𝘁𝗮𝗶𝗴𝗵-𝗰𝗲𝗮𝗿𝗿𝗮𝗰𝗵𝗮𝗶𝘀
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– Suga, com'è che mi devo vestire secondo te per andare in questo posto? –
– Come ti pare, anche appariscente, se ti va, te l'ho già detto che è tutta gente che non vuole essere trovata, se noi non minacciamo loro, loro non minacceranno noi. –
– E tu di questa cosa sei proprio sicuro? Sicuro sicuro? –
Si allontana dal fuoco su cui sta facendo bollire una caraffa d'acqua che abbiamo raccolto al fiume poco fa, si asciuga distrattamente i palmi delle mani contro i pantaloni di cotone, i suoi occhi catturano i miei.
– Tooru, è un posto per gente che ha taglie sulla testa come ce l'hai tu. Non andranno a consegnarti a qualcuno che cerca anche loro. –
– Hai ragione, hai ragione, ma... –
Ma Hajime mi aveva detto di rimanere fermo, e di non fare stronzate e di non mettermi in pericolo. Mi aveva detto di stare attento, di aspettarlo senza correre alcun rischio, di fare il bravo.
So che non sto tradendo la sua fiducia, se il posto non è pericoloso il problema non si pone, ed eppure continuo ossessivamente a chiedermi se...
– Pensi che Iwaizumi si arrabbierebbe? È questo che ti spaventa tanto? –
– Non so, penso solo che se fosse qui non sarebbe felice all'idea. Penso che mi direbbe qualcosa come "ma che fai Elfo di merda" e "tu senza di me non vai da nessuna parte che è pericoloso" e non so se avrebbe ragione, a dirmelo. –
Suga muove qualche passo dalla mia parte, nonostante sia ancora in pigiama la sua andatura e il suo aspetto lo fanno apparire regale a prescindere da tutto. Si scosta qualche ciocca chiara e ribelle dal viso, sbatte le ciglia d'argento.
– Se fosse qui e tu gliel'avessi chiesto volendolo sinceramente ti avrebbe detto di sì e lo sappiamo entrambi. –
– Non so se da solo... –
– Anche da solo. –
Sento i bordi delle mie labbra tirarsi su, guardo Suga di sbieco che reciproca la stessa espressione, poi sospiro tornando a meditare sul mio scenario ipotetico.
– Si, ok, me l'avrebbe detto, ma questo perché è giusto un tantino cedevole se gli chiedo le cose io. Però, passioni di Hajime a parte, non so se davvero io mi stia cercando casini da solo ad uscire così quando tutti mi hanno detto di non farlo. Mi fido di te, ma non voglio tirarmi addosso la sfiga. –
– Tooru, è una sera in un posto sicuro. Non è tirarti addosso la sfiga. È vivere la tua vita a diciannove anni. –
– Sì, ma... –
Suga respira, le sue parole si fermano, mi guarda dritto in faccia.
Si avvicina ancora, poi, alza le mani e afferra le mie, mi stringe le dita fra le sue tanto forte da farmi capire che intende ogni singola parola che sta dicendo.
– Tooru, qua la cosa è una, smettiamo di girarci attorno. Tu ci vuoi andare in questo posto o no? Perché se ci vuoi andare ci andiamo e basta, e se non ci vuoi andare rimaniamo qui e non ci facciamo problemi. –
Le sue iridi e le mie s'incontrano, mi prendo giusto un attimo per riflettere.
Voglio andare?
Io voglio andare a giocare d'azzardo in un posto pieno di persone potenzialmente pericolose e ricercate che sì non mi manderanno da mio padre ma forse mi manderanno ugualmente fra i rami dell'Albero Eterno perché sono bravo con le carte e pensano che io abbia barato?
Io voglio infilarmi in una situazione sconosciuta e distante che potrebbe essere un disastro dall'inizio alla fine?
Voglio rischiare anche se Hajime non è qui con me a ripescarmi per la collottola quando tutto andrà in malora e avrò bisogno che qualcuno mi salvi?
Sono tutte cose che non voglio fare.
Ma divertirmi con un amico, dall'altra, è qualcosa di cui invece sono davvero impaziente.
E se prendo il mio cervello spaventato dagli ultimi avvenimenti della mia vita e cerco di rilassarlo un pochino, di dirgli che se Suga garantisce allora per me questa cosa è sicura, allora gli sconosciuti potenzialmente pericolosi sono sconosciuti potenzialmente piacevoli e il disastro magari non è poi disastroso e Hajime può stare tranquillo, perché stasera non mi serve di essere salvato.
Quindi...
– Ok, andiamo. Va bene, andiamo, ci sto. –
– Senza né "se" né "ma"? Assolutamente certo che sia la scelta che vuoi fare? –
– Sì. Assolutamente. –
Suga mi tira su le mani, la sua espressione seria s'ammorbidisce, mi bacia le dita dall'alto e poi mi lascia andare con delicatezza.
– Ok, perfetto. Perfetto, sì, perfetto. –
Indietreggia di nuovo, torna dov'era prima, l'acqua fischia dalla caraffa e si sente il rumore delle bolle che si schiantano contro la superficie di terracotta del tappo.
– Così ti faccio anche conoscere Satori. È un tipo un po' particolare ma sono piuttosto certo che andrete molto d'accordo. –
– Satori? –
– La strega della magia nera, quella di cui ti parlavo l'altro giorno. –
– Ah, lui, ho capito. –
Sposta con le presine il recipiente sul bancone di legno, apre il coperchio, versa le erbe poco alla volta nell'acqua e richiude il tutto con calma.
– Che poi avrei dovuto chiedertelo qualche giorno fa, ma lo faccio ora perché non so per quale motivo non ci avevo pensato più di tanto. In che senso "magia nera"? Cosa cambia da quella normale? –
Suga è sulle punte dei piedi, sta prendendo fra le dita delle tazzine di ceramica. Sembra far fatica e faccio per alzarmi, ma prima che possa effettivamente compiere il gesto riesce nel suo intento e le sistema sul tavolo di fronte a me.
– È la magia contraria a quella degli Elfi. Se quella degli Elfi è perfettamente secondo natura, la magia nera è perfettamente contro natura. Certe cose che Satori fa sono proprio così strane che fanno persino spavento. –
– Tipo? –
– Tipo possedere le persone, tipo che gli entra dentro la testa, parla con la loro voce. Oppure che è come se fosse in tanti posti contemporaneamente, o che scompare e riappare, che la maggior parte delle volte che lo vedo non cammina ma sta a mezz'aria tipo a cinque centimetri da terra. Cose.. strane. –
– Ed è una magia pericolosa? Nel senso, è una magia proibita? Per questo la chiamano così? –
– Più che proibita, è che... –
Appoggia una retina di metallo sopra le tazze e ci versa sopra il liquido bollente. Le maglie strette trattengono ferme le erbe e i petali di fiori, il tè che versa profuma di gelsomino, ha un tenue color salvia.
– Sì dice che Yggdrasill odi tutti le creature che usano la magia nera, perché Yggdrasill è massima manifestazione della natura e non gli piace chi le va contro. Per questo Satori è così. –
– Così come? –
– Quando te lo presenterò lo vedrai. –
– Ho capito. –
Suga appoggia le tazzine su piattini, prende un piatto di frutta da dietro le sue spalle, appoggia tutto nello spazio fra noi.
Si siede, mi invita con la testa a bere, io mi limito a soffiare sopra la superficie bollente e a guardare il vapore diradarsi attorno al flusso sottile dell'aria che esce dalla mia bocca.
Sbatto le palpebre, inspiro di nuovo il profumo del tè, torno a guardare Suga.
– Che comunque io ancora non ho capito come mi devo vestire. –
Sorride da dietro la sua tazzina di ceramica lavorata.
– Ci facciamo un bagno e poi decidiamo? –
– Andata. –
– Andata. – ripete.
E finalmente decido che la temperatura è giusta e mando giù un delizioso, caldo, piacevole sorso del tè che mi è stato offerto.
Qualche ora dopo, più verso sera, poco prima dell'ora in cui ieri io e Suga ci siamo ritrovati a mangiare, i nostri passi pestano foglie secche, l'aria si fa più densa e più scura, il Bosco degli Gnomi ci circonda fitto mentre ci addentriamo in un sentiero così poco battuto che se non me l'avessero fatto vedere, io da solo non avrei notato.
L'aria ha un buon profumo, in questo angolo di mondo, soprattutto verso sera, perché sa di sottobosco, di frutti rossi, di erba che cresce e foglie di conifere, non è caldo, non è freddo, si sta bene.
Alla fine mi sono dato alla seta lilla.
Ho deciso che oggi mi sentivo lilla.
Che speravo che Iwa-chan lontano da me si sentisse un po' lilla anche lui.
I pantaloni sono stretti, la maglia è più larga, scollata ma abbondante contro la forma del mio corpo più longilinea, chiusa da un paio di bottoni al centro del petto e basta. Ho i bracciali di cristallo quelli che sembrano rami di glicine sui miei polsi, gli orecchini coordinati sulle orecchie a punta, un sottile filo argentato attorno al collo.
Suga al mio fianco mi somiglia almeno tanto quanto mi è diverso.
Sempre seta, sempre chiara, bianca, nel suo caso, sempre gioielli di cristallo o diamanti o argento fine e intrecciato.
Ha una maglia più corta, lui.
Però ha i pantaloni più larghi.
Mi accompagna a braccetto fra le fronde, il suo profumo e il mio sono esattamente lo stesso e lo so perché lo sento nel retro del naso, vicino alla bocca, quel sentore dolce e floreale che ho sempre avuto e non capivo da dove venisse finché non mi hanno detto cos'ero veramente.
Tiene un sacchetto di monete nella mano libera, Suga, e io un pacchettino avvolto nella carta che so essere quelle strane erbe per cambiare dimensioni corporee che anche Kenma mi ha fatto usare qualche giorno fa, io seguo e basta, lui cerca qualcosa che mi è totalmente invisibile.
Beh, se proprio non riesco a vedere niente di strano vorrà dire che questo posto è nascosto bene.
O forse che io sono un pessimo osservatore paesaggistico.
Forse persino entrambe le cose.
Apro la bocca per chiedere ancora quanto manchi ma Suga mi fa cenno di attendere, si slega da me, apre una mano su uno dei tronchi più chiari di fronte ai miei occhi e la scorre verso il basso.
Osservo le sue dita.
L'indice s'incastra in una tacca all'altezza delle mie ginocchia. Ce ne sono altre due poco più in basso. Quando le riconosce tutte e tre annuisce, mi fa cenno di avvicinarmi, prende l'involucro di carta dalle mie mani.
– È questo il posto, siamo arrivati. Hai mai usato una di queste erbe? –
– Sì, sì. La mastico e chiudo gli occhi prima che faccia effetto. –
– Esatto. Se non mi ritrovi che ci siamo trasformati più lontani del previsto tu cammina verso la corteccia. –
– Ok. –
– Allora vai. –
Lascio le erbe in mano a Suga, uso i suoi palmi come appoggio per poter pescare le foglie con calma, ne scelgo una in superficie, la stringo fra i denti.
Chiudo gli occhi forte subito dopo.
Quando li riapro il mondo che mi circonda sembra essere diventato colossale e infinito.
Procedo con quanto spiegato da Suga, cammino verso la corteccia, lo aspetto, e dopo qualche istante in cui il solo rumore che permeava le mie orecchie era quello delle foglie secche grandi ora come zattere sotto i miei piedi, anche lui compare nelle stesse proporzioni in cui io sono ora.
– Vieni, seguimi, è di qua. –
Obbedisco senza fare domande.
Lo seguo fra i rametti, fra i fili d'erba, in questo Bosco che ora è insormontabile ed enorme, la lucciola che ci passa a fianco ha le dimensioni di un cane, rispetto alle mie, la luce che fa è quasi accecante.
Suga mi porta verso l'albero con le tacche, tacche che ora sono incisioni distinte e nette sul legno, di nuovo appoggia una mano sul tronco, camminiamo così finché la sua mano non inizia a rientrare dentro una superficie che dovrebbe essere solida.
– Un'altra delle cose strane di Satori. Qualche volta fa apparire le cose in modo diverso da quelle che sono. Le cambia, le nasconde. Anche le porte. –
Annuisco, mi sembra di star vedendo qualcosa di paradossale quando il mio amico s'infila dentro un tronco e ci passa attraverso, ma dopo aver guardato uomini diventare lupi, Gnomi essere Boschi, Umani durare tre giorni a letto, mi decido che di certo non è la stranezza che mi sconvolgerà la vita.
Lo imito.
La sensazione è quella di passare attraverso l'aria che ci sarebbe di norma in una porta aperta.
E più ci stai vicino, più l'illusione del legno che tappa l'ingresso pare sgranata, punteggiata, sbozzata, e non il vero legno che tenta disperatamente di imitare.
Entro dietro Suga.
L'ingresso ricorda quello di una locanda.
L'ambiente è...
Suga mi riprende da sotto al braccio, mi trascina con sé e in men che non si dica si addentra in una sala grande, di fronte a noi, piena di tavoli di legno coperti di tessuto e soggetti col volto mezzo nascosto, impregnata dall'odore dell'alcol, del cibo, dal vociare delle persone.
Mi tiene al suo fianco.
Mi aggrappo a lui.
Lascio vagare lo sguardo in silenzio, studiando ciò che mi circonda e fingendo di non star attirando tutti gli sguardi su di me anche solo col mio aspetto esteriore.
Luci soffuse, candelabri che colano cera, boccali di birra. Il rumore dei dadi che rotolano contro il legno permea l'aria, ticchetta regolare al bordo del mio campo uditivo, il suono delle carte che vengono sfogliate, giocate e pescate è netto e secco, le voci procedono come una mareggiata, prima s'infittiscono, poi si diradano, s'infittiscono ancora e scompaiono del tutto.
Io non so cosa fare.
Fossi stato il me di tre mesi fa avrei tirato in alto il mento, avrei stirato le spalle e la schiena, mi sarei messo dritto, come si addice ad un principe, avrei permesso loro di osservarmi in tutto il mio arrogante splendore.
Fossi stato con Hajime mi sarei fatto piccolo piccolo al suo fianco, felice di essere visto ma più ancora di averlo accanto a me a proteggermi, avrei stretto le dita fra le sue e avrei cercato più la sua rassicurazione dello sguardo altrui.
Ora la situazione è nuova.
È diversa.
C'è in me l'arroganza, che non se ne andrà mai, e c'è in me la volontà di essere protetto, che mi ha inchiodato dentro proteggendomi un bell'ex soldato con gli occhi verdi, ma compaiono anche emozioni e sensazioni nuove, che ancora non conosco.
Mi vien voglia di girarmi verso Suga e scherzare. Mi vien voglia di fregarmene se tutti mi stanno guardando e fare una battuta stupida al mio amico e farmi beccare non perfetto nella mia maschera di vetro ma scemo e giovane che rido, che chiacchiero, che dico stronzate.
Condividere, mi viene voglia di...
– Ma questo branco di pezzenti si veste al buio? Yggdrasill, e uno s'impegna pure a mettersi carino. –
Un risolino mi cade fuori dalle labbra.
Mi giro verso Suga che ha appena parlato.
– Stavo pensando la stessa cosa. Essere ricercati è un conto, ma un po' d'impegno, per la miseria. È stancante dover essere sempre il meglio conciato nella stanza. –
– Un lavoro faticosissimo, sono d'accordo. –
Mi colpisce piano col gomito, indica con un breve gesto del capo un tizio dall'aspetto discretamente ripugnante a qualche metro da noi.
– I pantaloni marroni a vita alta con le bretelle fatte con la lana, Tooru. Io non ho parole. Se Daichi osasse anche solo guardare una cosa del genere chiederei il divorzio immediato. –
– È inguardabile. –
– Inguardabile, sì, inguardabile. –
Ridacchio di nuovo, Suga lo fa con me, i miei nervi che non mi ero reso conto fossero così tesi un po' si ammorbidiscono, inizio a sentirmi più a mio agio, più tranquillo.
Un po' le stiro, le spalle, e un po' sistemo la mia postura.
Apro il mio sorriso in una versione che conoscevo bene prima di incontrare Iwa-chan.
Quella un po' più malefica, quella un po' meno spontanea.
Gli sguardi ci s'incollano addosso uno ad uno.
Ritrovo nel centro dell'attenzione un piacere che avere paura di essere catturato e separato dall'amore della mia vita mi aveva negato.
Il tizio inguardabile sgancia la mandibola in un gesto di cui nemmeno sembra rendersi conto, quando le sue pupille vagano fra me e Suga.
– Non credo lui pensi lo stesso di noi, però. – commento, alzando una mano per salutarlo appena e ridendo piano a vedere con quale velocità la sua faccia giallognola assuma il tono più scarlatto possibile.
– E come potrebbe? Che ci provi. –
– Andiamo al suo tavolo a giocare? Così lo prendiamo un po' per il culo. –
– La proposta è allettante, ma direi di andare direttamente da Satori. –
– Ah, giusto, quasi me n'ero dimenticato. Qual è Satori? –
– Non mi pare che sia arrivato, ancora. Forse è andato a prendere qualcosa da bere. Andiamo a vedere se... –
– Suga! –
La prima cosa di cui mi rendo conto, è che la voce è strana. Non è sgradevole, è di per sé piuttosto armoniosa, ma segue un'intonazione e una melodia che mi sembra di non aver mai sentito, come se avesse una cadenza straniera, o sconosciuta.
Seguo il suono e mi giro piano, mi accorgo poi che l'inflessione vocale non è l'unica cosa strada di questa persona.
Pur non conoscendo bene le razze che popolano questo mondo e pur trovando tutto quel che imparo nuovo e sorprendente, io so quando gli metto gli occhi addosso che questa è probabilmente una creatura che trovano fuori dal comune anche persone molto più competenti di me.
Dà la sensazione, guardandolo, di qualcosa di sbagliato ma giusto assieme, di qualcosa che non dovrebbe essere bello ma invece lo è profondamente, di qualcosa che è tutto al contrario, ma nonostante lo sia, segue comunque un perfetto ordine.
È alto, un po' meno di me, più di Suga, la conformazione del suo corpo è sinuosa e sottile, i polsi che spuntano dalla camicia trasparente sono sottili, ossuti. Ha la pelle del colore del latte, i capelli del tono carminio del sangue, le orecchie leggermente a punta, lentiggini chiare sul ponte del naso.
Ma non è questo, a destabilizzarmi.
È il resto.
Gli occhi sono completamente neri. Sclera, pupilla, iride, tutto nero, scuro, vacuo. Le punte delle dita sono nere anche loro, come se qualcuno gli avesse dipinto le prime due falangi col carbone. Una linea spunta dal labbro inferiore, scura e dritta, s'immerge sul suo corpo e attraversa il mento, il collo, lo sterno, e sfocia in una forma circolare e ramificata al centro del suo petto, che s'intravede dal tessuto sottile che lo copre.
Si passa la lingua sulle labbra in un gesto che pare di riflesso, è nera anche quella.
Sorride, e i suoi canini sono quasi appuntiti.
Mi mette un senso d'inquietudine, e allo stesso tempo non posso fare a meno di trovarlo bellissimo.
– Satori, ciao! Ti stavamo cercando. Lui è... – inizia Suga, facendo un passo dalla sua parte e aprendo il viso in un sorriso rilassato.
– Tooru, no? Ci siamo conosciuti tanti anni fa, io e te. Ma forse non ti ricordi. –
Sbatto le palpebre, Suga s'interrompe, mi guarda con le sopracciglia aggrottate.
– Vi conoscete? –
– In realtà io non... non lo so. Non credo di averti mai visto, ecco. Ma forse... –
– Forse hai rimosso, può darsi, avevi solo due o tre anni, dopotutto. –
Due o tre anni?
Ho conosciuto una Strega che pratica la magia nera a due o tre anni?
Perché mai avrei dovuto...
– Tuo padre doveva essere davvero disperato per venire a chiedere a me fra tutti. Sai quant'è che si odia con quelli come me? E pensare che ha voluto che ci provassi io prima della Strega delle Terre del Nord. –
– Mio padre? –
Satori annuisce.
– Ah-ah. Voleva che ti facessi diventare una femmina. E che ti facessi crescere più in fretta. –
– Sul serio? E tu... –
– E io ho rubato un sacco dei suoi soldi e me la sono data a gambe. Sono una persona strana, ma non così strana da fare una cosa del genere da un bambino che non può dirmi se lo vuole o no. Gli incantesimi non consensuali li faccio solo se serve per sopravvivenza. –
Allunga un braccio, chiude le dita scure su una delle mie spalle, strizza un paio di volte.
– Sei sei qui così ora vuol dire che ho fatto bene. Sono molto fiero della mia onesta politica di lavoro. – scherza poi, e io sorrido, anche se un po' amaramente, alla battuta.
Ah, pure femmina, mi voleva?
Proprio non gli va bene niente di me, eh?
'Fanculo.
Lui e le sue porcate.
Arriverà anche per lui il giorno in cui dovrà pagare tutto quello che ha commesso, e se non di fronte a me, allora di fronte a chi dovrà giudicarlo nel Sidhe.
Satori mi lascia andare, gira il capo verso Suga, guarda alle sue spalle.
– Dove l'hai lasciato Daichi? Abbandonato a casa da solo? Tu esci a fare baldoria e lui se ne sta chiuso là ad aspettarti? –
Il mio amico ride, scuote la testa.
– No, no, è in viaggio per il Regno degli Umani. Col suo, di fidanzato, – mi indica – quelli abbandonati a casa da soli siamo noi. –
– Verso il Regno degli Umani? A fare cosa? –
– Devono rubare una cosa a Palazzo. Ma niente di troppo pericoloso, almeno questo hanno detto. –
– A Palazzo, eh? –
Satori parla e dopo aver parlato abbassa lo sguardo. È complicato capire che cosa stia fissando vista l'assenza delle pupille nei suoi occhi, ma se dovessi indovinare scommetterei che si sta studiando le punte degli stivali, assorto nei suoi pensieri, con i denti che stringono l'interno della bocca.
Quando si rimette su il suo sorriso è un po' diverso.
Sembra quasi un bambino colto in flagrante a rubare qualcosa.
– Mi sa che forse vi devo dire una cosa. Ci sediamo un secondo? –
– Certo, come vuoi. Scegli un tavolo, Tooru. Sei quello nuovo, sta a te. –
Vago con lo sguardo fra i soggetti di fronte a noi.
Più che per loro, però, scelgo per questione di praticità, indico un posto appena vedo tre sedie libere tutte vicine di fronte ad un mazziere che mescola carte da gioco e un paio di tipi che a giudicare da qui sembrano Elfi, ma non so di che tipo.
– Perfetto, andiamo. Qualcuno ordina da bere? –
– Faccio io. – comunica Satori, che per un secondo si blocca, immobile, e poi dopo qualche istante ricomincia a muoversi.
Mi viene spontaneo chiedere, quando lo vedo incamminarsi al nostro fianco.
– Che cosa stavi... –
– Ho posseduto il tipo di fronte alla barista. Sai che scocciatura andar fin là a piedi. –
– Posseduto? –
– Ho fatto un giretto nel suo corpo. E non in senso sessuale. –
Mi nascondo le labbra per ridere.
– Capito. – comunico.
Mi fa l'occhiolino e imbocca la stessa strada che sto percorrendo.
Alla richiesta di Suga, non appena riusciamo ad arrivare al tavolo facendoci strada fra la calca, di unirci al gioco, manco ci provano, i presenti, a protestare.
Si alzano per spostarci le sedie.
Ridacchio al pensiero di Hajime che, uno dei primi giorni della nostra conoscenza, alla richiesta di fare la stessa cosa, calcia una gamba da sotto al tavolo e mi intima di non fare il principino viziato mentre mi siedo.
Accavallo le gambe una sull'altra, sorrido al mazziere, ruoto gli anelli sulle dita mentre attendo che Satori si metta d'accordo sul gioco.
Ne sceglie uno semplice.
Appoggio l'anello sul mucchietto di soldi che pian piano si forma nel centro del tavolo, non ho monete, ma il valore è più che sufficiente.
Mentre prendo le mie carte dal tessuto verde del tavolo, Satori ricomincia a parlare.
– Suga, te lo ricordi che l'ultima volta che ci siamo visti mi hai chiesto se stessi con qualcuno? –
– Sì, me lo ricordo. –
– E che ti ho detto di no? –
– Sì, ricordo anche questo. –
Satori gioca una carta, ne gioco una io, Suga si morde il labbro per pensare e ci imita.
– Ecco, forse potrei averti detto una bugia. Perché la persona con cui sto potrebbe non essere esattamente il tipo di persona che piace a Daichi. –
Non sposta il viso, il mio amico, solo le pupille che pianta sulla Strega.
– In che senso? –
Satori alza le mani.
– Non guardarmi così, ti prego, non sto per dirti che sta con lo Sterminatore di Fate, miseria, non è così grave. –
– Ah, quello è certo. – intervengo.
– In che senso? –
– Ci sto io, con lo Sterminatore di Fate. Se fossimo stati in tre credo che me ne sarei accorto. –
Satori apre la bocca.
La richiude.
La riapre.
La richiude.
– Tu stai con... chi? – riesce ad elaborare dopo un po', confusione nella sua voce particolare che suona decisamente chiara.
– Con Iwaizumi, lo Sterminatore di Fate. Sto con lui. –
– Mi stai prendendo per il culo? –
– No, non lo sto facendo. Giuro. –
Uno degli sconosciuti gioca una carta che gli permette di vincere, tira a sé un mucchietto di soldi, il mazziere ricomincia a mescolare.
– Quindi è lui che sta andando con Daichi a... oh, miseriaccia, questo potrebbe essere un problema. Mi sa che devo tornare un po' prima, oggi, o 'Toshi mi rischia la pelle. – commenta dopo un secondo, le ciglia che sbattono sugli occhi spalancati come fanali.
– 'Toshi è il fantomatico tipo che a Daichi non piacerebbe? – lo incalza Suga.
– 'Toshi è il Re degli Umani, Sugawara. –
Sia io che il mio amico ci giriamo in un secondo verso la Strega.
La mia bocca cade aperta, l'espressione di Suga si fa vuota e confusa, lo stupore c'impedisce di parlare per qualche istante.
– Stai col Re degli Umani? Col vecchio di merda che ha ordinato di uccidere tutta la nostra ge... –
– No, no, fermo. Non lui. Quello è morto. 'Toshi è il figlio illegittimo. Non c'azzecca niente con quel derelitto schifoso. –
Agita una mano mentre parla come per estirparle materialmente dalla conversazione, le nostre preoccupazioni.
– 'Toshi è una brava persona, è persino un mezzosangue, ed è stato eletto. Non è cattivo. Non c'entra niente col Grande Sterminio. –
– Un mezzosangue? Re degli Umani? –
– È una lunga storia. –
Alzo le spalle, quando mi vengono sporte delle carte le prendo.
– Non che abbiamo molto da fare. –
Satori sospira, capitola e anche lui pesca ciò che gli viene offerto, china la testa in un gesto breve del capo.
– In effetti. Però questo vale anche per te, io lo voglio proprio sapere come c'è finita la Regina delle Fate con lo Sterminatore di Fate. È paradossale, adoro le cose paradossali. –
Lo guardo con la coda dell'occhio mentre Suga inizia il turno giocando una carta.
– Sai che sono la Regina? –
– Me l'ha detto tuo padre quando ti ho incontrato da piccolo. E in ogni caso sei troppo bello per essere un Elfo e con le orecchie a punta sicuramente non sei una Fata normale. –
– Miseria, lo sapevate tutti tranne me. – borbotto.
– Sì, mi sa di sì. –
Gioco la mia carta, aspetto che gli altri facciano la stessa cosa. Quando mi rendo conto che vincerei la mano se solo l'ultimo giocatore non avesse la carta giusta, fisso il tale e gli sorrido nel modo più dolce che posso.
Sposta le dita tremanti dalla carta che stava scegliendo ad un'altra.
Vinco la mano.
Trascino verso di me il mio gruzzolo.
– Così non vale, però, se fai gli occhi dolci da Fata stai barando. – commenta Satori al mio fianco.
Suga ride.
– Tu possiedi il mazziere per farti dare le carte che vuoi, di solito, non fare l'ipocrita. –
– Beh, ma oggi non l'ho ancora fatto, quindi... –
Sorrido anche a lui.
Guardo Satori e gli sorrido.
Lui ride, alza le spalle.
– Cazzo, però così è davvero difficile dirti di no. Va bene, ok, come vuoi. Prendi la carta, che tocca a te. –
Mi sporgo in avanti e pizzico fra i polpastrelli i quadratino di cartone con la lingua fra i denti.
Quando torno indietro sullo schienale rivolgo un'occhiata al mio vicino.
– Io te la racconto la storia paradossale mia e di Hajime, ma io voglio sapere del Re degli Umani. Mi sembra che anche la tua non sia poi tanto normale. –
– Oh, normale no. Ma c'è qualcosa di me che ti sembra normale? –
– Effettivamente. –
Gioco la mia carta, ma subito al turno di Satori mi rendo conto che la mano non la vincerò io, lascio perdere il gioco e guardo i suoi occhi neri che mi si rivolgono dopo qualche istante.
– Siamo amici d'infanzia. Eravamo tutti e due mezzi Umani e mezzi Elfi, lui mezzo Elfo Silvano, io mezzo Elfo della Luna. Ci eravamo promessi che ci saremmo sposati quando saremmo stati abbastanza grandi e dopo varie peripezie che hanno portato lui a scoprire chi fosse suo padre e me a diventare... così, ci siamo ritrovati e l'abbiamo fatto davvero. Poi il Re è morto. C'è stata la guerra civile e gli eredi legittimi si sono trucidati fra loro. E a quel punto l'ho convinto a reclamare la discendenza. –
– L'hai dovuto convincere? – interviene Suga.
– Sì, all'inizio non era molto d'accordo. Con quello che mi hanno fatto gli Umani credeva che per me sarebbe stato troppo doloroso tornare in quel posto. Ma per quanto mi riguarda è tutto il contrario, sapere che c'è lui là, ora, è una garanzia che non dovrà mai subire nessuno quello che ho subito io. –
Mi ritrovo a chiedere con la consapevolezza che non otterrò una risposta.
– Che cosa ti è successo? Se posso chiedere, ovviamente. Se non ti fa di rispondere... –
– Preferisco non scendere nei dettagli, no. Ma credo sia chiaro anche a te che non ho scelto io di trasformarmi in quello che sono. È stata una... necessità. –
Mi sento ingenuo, ma lo dico lo stesso.
– Perché, cosa c'è che non va in quello che sei? –
La sua espressione nei miei confronti, che forse mi sarei aspettata più ostile, più indisponente alla mia invadenza, è dolce.
– Beh, innanzitutto per diventare una Strega sono dovuto morire. Se no non sarei rinato Non Morto. E quella non è stata un'esperienza piacevole. –
Si fissa le punte delle dita, le muove nell'aria.
– Quanto a questo, ho ricevuto il potere, sì, ma ora il tuo Albero Eterno mi detesta. Non mi accoglierà mai con sé. Questa... – indica la linea che sbuca dalla suo labbro – si espanderà e io diventerò una creatura immeritevole di prosperare alla luce del Sole, quando coprirà tutto il mio corpo. Succederà fra un sacco di tempo, ma succederà. –
Annuisco.
– È tipo... una condanna. – constato, improvvisamente intristito.
Fa spallucce.
– Anche a me lo sembra. Ma 'Toshi dice sempre che quando non potrò più vivere al Sole allora andremo in un posto dove non ce ne sarà e saremo felici là. Magari ha ragione lui. –
– Già, forse è così. –
Sorride fra sé un sorriso meno sottile di quelli che gli ho visto addosso fin'ora, ed è tenero, mi stringe il cuore.
Scuote il capo per allontanare qualsiasi cosa stesse pensando qualche istante dopo.
Torna a noi.
– Comunque, questa è la storia di come sono finito col Re degli Umani. Ora a te la storia di come sei finito con lo Sterminatore di Fate. –
– Sono scappato di casa perché volevano costringermi ad un matrimonio combinato, ho incontrato Hajime nel Bosco Proibito e ci siamo innamorati vivendo insieme là, mentre mi nascondevo. Poi siamo stati convocati dal Branco delle Lande e là ho scoperto di essere la Regina. Alla fine siamo finiti da Suga e Daichi a nasconderci in attesa che mi diano definitivamente per morto e passino al prossimo ricercato. –
Stringe le labbra, piega la testa.
– Te l'avranno chiesto tutti, ma come fai a stare con qualcuno che ha trucidato tutte quelle Fate? –
Sì, me l'hanno chiesto tutti.
No, non mi offende, perché capisco la curiosità visto e considerato che qualche istante fa stavo facendo la stessa cosa.
– È più complicato di così. Non è che lui l'abbia fatto perché è cattivo. L'hanno ingannato e gli hanno fatto credere che le Fate avessero ucciso sua madre e poi sfruttando il fatto che l'unica famiglia che avesse mai avuto era proprio lei l'hanno convinto a farlo. Lui credeva di vendicarsi, di fare la cosa giusta. Io capisco che cosa ha provato. Ha fatto qualcosa di imperdonabile, ma io capisco perché l'ha fatto. –
Satori stringe le labbra, annuisce.
– E tu credi che sarà molto risentito col Re e che cercherà di far fuori il mio povero 'Toshi? –
Suga prende fiato.
– Teoricamente non dovrebbero. Da quanto ho capito devono rubare una cosa e andarsene. –
– "Teoricamente"? E nella pratica? Nella pratica... –
– Nella pratica non lo so. Conosco solo Daichi, non Hajime, e per quanto di solito faccia quel che dice alle volte è un po'... impulsivo. –
Annuisco.
– Io conosco Hajime e non Daichi, e confermo la stessa cosa. Non è che si faccia prendere tanto dalle emozioni, ma qualche volta succede. Considerando la storia che ha quel posto... –
– Credo che dovrei andare ad avvertire 'Toshi. Ho questa sensazione. – commenta poi Satori, le carte appoggiate contro le labbra.
Con la coda dell'occhio, solo con quella, vedo gli occhi del giocatore a cui ho prima sorriso spalancarsi un attimo completamente neri, come quelli della Strega. Sorride come lui, pesca una carta e perde, lasciandogli vinta la mano.
Poi torna normale.
Ah, questa è la famosa possessione, eh?
– Se incontro i soldati che gli dico? Rischio che facciano fuori pure me, così, però. – nota, facendo finta di nulla.
– Di' ad Hajime che hai parlato con noi. – provo.
– E secondo te mi crederebbe? –
– Chiedigli della battuta delle mutande, quello per forza devo avertelo detto io. –
Satori raccoglie i soldi con una mano, si mordicchia il labbro inferiore, Suga pesca la sua carta dall'altra parte.
– E se mi dice che te l'ho estorto e s'incazza ancora di più? –
– Miseria, se mi stessi estorcendo informazioni ho seri dubbi che ti parlerei della battuta delle mutande, sinceramente. –
Ride, lo faccio anch'io, prendiamo le carte con calma.
Quando Suga, che aveva già la sua, smette di seguire la conversazione e la guarda, probabilmente scontento la lancia addosso al mazziere.
Ne prende un'altra.
Sembra più soddisfatto.
– Ma poi Daichi ti conosce, non credo che il problema si ponga, Satori. È un po' lento qualche volta ma non così tanto. –
– Non è lento, è Umano. Sono fatti così. – risponde l'altro.
– Già. – mi ritrovo a capitolare anch'io.
Suga gioca, io gioco, Satori gioca.
Lo sconosciuto mette giù una carta.
La mia batte quella dei miei amici ma la sua batte la mia.
Lo guardo.
– Riprendi subito quella merda in mano e metti qualcos'altro. – gli dico.
Quello mi guarda.
– Su, entro domani mattina. –
La riprende su.
Ne gioca un'altra.
Così va meglio.
– Che poi cos'è che dovrebbero rubare, scusate? Un sacco di roba del tempo dello Sterminio l'abbiamo buttata, forse stanno venendo là per niente. –
– La ricetta per l'inibitore alla magia delle Fate e il sangue di Hajime. Dicono che li avevano tenuti in Infermeria. –
– Ah, mi sa che ho capito. Ho capito. –
– Li avete buttati o ci sono ancora? –
– Ci sono ancora, ma piuttosto che litigarci sopra con lo Sterminatore di Fate suppongo che 'Toshi preferirà buttarli. –
Suga annuisce, poi sorride.
– Se vedi Daichi digli che lo amo e che mi manca tanto, per favore. Stamattina ho provato a parlargli ma ho la sensazione che abbia fatto qualcosa che non deve perché mi pareva molto confuso. –
– Dici che hanno bevuto? – intervengo.
– Potrebbe darsi. –
Satori reciproca l'espressione serena di Suga.
– Va bene, glielo dirò. Sarà un po' imbarazzante, ma glielo dirò. –
Vinco la mano, mi sporgo, ritiro i miei soldi. Il mazziere riprende le carte.
– Che poi non ho capito, come fai a tornare là? È lontano da qui almeno un paio di giorni di cammino. Usi un incantesimo di trasporto come quello della Strega delle Terre del Nord? –
Satori storce il naso.
– No, ma che incantesimo di trasporto, quelli mi fanno venire il mal di schiena. In realtà io non sono davvero qui. –
Aggrotto le sopracciglia.
– Non sei davvero qui? –
– Già, in realtà sono a letto che dormo. Questa è un'emanazione. Se conosco bene un posto posso proiettarmici dentro. –
Annuisce convinto di fronte al mio viso confuso.
Allunga un braccio dalla mia parte.
– Prova a toccarmi la mano. –
Obbedendogli perché non saprei che altro fare seguo le sue direttive, muovo un dito verso la sua pelle.
Gli passo attraverso.
Come fosse aria.
Gli passo...
– Oh, Yggdrasill. Ma tu... e come hai fatto prima a toccarmi? Come fai a tenere in mano le carte? Non è possi... –
– È come se fossi una sorta di fantasma. Tu mi senti, ma io non sento te. –
– Wow. –
Sorride come se stesse mettendo in piedi uno spettacolo, china il capo in un accenno di inchino.
– E so fare anche un sacco di altre cose. Tipo... –
Si gira verso lo sconosciuto al nostro tavolo.
Sbatte le palpebre dalla sua parte, poi tiene gli occhi aperti e fissi.
Lo sconosciuto inizia a guardarsi attorno forsennatamente, appoggia le iridi su soggetti a me non visibili, trema, prova a gridare, ad un certo punto persino cade dalla sedia.
Quando Satori torna a guardarmi pare che quello che lo spaventi svanisca.
Si accascia con le ginocchia al petto e il fiatone.
– Posso far avere delle allucinazioni alle persone. È una magia molto comoda. –
– Davvero? –
Mi sembra pensandoci che sia solo molto divertente per fare gli scherzi, ma...
– Basta far apparire uno spirito qualsiasi di un parente morto che dà consigli specifici a qualcuno e posso convincerlo a fare praticamente di tutto. Come credi che il consiglio ristretto abbia eletto me Consigliere del Re? Non riuscivano nemmeno a guardarmi negli occhi. –
– Hai sabotato le elezioni? –
– Non le ho sabotate, le ho... direzionate verso la scelta più corretta. –
Ride sotto i baffi.
– 'Toshi non era contento, ma alla fine mi lascia sempre fare quello che mi pare. –
Suga annuisce.
– Questa l'ho già sentita. –
– Anche io. – mi accodo.
Non so con quale forza d'animo, lo sconosciuto si tira su sulle gambe. Terrorizzato in volto punta sicuramente ad andarsene, la Suga lo fissa e fissa la sedia, e quello si rimette dov'era.
Non possiamo giocare senza di lui.
– Ma non avevi ordinato da bere? Dov'è? – chiede l'attimo dopo a Satori, che sta pescando una carta e la sta sistemando nel suo mazzo ordinato.
– Ah, è vero, me n'ero dimenticato. Un secondo che... – si blocca qualche istante e poi si riprende – avevano finito il vino e hanno mandato qualcuno sul retro a prenderlo. Fra poco dovrebbero arrivare. –
– Perfetto. –
Pesco una carta anch'io.
Lo sconosciuto pure, ma con le mani che si scuotono di terrore così tanto che gli cade e deve raccoglierla due volte.
Guardo la Strega.
– Ma tu puoi possedere chiunque tu voglia? –
Arriccia le labbra.
– Più o meno. Diciamo che le mie emanazioni hanno una magia più debole di me perché devo usarne un po' per farle, quindi ecco al momento mi limito a creature magiche medio-deboli. Nella mia forma corporea direi che potrei farcela con parecchie creature, però. Anche se quelle più forti magari solo pochi minuti. –
– Non Hajime, però. –
– No, lui certo che no. Ma farei fatica anche con te e con gli altri Antichi. Non so se riuscirei, con voi, non ci ho mai provato. –
Annuisco.
– E cos'è che senti quando lo fai? –
– Niente di particolare, è come ti senti tu dentro al tuo corpo. –
– Non senti tipo i pensieri? –
– No, per leggere la mente ci va molta più fatica. –
– Puoi fare anche quello? –
Sorride.
– Certo che posso. Però non è mica una magia delle mie, è una magia che fanno un sacco di creature. Quella che si usa... –
Tappa le labbra.
La sua voce la sento anche se non muove la bocca.
Per parlare nella testa, completa.
Quando sento Suga, mi giro di scatto.
Questo lo so fare anche io, è una porcata. A casa se vuoi te lo insegno, mi recita dentro.
Ridacchio, annuisco.
– Ti prego, sì. –
– Quando vuoi. – risponde, questa volta normalmente.
Suga gioca la sua carta, la tira un po' troppo vicina alla montagnetta di soldi e fa cadere una pila di monete, il rumore è metallico.
Satori si rivolge a me.
– Comunque in quanto a lettura della mente et similia tu funzioni meglio di me. –
– Io? –
– Tu, sì, tu. Chiedi al tizio cosa sta pensando. –
Alzo lo sguardo verso lo sconosciuto.
– Cosa stai pensando? – gli chiedo.
– Che non so cosa mi sta succedendo ma non tornerò a casa vivo da mia moglie stanotte. Che aveva ragione, c'è solo brutta gente in questo posto. Che sei bellissimo. – risponde inebetito, come se non si stesse rendendo conto di parlare e lo stesse facendo contro la sua stessa volontà.
– Ah però, hai ragione, sono bravo. –
– Visto, che ti avevo detto? –
Fisso lo sconosciuto una volta ancora.
– Stai dicendo che io e i miei amici siamo "brutta gente"? –
– Sì. Non siete normali. –
– Perché mai non lo saremmo? –
– Mi rubate i soldi e barate solo perché non siete capaci a giocare. Non è giusto che usate la magia. Stavo vincendo io. –
In effetti non è che abbia tutti i torti, però...
Suga butta una carta che batte la mia e quella di Satori.
Mi prende una spalla con le dita.
– Digli di metterne una scarsa che io ho vinto poco stasera. –
– Metti una carta scarsa. –
Lo sconosciuto mette una carta scarsa.
Suga tira i soldi verso di sé.
Io guardo Satori.
– E io che pensavo di non poterla usare perché era bloccata, la magia. Guarda tu che... –
– Ah, ma non la stai usando. Non è mica la tua magia. È tipo un rimasuglio, ecco, quello che usi normalmente. –
– Un rimasuglio? E riesco a fargli fare... –
Satori sbatte le palpebre, piega la testa.
– Certo che sì, ovviamente. Se fosse la tua magia normale, Tooru, potresti chiedere a tutti i presenti di questa stanza di uccidersi a vicenda e lo farebbero. Potresti chiedere a qualcuno di uccidere suo figlio e lo farebbe. Non scherzare. –
– Ah. –
Oh beh, non l'avrò mai, questo si è detto, però di certo non mi aspettavo che...
Forse è meglio non avercela, mi viene in mente.
Forse è meglio.
Non credo di voler avere io da solo, sulle mie uniche spalle, sulla mia unica responsabilità, un potere così grande.
Menomale che...
Suga raduna i soldi, Satori mi sorride.
Torno alle mie carte.
– Abbiamo quasi finito, poi andiamo a giocare ai dadi? – chiedo, rivolto ad entrambi.
Il mio amico annuisce.
La Strega no.
– Io mi sa che torno da 'Toshi a controllare com'è la situazione. Giusto per accertarmi che i vostri Umani non facciano a pezzi casa mia e mio marito. –
Annuisco con le labbra strette.
Scelgo la carta da giocare.
Quella di Satori la batte un secondo dopo.
Quella dello sconosciuto batte quella di Sa...
La Strega schiocca le dita.
La carta vincente scompare, diventa cenere e fluttua nell'aria.
Satori sorride, si sporge in avanti, con le mani aperte trascina verso di sé le monete d'argento.
– Che fortuna, ho vinto ancora! –
Una lacrima scende sulla guancia del poverino che non ne può niente.
Io sento i bordi delle mie labbra alzarsi.
La leggerezza di divertirmi è nuova e sconosciuta, dentro di me, ma così giusta e piacevole da sembrarmi naturale dentro di me.
Che vita ho vissuto, fin'ora?
Miseria, non lo so.
So quale vorrei vivere in futuro, però.
– Sei davvero forte a questo gioco. – commento.
Satori annuisce.
Suga ride.
Io, senza preoccupazioni, prendo un'altra carta e in compagnia, col cuore in pace, mi diverto.
─── ・ 。゚☆: *.☽ .* :☆゚.───
➥✱"taigh-cearrachais" in gaelico significa "bisca".
olè julia sempre puntuale sempre on time sempre tutto scusate lol dovevo dare un esame sono andata a new york ho avuto beghe ma ce l'ho fatta !!!
spero che vi sia piaciuto !! i capitoli di suga e oikawa sono un po' più leggerini e discorsivi di quelli di iwachan e daichi ma li trovo tenerelli e poi c'è satori io amo satori e niente spero che vi sia piaciuto lemme know fr
(giuro che fra poco li riunisco comunque)
(e che vi rimetto il sesso pazzo)
(lo so che lo volete) (no sono io che lo voglio) (vabbè)
niente torno a studiare chimica
un bacio
mel :D
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