che davvero, ho la ignobile tentazione di lasciargli imparare la sua lezione.

Ripeto, non succederà mai, purtroppo sono una bella persona, ma la tentazione, quella c'è.

Il bagliore si fa più intenso.

Deve avere una magia potente, se brilla a quel modo. Ho letto su uno dei libri del rifugio che le spore di questo posto reagiscono ai flussi magici brillando, e credo gli si siano appiccicate alla pelle in quella sottospecie di corsa scaccia-prede che ha messo in atto nel mio terreno di caccia.

Sento la sua voce.

È impastata, non la distinguo bene, ma ha un tono maschile.

Avevo ragione, è un ragazzo.

Anche se l'odore dice altro.

Ha un sentore di fiori pronunciatissimo, e per quanto sia sicuro, ormai al cento per cento, che il ragazzo non sia umano, mi ricorda comunque qualcosa di femminile.

Sarà suo caratteristico, mi dico.

Non sono ancora così equiparato ad una bestia da giudicare qualcuno per il suo odore.

Il suo respiro si fa più lento, più calmo, e suppongo che si stia addormentando. Se non muovessi un passo da dove sono, fra pochi secondi sarebbe più dall'altra parte che da questa, ma ahimè quei passi li muovo e lo scalpiccio delle frasche diventa più forte del ritmo del suo fiato.

Brilla così tanto che non riesco neppure a guardarlo.

Idiota.

È decisamente un ragazzo, mi accorgo, e ha le orecchie a punta, unico dettaglio che riesco a carpire, prima di chinarmi e incastrare la sua schiena contro un braccio e il retro delle ginocchia sull'altro, tirarlo su e camminare dalla parte opposta.

Ha un odore fortissimo di fiori.

Quasi intossicante.

Mi ricorda qualcosa, ma non saprei dire bene cosa.

Non si agita, nel sonno, anzi, rimane immobile fra le mie braccia mentre cammino verso la radura del rifugio, la testa gettata indietro e le gambe che penzolano senza coscienza.

Ha le gambe lunghe, per essere un Elfo, e pesa.

Non ha quel tipico fisichino magro e macilento, direi che sembra, dai dettagli che riesco a carpire fra i bagliori accecanti, piuttosto pieno.

Mi rotola un pensiero nella mente, ma lo scaccio.

La radura è l'unico posto del bosco in cui batte il sole. È l'unico dove la nebbia si dirada ed è possibile respirare bene, per le creature magiche.

Per me, ripeto, la cosa non fa la minima differenza.

Alla magia sono totalmente immune.

Dovrebbe metterci poco, a riprendersi, là. Forse un paio d'ore di sonno, qualcosa da mangiare e si rimetterà in piedi come prima.

Un attimo, qualcosa da mangiare direi anche di no.

Mi ha rubato lui la cena, volente o nolente, non sarò io a cucinargliela come fossi sua madre dopo quel che ha fatto.

Stronzo.

La luce della sua pelle inizia a svanire quando intravedo l'apertura fra gli alberi.

Le spore non brillano al sole.

Solo nel buio.

In ogni caso, fisso dritto davanti a me ad ogni passo, facendo attenzione a non sballottarlo troppo, e non mi curo di fissarlo nella luce che svanisce.

Avrei dovuto?

Avrei dovuto.

Ma al momento non lo faccio.

Al momento mi limito a raggiungere a falcate pacifiche lo spiazzo d'erba pulita e soffice su cui si erge la casetta di mattoni in cui vivo, respirare l'aria scaldata dal sole e godermi un po' del suo calore sulla pelle.

Non so chi l'abbia costruito, il rifugio.

C'era quando mi sono congedato dall'esercito.

Ed è più che ben costruito per vivere solo in mezzo ad un posto dove, di solito, non passa mai nessuno.

Mi chiedo fra me e me se sia meglio mollare l'intruso sul letto sfatto che non usa nessuno o sul mio, quando mi passa per la mente che, se è un Elfo come sembra, forse l'idea ottimale sarebbe lasciarlo al sole sul prato.

Ci sono Elfi del Sole, in queste zone.

Traggono energia, dai raggio solari.

Forse lo aiuterebbe a ristabilirsi.

Ed è quando lo adagio di fronte alla struttura di mattoni, vicino al ceppo su cui taglio la legna, che finalmente, capisco perché avrei dovuto guardarlo prima.

Non ero preparato a...

Wow.

No, davvero, wow.

Il suo viso s'increspa, quando lo lascio sull'erba soffice, ma torna rilassato in quel sonno incosciente in un attimo.

Questo Elfo è...

Bellissimo.

Non mi piacciono gli Elfi, di solito, soprattutto non quelli del Sole. Hanno dei ridicoli capelli arancioni che li fanno sembrare piccole carotine in un orto, e hanno quel tipo di corpo che sembra starsi per spezzare da un momento all'altro.

Ma questo...

Vorrei darmi una calmata, davvero. Vorrei farlo. Vorrei dire "no, Hajime, ma che cazzo fai, è lo stesso stronzo che ti ha rubato la cena", ma non riesco a formulare il pensiero.

La sua pelle è chiarissima, e ha un aspetto morbido e lattiginoso alla vista che mi fa venir voglia di toccarla. I capelli sono di un castano color biscotto, arricciati attorno al viso in ciocche che svolazzano ovunque, le ciglia sono folte, la bocca sottile, il naso dritto.

E ha le gambe...

Così lunghe.

Strette, magre, infinite.

Il modo in cui è vestito non è austero, non tradizionale e distaccato come quello degli altri Elfi che ho visto. Sembra voler dire di guardarlo.

Porta questo strano anellino all'ombelico, che si muove con lui mentre si sistema inavvertitamente, che mi sembra ipnotico.

E la pancia piatta, tesa, liscia, mi fa venir voglia di...

Iwaizumi, ma porca di una puttana. Sei scemo? Ti sei fatto prendere la mano? Capisco che non fai sesso da un po', ma calmati, amico.

È entrato nel Bosco Proibito, ti ha rovinato la caccia e si è messo a fare le cazzate magiche fra le frasche, non puoi davvero essere arrivato a pensare che vorresti leccarlo.

Che poi siamo seri, vorrei leccarlo, assaggiare che sapore ha la sua pelle e vederla tendersi, ma questo non mi rende meno arrabbiato.

È un intruso che devi cacciare.

Hai resistito a nemici ben più avvenenti, non puoi farti abbindolare da un ragazzino carino trovato mezzo morto nel bosco.

Più avvenenti è una menzogna, lo so persino io, e quel che ironicamente mi farebbe ridere se guardassi la scena da fuori, è che sto litigando con me stesso come se lo stronzo che dorme mi avesse davvero sedotto.

Tutto quel che ha fatto è stato accasciarsi fra i rami.

Non posso dargli così tanto potere, no? Un bel faccino e basta, dopotutto, non rende una persona degna della mia attenzione.

Certe volte mi rendo conto di quanto effettivamente odi il mio sangue misto. Se non ci fosse quello schifo del sangue umano mescolato al mio, forse riuscirei a contenermi un po' meglio.

In ogni caso credo di riuscire a darmi una calmata in un tempo ragionevole.

È un bell'Elfo, fine. Più bellissimo che bello, ma va bene lo stesso.

Non c'è bisogno di perdere la calma.

Il suo corpo, che prima era rannicchiato fra i rametti, si apre piano al sole, come volesse berne ogni raggio. Lo vedo piegare la testa sull'erba, come volesse sistemarsi, ma immagino che quegli aggeggi intricati che porta alle orecchie non glielo rendano semplice.

La prima regola di un soldato quando un nemico gli fa un certo effetto, è non avvicinarsi.

Io non sono più un soldato e ho la certezza quasi totale che questo ragazzino non sia un nemico, ma istintivamente qualcosa mi dice che se non mi avvicinassi sarebbe meglio.

Non so bene cosa sia, solo una sensazione che somiglia al timore.

La paura, in ogni caso, non è una cosa che mi piace particolarmente.

Mi inginocchio al suo fianco e mi avvicino al suo viso.

Com'è possibile che sia così, come?

Non c'è il minimo segno sulla pelle bianca, solo nei di un colore chiaro e ombre gettate dalle ciglia.

Più delicatamente possibile, prendo fra le dita quelle cose che mette sulle punte delle orecchie e le tiro via, solo per sentirlo... ridere nel sonno?

Penserei che soffre il solletico, se solo non fossi a pochi centimetri da lui.

La sua risata...

Cazzo, ma può essere reale, tutto questo?

Somiglia ad una fantasia indotta, più che a qualcosa che davvero vedo.

Se non fossi immune alle arti magiche mi sarei già preoccupato.

Mi sporgo per togliere l'altro orecchino.

Piega la testa sull'erba più comodamente quando lo faccio.

Mi alzo prima di rimanere ulteriormente incantato. Non mi sembra davvero il caso di star qui come un pazzo maniaco a fissarlo mentre dorme, primo perché non è educato, e secondo perché non sono un mollaccione che si fa irretire da un bel visino.

Mentre rientro in casa per mettere a posto arco e faretra, ruoto fra le dita gli orecchini che gli ho tolto.

È metallo, il materiale di cui sono fatti, ma è lavorato con tanta finezza da essere sottilissimo e scintillante, e le pietre che ad occhio e croce sembrano diamanti sono trasparenti come fossero fatte di ghiaccio.

Ho la sensazione di avere un'idea di chi potrebbe essere questo sconosciuto fastidioso.

Un paesano non va di certo in giro con qualcosa del genere.

Se c'è una cosa che odio, sono i ragazzini ricchi. E questo sembra essere parecchio, parecchio ricco. Detesto il loro modo di approcciarsi alle cose come se tutto fosse loro e il modo di fare che ti dice che sono migliori di te.

Anche quando lavoravo alla Corte degli umani, i principini non mi erano esattamente simpatici.

Che tra l'altro, pare che i nobili subissero particolarmente il mio fascino, e me ne ritrovavo frotte addosso senza sapere come cacciarli via.

Probabilmente erano attratti dal sanguinario omicida con le cicatrici e i muscoli, nonostante non capisca cosa ci fosse di attraente in quello.

In ogni caso.

Appoggio gli oggettini del ragazzino che dorme sul tavolo della cucina e sbuffo, mentre infilo la testa fra gli scaffali alla ricerca di qualcosa da mangiare.

Ho delle uova, credo.

Ma sono due, e non bastano per entrambi.

Un attimo?

Ma chi ha detto che gli devo fare la cena? Non devo fargli la cena, cazzo.

E uova siano.

Ma se poi si svegliasse e avesse fame? Non saprà cucinare, non con quelle manine delicate che non avranno toccato altro se non carta e posate d'argento, e dubito che sia in grado di procurarsi la cena.

Cazzo.

Mia madre diceva sempre che dietro alla mia faccia incazzata sono piuttosto apprensivo.

'Fanculo mia madre.

È morta quarant'anni fa, che cosa voglio ancora starla a sentire.

Apro un altro scaffale e ci sono altre uova dentro.

Non lo sto facendo perché sia carino, no, lo sto facendo perché prima si rimette in piedi prima se ne va. Davvero. Sul serio, giuro.

In ogni caso, per cucinare, è piuttosto presto. Sarà passata di poco l'ora di pranzo.

Faccio mente locale.

Progettavo di andare a caccia un paio d'ore, prendere qualche cervo o lepre e fare le provviste per il resto della settimana, ma il cretino ha risvegliato le nebbie e per oggi mi sa che di animali non ci sarà nemmeno l'ombra.

Cos'altro devo fare?

Tagliare la legna, credo, ma il ceppo su cui lo faccio è appiccicato a lui e lo sveglierei.

Vorrei urlare.

Sto davvero litigando con me stesso perché ho visto un tizio carino comparire nel bosco? Devo frequentare persone più spesso, miseria, sembra che non veda qualcuno di attraente da anni.

Decido allora, risoluto e risolutivo, di fottermene il cazzo.

No, sul serio.

Che mi frega se lo sveglio? Cavoli suoi, miseria.

Esco a passi decisi dal rifugio, prendo l'accetta appoggiata contro il muro, inizio a radunare i ciocchi che devo tagliare.

Che si svegli pure.

A me che importa?

Niente.

Non posso comportarmi come se fossi in astinenza solo perché è un pelino più bello del normale, no? Che poi sarà null'altro che un insopportabile nobile pieno di vizi e pretese, oltre quel bell'aspetto.

Cazzo, però, sembra una di quelle creature mitologiche antiche che si vedono nei libri.

È perfetto.

Prendo il primo tronco, l'appoggio di piatto sul ceppo.

Svegliati, su, svegliati.

Lo spezzo con un solo movimento d'accetta.

Il rumore è netto, di legno che si spacca.

Mi rendo conto di essere quasi speranzoso quando mi giro a guardarlo dormire tanto da esserne io stesso infastidito.

Speranzoso? Di che?

Di vedere di che colore ha gli occhi? Di sentirlo parlare?

Prendo un altro tronco e lo spezzo allo stesso modo di prima.

Dorme.

Dorme e basta.

Si gira di fianco, mi offre la vista dei pantaloni strettissimi e della schiena bianca e continua a dormire.

Gli scende lo scollo della tunica sulla spalla e s'intravede la cima della scapola magra che si muove con lui.

Ha il collo sottile.

Merda, Hajime, ma che ti metti a pensare? Ha un "collo sottile", brutto pervertito debole ammasso di carne, eh?

Potresti spezzarglielo, quel collo, fra le mani, e lo sai. L'hai fatto a ragazzini della sua età, cosa dovrebbe cambiare con lui?

Sì, il modo migliore per controllare le mie emozioni è ricordami di chi sono stato per tanto tempo. So che sembra inquietante, lo è, ma funziona.

In realtà, in questo contesto, non particolarmente.

L'unica cosa che mi viene in mente è come starebbero le mie mani su quel collo bianco, e l'immagine non m'inquieta nemmeno un po'.

Altra legna.

Spacchiamo altra legna.

Non si sveglia al quarto, non al quinto, non al sesto né al settimo ceppo. Continuo a calare l'ascia sui ciocchi chiari di betulle che ho preso poco distante da qui, ma non dà cenno di volersi svegliare.

Rimane là, come un'offerta, a prendere il sole e dormire come un bambino.

Miseria.

Sviluppo nei suoi confronti quasi una forma d'odio, ogni secondo che passa, ogni legno che spezzo, perché lo trovo davvero troppo bello.

Inizio a detestarlo.

Come si permette, di andare in giro in quel modo? Non è per niente giusto. Uno cerca di dimenticare il passato e vivere d'eremitaggio e poi con un paio di gambe chilometriche ecco questo stronzetto che zompetta per il bosco a distogliermi dalla mia tranquillità.

E poi odio anche il fatto che non abbia fatto niente.

Come può darmi così tanti problemi solo... dormendo?

Non è corretto.

È meschino.

Se fossi quel che ero vent'anni fa l'avrei già fatto secco.

Non mi manca l'Iwaizumi cane del re, ma certi momenti mi manca l'Iwaizumi che ammazza e se ne va senza chiedere scusa.

Che odio.

Che fastidio.

Inizia a colarmi il sudore dalle tempie per la rabbia che sto mettendo nello spaccare la legna. Fa un caldo infame, miseria, e certo tutta questa foga non aiuta.

Mi tolgo la camicia e mi ci asciugo la faccia.

Che noia, cazzo.

Davvero, sono serio.

Mi sta davvero antipatico, questo stronzo.

Mi accorgo mentre riprendo fiato che ho finito la legna. Ho finito... la legna.

Sono rimasti quanti, tre ciocchi? Ed eppure mi sembrava una bella montagna di roba da spaccare, quando l'ho presa.

Mi devo essere fatto prendere la mano.

Tiro verso di me uno degli ultimi pezzi, mi asciugo di nuovo la faccia con la camicia, la butto per terra e tiro su l'accetta.

Scende, cala, il rumore è quello di sempre.

Tranne che, a questo punto, quel che viene dopo non l'avevo ancora sentito.

− Sono nel Sidhe? Sei venuto a portarmi via? –

Mi giro di botto.

− Eh? –

Il modo in cui si appoggia sugli avambracci e mi squadra è meno delicato di quanto mi sarei aspettato. Alza un sopracciglio verso di me.

Il principino si è svegliato?

− Credevo fossero cazzate, quelle delle fantasie prima di morire, sai. – borbotta, tirando su una mano e agitandola verso di me.

Ha così tanti anelli che fa rumore anche solo il movimento.

E in ogni caso, di tutte le cose che mi aspettavo di sentire, questa è... improbabile?

Che cosa diavolo sta dicendo?

− Che poi mi aspettavo qualcosa tipo me che entro nella sala del trono con un mantello di ermellino o le persone che mi accolgono in gloria. Ma immagino che anche "uomo prestante sudato" possa far parte delle fantasie della mia mente. –

Uomo...

− Io... − provo a dire, ma non riesco.

Agita la testa come per togliere i riccioli dal viso, poi stiracchia le braccia lunghe e si tira su in piedi.

È alto.

Scontato, cazzo, quando le sue gambe sono in quel modo, ma è davvero alto.

Sarà alto quanto me, e per un Elfo, è davvero strano.

Si avvicina con passi che non sembrano neppure lontanamente quelli di una persona che si è appena svegliata dopo... quanto sarà passato?

A giudicare dalla legna che ho spaccato un'ora e mezza, forse due.

− Che Yggdrasil mi benedica, questo è quello che intendo quando dico che i maschi umani sono meglio degli Elfi. –

Maschi umani.

Mi ha appena chiamato un "maschio umano"?

Parla di me come se volesse... mangiarmi?

− Io... − ripeto, ma ancora una volta, la voce mi muore in gola.

Ha gli occhi grandi, ma affilati. C'è qualcosa che m'ispira cattiveria, nel suo sguardo, che m'infastidisce profondamente.

Vorrei davvero alzare l'accetta e staccargli la testa di netto, ma rimango solo fermo come un coglione a fissarlo.

Quando arriva a pochi centimetri da me, ritorna quell'intossicante profumo di fiori.

Alza la mano piena di anelli e la apre prima di...

Appoggiarmela sulla pancia?

− Questo renderà la mia tratta verso il Sidhe molto piacevole, devo dire. Molto, molto piacevole. – commenta.

Questo stronzo mi sta...

Si lecca le labbra.

Si lecca... le labbra?

− Ti prego, credevo che morire fosse una merda. Ma se posso morire strozzato da quei bicipiti, allora ben venga. Grazie, divinità, vi amo. –

Strozzato dai miei bicipiti.

Ha dei... problemi?

− E la faccia, cazzo, la faccia. Ho avuto orgasmi per molto meno. –

A questa, mentre sento il rossore dell'imbarazzo salire come una fiammata dal mio collo fino alle guance, decido che è il momento di smetterla.

Prendo la sua mano che continua a tastarmi gli addominali, la tiro via e nel momento credo di farlo con un po' troppa forza, perché l'Elfo ninfomane cade a terra seduto.

− Io non sono una fantasia del Sidhe. – dico, con la voce che viaggia fra il "ti odio" e il "voglio sprofondare".

La confusione tinge il suo viso.

− Certo che sei una fantasia del Sidhe. Ricordo di aver scritto nel mio desiderata della festa di primavera di volere un "bell'uomo che possa uccidermi a mani nude", sarebbe troppo strano. –

Il desiderata della festa di primavera non è la lista di cose per cui un Elfo è grato? Non ricordavo ci fosse anche lo spazio dei desideri.

− Sto per ucciderti a mani nude. – convengo.

− Vedi? La mia fantasia del Sidhe. Non è che per caso potresti toglierti i pantaloni prima di farlo? Trovo la nudità molto più intima e penso sarebbe una bella immagine. –

Ora, ora capisco.

Ora comprendo come sia possibile che sia così disumanamente bello.

Perché chi gli ha dato la bellezza, ha deciso di andare sul risparmio in quanto a intelligenza.

Quest'Elfo è un coglione.

Cerco di combattere l'imbarazzo e l'effetto che mi fa la sua voce girandomi. Se mi rimetto la camicia riesco ad evitare il problema, magari.

No?

− Non sono una fantasia del Sidhe. Ti ho trovato mezzo morto nel sottobosco, ti ho preso e ti ho portato qui. Sei vivo. – provo a ripetere, mentre cerco il tessuto bianco fra l'erba.

− Impossibile. Nessuno riuscirebbe a sopravvivere nel Bosco Proibito, men che meno un umano. –

Sospiro.

− Non sono umano. –

− Sì che sei umano. Non hai le orecchie a punta e la tua pelle si abbronza. Ottima sfumatura, se posso dire, si intona con le venature verdi dei tuoi occhi. –

Ma cazzo, ma devo mettermi a sciorinare la mia vita passata per fare in modo che non mi molesti? Davvero?

Ricordo di essere stato un uomo temuto, un tempo. Memorie divertenti, eh?

− Mia madre non era umana. –

Lo sento schioccare la lingua.

− Sangue misto, fantastico. Prendi il meglio da due mondi, ottima scelta. –

Eccola.

Trovo la camicia, me la infilo e mi giro con le mani sui fianchi.

− Si può sapere che cosa cazzo stai dicendo? –

È rimasto seduto nell'erba, le gambe aperte e la testa che ballonzola indietro quando guarda il cielo, prima di sospirare.

− Allora sei davvero reale? Niente addominali per Tooru il giorno della morte? –

− E ora chi cazzo è Tooru? –

Si indica con il pollice e mi riserva il suo – a discolpa davvero avvenente – miglior sorriso.

− Io sono Tooru. Non hai sentito parlare di me? Tutti parlano di me. –

Sta davvero facendo finta che non mi sia appena saltato addosso? Oppure semplicemente la cosa non lo tocca minimamente?

Ma che razza di persona è?

Dov'è lo stereotipo delicato e timido degli Elfi?

− Non ho la minima idea di chi tu sia, oltre che un irritante appiccicoso Elfo con troppi gioielli. –

− Sarebbero troppi se non ne reggessi il peso con la mia frizzante ed adorabile personalità. –

Frizzante e adorabile mi sembrano un po'...

Ok, questa cosa non può andare avanti così. Prendi un bel respirone, Hajime, calmati e pensa razionalmente.

Lui è completamente fuori di testa, questo l'hai capito in cinque minuti netti e quattro parole. Cosa puoi fare?

Niente.

Fagli mangiare qualcosa, controlla che sia intero e poi basta.

Con metodo.

− Stai bene? – taglio corto.

Ha la bocca aperta come se stesse per parlare, ma la richiude quando sente la mia domanda.

Non risponde.

− Elfo, stai bene? Le nebbie del Bosco fanno male alle creature magiche, vi fanno sentire pesanti e vi fanno svenire. Come stai? –

Prova a rispondere ma s'impappina nelle sue stesse parole.

Quando deve dire le cose importanti non ce la fa? E perché questa cosa, persino questa, cazzo, sembra così... carina?

− Io non... non ho la magia. Sto bene, credo. –

− Cazzate. Ti ho visto brillare come stessi andando a fuoco. –

Spalanca gli occhi.

− Che? –

− Le spore reagiscono alla magia, Elfo, ed erano belle che accese con te. –

Perché finge di non averne? Per attaccarmi? Cosa pensa di fare, di mentire e usarlo a suo vantaggio come fosse un'arma?

Povero idiota, su di me non funziona.

− No, no, non sto mentendo, giuro. Non ce l'ho la magia. –

− Sì che ce l'hai. –

S'incastra nelle sue parole una volta ancora, poi alza le spalle e mi guarda dritto negli occhi. Ha perso quel taglio da serpe di prima, il suo sguardo, ora sembra molto più giovane e innocente, e onesto, mio malgrado.

− So fare solo due o tre cose, davvero. Ma non credo che una magia di cambio d'abito valga. Si saranno attaccate alla magia dei miei genitori quando sono entrato. – prova a spiegare, con l'espressione più confusa possibile.

La storia non mi convince.

Ma non credo di poter tirare fuori altre risposte su questo versante.

In ogni caso ha detto che sta bene, no?

− Ti sei fatto male contro i rami? Sono fitti, se ci corri in mezzo graffiano. –

Scuote la testa.

Distolgo lo sguardo quando lo fa.

Era bello, nel modo predatorio di prima, ma ora...

Sembra così onesto e realistico da esserlo solo di più. Miseria.

− Chi sei e che cosa ci fai qui? –

Alza un sopracciglio.

− Servi qualcuno? –

− No. –

Prende un grande respiro.

− Principe degli Elfi del Sole. I miei volevano che mi sposassi, sono scappato. Solo un'altra storia cliché, niente di particolare. – ammette, lasciando i miei occhi per guardare l'erba su cui è seduto.

Principe della Corte, eccolo il ragazzino ricco. Ci avrei scommesso.

− Ti stanno cercando? –

− Probabilmente. Ma mi daranno per morto fra un paio di giorni e si dimenticheranno più che volentieri di me. Non ti creerò nessun problema. –

Come se non me ne avessi già creati.

Lascio filtrare genuina curiosità fra le mie parole.

− Quanti anni hai? –

Si fissa le mani aperte.

− Diciannove. –

In che senso?

− Volevano farti sposare a diciannove anni? Per gli Elfi è prestissimo, mi sembra così strano. –

Alza le spalle.

− Possiamo parlare d'altro? Tipo, di te. Come ti chiami? Quanti anni hai? Ti andrebbe ti toglierti un'altra volta la cami... −

− Iwaizumi, cinquantanove, la camicia rimane dov'è. –

− Cinquantanove? Sembra che tu ne abbia... venti! –

Sospiro.

− Mia madre non era umana, te l'ho già detto. –

Dove è cresciuto, questo, sugli alberi? I sangue misto invecchiano come il parente più mitologico, dovrebbe saperlo.

O in questo caso, non invecchiano.

− Cos'era? –

− Non credo sia importante ai fini della nostra conversazione, Elfo. –

Inclina la testa, sbatte le ciglia.

− Me lo dici lo stesso, per favore? –

L'accetta è a pochi centimetri da me. Se riesco a prenderla e mi giro dal verso giusto forse riesco a decapitarlo senza che riesca ad urlare.

Non è possibile che sia così, cazzo.

− No. –

Piega gli angoli della bocca all'ingiù.

Poi come se non fosse successo niente, piega le gambe, fa leva sulle ginocchia e si rimette in piedi.

− Come vuoi. Uno ci prova. –

Quant'è strano. È davvero strano, questo Elfo. Stranissimo.

Quello che fa dopo, è ancora più strano. Ma più che strano, totalmente senza motivo.

Si stiracchia le braccia, fa scattare i muscoli e si guarda dall'alto, prima di schioccare le dita e...

Cambiarsi?

La tunica che era azzurra, prima, ora è di un pacifico verde menta, e invece di essere tagliata sul costato è senza maniche e lunga oltre la vita, con uno scollo profondo fin quasi all'ombelico e il colletto alto.

I pantaloni sono identici a quelli di prima, strettissimi e dello stesso colore.

E di guardare per filo e per segno che dettagli siano cambiati nei milioni di gioielli che indossa, non ho voglia.

− Che cazzo hai fatto? – chiedo, senza riuscire a trattenermi.

− Cambiarmi mi fa sentire meglio, Iwaizumi. Mi rende più saggio. –

Cambiarsi.

Lo rende più saggio.

− E come... hai fatto? –

Chiedo come abbia fatto per evitare di chiedergli se abbia delle gravi tare mentali.

Sorride come gli avessi chiesto di suo figlio.

− Sai cos'è un canale magico? –

Certo che lo so.

È tipo un portale di teletrasporto sempre aperto. Gli Elfi ne creano a pagamento per gli umani, per aiutarli a spostarsi.

Annuisco.

− Con un pizzico della mia scarsissima magia da Elfo una delle estremità del canale è nella mia immensa cabina armadio, l'altra è su di me. Geniale, non trovi? –

Geniale, lui dice.

A me sembra una delle cose più inutili che abbia mai sentito.

− E ora stai meglio. –

− Certo che sto meglio, mi sono cambiato. Il verde mi comunica più calma, più riflessione. Mi aiuta a ragionare. –

Io non so davvero né cosa dire né cosa pensare.

Siamo seri.

Io sono un soldato.

Uno di quelli con la spada, e l'armatura, che ammazza i nemici e torna a casa coperto di sangue, che mangia quel che trova e si accampa sulle rocce.

Credo di non avere davvero possibilità di riuscire a capire... lui.

E alla fine, direi che nemmeno voglio farlo. Il giorno in cui davvero un paio di pantaloni verdi e un anello di un altro colore mi renderanno d'umore migliore, è il giorno in cui capirò che devo concludere la mia esistenza.

Sbuffo e non rispondo per evitare di tirar fuori l'intero arsenale delle mie parole non esattamente eleganti.

− Allora, Iwaizumi, che cos'è questo posto? – chiede poi, assumendo finalmente un grammo di senso.

Alzo le spalle prendendo un respiro.

− Un rifugio. –

− Un rifugio per...? –

Rispondere sarebbe come aprire un pezzo della mia vita privata a questo bel ragazzo stupido di cui non mi fido minimamente.

Ma mi dico che va bene, se è solo un pezzettino.

− Esuli. –

Spalanca gli occhi come non ci credesse.

− E l'hai costruito tu? –

− No, credo fosse qui prima del Grande Sterminio. C'è un libro che ha scritto il padrone di casa, però, e parla di rifugio per esuli. –

Si batte il mento con la punta dell'indice destro.

Ha messo un anello, ora, che avvolge tutto il dito in intricati motivi vegetali.

Fa sembrare le sue mani più sottili.

− Quindi se sono un esule posso rimanere... qui? –

Teoricamente sì.

Praticamente, direi proprio di no.

Non rispondo per non dire cose che non sarebbero corrette, ma prima che ragioni ad una risposta, scuote le spalle.

− Magari una notte o due, giusto per capire dove posso andare. – aggiunge.

Sospiro.

No, che non può rimanere qui, cazzo. Io amo, davvero, amo la solitudine. Amo stare solo a fare le mie cose, cacciare i miei animali, cucinare i miei pasti, leggere i miei libri.

Non voglio un Elfo ficcanaso che mi distrae in giro a saltellare per casa.

Eppure, le parole del padrone di casa sono chiare e non sarebbe onesto contraddirle quando questa casa mi ha offerto tanta ospitalità.

Questo è un rifugio per esuli.

E qualsiasi esule, che sia un condottiero spaventato da se stesso o un principino viziato, dev'essere accolto.

− Ci sono delle mappe, dentro, se ti servono. – dico, per non dire altro.

Sorride.

Saranno i due giorni più lunghi della mia vita.

Non c'è niente di giusto nella sua faccia.

Niente.

− Non le so leggere. –

L'incantamento di me che vago con lo sguardo sul suo viso si spezza quando sento quel che dice. Non le sa... leggere.

− Sei analfabeta? –

− No, è che le lezioni di Geografia le faceva uno stregone notturno e ho deciso di non andarci. La notte io dormo, non leggo cartine impolverate e mi rovino la pelle stando sveglio. –

È superficiale, la motivazione.

E nonostante tutto in quest'Elfo mi sembri davvero molto superficiale, nella sua risposta qualcosa non mi convince.

Finché non mi ricordo che...

Gli Elfi non studiano la Geografia. La magia elfica è naturale, elementare, comunica loro dove siano sempre, perché è come se si mettesse in contatto con ciò che li circonda.

E quest'Elfo dice di non averla, la magia.

Mi fa un po'... tenerezza, il pensiero.

Te... tenerezza?

O porca puttana, davvero?

Tenerezza?

Hai ammazzato un coniglio più tenero, ieri, e te lo sei mangiato.

Smetti di fare il rammollito.

− Idiota. – rispondo allora, senza intenderlo troppo nei suoi confronti quanto nei miei.

Alza le spalle e piega la testa.

− Mi aiuteresti a trovare un sentiero per uscire da qui? –

− Perché dovrei aiutarti? –

Perché è una persona in difficoltà, diamine.

Sono convinto, a questo punto, che tutto in questa situazione sia al contrario. Di solito alle persone belle si fanno favori più volentieri, no? Le si tratta meglio, che ti ben dispongono con uno solo sguardo.

In questo caso, è l'opposto.

È quello, il motivo per cui mi irrita.

Oltre al modo in cui ragiona.

Il modo in cui mi guarda, cambia di nuovo.

Lo noto dal taglio degli occhi, davvero. Abbassa le palpebre e inclina un po' il mento verso l'interno, poi assume questo sorriso affilato.

− Vuoi qualcosa in cambio, Iwaizumi? –

Qualcosa in cambio, eh?

Qualcosa... in cambio.

Mi rendo conto con un brivido a cosa si riferisce. Di se stesso, il ragazzino, parla come qualcosa da offrire in cambio.

Ha diciannove anni, per la miseria.

Chi ha insegnato a quest'Elfo a comportarsi in questo modo?

− Che tu stia zitto da ora fino a quando non te ne andrai vale? Hai la voce irritante, Elfo. – ribatto, prendendomi la briga di guardarlo dritto negli occhi.

Voleva sedurmi, no?

No, in realtà ho l'impressione di no.

Credo volesse solo... trovare un modo per essere aiutato. Costi quel che costi, a quel punto, non giudico di certo io le modalità di persuasione altrui, ma c'è qualcosa che mi sa di sbagliato, nel modo in cui l'ha fatto.

Come se mi stesse chiedendo di non farlo davvero.

Ma forse sono solo strane idee mie.

Perde il taglio degli occhi affilato, riprende quello giovanile.

− Come vuo... −

− Stai parlando. –

Chiude la bocca premendo con i denti sull'interno delle labbra.

Fa "no" con la testa.

− Dunque starai zitto? –

Questa volta, fa "sì".

Altro che decapitare lui, ora decapito me stesso. È adorabile, miseria, davvero adorabile.

− Entra in casa, allora. –

Annuisce un'altra volta, prima di tirare su le mani, sistemarsi i capelli e i vestiti e avvicinarsi alla porta.

Quando alza la mano per invitarmi ad entrare prima di lui, un raggio di luce riflette sulle pietre preziose dei suoi anelli e vedo che c'è qualcosa che brilla sulla sua fronte.

C'è un filo, sulla fronte del ragazzino, che passa a contatto con la pelle sotto i riccioli castani, e sembra essere d'argento lavorato.

Mi ricorda...

Anche mia madre ne portava uno.

− Quello dove l'hai preso? – chiedo, indicando la sua fronte prima di entrare.

Mi risponde scuotendo la testa.

Ah, cazzo, gli ho detto di non parlare.

− Scherzavo, prima. Puoi parlare, idiota. – mi contraddico, solo per la pura curiosità del momento. So che me ne pentirò, dopo, lo so bene.

Dirò a me stesso che sono un coglione di merda perché il silenzio era così invitante e lui così fastidioso, ma ora come ora davvero, vorrei sapere dove l'ha preso.

− Una donna del paese diceva che mi sarebbe stato bene e ne ho fatto fare uno dall'orafo di Corte. Che c'è, non ti piace? –

Ah, l'orafo di Corte.

Ragazzino ricco.

− Fa schifo. – borbotto.

Mi pizzica il braccio fra le dita.

− Cattivo, Iwa-chan. –

Mi giro di scatto.

− Come mi hai chiamato? –

Sorride con una faccia zuccherina e frivola, ora, mi supera di lato e si siede al centro del tavolo di quercia, appoggiando una mano sopra l'altra.

− Cattivo? È vero, sei cattivo. E senza stile. –

Sbuffo.

− Non quello, idiota, il mio nome. −

− È una cosa umana per dire che sei carino! –

Coglione, so cosa vuol dire. Il problema non è cosa significhi, ma che tu l'abbia detto.

− Io non sono carino, Elfo. –

− Invece sei molto carino. Sembri davvero cattivo, alla vista, ma mi stai aiutando senza ricevere nulla in cambio, è carino. Non trovi? –

No, non trovo.

Trovo che sia sintomo di grande animo e pazienza.

− Chiamami un'altra volta in quel modo e ti stacco la testa. –

− Oh, no, la prego, mi risparmi, mio signore. Sia mai che la sua enorme potenza possa essere sconfitta dalla parola "carino". – mi prende per il culo, allungando platealmente le vocali e portandosi una mano alla fronte.

Per evitare di ucciderlo, prendo il fascio di mappe che tengo nella libreria centrale, le sbatto sul tavolo.

− Vuoi che ti aiuti o no, Elfo? –

− Sì, per favore. Volevo solo scherzare. – risponde.

Non riesco a star dietro a tutte le minuscole variazioni del suo tono di voce.

È passato da "ti molesto" a "facciamo amicizia", deviato verso "cosa vuoi in cambio", "sei carino" e ora "per favore".

Io non parlo con un'altra persona da mesi, cazzo, e lui sembra esserne mille diverse.

Tiro indietro la sedia vicino alla sua, la giro al contrario e mi siedo con gli avambracci appoggiati sullo schienale sospirando.

− Dove vuoi andare, Elfo? –

− Dagli umani, credo. Le popolazioni elfiche mi riconoscerebbero e direbbero ai miei che non sono morto. –

Prendo fra il plico sul tavolo una grande cartina di pergamena.

È vecchia, di prima del Grande Sterminio, e rappresenta all'incirca la zona.

− C'è un sentiero verso Nord, a mezza giornata di cammino. Se c'è la luna crescente in cielo il Bosco non cercherà di soffocarti, soprattutto se non hai magia addosso. –

− La luna crescente? –

− È una lunga storia, e non ti servirebbe in ogni caso. –

Lo vedo deglutire la saliva e annuire.

− Hai un piano? – mi scappa, prima che riesca a tenere le parole per me.

− Non esattamente. Ma qualcosa m'inventerò, immagino. –

Quel qualcosa suona esattamente come suonava il "vuoi qualcosa in cambio" di prima. Suona rassegnato e mesto, ma allo stesso modo piuttosto cosciente.

− Gli esseri umani sono peggiori degli Elfi, ragazzino, non ti mettere in situazioni che non puoi gestire. –

Perché glielo sto dicendo?

Forse perché sembra così prigioniero di qualcosa più grande di lui che ne provo compassione.

− Me la caverò. –

Distolgo lo sguardo dai suoi occhi per evitare di sentirmi ulteriormente coinvolto. La cosa che mi serve di meno, al momento, credo sia far diventare i problemi di qualcun altro miei problemi.

Vedo qualcosa brillare al centro del tavolo, e quando mi rendo conto che sono i suoi orecchini, quelli che gli ho tolto prima, non freno le parole.

− Vedi qualche tuo gioiello. Tireresti avanti un anno con un solo diamante di quelli. –

Sospira.

− Dici? –

Sempre meglio che usare la tua bellezza come fosse un prodotto di commercio, vorrei rispondere, ma non lo faccio e mi limito ad annuire brevemente.

− Forse farò così. –

Cade il silenzio.

Non è un silenzio convincente, però, mi sembra il silenzio di qualcuno che rimugina e non è contento. E non riesco a capire perché mi dia così fastidio.

Maledetto Elfo.

Sarà meglio che si allontani il prima possibile.

Due giorni, Iwaizumi, due giorni.

− C'è una sola stanza da letto al piano di sopra, ma ci sono due letti. Vai a rifartelo. Trovi le lenzuola nella cassettiera di ciliegio. – borbotto, alzandomi.

Tanto che ci sono, metto su il tè.

Il ribollire della teiera riempirà un po' il silenzio.

Ma sembra non avermi sentito minimamente, quando gli lancio un'occhiata. Si fissa le mani in totale riflessione, mordicchiandosi l'interno della bocca.

Non è attraente, mordersi l'interno della bocca, è un vizio che comunica ansia.

Deve aver lasciato perdere per un attimo quell'aura di perfezione che sembra mantenere.

− Secondo te sopravviverò? – sussurra, con un filo di voce.

Io...

− Non ne ho idea, Elfo. Ma c'è più di un modo per farlo, e non tutti sono terrificanti come immagini. –

Perché lo sto rassicurando?

Miseria, odio essere una bella persona. Lo odio davvero.

Sorride appena.

− Non sarò mai un principe, nel regno degli Umani. –

Un principe, dice.

Ridacchio, mi giro per prendere la teiera di rame al fondo dello scaffale.

− Non ti preoccupare, Elfo, sarai un principino viziato e rompicoglioni anche nel Regno degli umani. –

Lo vedo riflesso contro il vetro della finestra.

Il suo viso...

S'illumina.

Diventa aperto e grande e sorridente.

L'ho appena insultato, cazzo, perché sorride?

− Grazie, Iwa-chan! –

− Non chiamarmi in quel modo! –

Mi fa la linguaccia.

La... linguaccia.

Io che ho fatto di male? Cosa, cazzo, che cosa?

Mi giro appena in tempo per vederlo rimettere su la maschera frizzante e frivola di prima, quella che aveva all'inizio, quella che non ricorda un ragazzino impaurito ma una persona perfetta e senza valori.

Inclina la testa, sbatte le ciglia lunghe.

− E comunque non ho la più pallida idea di come si rifaccia un letto. –

Due giorni.

Due... giorni.

Due giorni.

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➥✱"dàil" in gaelico significa "conoscere, conoscenza, incontrarsi".

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