𝗰𝗹𝘂𝗮𝘀-𝗳𝗵𝗮𝗶𝗹
⟿ ✿ alert :: c'è una menzione di sangue
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Non... credevo che l'avrebbe detto, posso essere onesto?
Non credevo che l'avrebbe detto.
Mentre m'infiltravo fra le frasche del Bosco Proibito, con i lacrimoni agli occhi e le mani che tremavano, ho pensato che fosse un'idea di merda.
Iwaizumi era gentile, era stato gentile nonostante la facciata minacciosa e il modo di fare aggressivo, ma non ero nessuno per tornare là e dirgli "tienimi ancora", lo sapevo.
Ma...
Non so che cosa sia stato, ma è come se qualcosa mi avesse detto di non fare un altro passo.
Come se una voce si fosse infilata nel mio cervello a sussurrarmi che il mio destino non era fuori da quel Bosco, ma proprio all'interno.
Non era vero che non sapevo dove fosse il Nord.
E lo sapeva anche lui.
Ed eppure non credevo che l'avrebbe detto.
Mi aspettavo un "ancora un paio di giorni, stronzo di un Elfo", qualche sbuffo o battuta acida. E mi ero accorto del modo in cui anche a lui tremassero le mani quando ci eravamo salutati, mi ero accorto di come mi guardasse, ma credevo fosse una cosa di un momento, una speculazione veloce.
Ha detto che non me ne sarei dovuto andare.
Mi ha detto di rimanere.
Come se davvero volesse avermi lì, come se davvero fosse qualcosa di importante, per lui, che non me ne andassi.
E mi ha stretto fra le braccia così forte, così forte.
Mi sembrava intoccabile, prima.
Inavvicinabile.
Poi tutto un tratto ero lì e mi sentivo così al sicuro, come non mi sono mai sentito in vent'anni di vita a palazzo, protetto e credo anche, in piccola parte, voluto.
Iwaizumi ha detto che sarei dovuto rimanere.
Mi ha abbracciato, mentre lo faceva.
E ho visto qualcosa, fra le crepe del modo rabbioso e deciso in cui si pone, che ho pensato fosse davvero singolare e affascinante, e mi sono sentito a casa.
Per cui, una settimana e mezzo dopo, sono rimasto, e sono qui.
Com'è la convivenza?
Iwaizumi dice "maledetto il giorno in cui sei nato" ogni volta che do fuoco alle sue cose, tutte quelle in cui la mattina mi lagno di non volermi alzare – mi sono abituato alle lenzuola ruvide – e persino quando prendo la tintarella sul prato in mutande.
So che gli Elfi non possono abbronzarsi, ok?
Ma voglio illudermi.
E mi fa bene al cuore.
Però se chiedeste a me come va la convivenza, direi che è così divertente, vivere con Iwa-chan, che davvero non comprendo come potessi essere soddisfatto a palazzo da solo.
Ok, c'erano i servitori, e i vestiti nuovi ogni quattro giorni, le feste e il cibo perfettamente cucinato, la reverenza e una montagna di soldi.
Ma Iwa-chan, insomma, lui è una persona vera.
Non saprei come spiegarlo, è un concetto un po' strano, forse, ma è questo che mi piace di lui, che è vero.
Non mi tratta bene perché sono il principe, anzi, diciamo che non mi tratta bene e basta nella maggior parte dei casi.
Ma qualsiasi cosa faccia, la fa perché gli va di farla, non perché glielo imponga una qualche forma di deferenza regale ottemperata dall'alto.
Mi piace perché è onesto, perché è sboccato e perché mi tratta come cazzo gli va di trattarmi.
Mi fa sentire meglio questo, rispetto all'altro modo di custodirmi come se fossi troppo delicato per avere la verità.
Mi fa sentire più forte.
Sempre se ha senso.
E poi c'è un'altra cosa, che deriva da tutte quelle che ho appena detto.
Il mezzo uomo, ex soldato, minaccioso e turbolento musone, proprio lui, ecco... mi piace, credo.
È strano.
A me non piace mai nessuno.
La mia reputazione, quella del "mangiauomini", ha creato in me un meccanismo di difesa piuttosto strutturato.
Le persone che trovo attraenti, sono conquiste.
Non mi fido di nessuno.
Quanti uomini mi hanno detto che mi amavano, quanti? Una marea, quando potevano avere un pezzo di me, sempre con la stessa faccia ebbra e incompresa.
Non mi fido.
Non mi piace nessuno.
E invece...
Iwaizumi... mi piace.
Non solo per l'aspetto fisico, quello c'è ma è un grande "non solo" per le sensazioni che provo. Ci farei sesso? Certo, anche ora.
Ma non voglio solo il sesso, diciamo che vorrei anche tutto il resto.
Non so quando sia l'ultima volta che mi sono preso una cotta, non so nemmeno se mi sia mai successo, ma ora come ora, ho una cotta, e ce l'ho per l'uomo incazzato che mi sveglia la mattina dandomi del nullafacente e mi dice "bravo" quando sa che senza non potrei riuscire a fare tutte le cose che faccio.
Detto questo, non ho intenzione di fare niente al riguardo.
Primo, perché, come ho già detto, è pressoché intoccabile.
Secondo, perché non voglio rovinare l'unica persona che mi abbia trattato come qualcuno e non solo un pezzo di carne in tutta una vita.
Non è romanticamente disponibile, l'ho capito.
Non gli piacciono gli altri.
Fa fatica anche a sopportare solo me.
Non ho la minima intenzione di buttargli addosso tutto il fardello dei miei sentimenti, non vorrei che si spaventasse e mi dicesse di andare via.
Va bene così.
Alla fine siamo solo io e lui, che ci baciamo o meno che differenza fa?
Fa differenza, certo che fa differenza, è una bugia dire il contrario, ma se devo essere onesto mi sembra più che soddisfacente condividere questo e basta, per ora.
Ci conosciamo da poco meno di due settimane, non credo sia il momento giusto di far tremare le fondamenta di questa cosa proprio ora.
Sto bene.
Con lui sto bene.
Anche se non gli piaccio come lui piace a me.
Sto bene e basta.
Potrei provarci, a sedurlo, potrei provarci e persino riuscire per quanto sia una persona seria e detesti visibilmente il mio modo di approcciare quell'esatto argomento, ma poi cosa ne tirerei fuori?
Del gran sesso, ne sono sicuro, ma niente di più.
Penserebbe di esserci cascato pure lui, di aver ceduto, e io penserei che in fondo da me voleva solo quello e rovinerei tutto.
Alle cose serve tempo.
E a me ne serve un po'.
Sono seduto in ginocchio sul prato davanti alla casa, ho un ago pizzicato fra le labbra e le dita che cercano di orientarsi meglio fra le cuciture di una casacca di pelle che non credo di aver mai visto indossata da nessuno in vita mia, gli occhi stretti e il Sole in testa.
Oggi si sentiva arancione.
La mia veste è di un dolce color pesca, che riflette e riluce la satinatura con i raggi del giorno, un venticello piuttosto piacevole mi agita i capelli e sono tremendamente concentrato.
Ha visto che sono bravo.
Mi ha dato questa da riparare.
Mi chiedo per un attimo che cosa siano tutti questi tagli e squarci che ci sono sopra, ma decido di lasciar perdere.
− Elfo? – mi chiede Iwaizumi, seduto poco distante da me, gloriosamente senza camicia, che si riprende dopo aver trasportato l'acqua per la settimana in casa.
Deve portarne il doppio, ora.
Dev'essere faticoso.
− Dimmi, Iwa-chan. –
− Ma tu ci vedi? –
Alzo lo sguardo e studio il suo viso.
− Non bene. La magia elfica permette di vedere meglio, ma faccio un po' fatica. –
Non c'è bisogno di mentire su questo.
Mio padre insisteva nel dirmi che un Elfo che non vede è come un cavallo che non cammina, ma 'fanculo, Iwaizumi mi ha visto piangere quaranta minuti perché mi aveva preso fuoco la tunica l'altro ieri, può sapere questo.
Ero troppo vicino al camino, per la cronaca.
Ed era una delle mie tuniche preferite.
− Perché non hai un paio di occhiali? Gli umani li costruiscono bene. –
Faccio spallucce.
− Mio padre non credeva fosse appropriato. –
Annuisce e distoglie lo sguardo.
− Ma è un problema solo quando è sera, il giorno riesco a tener su la magia abbastanza bene, non preoccuparti. – aggiungo.
− Non mi stavo preoccupando. –
No?
Mmh, a me sembrava di sì.
Come potrebbe non piacermi?
Torno al mio lavoro.
Iwaizumi non se n'è accorto, ma sto usando un filo rosa pastello per sistemare gli squarci sulla tunica. Se è sua ha senso, s'abbina bene con i toni scuri del suo viso.
Si arrabbierà?
Naah, è stile, e io sono il più grande esperto di stile del mondo conosciuto.
− Hai qualche anello con un diamante grosso? – chiede, dopo qualche istante.
Sfarfallo con la mano e uno dei miei pezzi migliori appare sul medio, catturando un raggio di Sole.
− Abbastanza grosso? –
− Sei così ricco che mi fai schifo. Dammi qua. –
Sposto lo sguardo verso il fodero interno, rovescio la tunica per sistemare i punti.
− Perché? Non te lo lascerò vendere, è uno dei miei bambini. – scherzo, prendendo l'ago dalle mie labbra e ricominciando a cucire.
− Non voglio venderlo, cretino. È che il diamante taglia il vetro. –
− E come mai vuoi tagliare il vetro? –
Non risponde.
Lo sento sospirare.
Vorrei davvero tanto girarmi per guardare le gocce di sudore che scendono sui suoi meravigliosamente abbronzati addominali, ma rischierei di pungermi e non amo farmi male.
− Le lenti degli occhiali si fanno con il vetro, stupido di un Elfo. –
Le lenti...
− Vuoi farmi degli occhiali? – praticamente urlo, girandomi con lo sguardo che brilla verso di lui.
Vuole...
Ha il ponte del naso un po' più rosso del solito quando mi rivolge la sua solita espressione da "che cazzo dici, Elfo".
− Vorrei solo evitare che ti dia fuoco per sbaglio perché non ci vedi. –
Oh, certo.
Certo, certo, ci credo.
− Sei il migliore, Iwa-chan! –
Sbuffa.
Sfilo l'anello con le labbra e segue il movimento con gli occhi su di me, poi lo appoggio sul palmo della mano e sporgo il braccio verso di lui.
− Tieni, allora. Se riuscissi a staccare la pietra e rimetterla senza fare casino col mio bimbo sarei più contento, ma fai come vuoi. – commento, aspettando che raggiunga le dita con le mie.
− Elfo viziato. –
− Viziatissimo. –
Stringe la banda d'argento fra le mani, prima di infilarla in tasca distrattamente.
A questo punto, indietreggia con i palmi sul prato, le braccia tese e il torso in bella vista e chiude gli occhi.
Wow, Iwaizumi.
Mi piaci dentro, ma anche l'involucro che porti non è niente male.
− Ricomincia a cucire, Elfo. Ti sento fissare da qui. –
− Guardare ma non toccare è una politica onesta, Iwa-chan. –
Nasconde una risata.
− Idiota. –
Riprendo effettivamente ciò che stavo facendo prima qualche istante dopo.
− Che cos'era, questa tunica? – chiedo, per pura curiosità e voglia di chiacchierare, più che altro.
− Divisa da soldato. –
Stringo le sopracciglia fra loro ricominciando a cucire.
− Di pelle? Non sono di bronzo, di solito? –
Ridacchia appena.
− Non serviva. Era molto raro che qualcuno si avvicinasse tanto da ferirmi, e anche fosse il colpo non arrivava mai fino in fondo. –
− Mmh, poco vanitoso, Iwa-chan. –
La rigiro fra le mani per stringere meglio i punti.
Ho cucito delle toppe interne ed esterne per non lasciare che i tagli fossero tenuti insieme da semplice filo. Non è bella come quando gliel'avevano data, immagino, ma è un buon lavoro e se avesse voluto farlo fare a qualcun altro, non ci sarei io, ora, ma una persona più competente.
− E comunque è piena di tagli, qualcuno deve avertele date di santa ragione. – gli faccio notare.
Schiocca la lingua.
− Il mio vecchio migliore amico. Abbiamo... litigato, mettiamola così. –
− Oh, e come mai? –
Tiene gli occhi chiusi, ma mi sembra che la sua voce diventi più calda e seria, più ci addentriamo nell'argomento.
Respira piano.
− Ha disobbedito agli ordini. –
− Di chi? –
− I miei. –
Sembra... una cosa seria.
− Ma è una cosa dei tempi del Grande Sterminio, niente che abbia importanza ora. –
Vorrebbe lasciar cadere la questione, ma non glielo lascio fare, perché sento la mia stessa voce esprimersi in un verso di puro stupore.
− Il Grande Sterminio? –
È successo quanti anni fa, venti? Venticinque?
Nessuno ne parla mai, ti dicono solo che c'è stato tanto sangue e tanto casino, non è qualcosa di cui piace parlare alla gente.
Ma io sono... curioso?
Iwaizumi non risponde lì per lì, ma non mi manda a fare in culo, cosa che sembra più che promettente per la mia causa.
− Hai combattuto nel Grande Sterminio? – riprovo.
Schiocca la lingua un'altra volta.
− L'ho comandato, Elfo. –
Oh, merda.
Questa non me l'aspettavo.
Lui ha...
− E allora... −
− Fine delle domande. Non mi va di parlarne. –
Il mio entusiasmo si spegne e sfrigola come una fiamma immersa nell'acqua.
Ma, a dirla tutta, non è che la cosa mi deluda propriamente.
Ci sono cose che non mi va di ricordare, è più che lecito che ne abbia anche il buon Iwa-chan, no?
− Come vuoi, Iwaizumi. –
− E non chiamarmi in quel modo, mi metti ansia. –
− Oh, pardon. –
Passano uno, due, tre secondi di silenzio.
Poi io mi giro verso di lui e lui è tutto rosso che guarda dall'altra parte.
− Preferisci che ti chiami Iwa-chan? Davvero? –
− Io... no, che cazzo, odio quel soprannome di merda. Mi ci sono solo abituato, ok? –
− Certo, abituato, come no. –
Mi guarda con un puro istinto omicida al fondo degli occhi.
− Ti ammazzo, Elfo. –
− Davvero, Iwaizumi? –
Si sporge verso di me, spostandosi con le ginocchia sul prato.
− Vieni qui, ti rompo l'osso del collo. –
Appoggio una mano sulla bocca.
− Oh, no, il grande e grosso Iwaizumi vuole ammazzarmi. Cosa posso fare per farmi perdonare? Magari chiamarlo il mio piccolo, tenero Iwa-chan! –
Procede di qualche altra decina di centimetri.
− Sotto tutti quei muscoli sei il più tenero del mondo, non è ve... −
Cado con la schiena sul prato, la testa che sbatte appena sull'erba, mentre rido come un cretino di fronte alla faccia di Iwaizumi.
Mi stringe una mano sul colletto della tunica, con la faccia tutta incazzata.
Sotto sotto, so che si sta divertendo pure lui.
− Ti stacco la testa, scemo di un... −
− Ahia! –
Come se non stessimo buffamente discutendo, spalanca gli occhi in preda al panico e mi prende la faccia fra le mani.
− Ti sei fatto male? Dove? –
− Non è nie... − provo, ma si avvicina.
− Dove, Elfo? Dove? –
Sorrido appena.
− L'ago. –
Mi prende le dita fra le sue, le apre piano e trova l'ago appena conficcato sul palmo. Mi ha punto, non mi ha pugnalato, non è niente.
− Merda. – borbotta fra i denti.
− Guarda che non è niente. –
Lo pizzica via da me e lo mette attentamente sopra la tunica.
− Sanguini. –
Mi guardo la mano e tiro via con l'indice una minuscola gocciolina scarlatta.
− Non è nulla. –
Studia meglio la ferita, poi lascia andare con sbuffando.
− Mi sembrava strano che non ti fossi fatto male, scemo di un Elfo. –
− In effetti. –
Si toglie da me appoggiandosi seduto al mio fianco e quasi vorrei chiedergli di rimettersi come prima, ma mi mangio la richiesta.
L'unica cosa che penso è come potrebbe non piacermi.
Come?
È... una persona protettiva.
Mi piace essere protetto.
Non credevo che l'avrei mai pensato, nessuno mi ha mai protetto un giorno della mia vita, ma mi piace davvero.
− Dopo viene il tizio che mi porta il pane e le uova. – borbotta, come se volesse disperatamente cambiare argomento.
Gliela lascio passare liscia, questa volta.
− È un Elfo? –
− Un vecchio Umano che conosceva qualcuno che viveva qui. Credo gli abbiano fatto un incantesimo di protezione per entrare. –
Annuisco.
− Devo nascondermi? –
− Non credo, no. È mezzo pazzo, nessuno crederebbe a quello che dice e in ogni caso non è uno che parla con i soldati tanto per. –
− Perfetto. –
− Devo andare a caccia, se arriva aspetta che torni. –
− Non posso parlarci io? –
Scuote la testa.
− No. Primo, perché sei scemo. Secondo, perché gli do la carne in cambio del pane, senza carne non credo che avrebbe senso parlarci. –
− Ok, come dici tu allora. –
Stiracchio le gambe sul prato.
Non riuscirò mai a finire di cucire, oggi, vero? No, non ce la farò. Non con lui qua intorno che mi disturba di sicuro.
Vorrei dirgli di andarsene a caccia e lasciarmi fare le mie cose, ma in realtà Iwaizumi vince cento a zero contro il cucito, per cui lascio cadere la questione.
− Devi comprare più cose ora che ci sono anch'io, vero? –
Sbuffa.
− Non è un problema. –
− Sei sicuro? Ho un sacco di gioielli, posso... −
Si gira, gli occhi decisi e lo sguardo d'acciaio.
− Elfo, non è un problema. Passo le mie giornate a cacciare, se devo ammazzare due cervi invece di uno non è un dramma. Non è che tu mi stia rovinando la vita, anzi, mi aiuti anche. –
Ma che...
Carino.
Io ho l'impressione che se glielo chiedessi negherebbe, ma che quel che ha detto voleva proprio significare che non devo sentirmi un peso, che non lo sono.
− Grazie, Iwa-chan. –
Sporge il braccio per arruffarmi i capelli.
Lo fa... non direi spesso, ma ogni tanto, come un gesto d'affetto spontaneo che non riesce a reprimere. Non è che mi sorrida a trentadue denti o mi dica che si diverte a stare con me, ma è comunque qualcosa.
Mi fa venire le farfalle nello stomaco.
Pensare che per attirare la mia attenzione ci volevano grandi gesta e regali, parole ben scritte ed eleganza impeccabile, anche solo un mese fa.
Ora mi sento tutto frizzantino per un uomo che mi tocca i capelli.
Come cambia certe volte la vita.
Si alza poco dopo, fa leva sulle cosce – e mi farei strozzare anche da quelle, non solo dai bicipiti, dopo che l'ho visto in mutande due sere fa che si cambiava – e si tira in piedi.
− Forse è meglio che vada, se arriva fra poco rischio di farlo aspettare. –
No, per favore.
Mi stava piacendo quest'atmosfera domestica che si stava creando.
C'è proprio bisogno che tu te ne vada?
Lo so che poi torni e che domani saremo di nuovo solo io e te in mezzo a tutti questi alberi, ma stavo così bene, cazzo.
− Devi proprio? – mi scappa.
− Vuoi morire di fame? –
Se significasse poterti avere qui che mi tocchi i capelli ancora, probabilmente sì.
− Scherzi? E chi dominerebbe il mondo con la propria bellezza, dopo? –
Ridacchia alzando gli occhi al cielo.
− Torno fra poco. Cerca di... non farti male. –
Alzo i pollici verso di lui.
− Lo prometto, Iwa-chan, sarò ancora vivo e vegeto quando tornerai. –
− Che bello. – risponde, senza tanto entusiasmo, prima di squadrarmi per un istante e scomparire verso il magazzino.
Riprendo in mano la tunica.
Davvero, come potrebbe non piacermi?
È così... divertente, stare qui. La sua pelle è calda, il sorriso si vede poco ma quelle poche rare occasioni in cui appare è mozzafiato, ha un carattere burbero ma inaspettatamente premuroso e mi fa sentire... un po' meno uno schifo, ecco.
I miei parlavano di un "principe meritevole", che fosse di buona famiglia ed educato, gentile, altezzoso e pieno d'ambizione, un regnante, magnanimo, perfetto.
Questo volevano per me.
Forse quel principe degli Elfi della Luna era esattamente così.
Ma seriamente, 'fanculo al merdoso principe degli Elfi della Luna.
Iwa-chan non è un regnante, non è altezzoso e non è di certo educato. La cosa mi disturba? No, mi piace. È così nuova e interessante e trovo che sia dolce come smussa la sua ruvidezza certi istanti solo per parlarmi.
Mi piace, Iwaizumi mi piace.
Mi piace davvero tantissimo.
Ricomincio a cucire con la testa che sta per esplodere di puro dolce romanticismo giovanile, mentre scorro con la fantasia una marea di immagini diverse ed improbabili che vorrei accadessero ora.
Vorrei svegliarmi nel suo stesso letto, che mi mettesse le braccia attorno alla vita da dietro, al mattino, mentre verso l'infuso nelle tazze da tè, che si sporgesse per baciarmi quando ci riposiamo sul prato e che mi guardi più spudoratamente di come fa ora.
Spererei quasi che intagli le nostre iniziali su un tronco ma, innamorato o meno, dubito che farebbe mai qualcosa del genere.
Fa un po' schifo persino a me.
Vorrei che mi portasse in braccio sulle scale quando sono mezzo addormentato sui cuscini del salotto che mi scaldo al fuoco, che mi baciasse la fronte.
E vorrei anche tutta una serie di cose a cui non posso pensare se spero di non farmi beccare a vagare con la mente in immagini tanto sconce.
Chissà com'è, mentre fa... quello.
Chissà se è premuroso o se invece è più il tipo che si prende quello che vuole.
Ho avuto tanti amanti, di solito tendevano a trattarmi come fossi fatto di vetro in quei momenti. Paradossale, no? Un pezzo di carne e nient'altro, ma delicato quando si tratta di sfruttare qualcosa che si ha comprato.
Ho impressione che Iwaizumi non si imbarazzerebbe o farebbe problemi, ad essere più diretto in questo. Non mi sembra il tipo che ti accarezza dolcemente o ti bacia la tempia.
Mi sa di quel tipo di persona che un po' ha questa sottostante voglia di rovinarti.
Uno fisico, un po' violento.
Merda, mi sto immaginando Iwaizumi che fa sesso con me.
Bella immagine? Bellissima, senza dubbio, ma... un po' pericolosa?
Le tuniche sono sottili e no, non voglio spiegare come sia successo, perché o pensando a cosa.
Osservo con il massimo della mia concentrazione i punti sottili da cucire.
Quanto sarà carino con la tenuta per combattere coi ricami rosa pastello, io mi dico. Ci sono due belle primule disegnate col filo, gli staranno d'incanto.
Mi ucciderà per questo?
Certo, non ho dubbi.
Ma sarà davvero divertente.
Mi concentro nel lavoro che il tempo sembra non scorrere. Succede, quando sono impegnato a fare qualcosa che mi piace, e cucire mi piace.
Non credo di essere particolarmente avvezzo al lavoro manuale, ma c'è un qualcosa di soddisfacente nel creare le cose con le tue mani.
Le fai da solo.
Sono tutte tue, poi.
Rovescio la tunica dal dritto, controllo che i ricami siano venuti come li volevo.
Sono belli, davvero.
Sono bravo.
Me lo dico da solo, sono bravo.
Mi prendo un attimo per rimirare il mio lavoro tutto soddisfatto e poi mi premuro di mettere tutto via al posto giusto. Iwaizumi odia il disordine, e io odio che Iwaizumi mi odi, per cui faccio quel che dice risistemando ago e filo a dovere.
Il sole è un po' meno battente, ora.
Dev'essere passato diverso tempo.
Mi devo essere distratto.
Prendo un po' della tisana che ho fatto oggi per colazione e riempio una tazza grande di terracotta, prima di tornare fuori.
Mi siedo sul tavolo, le gambe incastrate l'una sull'altra.
Mi accorgo di essere un po' sudaticcio e decido che la cosa migliore sia decisamente cambiarmi, schiocco le dita e sfoggio uno dei miei completi migliori.
So che non ha tanto senso, per star fuori a non fare niente, ma mi fanno sentire... bene?
A Iwaizumi piacciono, nega ma è così, e gli sguardi che mi lancia lui sono più soddisfacenti di qualsiasi altro tipo di apprezzamento diretto.
E io mi sento davvero molto meglio, vestito bene.
Questo è color perla. La tunica è aperta e lunga fino ai piedi, i pantaloni sono morbidi e svolazzanti, il torso... nudo.
Tranne per un corsetto che i miei non volevano farmi fare.
Non è di quelli con le stecche da dama, che stringe la vita come fosse una prugna, è solo pelle bianca intrecciata con sottili strisce di raso.
Voglio che... mi guardi?
Mi piace che mi guardi.
Non mi sentirò in colpa per questo.
Osservo gli anellini sottili sulle dita, così tanti da tintinnare e so che sulle punte delle mie orecchie sono apparsi un paio di orecchini d'oro bianco che mi stanno divinamente.
Ho anche la tiara che fissava la prima volta che sono arrivato.
Non è niente di più di un filo di metallo intrecciato a formare piccoli motivi vegetali, che corre sulla fronte sotto i capelli, ma fa un bell'effetto, questo lo so anch'io.
Mi rimiro sul vetro della finestra che un rumore mi fa sobbalzare.
È tornato?
È...
Mi sembrava di aver dimenticato come mi guardano gli Umani.
Mi sembrava di aver mandato via quell'immagine, di essermela persa fra le cose che volevo buttare via della vita che ho lasciato a palazzo.
Mi sembrava che tutto fosse una poesia, questo ex soldato che mi tratta come una persona, questa casetta nei boschi e questa vita rurale da eremita, mi sembrava che il mondo di fuori fosse solo un ricordo al fondo della mia testa.
Non credevo di aver stampato nella memoria, come un marchio a fuoco, il modo in cui mi guardano gli Umani.
Come se non valessi niente.
Ti fanno perdere la voglia di sentirti bello.
È vecchio, Iwaizumi parlava di un vecchio.
Mi fissa.
Non sono una statua che puoi rimirare, di certo non un'opera per il tuo intrattenimento.
Perché mi guardi come se volessi possedermi?
Non pensi forse che io sia una persona?
Perché mi faccio schifo da solo, quando mi guardi a quel modo?
La cosa che ho imparato, combattendo e lottando contro questo tipo indesiderato di attenzioni, è a sfruttare ciò che ho per fottere gli altri.
Non mi guardi così.
Se vuoi farlo mi devi qualcosa.
− Tu... chi sei? – mi sento chiedere, gli occhi che non mi lasciano un solo, singolo istante.
Porta un carretto pieno di cose, troppe per noi due, immagino le venda anche al villaggio.
Deglutisco il disgusto.
− Sono Tooru. –
Spalanca gli occhi.
− Sei così bello, Tooru. –
Lo sono, lo so che lo sono.
Ma...
Sorrido per finta.
− Posso toccarti? –
Ok, vecchiaccio, un attimino. Non ti presenti, prima? Stai salendo pericolosamente veloce nella lista di vermi che ho incontrato nella mia vita.
− Chi sei, tu? – provo a ritrattare.
Un po' di delicatezza, per la miseria.
− Vivo nel villaggio qui fuori, di solito passo a vendere le mie cose ad Iwaizumi. Oh, ma non è che per caso sei suo? Non dovrei farmi vedere mentre ti tocco, se sei suo. –
Io non sono...
− Non sono di nessuno. – mi scappa, con un tono un po' più violento del solito.
Apre di più gli occhi.
− Ti andrebbe di essere mio? Non sono ricco, ma ti darei da mangiare. –
Mi sale un brivido lungo la schiena.
− Penso che dovremmo aspettare che Iwaizumi torni, prima di affrontare la questione. – tento, col tono più zuccheroso possibile.
Non risponde, si avvicina fissandomi e basta.
Scendo dal tavolo appoggiandomi su di esso con la vita.
Sono più bello, in piedi.
− Le tue gambe sono... così... −
Inspiro.
Sono ancora capace di farlo?
Posso, posso. Sfruttare i viscidi è la mia specialità.
− Cosa si fa dare in cambio al cibo che dà a Iwaizumi? –
Alza un dito raggrinzito.
− Un cervo. –
Calma, Tooru. Calma e sangue freddo.
− E per tutte le cosine che ha là, quanto servirebbe? –
Apre la mano.
− Cinque cervi. –
Parla di cervi ma guarda me, come se fossi un cervo che non vede l'ora di mangiare.
Non sono il tuo pezzo di carne.
Non lo sono.
Io...
Agito la mano di fronte al mio viso, ne segue il movimento, completamente rapito. Mi sistemo i capelli, abbasso le ciglia e apro di poco la tunica perché si vedano le clavicole.
− Se ti permettessi di toccare la mia mano, credi che varrebbe cinque cervi? –
Vorrebbe dire di no.
È una richiesta folle, dimmi di no.
Dimmi che sono pazzo.
Ed eppure è come se potessi vedere come la decisione venga respinta nel suo stesso viso.
Il cervello gli dice che sta facendo una cazzata, ma non è il cervello che comanda.
È la voglia.
− La tua... −
La alzo, gli anellini ballano e tintinnano.
− La mia mano. Non le andrebbe, mio signore? –
"Mio signore", che porcata. Gli uomini ci cascano così in fretta, questo per primo.
Annuisce.
Si avvicina di ancora un passo.
Posso farlo.
L'ho fatto tante volte.
È solo una mano.
La alzo, l'allungo in aria.
Solo una mano.
Faccio fatica a reprimere un conato, quando la tocca per davvero. Tasta e accarezza, neppure guarda gli anelli, percorre i bordi e le linee del palmo, sente le dita, il polso sottile.
Sbava quasi.
Che schifo.
Quando mi fanno schifo, gli Umani.
Gli Elfi hanno la stessa verve, ma più altezzosità.
Gli uomini cadono in pezzi.
− Basta. – chiedo, quando sento di iniziare a patire questa cosa per davvero.
− No, ti prego. Ti prego, io voglio... −
Mando giù il ribrezzo.
Preme il palmo sul mio, incastra le dita sulle mie.
Di fatto mi prende la mano.
Non voglio che mi prenda la mano.
La tiro indietro di scatto.
Quando si sporge verso di me per avvicinarsi ancora, mi sposto e indietreggio.
− La mano ho detto e la mano hai avuto, ora vattene. –
Ma dimentico che questi sono uomini, sono animali, predatori che vogliono e non sanno controllarsi. Che rispetto dovrei a queste creature così infime e orrende?
Quale?
− Voglio di più. Voglio vederti nudo. –
Io non mi farò vedere nudo, cazzo.
Indietreggio ancora.
− Vorrei così tanto che fossi mio. Sei sicuro di non volerlo neanche un po'? Non ho mai avuto un uomo, ma scoperei te come non ho fatto con nessuna delle mie mogli. –
Mi si accappona la pelle.
Come... come si permette?
Sento le lacrime salirmi dal naso agli occhi.
Che merda, gli uomini, che schifo. Mi fanno schifo, così tanto schifo.
Io sono... una persona. Una persona, non un trofeo.
L'istinto della preda prevale in me.
Mi dico che devo allontanarlo finché sono in tempo, dirgli qualcosa per levarmi d'impiccio la questione. Affronterò in seguito le conseguenze.
− Posso darti uno dei miei orecchini, vale molto. E ci rivedremo la prossima volta. – sbatto le ciglia cercando di mascherare il timore.
Sta fermo, ma ascolta.
Se c'è qualcosa che gli Umani amano quanto il sesso, sono i soldi.
− La prossima volta le concederò di toccare qualcos'altro. Magari potrei anche cambiare idea. –
Annuisce.
Tende la mano.
Il mio...
Stacco l'orecchino con le dita che tremano.
Bambino mio, cosa ti costringo a fare, che osceno viaggio ti accadrà. Mi dispiace, mi dispiace per te perché vali più di tutto l'ammasso di carne che ti prende.
− La prossima volta posso toccare una gamba? –
No, stronzo, odio che mi vengano toccate le gambe. Le persone come te le guardano pregando di piegarle o tenerle appoggiate sulle loro spalle. Ma io non sono le mie gambe.
− Se mi porti qualcosa che ne valga la pena, forse sì. –
− Che cosa vuoi? –
Che tu muoia.
Che tu scompaia.
− Due metri di seta verde smeraldo e del filo malva. –
Annuisce.
Non troverà mai del filo malva.
Ma crede che lo troverà, perché come tutti gli stronzi come lui, crede di meritare di averlo, per ottenere me.
Lo vedo girarsi.
Porta l'orecchino verso il naso.
− Ha il tuo odore sopra. –
Il metallo non prende l'odore.
− C'è anche un capello. –
Mi trema la spina dorsale, mi trema il corpo, mi viene da piangere.
Appoggia la testa sopra la spalla.
− Bello come sei, tu devi essere il principe perduto degli Elfi. Ma non ti preoccupare, principessina, non dirò il tuo segreto a nessuno. Rimarrà tutto per me. –
Deglutisco la saliva.
− Grazie, mio signore. – mi costringo a rispondere.
Gli brillano gli occhi.
− Mi piace che mi chiami signore. Ti hanno cresciuto servizievole. –
No, mi hanno cresciuto merce di scambio.
− Mi cercano? –
− Come i pazzi, sai. Ma quegli Elfi non possono entrare qui, non ti ruberanno mai. –
Sospiro.
− Menomale. –
Si gira una volta ancora.
− C'è una taglia sulla tua testa. La prossima volta dovrò decidere se preferirei scoparti o ucciderti e diventare ricco. Terrei la tua testa, però, è così bella. –
Mi viene da vomitare.
Questa cosa deve finire, devo trovare un modo di farla finire.
Ritorno verso il tavolo, mi siedo di nuovo, incrocio le gambe e agito la mano.
− Mi troverà qui fra sette giorni. –
− Non vedo l'ora. –
Mantenere la facciata è difficile, ma l'istinto di sopravvivenza ha la meglio, quando sorrido attendendo che si allontani.
Cammina fissandomi.
Mi striscia gli occhi addosso come serpenti, il suo sguardo mi cola addosso, mi pietrifica e mi fa sentire così miserabile, così poco.
So persino cosa sta pensando.
So cosa vuole fare, cosa farà fuori dal Bosco, con il mio orecchino in mano.
Gli Umani sono così, sono avidi e avari, legati alla lussuria e alla gola, sfrenati e volgari, luridi vermi.
Mi fanno schifo.
Ma il problema, e che mi fanno sentire come se anch'io, facessi schifo.
Come se fossi sporco.
Ne ho incontrati così pochi, nella mia vita. Pochi, ed eppure basta, ogni volta basta per dirmi che sono troppi.
Mi fanno più paura degli Elfi.
Perché sono davvero privi di ogni remora, quando mi guardano, sconfinati nel volere il contatto e il mio corpo, così volgari, così schifosi.
Mentre il vecchio si allontana, devo ricacciare il vomito.
Abbiamo un sacco di cibo, ora.
Ma non ne è valsa la pena.
No, cazzo, no.
So che mi alzo quando sono già in cucina, inumidisco un panno con l'acqua nel bacile a terra e sfrego.
Che schifo.
Non me lo ricordavo, ora lo ricordo bene.
Come il soldato che quando avevo tredici anni mi ha attaccato al muro per toccarmi, quello a cui è stato tolto il titolo con disonore solo perché ci aveva visti una servitrice.
Come lo stalliere, a quindici, che voleva che cavalcassi lui e non i cavalli.
Come...
Sfrego forte, così forte.
Non basta.
Devo...
Esco dalla casa di fretta.
Devo fare un bagno, mi sentirò meglio se faccio un bagno.
Corro sull'erba, corro finché non sento qualcuno chiamare il mio nome, quell'unica persona che non vorrei mi vedesse umiliato in questo modo.
− Hey, Elfo, che cazzo fai? –
Ci sono due cervi sul tavolo, la faretra contro il muro.
− Perché c'è così tanto cibo, qui? –
Scuoto la testa.
− Elfo? –
− Devo lavarmi. –
Vede che non ho smesso di strofinare ed è troppo veloce perché lo eviti. Mi prende il panno fra le mani e lo tira via, guardandomi la mano.
− Ora mi dici che cazzo è successo, Elfo, ok? Mi stai spaventando. – tenta, stringendomi le spalle.
Io non voglio dirtelo.
Cosa penserai di me, dopo?
− La mia mano... −
La prende con le sue.
Il gesto è simile ma così diverso. La esamina e tira su, sistema i polpastrelli per tastare la pelle, scorre sul palmo, sul polso, sulle nocche.
− La tua mano sta benissimo. Guarda, non si vede nemmeno dove ti sei punto, prima. –
Non si vede, in effetti.
E anche lo sporco che vedevo prima, mi sembra che il suo tocco l'abbia lavato via.
− Mi ha toccato sulla mano. –
Alza un sopracciglio.
− Chi? –
Non è sporco.
Io non sono più sporco.
Posso dirlo, se non sono più sporco.
− Mi ha detto... che ero bello. Che avrebbe scopato me meglio delle sue mogli, che doveva decidere se scoparmi o uccidermi, che ero una principessina. –
− Eh? –
− Gli ho detto che gli avrei lasciato toccare la mia mano se mi lasciava tutto. Ha detto che voleva vedermi nudo, che voleva toccarmi le gambe. –
Non lo guardo in faccia, mi... vergogno, forse.
Non avrei dovuto cercare di ottenere qualcosa da lui.
Me la sono cercata, un po'.
− Ho pensato che alla fine avrei vinto io, se l'avessi sfruttato, ma alla fine è stato come se mi avesse... toccato senza che lo volessi. –
Non lascia la mia mano, ma irrigidisce un po' le dita.
− Forse se non... se non avessi detto quelle cose, non l'avrebbe fatto. Io... la prossima volta che viene mi chiudo in casa e tu gli dici che non ci sono, va bene? –
Non voglio creargli problemi.
Cazzo, io e le mie turbe morali a disturbare la sua quiete.
Sento una mano lasciare la mia, salire verso la mia guancia, piegare il mio viso indietro.
Sorride.
Sorride con le labbra.
Ha gli occhi che sembrano scolpiti nel ghiaccio.
− Non è colpa tua, Tooru. Va tutto bene. Stai bene. Non ti devi preoccupare. –
Ha la voce...
L'altra mano raggiunge l'altra guancia.
− Stai bene. Non succederà più, te lo prometto, va bene? –
Non so cosa fare.
Sembra...
Privo di emozioni.
È...
Spaventoso.
Ed eppure, di questo, di questo non ho paura.
− Andiamo... andiamo a farti riposare un po', ok? –
Annuisco pure se non mi rendo conto di cosa stia succedendo. È inquietante, la mistura del sorriso rassicurante e la mascella contratta, le dita che sembrano volermi stringere e gli occhi affilati.
Ma ripeto, non ho paura.
Non ce l'ho perché mi piace, Iwaizumi, mi piace anche così, mi piace un po' sempre come mi tratta come se fossi meritevole di attenzione.
Credo che sia l'unico Umano così.
Ma non solo.
L'unica creatura.
Mi trascina piano su per le scale, mi indica il suo letto e non il mio, mi fa stendere con la stessa espressione. Sembra arrabbiato e felice allo stesso tempo, quando si mette al mio fianco e riprende quella stessa mano fra le sue.
− Va tutto bene, Iwa-chan? – mi ritrovo a chiedere, osservandolo osservarmi.
Annuisce.
− Benissimo. Va tutto bene. –
− Va tutto... bene. –
Annuisce di nuovo.
Stringe di più la mia mano.
− Dov'è finito il tuo orecchino? –
− Gliel'ho dato per venderlo, non riuscivo a mandarlo via. Ho avuto paura che volesse... −
Si avvicina con lo sguardo verso di me.
− Farti qualcosa di brutto? –
La mia testa di muove in un incerto "sì".
− Schifoso figlio di puttana. –
− Eh? –
Ricomincia a sorridere.
− Nulla, nulla, non ti preoccupare. −
Inizia ad accarezzarmi i capelli lentamente, come se volesse farmi addormentare. E sento un'ondata di stanchezza invadermi mentre i miei nervi si sciolgono, come se fossi stato così teso da non riuscire a sopportare neppure un altro minuto.
− Ti va di dormire un po'? – mi chiede.
− Sarebbe bello. –
Non fa altro che guardarmi come se non volesse perdersi un centimetro di me, ma non nel modo viscido e sporco del vecchio di prima, in un modo maniacale e protettivo.
− Chiudi gli occhi, Tooru. –
Deglutisco la saliva, chiudo gli occhi.
− Nessuno ti farà più niente del genere. Nessuno, finché rimarrai con me. Tutte le volte tu mi chiamerai e ci penserò io, va bene? –
Mi si ferma il cuore, poi riparte.
− Va bene, Iwa-chan. – mormoro, con un filo di voce.
− Non ti dovrai più preoccupare di nessuno. Sarai sempre al sicuro. E non ti succederà più nulla di male, mai, mai, mai. –
Il mio respiro rallenta.
− Mi piacerebbe. –
Sento le sue mani viaggiare verso il mio viso.
Appoggia le punte delle dita sulla mia fronte, muove un paio di riccioli, poi mi sfila la tiara dal capo.
− Così sei più comodo. –
In effetti, è vero.
Sento il sonno invadermi come una coperta.
− Grazie. –
Credo si stia alzando, perché il materasso si muove, e sento dei passi.
− Non ringraziarmi. Non ce n'è alcun bisogno. –
E con la sua voce, mi addormento.
Quando mi sveglio, è sera inoltrata, e di Iwaizumi non c'è nemmeno l'ombra. Mi tiro su dal suo letto con la testa un po' ovattata, ma mi sento decisamente meglio.
È passato.
È finito.
Qui sono al sicuro.
Mi stiracchio le gambe e le braccia cercando di tirarmi su, sistemo la mia tunica che ancora non ha avuto occasione di essere rimirata dall'unico Umano, seppur per metà, che non odi con tutto il mio cuore, e cerco di capire in che realtà sono.
Sono sveglio e vivo.
Sveglio... e vivo.
Trovo la mia tiara sul comodino in legno, la rimetto facendo attenzione, e mi guardo sul vetro traslucido della finestra per sistemare un po' i capelli.
Scendo a piccoli passi dalle scale di legno.
Neanche di sotto.
Iwaizumi non c'è.
Sarà andato a risistemare il cibo o si starà facendo il bagno, chissà cos'altro.
Non credo sia ancora ora di cena, nel dubbio metto su un po' di tè.
Ormai sono un esperto, e sta diventando una vera e propria droga, quella degli infusi floreali, e tutto quello stress deve avermi terribilmente disidratato la pelle.
Preparo il mio infuso, lo verso, mi siedo con le ginocchia tirate su sopra uno dei cuscini di pelliccia di fronte al camino.
Il fuoco scoppietta e mi riscalda, mi sembra di tornare alla vita.
Fisso le fiammelle che danzano e mi dimentico, piano piano, una volta ancora, di cosa sia successo. Mi ricordo solo mani gentili e promesse rassicuranti, un letto che profuma di qualcosa che mi piace e protezione negli occhi di chi è minaccioso.
Forse non sono mai stato toccato da nessuno, forse era solo un sogno.
L'unica cosa che non defluisce, è l'espressione che aveva Iwaizumi.
Mi ha fatto sentire una preda per un attimo, la sua faccia. Poi mi sono detto che sarei volentieri sua preda, perché mi fido e non mi farebbe del male, ma...
Ho pensato che a qualcuno di esterno, quest'espressione avrebbe fatto davvero paura.
Una totale, sconcertante paura.
La porta si apre di botto.
Sobbalzo e un po' di tè mi cade sulle dita, mi giro col nome di Iwa-chan già fra le labbra e poi... mi blocco.
Io...
Non ho mai visto una persona così piena di sangue in tutta la mia vita.
È ovunque.
Sul viso, sulle mani, sui vestiti.
Gli cola sulle spalle dai capelli, dall'elsa di una spada che non avevo mai visto sulle dita.
È un'immagine terrificante ma... maestosa.
Ha qualcosa di violento, rude, minaccioso, così forte.
Mi sento...
Ha in volto lo stesso sorriso rassicurante, come se non fosse pieno di sangue.
La spada ha diversi intarsi che non vedo, nel marasma di quello che sta succedendo.
Appoggia qualcosa sul tavolo.
È il mio orecchino.
Non parla.
Dice una sola frase.
− La prossima settimana dovrò andare al villaggio a comprare da mangiare. –
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➥✱"cluas-fhail" significa "orecchino"
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