𝗯𝗿𝗶𝘀𝘁𝗲
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C'è qualcosa, del dover lasciare questo posto, che mi genera una sensazione che conosco bene.
C'è qualcosa che mi urla qualcos'altro, un'idea, un'emozione, un sussurro che vorrei ma non riesco ricacciare indietro nella mia testa.
C'è qualcosa di diverso.
E quel qualcosa, è totale, inimitabile, conosciuta insicurezza.
Ok, so che non si confà al personaggio, so che non si sposa bene con il modo in cui sono, so che non sembra essere mia, nel senso comune.
Ma in realtà, dovendo essere onesto, lo è eccome.
Sembra strano, che qualcuno che come me è sempre stato trattato come superiore, migliore, meraviglioso, provi insicurezza.
Ma dall'altra, non c'è nulla che io possa fare.
Vivere in un luogo chiuso con Iwa-chan, aveva mandato via un po' della generosa dose di questa sensazione da me.
Ma partire, lasciare l'idillio per qualcosa che non conosco, la riporta a galla.
So che le cose sono cambiate, negli ultimi giorni. So che sono non opposte ma ben più intense, ora, più forti e caratterizzate, ma so anche che...
La domanda che mi tormenta è, ma nel mondo di fuori, io e Iwaizumi, saremo davvero così calzanti come lo siamo ora?
Sottoposti alle difficoltà di qualcosa che non dipende da noi, rimarremo come siamo ora?
Che cosa succederà?
Che cosa potrebbe accadere?
Ho detto che volevo partire, e voglio farlo se non c'è altra scelta perché di lasciarlo andare da solo non se ne parla neanche, ma a ragion veduta, forse, avrei persino preferito che tutto rimanesse fermo com'era.
Al di fuori, che cosa c'è?
La questione mi tormenta.
E se scoprisse quanto sono inutile, fuori da qui?
E se si stancasse?
E se qualcosa lo facesse cambiare, lo convincesse che la normalità che avevamo gli stava stretta?
Non so quanto sia logico, pensarlo di qualcuno che come lui vive in solitudine da così tanto tempo, ma dall'altra, e se il cambiamento repentino che sembra aver fatto con me lo portasse a decidere un'altra volta di cambiare vita?
Iwaizumi è la cosa migliore che mi sia successa.
Gliel'ho detto, lo pensavo.
La migliore.
Non saprei nemmeno come descrivere a parole che cosa abbia significato per me, incontrarlo. È passato così poco, ma sembrava già casa, questo rifugio fra gli alberi dove tutto quello che c'era eravamo io e lui.
Ed eppure, non c'è scampo.
Ed è forse ora, che anch'io accetti la cosa.
Una delle cose brutte che ho pensato, all'idea, è stata che forse avrei dovuto farci sesso.
Non credo di essere il miglior esperto sulla piazza, ma so di avere qualche carta dalla mia, sul frangente, ed intimamente ho sperato per un solo, singolo istante, che l'avrebbe legato a me.
Ma non avrebbe funzionato.
Perché l'ha detto lui, che quello non avrebbe cambiato nulla fra di noi.
E allora che cos'ho, io, che cosa, che potrebbe fargli volere me anche se ci fosse qualcos'altro, là fuori?
Non ne ho idea.
Non lo so.
Maledetta insicurezza.
Smetti di farmi sentire non degno d'attenzione, d'affetto, smetti di darmi tutti questi dubbi che si trasformeranno in puro fastidio, quando anche lui si renderà conto di quanto poco sono sicuro di... noi.
Non è che non sia sicuro di volerlo, lo voglio, cazzo, lo voglio davvero.
Voglio lui, i suoi muscoli, gli occhi verdi, l'attrazione un po' ruvida e la gentilezza appena mascherata.
Ma lui...
Vuole me?
Mi vorrà?
Mi vorrà tanto quanto lo voglio io?
Sembra il discorso di un folle, sembra il vaneggiamento di qualcuno che non ha vissuto nemmeno un istante di quello che è successo negli ultimi sei o sette giorni.
Ma non posso farci niente.
La sensazione rimane, e tutto quello che posso fare, è tenermela cercando di non farle divorare tutto ciò che di bello abbiamo.
Cerco di calmarmi pensando alle cose che ha fatto per me.
Mi ha raccontato di se stesso, del suo dolore, della difficoltà che ha affrontato nella vita.
Vorrà pur dire qualcosa, no?
E se da fuori direi che non c'è nulla di più intimo, in prima persona, vivendolo io stesso, dico che potrei essere un sognatore, che s'è invaghito di qualcuno che è di fatto, inarrivabile.
Iwaizumi è una persona gelosa.
E in questi due giorni di relazione... amorosa, direi, che abbiamo avuto, persino possessiva.
Ma se io voglio e ambisco ad essere suo, lui sarà mai mio?
Dovrei chiederglielo.
Dovrei far chiarezza prima di partire.
Ma temo che mi dica di non farmi strane idee, e che il mio cuore si rompa e distrugga all'idea, per cui rimango insicuro in me stesso e ne pago le conseguenze.
Tobio mi ha dato da pensare, riguardo alla faccenda.
Mentre ci discutevo, mentre litigavamo un po' scherzando e un po' no per le attenzioni, ho iniziato a rendermi conto effettivamente di una cosa.
Fra me e Iwa-chan, la distanza d'età è grande.
Non è tanto, per creature che vivono potenzialmente secoli interi, ma...
E se non ci fosse niente d'interessante in me?
Lui è pragmatico, preciso, fattuale, lui fa e prende, lui vive di causa ed effetto, lui è pratico.
Io...
Sono solo un Elfo bello a cui piacciono gli orecchini.
Un Elfo stupido e giovane, appena entrato nell'età adulta, dell'età di suo figlio.
A me non dà fastidio, questa cosa, ma se lui si stancasse?
Se lui pensasse che quello che passa con me è tempo sprecato?
L'avermi confessato la sua vita, non lo rende necessariamente interessato ad un futuro con me. Lo rende preso, e che sia preso da me lo so, ma non attaccato, non vicino, non...
Quanta importanza ho per te, Hajime?
Perché tu per me ne hai come nessuno ne ha mai avuta.
Te l'ho detto con le lacrime agli occhi prima di una partenza che non ho mai completato, che nessuno mi ha mai fatto sentire come te, che nessuno ha mai fatto per me quello che hai fatto tu.
Ma io?
Io sono così?
Dici che ti sei sentito solo tanto tempo, dici che hai capito di voler qualcuno accanto solo quando sono arrivato io, ma...
E se quella persona non fossi io?
Ti direi di rincorrere la tua felicità, perché paradossalmente è la cosa che m'interessa di più, ma credo che ne uscirei distrutto.
E di tutte le persone che possono farlo, distruggermi, intendo, penso che quelle che riuscirebbero meglio siano quelle a cui tengo, e in cima alla lista, ci sei decisamente tu.
Scaccio via i pensieri scuotendo i ricci, mentre mi lascio scorrere il tessuto di una camicia non mia addosso.
− Che dici, come ti sembra? –
Stiamo per...
Stiamo per partire.
E a contrasto con l'intrico dei miei pensieri, la questione che stiamo affrontando ora, è davvero delle più idiote.
A quanto pare, devo cambiarmi d'abito.
E a quanto pare, niente sembra andar bene.
Sono in piedi in mezzo alla stanza da letto, Iwa-chan seduto sul materasso che mi squadra, Tobio improvvisato ancella che mi cambia vestito su vestito cercando qualcosa che vada bene.
Vedo il mio bel soldato scuotere la testa.
− Qualcosa... qualcosa non mi convince. –
Tobio si gira di scatto.
− Di nuovo? Cazzo, ma che... −
− Non lo vedi? Non va bene, Tobio, non va bene no! –
Io sulla questione sono stato ammutolito al primo "ma se metto un completo color betulla non passo incredibilmente inosservato".
A mia discolpa pensavo di aver ragione.
Non è un colore che mi sta bene, se fossi davanti allo specchio vestito a quel modo non mi guarderei.
Piego la testa verso Iwa-chan, sistemo la camicia – che è sua – sul torso e sorrido a trentadue denti.
− Non ti piaccio con i tuoi vestiti addosso? –
Scattano verso di me come un fulmine, le sue iridi scure.
− Se vai in giro così salterai subito all'occhio. Il problema sei tu, Elfo di merda. Il problema è che sei troppo bello. –
A questa, la mia insicurezza tace e quello che fa capolino è un pizzico di vanità.
Questo ce l'ho.
Almeno questo, almeno questo.
− Ma dove? Sembra un cretino. – risponde un lupo troppo alto per il suo bene che a quanto pare è nato senza il dono della vista.
Iwa-chan sbuffa.
− Onestamente, guardalo e dimmi che non ti gireresti quando passa. –
Vedo un paio di occhi azzurri fissarsi sui miei.
Kageyama Tobio ed io, non siamo proprio tagliati per andare d'accordo. Davvero, non c'è niente che vada bene in come siamo fatti perché abbia senso che ci sia qualcosa più della conoscenza fra di noi.
Mi squadra.
Ogni volta che lo guardo, però, so sempre di più chi per lui sarebbe fatto ad arte.
E la descrizione "solare, basso, arancione" si instaura nella mia mente.
Sarebbero... merda, sarebbero perfetti.
Ma non condannerò il mio piccolo e non proprio sveglio fratello al destino infelice di stare con un lupo che rovina incontri sessuali.
No, per la cronaca, non mi è ancora passata.
− È vero, lo farei. – borbotta.
Apro bocca per declamare la mia vittoria ma mi precede.
− Per dirgli che è un cretino. –
Mi saltano le sopracciglia in aria.
− Scusami? –
Il lupo è geloso di Iwaizumi, lo so, si vede, è palese. È geloso da una parte perché sono sempre stati loro due e basta, e dall'altra perché sono un suo coetaneo e non riesce a concepire come Iwa-chan possa provare quel genere di sentimento nei miei confronti.
Sempre se lo prova.
Oh, insicurezza, stai zitta, ok?
− Ok, Tobio, anche tu non hai più voce in capitolo sulla questione. Questo vuol dire che rimango solo io, e io penso che tu non vada bene. – trancia qualsiasi discussione potesse iniziare Iwa-chan, ricominciando a guardarmi.
Sembra...
Come se qualcosa gli desse fastidio.
Come se io...
− Iwa-chan, abbiamo provato tutto quello che avevi e non va bene niente. Come dobbiamo fare? –
− Cavo gli occhi a chi passa. Funzionerebbe? –
Mi sento scaldare le guance.
La gelosia non è una cosa positiva, ma mi fa sentire... voluto, anche se è sbagliato.
È vero, che ci posso fare.
− Non credo, no. –
− Merda. –
Percorro un passo verso di lui, sposta la testa per potermi guardare mentre mi avvicino.
− Dobbiamo coprire le cose che si vedono di più. Quindi... −
Quali sono le cose che si vedono di più?
Dille, Iwa-chan, avanti.
Dille, sono curioso.
− Dobbiamo coprire la faccia, i capelli, le spalle e... −
Sorrido.
Lui smette.
Beccato.
− ... le gambe. –
Questa mi fa ridere.
Non credevo esistesse una passione specifica per le gambe, ma esiste, e Iwa-chan ce l'ha. Sono insicuro di me, ma dentro non fuori, e so che fra tutte le gambe, le mie hanno un qualcosa di speciale.
Sono belle.
Lo so io che sono belle.
Lo sa anche lui.
− Pantaloni più larghi, la camicia va bene e ti serve un mantello col cappuccio. –
Mi avvicino ancora, appoggio una mano sul suo viso che l'accoglie senza problemi.
− Non sei forse tu che mi guardi troppo? Magari gli altri non mi vedono come mi vedi tu. – tento, un po' per calmarlo e un po' per spingere sul fatto che di me abbia un'idea specifica.
Magari non è così.
Vorrei, ma magari...
− Se pensi che qualsiasi cosa io trovi bella in te lo sia perché mi piaci, Elfo, ti sbagli. Non sono io, sei tu. Sei proprio tu. –
Queste parole mi lasciano...
Da una parte lusingato, è un complimento, mi dice che sono bello.
Dall'altra forse avrei voluto che mi dicesse che mi trova ancora meglio, rispetto a prima, proprio perché gli piaccio.
Non lo so.
Sono solo insicuro.
Alza le mani e le appoggia sul cotone grezzo e bianco, tira la camicia per staccarla e renderla più goffa e larga.
I suoi vestiti hanno le lunghezze giuste, che siamo alti praticamente uguali, ma sono più larghi. È molto più muscoloso di me, che sono longilineo.
− Voi due dovete stare lontani, vicini mi date il voltastomaco. – interviene un figlioccio un po' petulante, mentre rimaniamo a guardarci e Iwa-chan mi tocca.
Sorrido, sorride anche l'uomo che mi sta sistemando i vestiti.
− Tobio, non vorrei dirtelo, ma devi farci l'abitudine. – risponde per me.
Questo mi piace.
Mi piace tanto.
Fare l'abitudine a Iwa-chan che dimostra affetto a me, eh? Sarebbe bello, sarebbe meraviglioso, sarebbe...
− Piuttosto la morte. –
− Drastico, cane. –
Mi sento pizzicare il fianco.
− Non chiamare "cane" Tobio. –
− Scusa. –
Idillio rovinato perché devo parlare. Idillio rovinato da me perché non so mai cosa dire, e se penso di saperlo non ho comunque ragione.
Non sono un talento, no.
Credevo di esserlo, forse non lo sono poi tanto.
Per cambiare argomento, schiocco le dita e lascio scivolare sulle mie gambe un paio di pantaloni scuri, più larghi, uno dei pochi pezzi che ho che non sia di pura seta.
Sono più...
Mi sento alzare la camicia in vita e le parole che mi accolgono sono familiari e un po' stupide.
− Stai scherzando? No, Elfo, non se ne parla. –
− Ma Iwa-chan, sono larghi! –
− Sono larghi ma qui sono stretti e... merda, Elfo, so che chiedo l'impossibile ma puoi provare a non essere così fottutamente bello per cinque minuti? –
È vero che stringono in vita.
Stringono con un mare di bottoncini che avvolgono i fianchi, li fanno sembrare ancora più lisci.
Tiro giù la camicia che aveva prontamente alzato.
− Con questa giù non si vede dove sono stretti, va bene? –
− Non che non va bene, sono... −
Tobio ci interrompe schiarendosi la gola.
− Iwaizumi, non pensavo che l'avrei mai detto e ti voglio davvero bene, ma sei patetico. –
Iwa-chan diventa tutto rosso.
− Io... non è vero, io... −
− Abbiamo capito che pensi che l'Elfo sia bello. L'hanno capito anche i muri. Persino le piastrelle, secondo me. Ok, è bello, ti piace tanto, sei felice. Ora puoi tornare normale? –
Colto in flagrante.
Iwa-chan è colto in flagrante quando le sue guance si scuriscono ancora e lo sguardo vaga da me al lupo un po' confuso.
− Non ci... riesco. – confessa.
Questo mi riempie un'altra volta di gioia.
Lui non... ci riesce.
Riuscirà, magari domani?
E chi se ne frega, cazzo, ora come ora non ci riesce.
Appoggio l'altra mano sul suo viso, mi sporgo avanti, lo guardo negli occhi dall'altro.
− Hajime, va tutto bene, non sono mica tutti là fuori solo per guardare me, sai. Non vedo perché non dovrebbero, sono d'accordo con te, ma è vero. –
Sembra che tutto il resto scompaia.
Sembra che Tobio persino, scompaia per un istante, dal modo in cui pianta le iridi sulle mie.
− Se io fossi là fuori ti guarderei. –
− Non sei mica "tutti", tu. –
Sorride appena.
− No, forse hai ragione. –
− Io ho sempre ragione. –
− Su questo avrei da ridire. –
Mi chino per un solo istante per lasciargli un bacio sulle labbra, una cosa veloce e sussurrata quasi, per rincuorare lui e me stesso.
Là fuori mi guarderebbe?
Ma perché sono bello, o perché mi vuole?
Perché...
− Vi prego ditemi che siamo giunti ad una conclusione perché sto per vomitare. –
Sospiro infastidito.
− Tobio, non scaricare le tue frustrazioni su me e tuo padre. Non è colpa mia se non scopi. –
Mi guarda con un'acidità inaudita.
− E invece è colpa mia se non scopi tu, e non potrei essere più felice, Elfo di merda. –
Ah, stronzo, fai leva sulle tue colpe, eh?
Ma io...
− Possiamo non parlare di sesso, per favore? –
Di nuovo, Iwa-chan, la fa da paciere quando ci riprende come se fossimo due ragazzini fastidiosi che battibeccano ad ogni occasione disponibile.
− Anche perché, Tobio, se non scopa lui non scopo nemmeno io. –
Il lupo diventa tutto rosso, io non nascondo una risata e la situazione diventa improvvisamente meno pesante.
Ci riprendiamo qualche istante dopo, Tobio che si allontana verso la porta e Iwa-chan che si alza.
Sistema i suoi pantaloni con le mani, mi guarda.
− Mettiti un mantello e via. Non c'è molto altro che possiamo fare, andrà bene così. –
− Ok, come vuoi. –
Evoco per scherzare il mio pezzo migliore, con la pelliccia d'ermellino bianca e le cuciture di quel color carta da zucchero che mi sta tanto bene, ma dopo un'occhiataccia ripiego su qualcosa di più sobrio e sfoggio semplice camoscio chiaro.
È un pezzo di buona fattura, è vero, ma è... un po' più sobrio, direi.
− Che altro ci manca? – urla Tobio dalle scale, già in fuga.
− Dovremmo aver preso tutto, partiamo. –
− Partiamo. – mi accodo.
Già, partiamo.
E che cosa troveremo? Che cosa cambierà? Che cosa succederà, là fuori?
Tante cose.
Spero che non siano troppe.
Mentre scendo le scale è palese che qualcosa mi dia da pensare, ma faccio finta di niente, mi riservo un silenzio tombale a quanto pare più che eloquente.
− Elfo, aspetta un attimo. – mi sento dire, quando faccio strada verso il giardino per dare inizio a questa cosa che vorrei così tanto non fare.
Iwaizumi, scurito dal sole che brilla dietro le sue spalle, sembra improvvisamente più serio.
− Tobio, inizia ad andare, ti raggiungiamo. –
− In che senso? –
− Vai, su. –
Giurerei di sentirlo grugnire, quello stronzetto, ma non è lui su cui ho spostato l'attenzione al momento.
Il rumore della porta comunica che è uscito.
Sentirà, perché il bastardo sente, ma quantomeno penso che ci faccia sentire più soli.
Quanto è diverso, Iwaizumi, quando siamo soli.
È meno... contenuto, direi.
Apre le braccia, si avvicina e mi stringe forte, come se volesse rassicurarmi. Ma di cosa? Di qualcosa che pensa che succederà? Mi sta chiedendo scusa? Scusa se al ritorno non mi avrai più, scusa se...
− Elfo, non so cosa tu stia pensando, ma smettila. –
La sua voce cala come una lama.
Distrugge e affetta, taglia, squarcia.
− Hai paura? – aggiunge, qualche istante dopo.
Prendo un respiro che esce più tremolante di quanto non vorrei facesse.
− Un po', Iwa-chan. –
− Di cosa? –
Non so se posso dirlo, non so se ne ho la forza.
E se mi dicesse che non mi vuole, insicuro? Che di me lo affascinava la sicurezza?
E se...
− Non è che mi abbandoni, se succede qualcosa di strano? –
Non è coraggio, quello che uso per parlare.
È istinto di sopravvivenza.
Perché non sopravvivrei, al macinare lento dei miei pensieri, senza tirare fuori qualcosa. Mi affosserebbero e rovinerebbero, mi farebbero sentire stanco, lento, triste.
Non voglio sentirmi così.
Ho ripromesso a me stesso, prima che a lui, che avrei imparato cosa vuol dire essere felici.
E se non riesco, quantomeno ci devo provare.
− Hai paura che ti abbandoni? –
Una delle sue mani sale sul mio collo, poi inizia ad accarezzare piano i capelli.
Non lo vedo in faccia, ho il mento appoggiato sulla sua spalla, ma lo sento.
Solido, Hajime, sicuro.
Annuisco senza rispondere.
− Quante persone ti hanno abbandonato perché pensi che lo faccia anche io? – chiede, non con cattiveria, più con tristezza. Come se trovasse ingiusto, sbagliato, orribile che io possa provare qualcosa del genere.
Quante persone...
Non so quante persone mi abbiano abbandonato.
Ma se dovessi fare il conto delle persone che si sono stancate di me, non credo basterebbero le due mani che ho.
Di nuovo, non rispondo.
Iwaizumi respira contro di me.
− Non so che cosa succederà, non ne ho idea. Ma non ti abbandonerei mai, Tooru. –
Usa il mio nome in quel modo così intimo, che mi sembra davvero abbatta qualsiasi barriera la mia insicurezza mi abbia costruito attorno.
− Ti prometto che torneremo insieme qui e ti prometto che ti proteggerò qualsiasi cosa accada. –
Anche da me stesso?
Anche dai miei pensieri?
Puoi farlo?
Perché penso che l'unica persona che possa farlo sia tu?
− Dammi un bacio, Hajime. – sono le uniche parole che mi escono dalle labbra, un po' incerte, un po' sottili.
Si stacca dall'abbraccio e vedo che sorride, lui sorride.
Sorride con calma, con calore, come se volesse calmarmi.
Fa sentire le mie paure più sottili, questo suo viso così dolce.
Le fa sentire inutili.
Mi dà qualcosa a cui tornare.
Si china su di me con calma, le sue labbra sono morbide sulle mie, le mani delicate. Per un uomo che stringe e prende come lui, uno che fa quel che vuole e affonda le dita come se non gli importasse di farti male, è raro, particolare.
Mi fa sentire custodito.
Credo che potrei quasi voler bene, alla mia insicurezza, se ci fosse sempre lui a proteggermi.
Credo che...
Rispondo al bacio con un po' di disperazione, lego le braccia dietro il suo collo e lo premo più forte contro di me.
Mangiale, mangiale.
Distruggile.
Non credo che nessun altro potrebbe farlo.
Ed è per questo, che non mi devi lasciare.
Si stacca col fiatone un attimo dopo, gli occhi che brillano, le labbra umide.
− Tooru, piano. –
− No, no, non piano. – borbotto, quando chiudo gli occhi e lo bacio di nuovo.
Credo che ci sia qualcosa che mi urla di mandare a fare in culo qualsiasi cosa abbia a che fare con la parola "piano". Credo che ci sia qualcosa che vorrebbe farmi dimenticare persino come mi chiamo, in favore dell'unica sensazione di avere qualcosa che voglio.
Ma Hajime si stacca di nuovo, si lecca le labbra e sorride scherzosamente, mentre mi tiene fermo dalle spalle.
− Tooru, cazzo. E dammi tregua. –
Non voglio, non voglio, voglio che...
Mi stringe il viso, lo tira su.
− Conserva questa energia per la prossima volta che saremo da soli, ok? –
− Quando sarà? –
Alza le spalle.
− Non lo so, ma presto. Perché se non è presto faccio una strage, Elfo, non hai idea di cosa mi facciano i miei vestiti su di te. E le tue... −
Scoppio a ridere, completamente distaccato dalla mia insicurezza per un attimo.
− Basta con le gambe, Hajime! –
− Mai. –
Gli colpisco piano una spalla, mi prende al volo il polso quando cerco di allontanarlo, lo bacia all'interno, con calma, come se potesse rallentare la pulsazione che si sente nitida col solo gesto.
− Se non ti allontani da me non c'è pericolo che ti molli, no? Quindi fa' il bravo Elfo e stammi vicino. Così evitiamo anche che tu faccia casino nel mentre. –
Vicino.
Vicino magari va bene.
Vicino forse, aiuta la mia insicurezza a tacere.
Vicino.
− Io non faccio mai casino. –
− Tu ne fai e dire il contrario è una pagliacciata. Ora muoviti che se perdiamo Tobio nei boschi poi ritrovarlo è uno schifo, scuro com'è. –
Annuisco, mi avvicino per baciarlo di nuovo, ma piano per davvero, stavolta.
Carino.
Lui è minaccioso, è rude e fa paura.
Ma è anche tanto, tanto carino.
Il primo tratto di strada, quello nel Bosco, è più una ridicola scenetta di me che inciampo ogni due metri che l'ansia devastante che mi aspettavo.
Mi ha fatto un infuso contro le nebbie stamattina, Hajime, con delle erbe che Tobio ha detto essergli state portate dal compagno del suo Capobranco, uno del Piccolo Popolo.
Faceva schifo.
Ma l'ho bevuto, perché l'alternativa era svenire e per quanto sarebbe stato più comodo farmi trascinare invece di usare le mie gambette magiche, penso che sia più sano così.
In ogni caso, ora che il mondo di fuori inizia a farsi strada fra i tronchi e a diventare più nitido, sono tutto contento con le dita intrecciate fra quelle di Iwaizumi che zompetto sulle frasche.
È che sarei caduto, altrimenti.
Era indispensabile che mi desse la mano.
No?
Mettiamo piede su qualcosa che non sia sottobosco poco dopo.
L'effetto che mi fa è strano.
A dirla tutta, io di viaggi a piedi, non ne ho fatti mai.
Quando ero la cortigiana preferita di mio padre, che dirla così mi sembra meno volgare della realtà, rimanevo seduto in una bella carrozza a poltrire rimuginando del più o del meno, qualche volta di cose più serie, qualche volta di stronzate.
Ma a piedi, a piedi mai.
Scendevo dalla carrozza, trotterellavo vestito come una principessina per corridoi lussuosi di persone sconosciute, finito il mio dovere tornavo dove dovevo stare.
Penso che la cosa più simile a questa che abbia mai fatto sia quando mi sono accodato al ritiro delle guardie a una mezz'ora di cammino dal Palazzo.
Mi sono fatto trattare come una regina, quella volta.
Erano tutti al mio servizio.
Ed eppure credo di non essermi mai sentito fuori posto a quel modo.
Ora, ora invece mi sto decisamente divertendo.
Un po' perché Tobio è nella sua forma di lupo e non ha il dono della parola, un po' perché ora che c'è luce sulla strada il Sole fa brillare il verde degli occhi di Hajime e un po' perché mi emozionano le cose nuove.
− Vedi che non dovevi avere paura? Ti stai divertendo, su, non succede niente. –
Mi giro sorridendo.
Tiene le dita fra le mie in modo stretto e quasi ansioso, ma muove il pollice sul dorso della mia mano con calma, e la cosa è davvero adorabile.
− Aah, non so perché avessi paura, è così bello camminare! –
− Perché, a casa non potevi camminare? –
Mi accende qualcosa nel petto, questa frase.
"A casa".
Casa.
Casa... casa nostra.
− Certo che potevo camminare, ma ora cammino da un'altra parte, è un sacco diverso! –
Indico il panorama che ci attende con le braccia.
Si vede il villaggio, quello a cui dobbiamo fermarci per un po', ma il resto ha l'aspetto sereno e vasto delle lande pianeggianti.
Ci sono colline in lontananza e il cielo è così limpido che s'intravedono le Montagne del Nord, ma quello che ci attende sono solo distese di erba verde, fiori e grano piantato dai contadini.
− Mah, se lo dici tu. –
− Non fare il guastafeste, sorridi un po', su. –
Mi giro per guardarlo e lo becco a sorridere.
Sorrideva.
E guardava me.
Non riesco a dire niente, non riesco a tirare fuori una delle mie sagaci battute spezza-tensione, quando lo vedo.
Perché sembra...
Incantato.
Sembra incantato e per quanto quello che dice somigli a un "sei un esaltato, Elfo di merda", niente nel suo sguardo sembra comunicarlo davvero.
Rimaniamo in silenzio.
Sto per sporgermi e baciarlo, quando la testa di un lupo dietro di noi s'infila fra i nostri corpi e ci allontana.
− Tobio! –
Hajime si lascia spostare ridendo, le dita che sfuggono dalle mie, l'espressione scherzosa mentre arruffa il pelo sulla sua testa a metà fra il paternalismo spietato e la dolcezza, e viene da ridere persino a me.
È bello, da lupo.
È grosso, alto più di quanto non lo siano gli animali veri, con la pelliccia folta, ma ha la stessa espressione imbronciata che ha nella versione umana, e questo è quasi comico.
Si spiaccica col muso su Hajime e mi lancia un'occhiataccia che ha il sapore di "se ti becco ti mangio", che non mi spaventa, però, m'intenerisce.
Da umano non mi sta simpatico.
Ma ho sempre avuto un debole per gli animali.
− Tobio devi smettere di infilarti in mezzo ogni volta che cerco di baciare Tooru, hai diciassette anni, non tre. –
Ringhia e fa un verso che somiglia ad un guaito.
Rido sotto i baffi, provo ad avvicinare la mano per accarezzarlo ma mostra i denti e per quanto sia piuttosto sicuro che non morderà, evito il tentativo.
− Sai che sei un cane molto carino? – dico invece, meritandomi un "Elfo" di rimprovero da Hajime, che intanto gli muove le mani dietro le orecchie.
Ha gli occhi azzurri, quasi più azzurri di quando è umano.
È bello, sì, è un bel lupo.
Devo ammettere, con la giusta dose di fastidio, che è anche un bel ragazzo, alto, ben piantato, di fattezze eleganti.
Ma, al momento, è solo un limite.
Aspetto che Iwa-chan gli molli un buffetto sul naso e che faccia per allontanarsi per sgattaiolare fra le braccia del mio soldato e baciargli tutto fiero le labbra.
Altro guaito.
− Voi due, sarete la mia rovina. – sento borbottare a pochi centimetri da me.
− Con molto piacere. – rispondo, baciandolo un'altra volta e sorridendo ancora di più.
Il resto del viaggio fino alle casette al fondo del sentiero, non passa molto diversamente. Continuo a tenere la mano ad Iwa-chan, provo e riesco a toccare un istante il muso di Tobio, che ha una pelliccia davvero soffice, se devo dire, e mi godo ancora un po' degli strascichi dell'atmosfera quotidiana del Bosco.
Il primo momento di realizzazione arriva quando un paesano passa a cavallo.
Iwaizumi ed io eravamo d'accordo che avrei tirato su il cappuccio del mantello quando si sarebbero fatte vedere delle persone, che è un peccato sprecare questo bel Sole tenendo la faccia coperta.
Nessuno dei due s'era accorto che stesse arrivando qualcuno dai campi, impegnati com'eravamo nelle nostre chiacchiere.
Parentesi, anche questo mi rende felice. Che Iwa-chan molli parecchio i suoi sensi da soldato quando siamo insieme, mi fa sentire come se lo rendessi vulnerabile, e so che non è una cosa utile, ma è dolce.
In ogni caso, il paesano quasi stava cadendo, da quella merda di cavallo.
Umano, perché era un Umano, con la bava alla bocca e gli occhi sgranati, fisso a guardarmi come se fossi il sogno di una vita intera.
Credo abbia detto "wow" o qualcosa del genere, ma non ho sentito bene.
Ho solo visto i suoi occhi viscidi, e poi una mano ha tirato su il cappuccio sulla mia faccia e una voce seria ha minacciato di morte l'intruso, facendolo andare via.
Iwa-chan dice che non importa, che mi abbia visto.
Che probabilmente gli sarà sembrato così surreale, farlo, che probabilmente penserà d'esserselo sognato.
Ma lui...
Dio, è persino eccitante quando è geloso.
La mano sulla mia è diventata di ferro, la stretta quasi opprimente, lo sguardo feroce.
Mi sembrava che dicesse "mio".
E la cosa mi ha fatto scaldare.
Per il resto, cappuccio in testa e via, quando le persone hanno iniziato a comparire all'orizzonte, niente di particolarmente eclatante è successo.
Certo, Tobio attirava un po' l'attenzione, è comunque due metri di macchina di morte con i denti affilati, ma Iwa-chan dice che sono andati diverse volte alla locanda del villaggio, non è poi così strano vederlo qui.
Strano era forse che ci stessimo dando la mano.
Ma c'è qualcosa di così minaccioso, in Iwaizumi, che le persone sembrano non volerlo neppure guardare.
Direi loro che non è cattivo come sembra, alla fine è tanto muscoloso quanto adorabile, che beve il tè sulle tazzine di vetro e lava i piatti di ceramica come una casalinga, ma stento a credere che avrebbero fiducia in me.
Non sembra il tipo.
Mi gasa un po' dire che lo è solo con le persone a cui tiene.
Il villaggio è pieno di Umani, sono quasi tutti Umani. Piccolo, caratteristico, pieno di bancarelle da mercato e bambini che scorrazzano, qualcosa che mi ricorda i sobborghi del palazzo, dove giravo a comprare gli oggetti degli Umani che i miei detestavano tanto.
Mi viene un po' voglia di fermarmi a guardare i gioielli, i tessuti, i dolci, ma non vorrei rischiare, e di comunicati in pergamena con scritto "cercasi principe perduto degli Elfi, Tooru" e un disegno della mia faccia sopra, ne ho già visti un paio.
Iwa-chan sembra che marci, al mio fianco.
Serio, serissimo, spaventoso.
Tobio... è solo Tobio.
Un gigantesco lupo che zompetta quasi non si rendesse conto delle dimensioni del suo corpo.
Immagino un trio che non passa inosservato, ma talmente peculiare, che nessuno sembra badare a me.
Siamo passati oltre la piazza, c'era una bancarella piena di fiori.
Ho chiesto cosa fosse.
Iwaizumi ha detto il memoriale per l'Uomo che ha ucciso, era solito vendere là la sua merce.
Non ho sentito un briciolo di rimpianto.
Avrei dovuto.
Ma non sono fatto per provarlo.
Quando una guardia reale della mia Corte ha girato l'angolo, ci ha lanciato un'occhiata ed è passata oltre, mi si è fermato il cuore.
Ma Iwa-chan ha mormorato "va tutto bene, ci sono io, va tutto bene", e l'ansia si è sgretolata come pietra corrosa dal vento.
E poi siamo approdati qui.
Hajime dice che l'unico posto di cui si fida, in questo intero villaggio, è la brutta locanda in fondo ad un vicolo.
Hajime dice che dobbiamo rimanere qui.
Che qui è sicuro.
E per quanto non muoia dalla voglia di infilarmi in un posto pullulante di quelli che saranno viscidi Umani, se lui dice questa cosa, credo di fidarmi.
Eccomi, in piedi e col volto coperto, a guardare il mio bel soldato che tiene le mani avvolte attorno alla mia vita e mi squadra nel buio di un muro che taglia la via.
Kageyama è già entrato.
E per la cronaca, si è ritrasformato nudo.
Bel culo, lo ammetto, ma cacciare fuori dei pantaloni è stato imbarazzante.
− Vado al mercato, compro le cose che ci servono e ritorno subito a prenderti. –
Ecco, questo invece non è bello.
Questo è una merda.
− Ma non hai detto che non mi avresti lasciato? –
− Tooru, si tratta di una mezz'ora, meno se provo a muovermi. Tu rimani vicino a Tobio, non dare nell'occhio, stai al bancone e torno. Portarti al mercato sarebbe più pericoloso, e ci serve da mangiare. –
− Ma abbiamo... −
− La carne va a male, è per stasera. Ci servono cose per il viaggio. –
Stringe le mani più forte, le lega nell'incavo della mia schiena, appoggia la fronte contro la mia.
− Tooru, non succederà niente. Non sto tradendo la mia parola, saranno pochi minuti. –
Lascio andare un verso che comunica solo fastidio.
− Ti odio, Iwa-chan. –
− Sicuro? –
Mi sembra di fare un po' il petulante per nulla, di essere lagnoso e fastidioso senza motivo, ma alla fine, siamo seri.
È lui che si prende cura di me.
E se tornasse l'insicurezza mentre non c'è?
Saranno venti minuti, ma il mio cervello fa un sacco di cose in venti minuti.
− No, no. – borbotto mentre mi sporgo e lo sento che mi bacia.
Mi bacia come se volesse rassicurarmi.
Maledetto, per rassicurarmi potrebbe rimanere qui con noi.
Me ne frega niente se non mangeremo per i prossimi due giorni, sarebbe comunque meglio di questo.
Si stacca piano.
− Questo è un posto sicuro, te lo giuro. Basta che ti ricordi cosa ti ho detto, non fare casino, non attirare l'attenzione, non togliere il cappuccio per niente al mondo. Andrà tutto bene e tornerai a rompermi i coglioni in un attimo. –
− Io non ti rompo i coglioni! –
Ride appena.
− Lo fai, ma va bene così. –
Inizia a staccarsi.
No, miseria, non mi va.
Non mi va proprio.
Non...
− Fa' il bravo, ok? –
Sbatto le ciglia.
− Tu torna presto, musone. –
Mi bacia e si stacca da me.
− Appena riesco. –
E mi spinge con una mano verso la porta che supero, però, completamente da solo.
La mia previsione, non era sbagliata. È esattamente una locanda che pullula di Umani vecchi, brutta, un po' malmessa, che puzza di alcol.
L'atmosfera è silenziosa, tranquilla, poche persone parlottano e poche giocano a dadi, non ci sono musicisti sul palchetto e nessuno attira l'attenzione.
Si girano, quando entro, ma lasciano perdere quasi subito.
Che posto losco.
Uno dove nessuno ti fissa, come se volessero dirti che non gl'importa chi sei, è decisamente un posto losco.
Riconosco le spalle larghe di Tobio da dietro, i gomiti su un tavolino, i pantaloni addosso e nient'altro, un boccale di quelli che Iwaizumi dice essere per la "birra" pieno di latte.
Parla... parla con una signora anziana.
Mi avvicino.
Ha detto lui di stare vicino a Tobio, no?
Mi avvicino tirando in avanti il cappuccio, di modo che l'ombra cali sul mio viso e lo renda completamente irriconoscibile.
− E allora mi dici dov'è finito tuo padre, oggi? Mi hanno portato la birra che gli piace, sarebbe uno spreco! – sono le prime parole che ascolto, appena il bancone entra nel mio raggio d'udito.
− Eh, signora, doveva fare delle cose, sa com'è. –
Ha la voce un po' timorosa, il lupo.
Che c'è, gli fanno paura le donne?
Rido appena, mentre mi siedo.
La vecchia non mi degna di uno sguardo. Credo che sia il cappuccio, forse fa intendere che non voglio essere guardato, e come dicevo, questo è un posto losco, se non vuoi essere visto, nessuno ti vede.
Non che lo sappia, non sono mai stato in un posto del genere.
Ma diciamo che so leggere, e nei racconti di briganti, ci sono sempre.
− Che peccato, sai se dopo passa? –
Tobio fa spallucce.
− Credo di sì. –
− Menomale. –
Si gira indietro, la vedo mettere mano alle bottiglie e guardare l'altra donna dietro al bancone. Alta, altissima per essere un'Umana femmina, con le gambe lunghe e i capelli biondi, svelta, precisa.
Non parla, non alza lo sguardo dal lavoro.
− Hai sentito? – la incalza la vecchia, ma quella non dà cenno di interessarsi.
− Fammi finire di lavorare, mamma, non m'interrompere. –
Rimango quasi stupito dalla quantità di cose che fa e con quale velocità, muove le mani con attenzione, si destreggia in un vassoio di ordini impressionante, tira tutto su con una mano, scosta ciocche chiare con fastidio.
− E dai, avrai un attimo per chiacchierare, quanto la fai lunga! –
− Smetti di rompere il cazzo, mamma, dai. Non ho tempo per questa roba. –
Mmh, elegante, la ragazza.
Mi viene quasi da ridere ma mi trattengo.
Esce dallo spazio aperto del bancone, il grembiule che si adagia bene sui fianchi stretti, va verso il fondo del locale.
La vecchia sospira, si appoggia di fronte a Tobio, lo guarda.
− È impossibile cacciarle le parole di bocca, a quella. –
Tobio annuisce ma non dice niente.
− Spero solo che tuo padre arrivi presto. – aggiunge.
Un moto di curiosità mi si accende nel petto, e pensando che tanto è sicuro, l'ha detto Iwa-chan, mi sporgo appena.
− Conosce Iwaizumi? –
La vecchia mi guarda.
Non vede oltre l'ombra, o se lo fa la cosa non la stupisce.
Sorride, invece, come una madre fierissima, si tira su e sistema un po' le spalle.
− Il signor Iwaizumi e mia figlia sono... sa, sto cercando di farli mettere insieme da mesi. E i due si piacciono, se chiede a me. Lui è davvero un bel ragazzo, e lei... −
− Scusi? –
Credo di aver usato un tono di voce troppo alto.
Guardo Tobio, guardo lei.
− Il signor Iwaizumi, quello alto, con gli occhi verdi. Si corteggiano, sono fatti per stare insieme. Non pensa? –
Incudine.
L'insicurezza cala come un'incudine.
Gelo, ho freddo, ho caldo, ho...
Iwaizumi ha...
La vecchia parla con me, ma non rispondo.
Lo fa Tobio.
Io...
Rientra, la ragazza.
Ora, ora capisco cosa mi fosse un po' familiare in lei.
Lei è...
Lavoratrice.
Pratica, pragmatica, fattuale. Non perde tempo, non scherza, non ride, non dà fastidio. È svelta, lavora in silenzio.
È bella, ha gli occhi chiari, i capelli lunghi.
Ha delle...
Ha delle belle gambe.
Incudine, l'insicurezza, cala e prende tutto.
Lei è...
Merda, ma quello è il tipo di Iwaizumi. Non io, non io, cazzo.
Che cosa trova in me?
Eccomi, eccomi, sono solo un intrattenimento. Dovevo saperlo, dovevo accorgermene, dovevo avere l'attenzione di capirlo.
Ma mi ha raccontato il suo passato, mi ha...
Forse l'ha fatto anche con lei.
− Mamma, devi smettere di parlare del signor Iwaizumi, abbiamo fatto sesso una volta. Non è che siamo sposati, ok? –
Loro...
− Ma se chiede sempre a te di fargli da bere! E tu sei cotta, si vede lontano un chilometro. –
Loro hanno fatto sesso.
Con me no.
Per colpa mia, perché dovevo fare l'insicuro, perché ho rovinato tutto, perché non gli piaccio, non gli piacerò mai, io...
Non c'è niente di logico in me.
Ho perso completamente.
L'insicurezza, l'insicurezza ha vinto.
E se lui venisse qui e capisse che lei è l'amore della sua vita? E se venisse qui e s'accorgesse di quanto sono inutile io, che perdo tempo e non so fare niente?
E se fosse un caso, che io gli piaccia?
Che poi, perché dovrei piacergli?
Perché sono bello, ma finisce lì.
Non c'è nient'altro d'interessante in me.
Non c'è niente.
Alzo lo sguardo di un centimetro, lo pianto su di lei. Sulla figlia della locandiera, bella, imbronciata, seriosa.
Oh, ma non c'è solo l'odio per me stesso, ora.
C'è anche per te.
Che non ne puoi niente, che non hai fatto niente.
Ma...
La vedo guardare la madre.
− Devi smettere di torchiare suo figlio, quello che io e Iwaizumi facciamo non deve mica pesare su di lui, stronza. –
Davvero?
Quello che faccio io, con Iwaizumi, invece pesa su di lui.
Perché sono uno stronzo.
Stai dicendo questo?
Lo stai...
Insicurezza, tristezza, fastidio.
Furia.
Oh, merda, ma non se ne parla neanche. Sarò inutile, sarò fastidioso, magari Hajime si stancherà di me, magari rimarrò solo.
Ma sono nato per essere un principe, e i principi cadono a testa alta.
Non mi farò battere da...
Mi alzo in piedi.
− Elfo ma che cazzo fa... −
Il rumore delle mie dita che schioccano è come se rimbombasse nell'aria, come se squarciasse tutto.
"Quello che facciamo io e Iwaizumi", ha detto.
Vedo i vestiti comparirmi sul corpo come se potessi rallentare il tempo.
Il mio colore, povera ragazza, il mio colore è l'azzurro. L'azzurro del ghiaccio, l'azzurro dell'acqua pulita nelle fontane di un palazzo reale, l'azzurro del vetro di cui è fatta casa mia, l'azzurro delle pietre sulla mia corona.
L'azzurro di cui brillano le spade quando catturano un raggio di luce.
Seta, seta sulle gambe, stretta.
Seta che rimane chiusa da un solo bottone al centro del petto, spalle scoperte, pancia scoperta, ampie maniche che rivelano solo le mie mani, mille gioielli sulle dita, sulle orecchie.
Tiara che corre sulla fronte e sotto i ricci.
Mi sembra che il silenzio diventi assordante.
Tu sei meglio, per lui, lo sappiamo entrambi.
Ma guardami, avanti.
Come pensi di poter competere?
Io, sono un principe.
Io sono la creatura più bella che esista in tutto il Creato.
Sono finto, sono una maschera che tiene insieme un'insicurezza bruciante, sono fallace, stupido, idiota, inutile.
Ma devi inchinarti.
− Tobio, hai mai bevuto una birra? –
Quando mi giro, persino lui ha la bocca aperta.
Scuote la testa senza parlare.
Guardo la locandiera.
− Due birre, grazie. –
Appoggio gli avambracci sul bancone, mi spingo in avanti.
Entrambe mi fissano, gli occhi sgranati, l'espressione completamente congelata.
Sorrido.
Sono o non sono la cosa più bella che abbiate mai visto?
Lo sono.
Sono nato per esserlo.
Anche se dentro sono marcio, fuori non si vede.
È tutto quello che ho.
− E, se ha la pazienza di parlare, vorrei sentire di più. Mi racconti che cosa ne pensa di Iwaizumi, il mio Iwaizumi, che m'interessa. –
Il ghiaccio nel suo volto, il terrore, la consapevolezza di non poter competere, le vedo.
E vorrei che mi facessero sentire meglio.
Non è così.
Respiro.
− Avanti. – la incalzo.
Sono pronto?
No, cazzo, non lo sono mai stato.
Dovevo rimanere in mezzo al Bosco.
Ma Bosco o meno, insicurezza o meno, rabbia, gelosia o meno, io sono nato per essere questo.
Bello fuori, e rotto dentro.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
➥✱"briste" in gaelico significa "rotto".
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