𝗰𝗲𝗮𝗻𝗻-𝘀𝗻𝗮𝗼𝗶𝗱

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Quando ci incamminiamo finalmente la mattina dopo, sono definitivamente, sicuramente molto, molto più in pace con me stesso.

Il Sole splende, l'aria profuma dell'erba dei prati che ci circondano, non ci sono rumori fastidiosi, persone che urlano o che mi fanno sentire compresso, solo il risuonare secco delle foglie e il vento che fischia saltuariamente contro le mie orecchie.

Il mio corpo è più tranquillo, più forte di ieri, l'ansia non mi si attorciglia attorno alle viscere come un'edera rampicante, il mio cuore pesa di meno, le gambe camminano senza rimandarmi dolore in alcun punto.

Sto meglio.

Sto bene.

Sono... sereno.

Ci sono piccole casette e piccoli rivoli di fumo in lontananza, la mia mano pende nell'aria collegata e intrecciata alle dita di qualcuno che mi fa sentire al sicuro, Tobio ci precede con l'andatura più sicura e meno distrutta, c'è silenzio.

Respirare mi sembra più facile.

Soffrire mi sembra un ricordo lontano.

Mi formicola la pelle all'idea di quello che è successo ieri sera.

Iwa-chan mi trascina un po' quando rallento, ma sorride ogni volta che lo guardo. Non in modo pieno e sfrontato, appena appena. Tira su gli angoli della bocca, come a dirmi che va tutto bene, che andrà tutto bene, che stiamo bene.

Non so quando ho capito che cosa fosse quel che provo per lui.

So che però, non c'è nessun modo in cui vorrei o potrei tornare indietro.

Sospiro piano nell'aria frizzante del mattino, aumento un po' il passo per stargli vicino spalla contro spalla, mi piego appena verso di lui e lo sento girare il capo per stamparmi un bacio sul lato del viso, fra lo zigomo e la tempia.

Sorrido nella luce del mattino.

Credo che questo sia quello che in tutta la vita ho sempre voluto, anche quando non sapevo di volerlo.

Pace, serenità.

Amore.

Amore e nient'altro, anche se non glielo voglio dire.

Perché è esattamente questo che nel mio cuore c'è adesso, e anche se non so quando tirerò fuori quelle parole, anche se non so se risponderà "anch'io", anche se non so nulla.

Ma so e credo che non sia il momento questo, di dirlo, perché non si traggono mai le conclusioni alla partenza, ma solo alla fine di qualsiasi viaggio uno abbia deciso d'intraprendere.

Quindi mi sciolgo un po' addosso al suo fianco, aspetto che sleghi le dita dalle mie per stringermi una spalla e mi godo il calore del suo corpo sul mio.

Sembra così minaccioso, da fuori.

Sembra cattivo, sembra rigido e spaventoso, violento, rude.

Ma non ho mai incontrato qualcuno che sotto tutta quella coltre di parole crudeli fosse così dolce e premuroso, con me.

Ci tiene.

Lui... ci tiene.

E ci tengo anch'io, molto più di quello che onestamente do a vedere.

Sposto il viso verso il suo, incontro le sue labbra a metà strada e sorrido nel bacio, perché posso, voglio e devo farlo, fa ormai parte di me.

Chissà cosa sarebbe successo se mi fossi sposato.

Chissà cosa se avessi deciso di scappare da un'altra parte, se tu non fossi uscito a cacciare proprio quel giorno, se non avessi finto di non sapere dove fosse il Nord per tornare da te.

Non so se Yggdrasill guidi davvero le mie azioni.

Ma se lo fa, gli devo davvero un grande "grazie".

Torniamo uno di fianco all'altro e ricominciamo a camminare, mano nella mano, nel mattino fresco di questo giorno di fine estate.

Quando mi sono svegliato stamattina, Tobio si era ritrasformato nel sonno e mi stava stritolando fra le braccia come se fossi una bambola, la testa sopra il mio petto e la bava che gli colava dalla bocca.

Mi è sembrato un cucciolo.

Di quelli piccoli e freddolosi a cui piace il contatto fisico, che ti si avvinghiano al minimo cenno di allontanamento.

Non l'ho svegliato per lamentarmi.

Avrei tanto voluto, perché dargli fastidio è davvero divertente, ma non me la sono sentita. Sono rimasto a guardarlo dormire e gli ho accarezzato i capelli, perché nonostante non siano tanti gli anni a separarci mi sembra così giovane, così innocente, così indifeso.

So che è un lupo di due metri che potrebbe mangiarmi in venti secondi.

Ma credo che come suo padre, sia più una messinscena per difendere la tenerezza delle proprie emozioni che altro.

Piccolo lupo scemo.

Credo che se dovessi scegliere qualcuno per difendere tutta la vita una delle tre persone che amo di più al mondo, sceglierei te.

Anche se ad alta voce, questa cosa, non te la dirò mai.

Quando se n'è reso conto è saltato su come se scottassi, mi ha urlato di non aver fatto apposta, che pensava che fossi Hajime, si è trasformato e ha vagato venti minuti in cerchio cercando di affrontare la cosa.

Iwa-chan mi ha sussurrato nell'attesa che eravamo davvero carini.

Che era tanto felice che le due persone più importanti della sua vita andassero d'accordo.

E io sono imploso in un milione di frammenti perché cazzo se non è stata una delle cose più tenere e dolci che qualcuno mi abbia mai detto.

Ora zompetta con calma, il lupo, si gira di tanto in tanto per farsi arruffare il pelo dietro le orecchie, mi morde il bordo dei pantaloni per farmi cadere e si strofina contro il fianco di Hajime quando siamo troppo sdolcinati.

È un cucciolo.

È davvero un cucciolo.

Credo davvero, quando lo guardo, di essere cresciuto troppo in fretta.

Forse vorrei averlo avuto io, un padre che mi insegna con calma come affrontare la vita anche se non ne è sicuro, che ci prova nonostante le difficoltà, che tenta e si sforza di essere migliore per me.

Ma non l'ho avuto, e ormai, non credo di poterci fare tanto.

Stiracchio le braccia sopra la testa, lascio scattare le prime vertebre e guardo le casette in lontananza.

Non ho mai... non ho mai visto un Branco di Mutaforma prima.

In realtà, prima di Tobio, non credo ne avessi neppure mai incontrato uno.

Però mi hanno sempre affascinato.

Hanno iniziato a parlarne a palazzo che ero piccolo, avrò avuto sei o sette anni, perché pare che nei Regni del Nord, dove c'è solo neve e freddo e gelo, fosse diventato Re qualcuno che aveva con sé un Mutaforma.

A Palazzo è stato un vociare di lupi e mostri per settimane, ricordo. Parlavano di colpo di stato, parlavano di Streghe e di Mutaforma del Nord, di grossi lupi con la pelliccia chiara e di tante altre cose che, ai miei occhi, erano sicuramente spaventose.

Non ne so molto, in effetti.

Ma non so per quale motivo, ora che ci penso, di qualsiasi razza escluda gli Elfi, so praticamente niente.

Chissà.

− Quanti lupi ci sono in un Branco? – chiedo ad alta voce, catturato dalla mia curiosità.

Hajime stringe le dita sulle mie, si schiarisce la voce.

− Dipende. –

− Da cosa? –

− Da un sacco di fattori. –

Sposto lo sguardo verso Tobio girato dalla mia parte. Mi guarda come se gli interessasse quello che sto dicendo. In effetti è di casa sua, che sto parlando.

− Nel Branco delle Lande sono una cinquantina. –

− Così tanti? –

Hajime abbassa lo sguardo, improvvisamente adombrato.

− La maggior parte sono originari di altri Branchi, come Tobio. –

− E allora che ci fanno là? –

Respira piano.

− C'è stato un periodo in cui sterminavamo i Mutaforma. Si sono... rifugiati. –

− Ah. –

Non mi fermo ma rimango un attimo in silenzio.

Non ce l'ho con lui per il suo passato, non ce l'avrei con lui nemmeno se avesse cercato di uccidermi, ma il pensiero mi sconvolge sempre un po'.

Certo l'idea che l'uomo che bacio e abbraccio ogni sera sia una macchina di morte è sicuramente qualcosa di particolare.

Stringe appena più forte la mia mano.

− Il loro Capobranco ti odia, per questo? – mi ritrovo ad aggiungere dopo qualche istante.

Hajime fa spallucce.

− Non particolarmente. Al tempo dello Sterminio ci furono trattative perché ci appoggiassero nell'invasione e permisi loro di rimanere neutrali, poi io ho portato Tobio da loro per farlo crescere là, siamo pari. –

Annuisco appena.

− Non cercheranno di ucciderci? –

− No, sono dei cazzoni. Ti divertirai, ne sono sicuro. –

Mi viene da sorridere e lo faccio.

Anche Hajime, quando alza lo sguardo per incontrare il mio, lo fa.

− Devi solo ricordarti di non avvicinarti troppo a nessuno. Tobio te l'ha detto, che ci sono i Riti di Luna. –

− Hai paura che rimangano folgorati da me? –

Ride, fa "sì" con la testa.

− Qualcuno. Quelli senza compagno si butteranno su di te al primo accenno del tuo odore da scemo, Elfo. –

− Non ho un odore da scemo! –

− Invece sì. –

Mi pizzica la guancia e ride quando mi lamento.

− L'importante è arrivare dal Capobranco, poi ci pensa lui a quelli che ti danno fastidio. –

− In che senso? –

Piega la testa, mi guarda negli occhi e lascia andare la mia mano per sistemarmi i riccioli sopra l'orecchio.

− È una cosa molto istintiva, come se fossero animali. Se il Capobranco ordina qualcosa lo fanno a prescindere, sono fatti così. È un meccanismo di sopravvivenza, credo. –

Lancio un'occhiatina verso Tobio.

− Pure lui? –

− Al momento sì, ma poi sarà diverso fra qualche anno. –

− Diverso? –

Riprendiamo a camminare mano nella mano, le casette in fondo al panorama che si fanno appena più definite.

− Tobio è figlio di un altro Capobranco, prima o poi inizierà a ribellarsi o se ne andrà per formare un Branco suo. Ora come ora è solo un ragazzino fastidioso che beve quando non dovrebbe, ma dagli un paio d'anni. –

Schiocco la lingua.

− Rimarrà sempre un ragazzino fastidioso. –

− Non parlare come se avessi quarant'anni più di lui, Tooru. –

Il lupo sembra che mi sorrida, che mi prenda per il culo, quando si gira e mi morde l'orlo dei pantaloni cercando di farmi cadere.

Lo allontano con un calcio e Hajime lo guarda abbastanza male perché eviti di ripetere il tentativo, ma sento comunque tutto il tessuto sbavato.

Che schifo.

− Un Branco è fatto per forza di altri lupi? –

− Credo di sì, non lo so. –

− Oh, ok. –

Stringo lo sguardo.

Sì, ce lo vedo, il ragazzino fastidioso, a fare quel tipo di vita. È regale, è indubbio che lo sia, sia nell'aspetto che nei modi. È goffo sotto certi punti di vista, talvolta decisamente buffo, ma è come se avesse questo potere sottopelle che ti fa venir voglia di ascoltarlo.

Lui sì che è nato per essere un principe.

Non come me.

Sorrido un po' amareggiato dal pensiero.

Hajime però lo sente, che qualcosa m'infastidisce, e nonostante non sappia cosa mi passa la mano sulla spalla e fra i capelli come per rassicurarmi.

Hai ragione, Hajime, hai ragione.

Non importa, se sono nato o meno per sedermi su un trono.

Non importa.

− Non ne avevi mai incontrato uno prima d'ora? –

− Che? –

− Di Mutaforma, Elfo. –

Deglutisco la saliva e scuoto la testa.

− Ho sentito di quella storia strana del Nord ma nulla di più. –

− Oh, ho capito. –

Riprende la mia mano e la tira su per baciarne il dorso, in un gesto che sembra distratto ma è in realtà incredibilmente dolce.

− È probabile che ci sia anche lui, sai. –

− Il Mutaforma del Nord? –

− Se c'è un problema con la magia per forza. Il Re è... pratico di magia, mettiamola così. –

− Non era tipo una Strega? –

− Qualcosa del genere. –

Non sembra che ne sappia molto nemmeno lui, ma credo che sia... normale. Il Nord è lontano, distante, freddo. È come se fosse un mondo completamente diverso, e anche capirsi e comunicare, qualche volta, è difficile.

Non ricordo molto del loro Re.

Non credo di averlo mai visto.

L'ho solo sentito parlare dalla stanza di mio padre, ed ero piccolo.

Aveva una voce tanto pacata.

− Tutte queste persone diverse mi confonderanno, Iwa-chan. Appena torniamo a casa voglio fare uno di quei bagni infiniti e dormire dodici ore. –

Annuisce.

− Ci rinchiudiamo in casa e non usciamo per un mese. –

− Andata. –

Rido appena e ride anche lui.

Mi piace essere quotidianità per te, Hajime, mi piace che tu lo sia per me. Mi piace che parliamo di "casa" e di "noi", mi piace che facciamo... progetti, anche se sono stupidi.

Mi specchio nei suoi occhi e mi sporgerei per farmi baciare quando sento il rumore delle zampe che affondano più velocemente nelle foglie secche e vedo la coda di Tobio sbattere nell'aria.

Il lupo è... felice?

No, non è possibile.

Non credo ne sia fisicamente capace.

E invece...

− Vai, Tobio. Ci vediamo là. –

− Dove deve andare? –

Iwa-chan indica di fronte a sé, verso le casette, con un movimento del capo.

− Dal suo Branco. –

C'è qualcosa di triste, in fondo ai suoi occhi, velato e celato bene, ma a me davvero visibile.

Tobio lecca il suo braccio, tira un colpetto a me con il muso e poi inizia a correre sul serio nelle sterpaglie, scomparendo in un attimo.

− Non ti piace quando se ne va, vero? –

− È mio figlio, Tooru. Odio ogni volta che si allontana e non so dov'è. –

− Sei adorabile. –

− Forse con lui un po'. –

Rido appena.

− Anche con me lo sei, non dire stronzate. –

− Non è assolutamente vero. –

− Sì che è vero. –

Gli pizzico il fianco con la mano e corro appena in avanti, ridendo quando lo vedo saltare di qualche decina di centimetri più in là.

Soffre un po' il solletico, il soldato cattivo.

Fa' finta di no.

Ma lo soffre eccome.

− Elfo di merda, se ti prendo ti ammazzo. –

Gli faccio la linguaccia e scatto indietro quando fa per avvicinarsi.

− Sei lento, Iwa-chan. Lento e vecchio. –

− Non sono vecchio! –

Piego la testa e lo guardo da sotto le ciglia.

− Lo sei. –

− Non è vero. –

− Sì che è vero. –

Mi piace anche battibeccare, con lui, come se fossimo una di quelle vecchie coppie sposate. Mi piace perché è divertente farlo arrabbiare, è divertente il suo viso, è divertente... stare con lui in generale.

Sbuffa sonoramente e fa un passo verso di me.

Questa volta non indietreggio e rimango fermo in attesa che arrivi.

Solo che se mi aspettavo che ci avrebbe impiegato qualche istante, in realtà ci mette un attimo, passa con la gamba dietro la mia caviglia e spinge verso l'interno, facendomi sbilanciare indietro.

Mi prende a mezz'aria.

− Io non sono vecchio, Elfo. –

Sono in... diagonale. Con le gambe mezze stese e le spalle fra le sue braccia, che lo guardo dal basso.

No, non sei vecchio.

Sei tanto bello.

− Vieni qui, Hajime. –

Sbuffa.

− Come ti pare. –

È sempre ironico, come usi quel tono scocciato e poi dimostri un secondo dopo di quanto in realtà non intenda il modo in cui dice le cose.

È dolce, anzi, dolce e premuroso, il modo in cui mi bacia.

Impasta le labbra con le mie piano, senza fretta, nell'aria fredda del mattino, tenendomi fra le braccia come se fossi importante, così importante per lui.

Come potrei non amarti, Hajime?

Come potrei?

Non credo che sia possibile.

Si stacca e sorride, mi rimette in piedi e ricomincia a camminare.

Lo seguo sorridendo, guardandolo e sorridendo, perché non c'è davvero emozione che mi faccia sentire più completo della serenità che mi dà ogni secondo.

− Quando entriamo là devi smettere di sorridere così tanto. –

− Perché? –

Fa quella faccia che fa sempre quando non vuole dirmi le cose, ma poi prende fiato per parlare.

− Io quattro o cinque lupi li butto giù se c'è bisogno, ma se mi attaccano in massa per rubarti non credo di poterci fare molto, Elfo scemo. –

− Stai dicendo che sono troppo bello e s'innamorerebbero di me? –

− All'incirca. –

Gli bacio una guancia.

− Sei troppo buono, Hajime. –

− Sei tu che sei troppo bello. –

Intreccio le dita con le sue.

− Più dentro o fuori? –

− Fuori sei perfetto, Elfo, dentro no di certo. Ma se la domanda che volevi farmi è "ti piaccio più dentro o fuori" allora la risposta è diversa. –

Mi sento sorridere.

Onesto, brutale.

Cattivo e comunque dolce in qualsiasi aspetto di questa sua cattiveria.

− Dammi un altro bacio, Hajime, su. –

− Ah, maledetto, come vuoi. –

Si ferma e si gira, mi tiene la vita fra le mani mentre circondo il suo collo con le braccia, apre le labbra contro le mie.

Smetterai mai di lasciarmi senza fiato?

Smetterai mai di farmi sentire meglio di qualsiasi cosa io abbia mai provato?

Io non so da dove cazzo sei uscito, Iwaizumi Hajime, ma se non sei tu la persona più dolce e meravigliosa e bella che mai sia esistita, io non saprei chi è.

Cazzo, tu non hai nemmeno un'idea di quanto io sia innamorato di te.

Mi stringe il fianco, poi scende e appoggia la mano decisamente contro il culo ma non lo fermo, non ho intenzione di farlo e Tobio non c'è.

Non che mi voglia levare i vestiti in mezzo ad un bosco spelacchiato vicino ad un villaggio di Mutaforma, ma che male c'è se mi faccio toccare questo io non lo so.

Piego la testa, spingo di più il viso contro il suo, mi sento afferrare più saldamente.

− Questa volta non ci molliamo mai, ok? – mi dice, al primo accenno di fiato che ci concediamo.

Annuisco, annuisco e cerco le sue labbra di nuovo.

Ancora, ancora.

Sposto una mano su una delle sue guance, lo tengo fermo, accarezzo il lato del suo viso.

− Non ti devi staccare mai, davvero. Sono brave persone ma io non so lo che cosa potrebbe succedere, quindi non ti staccare mai finché non incontriamo il Capobranco. –

− Non mi stacco, te lo prometto. –

− Cazzo, sarà meglio. –

Sorrido contro le sue labbra, sorride anche lui.

− Il giorno in cui qualcuno ti fa qualcosa io non so davvero che cazzo potrebbe succedere, Tooru. –

− Nessuno mi farà niente. –

− Se solo ci provano, se solo... −

Respiro piano e lentamente contro il suo petto, come per tranquillizzarlo con me.

È ansioso, si vede. Lo spaventa a morte la prospettiva, lo fa sentire debole e solo come si è sentito una vita intera, lo terrorizza.

Ma ce lo siamo promessi ieri sera, che avremmo provato a parlare e ad aiutarci a vicenda.

Stringo le braccia alle sue spalle, gli bacio una guancia e appoggio la fronte nell'incavo del suo collo.

− Nessuno mi farà niente. Non succederà niente, Hajime, sono qui. Sono qui con te. –

Le mani che erano delicate sulla mia vita ora mi fanno quasi male.

− Li ammazzo, Tooru, io li ammazzo tutti, io li... −

− Non c'è bisogno, non c'è bisogno. Sono qui con te, da nessun'altra parte. –

Il cuore gli batte forte contro il petto.

Trema, il suo petto, quando lo alza e lo abbassa contro il mio.

− Tutto bene? –

− Va... meglio. Grazie, Elfo. –

− Vuoi che ti dia un bacio... sulla fronte? –

Chiude la bocca, distoglie lo sguardo dal mio e lo punta per terra, gli si scaldano appena le guance.

Annuisce appena.

Oh, Iwa-chan, se non sei la creatura più adorabile che esista.

Gli prendo il viso fra le mani e lo tiro a me, appoggio piano le labbra nello spazio sopra le sue sopracciglia, piano e dolcemente, poi lo lascio andare.

Ricominciamo a camminare pochi istanti dopo.

Siamo proprio un assortimento strano, io e te, non è vero? Siamo proprio diversi, opposti, non c'entriamo niente l'uno con l'altro.

− Quanto durano questi giorni di accoppiamento? –

Gira la testa verso di me e alza le spalle.

− Tre giorni. –

− Oggi è il primo? –

− Ah-ah. –

Guardo il cielo chiarissimo del mattino.

− E il Capobranco ha un altro lupo con cui sta o qualcosa del genere? –

Iwa-chan mi guarda male.

− Che c'è, ci vuoi provare con lui? –

Rido, scuoto la testa.

− No, cretino. –

− Chi hai chiamato "cretino"? –

Ci baciamo perché a quanto pare questo è il modo in cui risolviamo qualsiasi conflitto, poi annuisce e sospira.

− Non so come si siano conosciuti in realtà, ma il Capobranco sta con uno del Piccolo Popolo da prima che lo conoscessi. –

− Il Piccolo Popolo? –

− Gli Gnomi che vivono in quel pezzo di Bosco là. – risponde, indicando l'adunanza di alberi che si staglia accanto alle casette che stiamo raggiungendo.

− Gnomi? Quelli brutti col collo corto che sembrano... −

− Non proprio, in realtà. –

Lascia andare la mia mano e mi prende dal fianco, mi stringe contro di sé.

In effetti non è che manchi molto.

Credo... una decina di minuti.

− Io non capisco perché tu sappia così poco delle altre razze, Tooru, davvero. – borbotta prima di respirare per prendere fiato.

In realtà non lo so nemmeno io.

Forse semplicemente non interessava a nessuno insegnarmelo.

− Il popolo degli Gnomi è sempre stato un popolo di lavoratori, orgogliosi, avidi, ma leali. Si dice che nei tempi antichi le Fate li avessero ringraziati con una Benedizione. –

− E allora? –

− Fammi finire, Elfo. –

Scorre con le dita in tutta la curva che porta dalla mia vita al fianco, poi torna su.

− C'è uno Gnomo fra di loro, fra tutti, che loro chiamano il Protettore del Bosco, che nasce con la Benedizione delle Fate. È lui che sta col Capobranco, per cui se ti aspetti baffi, barba e cappello a cono, ti sbagli. Sembra... quasi più una Fata che uno Gnomo. –

− Quindi è più bello di me? –

− Oh, non dire cazzate, Elfo. –

Infilo la lingua fra i denti e sorrido, perché è vero che ho tanti problemi col mio aspetto fisico e tanti complessi legati alla bellezza, ma sentirselo dire piace a tutti, no?

− Non ti devi avvicinare allo Gnomo. –

− Perché? –

Tamburella con le dita su di me.

− Giorni dell'accoppiamento, te l'ho detto. Se il Capobranco si sente minacciato o crede che tu voglia rubargli il compagno ti fa secco in un secondo. Diventano territoriali in questo periodo. –

− E non ci saresti tu a proteggermi? –

Sospira.

− Sì, Elfo, sì. Ci sarei io. Ma se potessimo evitare lo scontro in primis, sarei più contento. Che dici? –

− Dico che hai ragione e che sei anche super carino quando sei diplomatico. –

− Io sono sempre diplomatico. –

Rido, piego la testa di lato.

− Diplomaticissimo. Che cos'è che fai a qualcuno se mi tocca? –

− Gli stacco la testa. –

− Come volevasi dimostrare. –

Sbuffa, poi fa spallucce.

− Siamo quasi arrivati. –

− Già. –

Mi aspettavo qualcosa di diverso, per un Branco grande di creature mezze umane e mezze lupo, fiere e maestose nel solo modo in cui si presentano.

Invece il villaggio ha un aspetto... domestico, tranquillo.

Rivoli di fumo e odore di cibo, casette in fila in una strada dolcemente pianeggiante, una generosa porzione di bosco dietro l'ultimo degli edifici che circonda i muri con i rami e le foglie.

Mi aspettavo qualcosa di più rustico, più... animale, tipo grotte e capanne.

Pare che non sia lo stile.

Non ci sono recinzioni, ma la strada piena di foglie si trasforma in un sentiero battuto ad un certo punto, ed intendo quando ci cammino sopra, che sia questo l'ingresso al villaggio.

Iwa-chan mi stringe.

Io trattengo il respiro.

Non succede... niente.

Continuiamo a camminare.

Non mi sembra di vedere tante persone, anzi, credo che l'ora ci dia una mano su questo frangente, sembrano dormire tutti. C'è qualche movimento da qualche parte ma non molto di più,

− Dormono? –

− Non dormono mai quando ci sono sconosciuti. –

− Eh? –

Mi spiaccico più forte contro il fianco di Hajime e lo sento... rigido. Come se fosse pronto a scattare in qualsiasi momento, come se ci fosse una battaglia alle porte.

Sposto lo sguardo attorno a noi.

C'è una casetta a pochi metri da me, e quando mi giro a guardare vedo un paio di occhi che mi fissano.

Stanno...

− Non fare rumore, fai piano. Non devono sentirsi minacciati. –

Anche il respiro che prendo è tremante.

− Ok. –

− Bravo, Elfo. –

I passi diventano quasi più frettolosi, ma silenziosi come prima, come se stessimo passando accanto ad un mostro che dorme e stessimo cercando di non farlo svegliare.

− Quando vedi il Capobranco ti devi inginocchiare, capito? –

− Per fare cosa? –

Hajime mi lancia un'occhiataccia.

− Tipo inchino, idiota. È comunque un Re di qualche tipo, è solo educazione. –

− Quindi lo fai anche tu? –

− Io non mi inchino per nessuno. –

Ha la mascella stretta, gli occhi seri.

Un ragazzo giovane, dell'età da fuori che sembra quella di Tobio ma che potrebbe essere più vecchio come più giovane per quello che so, passa nel sentiero attraversandolo in orizzontale.

Si ferma in mezzo e mi guarda.

Ringhia.

− Qui per i Riti? – chiede, fissando me e Iwa-chan.

− No. – risponde lui al posto mio.

− Ha un odore così buono. –

Vedo il mio soldato respirare con calma e mi stringo forte addosso a lui. Se tira fuori la spada e lo ammazza siamo finiti, vero? Con tutti questi Mutaforma che ci fissano dalle finestre, è solo questione di tempo prima che ci mangino vivi.

Credo.

− Ci ha convocati il Capobranco. – dice Hajime dopo un istante, le parole calme e tranquille, perfettamente chiare.

− Davvero? –

− Sì. –

Vedo il ragazzo sospirare, guardarmi un'ultima volta e allontanarsi.

Riprendiamo il sentiero.

Mi tremano le mani, ma tutto sembra essere finito e lascio perdere gli ultimi venti secondi in favore di qualcosa che è più interessante e di sicuro meno spaventoso.

− Non ti sei davvero mai inchinato per nessuno? –

− No. –

− Ma non avevi detto che alla Corte degli Umani avevi... −

− Intendevo in senso metaforico. Ho offerto a quel figlio di puttana i miei servizi, ma non mi sono inginocchiato per davvero. Io non m'inchino per nessuno, Tooru. –

Sembra nervoso, è nervoso, credo più per quello che ci circonda che per il discorso in sé.

− E nessuno ti ha mai trattato male per questo? –

− Che ci provino, Elfo. –

Mi viene da ridere e lo faccio appena.

Il silenzio attorno a noi è assordante, e quando il rumore della mia risata scompare me ne rendo conto ancora di più. È come se fossimo sospesi a metà fra la vita e la morte, completamente bloccati in qualcosa di fermo e minaccioso.

Un passo falso e siamo morti.

Un passo falso e...

Sentiamo una porta sbattere dietro di noi e in un attimo mi ritrovo spostato da una delle braccia di Hajime indietro, lontano dal rumore.

Mi muore il fiato in gola, il cuore inizia a battermi forte nella cassa toracica.

Che sta succedendo?

Che...

− Che cazzo... portatelo via! –

Eh?

Tiro su la testa per guardare la scena e mi rendo conto di cosa stia succedendo.

C'è un ragazzo, un altro ragazzo sempre a petto nudo e dell'età incomprensibile degli altri con la schiena attaccata ad una delle porte. Spinge indietro, ma si sente il rumore di qualcuno che... raschia contro la porta, come se cercasse di aprirla.

Hajime è di fronte a me, mi tiene indietro, la mano chiusa sull'elsa della spada.

Il ragazzo contro la porta ci guarda di nuovo.

− Non so chi cazzo sia ma dovete portarlo via. Portatelo il cazzo via da qui, è... −

Qualcuno ringhia dall'interno.

Di chi sta parlando?

Di me?

− Non siamo qui per le vostre feste di merda, lupo. Se avete problemi con i vostri ormoni non sono cazzi miei. –

Oh, che cattiveria, Hajime.

− Lo state facendo impazzire, per favore, andatevene via. –

Impazzire?

Qualcun altro esce da un'altra porta vicina.

Perché sono tutti mezzi nudi?

− Quella cosa deve andare via da qui. –

"Quella cosa"?

Sta indicando... me. Oh, merda, ma sono io "quella cosa".

Hajime si sposta al centro della strada, di fronte a me, la schiena contro le mie mani e il corpo completamente rigido.

Anche l'altra mano si chiude sull'elsa dell'altra spada che porta legata al fodero sulla cintura.

− Siamo qui per vedere il Capobranco, non per darvi fastidio. Dovete solo resistere un minuto, niente di più. –

− Non puoi portare qualcosa del genere in un villaggio di lupi nei giorni dell'accoppiamento. –

Il rumore sulla porta si fa più forte, più veloce.

Raschia decisamente contro la porta e sono artigli, quelli che sento, artigli contro il legno. Il ragazzo che tiene la porta da davanti non è alto, anzi, è piccolino, sembra al limite.

Hajime inspira dalla bocca, io mi attacco di più contro la sua schiena.

− Non siamo qui per questo. –

Il secondo lupo, quello uscito dopo, scuote la testa verso l'altro, quello piccolino.

− Lo ammazziamo? –

L'altro lo guarda e sgrana gli occhi.

− Ma tu sai chi cazzo è quello? –

− Chi? –

− Lo Sterminatore di Fate, testa di cazzo, al massimo è lui che ammazza noi. –

Hajime?

Parlano di Hajime, vero?

Non sapevo che avesse una reputazione, ma a ragion veduta ha anche senso, un po' una te la formi se uccidi un popolo intero, no?

Hajime respira, lo sento indietreggiare un po'.

− Va tutto bene, Tooru. Non c'è niente che non va. – mormora, e sembra quasi che lo dica più a se stesso che a me.

Lascio passare le mani contro la sua vita e stringo forte.

− Tutto bene. Va tutto bene. –

Chiudo gli occhi, appoggio il centro della fronte fra le sue scapole, cerco di respirare.

Ma non funziona, o quantomeno, non con l'obiettivo che avrei voluto ottenere.

Il ragazzo più piccolino viene scaraventato di lato dal distruggersi della porta, appare nello stipite la silhouette di un animale, un lupo grosso un po' meno di Tobio che ringhia e... sbava.

È di un colore marrone scuro che ricorda le cortecce degli alberi, ha gli occhi scuri e qualche ciuffo chiaro sparso qua e là.

Hajime indietreggia.

Il lupo guarda me.

− Tu sei un cazzo di pericolo pubblico, Tooru. Sei un cazzo di pericolo pubblico. – mi dice, a metà fra lo scherzo isterico del nervosismo e del fastidio.

Prendo fiato, lo prende lui.

Il lupo si muove piano, ma si vede chiaramente la saliva che gli cola dalle zanne.

Il ragazzo che cercava di tenerlo chiuso in casa si alza, l'altro si avvicina.

− Se non lo fermate è morto. Se si avvicina è morto. Se arriva a meno un metro da Tooru è morto. –

− Non sappiamo come... −

− Non me ne frega un cazzo. Se minaccia l'Elfo, è morto. –

Panico, nervosismo, altre porte si aprono, altri rumori si sommano. Il lupo sembra giovane, sembra disperato, sembra... affamato.

Rimane fermo, come se stesse cercando di trattenersi, ma non smette di ringhiare.

Io indietreggio appena.

Sono... in realtà non sono terrorizzato. Sono teso, sono in ansia, ma non ho paura. Ne avrei se non ci fosse Hajime di fronte a me, ma c'è, e non ho niente da temere se c'è lui.

− Come usciamo da questa situazione? – borbotto piano.

− Vivi. Sta a quello scegliere se uscirne vivo o morto. –

− Non essere violento, sembra un ragazzino. –

Fa un paio di passi, il lupo, e quando quello più piccolo gli si avvicina lo scosta con un colpo abbastanza forte da farlo cadere un'altra volta. Si lamenta, quando cade, si lamenta e sembra un po' un guaito.

Dalla porta della stessa casa si sente un altro rumore, a questo punto, come un ringhio basso e minaccioso.

Cazzo, sono confuso.

Confusissimo.

Sta per avvicinarsi ancora, il lupo che punta me, quando qualcosa esce dalla porta.

La pelliccia è bianca come il latte, chiarissima, quasi eterea, gli occhi del verde dello smeraldo. Salta giù dalle scalette all'ingresso e atterra accanto all'altro lupo, lo azzanna alla collottola e tira, ringhiandogli addosso.

Io...

Siamo finiti ad una rissa fra lupi?

C'entra che il lupo piccolo si sia fatto male?

Hajime rimane fermo.

− Risolvono fra loro. –

− Dici? –

− Sembra di sì. –

Si azzuffano e rotolano sul sentiero finendoci pericolosamente vicini, ma non ci sfiorano nemmeno un istante. Fanno impressione, con le loro zanne che sembrano spade e gli artigli, a mordersi e saltarsi addosso, ma non vedo sangue, ancora.

Sono sempre di più, le persone ad uscire dalle porte.

Tutti mezzi nudi, tutti che ringhiano e guardano.

Il lupo più piccolo si rialza dopo qualche istante e si stiracchia le braccia, prima di scomparire in favore della sua altra forma.

È sempre minuto, non grosso come Tobio o come il lupo bianco che ringhia a pochi metri da me, e ha la pelliccia color biscotto.

Si attacca a quello chiaro, quello che sembra averlo difeso, si mette di fronte a lui e si piega sotto ringhiando.

− Che stanno facendo? –

− Sono insieme, quei due. Gli protegge la gola. –

− Eh? –

Alza una delle mani, Hajime, indica i due lupi vicini. Quello bianco è molto più imponente, ringhia e sembra sul punto di staccare la testa a quello che sbava.

Quello piccolo, invece, ha il muso premuto sotto quello del suo compagno, contro la gola, come a proteggerla.

− Si capiva dall'inizio. Quello ha guaito e l'altro è arrivato immediatamente. Sono palesemente una coppia. –

− Tu dici? –

− Ah-ah. –

Vedo altri denti comparire, altre zanne e altri artigli, di nuovo, però, non brilla nemmeno la più piccola goccia di sangue.

Hajime indietreggia.

− Se fai piano forse riusciamo ad andare. –

− Dici che non si accorgono? –

− Forse... −

Il momento stesso in cui mi giro verso il sentiero, i rumori diventano strani, diversi e nuovi.

Giro appena la testa per vedere la scena.

Il lupo che mi guardava si volta all'improvviso quando sente il mio odore allontanarsi, ringhia e scatta verso di noi.

Il metallo della spada di Hajime stride quando la tira fuori di colpo.

Qualcosa fa rumore di foglie.

Qualcosa che somiglia a...

C'è un ramo che sale dal centro del sentiero, come una radice, completamente tirato su dalla terra divelta, che si attorciglia attorno alla vita del lupo e lo tiene fermo a mezz'aria, a pochissimi centimetri dalla punta della lama di Hajime.

Cala il silenzio.

Che cosa sta succedendo qui?

La voce è...

Pacata.

Liscia, pigra, stanca. Non so da chi provenga, c'è tanta gente qui fuori, ma è una voce sottile, delicata.

Apro la bocca per rispondere ma non lo faccio.

Mi viene...

Paura.

Sento una sensazione di terrore spandersi dentro di me, come un terremoto, come una mareggiata. Qualcuno sta ringhiando, ma non è come quello di tutti gli altri, non è come il ronzio di qualsiasi altro lupo io abbia mai incontrato.

È basso, minaccioso, forte. Sembra dirmi di scappare, sembra intimarmi la fuga.

Mi tremano le ginocchia.

Sta succedendo tutto troppo in fretta.

Non voglio morire.

Ho paura.

Non mangiarmi.

Io...

Rientrate tutti, continua la voce pacata di prima, che sembra danzare sopra il ringhio come se fosse una melodia perfettamente studiata per farlo.

Esita, qualcuno, ma poi il ringhio si fa più forte e scattano.

Inizio a vedere due figure avvicinarsi dal sentiero, quando mi sporgo oltre la spalla di Hajime.

Che strano, che io riesca a sentire la voce nonostante la distanza.

− La senti anche tu? – chiedo ad Hajime, come per sincerarmi che non sia io ad essere pazzo.

− No, ma la magia non funziona su di me. –

− Cazzo, è vero. –

Mi aggrappo alle sue spalle, il respiro che rallenta e si fa più calmo.

Il ramo spuntato dal suolo si ritrae poco alla volta, ma il lupo a mezz'aria smette di ringhiare e sbavare e rientra con le zampe che tremano nella casa da cui era uscito.

Come un cucciolo.

Non siete autorizzati ad attaccare la creatura che profuma di fiori, sento di nuovo.

Sono io la creatura che profuma di fiori?

Non toccate lo Sterminatore di Fate. Non possiamo permetterci di perdere nessuno.

Sembra che stia parlando alle loro coscienze.

E sembra che parli anche alla mia, ma l'effetto è diverso, in me.

I lupi sembrano completamente rapiti dalle parole, sembrano istintivamente guidati ad ascoltarle. Obbediscono ad ogni ordine, recepiscono ogni direttiva.

È la combinazione, credo.

Del ringhio che fa paura e del tono pacato della voce dell'altro.

Sporgo di più il capo verso le due figure ora decisamente più chiare.

− Chi sono? –

− Il Capobranco e il suo compagno, idiota. –

− Oh, giusto. –

Un lupo nero, nero come la pece, più grosso di Tobio e col pelo più ispido, gli occhi gialli e le zanne che s'intravedono nel ringhio che gli si spande attorno.

Cammina un passo alla volta, piano e lentamente, non sembra avere alcuna fretta. C'è qualcosa di lui che mi spaventa, qualcosa che m'incute rispetto.

Ha proprio la verve che si addice ad un leader, non è forse così?

Accanto a lui, una mano sottile infilata fra la pelliccia e le dita corte che scorrono sul suo fianco, come ad accarezzarlo, la persona è molto più... piccola.

Ha i capelli sottili, di un biondo chiaro che si trasforma in un colore più scuro verso la radice, la pelle bianca come il latte e gli occhi enormi.

È l'unico che non è mezzo nudo nel panorama di persone che vedo.

Porta una vestaglia che somiglia ad una delle mie, di seta e tessuto trasparente, di un pacifico color menta, che pende di lato su una spalla da cui spunta il segno inconfondibile di un morso cicatrizzato.

Hajime mi stringe sempre più forte ad ogni metro in cui si avvicinano.

La voce ricomincia a parlare.

Lev, Yaku, portate Tora in infermeria. Passerò più avanti da lui, non deve sentirsi bene. Avete fatto un ottimo lavoro, bravi.

Lev e Yaku sono i due lupi che ci hanno difesi?

So che mi senti, principe. Sapevo che saresti arrivato, ma i racconti non fanno giustizia al tuo aspetto.

M'irrigidisco.

Sta parlando direttamente con me?

Ed eppure non muove neppure le labbra, mentre cammina. Sembra stanco, pigro persino, aggrappato al pelo del lupo che gli cammina a fianco.

− Tooru? Che cazzo succede? –

− Va tutto bene. – rispondo, cercando di riprendere fiato.

Ironico che tu condivida il letto con lo Sterminatore di Fate, non trovi?

− Perché dovrebbe esserlo? – mi ritrovo a rispondere, confuso ogni istante di più.

C'è così tanto mistero, dentro di te, principe. Non hai nemmeno un'idea di quanta magia ti ruoti attorno.

− In che senso? –

Vedrai.

Apro la bocca per rispondere ma la chiudo quando rifocalizzo il mio sguardo e li trovo entrambi di fronte a me, nel silenzio tombale della mattina.

Non c'è più nessun altro, fuori.

Solo loro due.

Il lupo inizia lentamente a scomparire, la pelliccia sfuma nell'aria, le zanne si rimpiccioliscono, le quattro zampe diventano gambe e braccia.

Altissimo, coi capelli neri arruffati e gli occhi gialli, il sorriso storto, l'espressione malefica.

− Tobio mi aveva avvisato, ma mi aspettavo meno casino, Iwaizumi. – dice, guardando il soldato a fianco a me.

− Non è colpa mia se i tuoi lupi non sanno gestire gli ormoni, Kuroo. –

Il lupo piega la testa.

− Non è questione di saperli gestire, Umano. Tu non hai idea dell'odore che ha la creatura per noi. È davvero... cazzo, se lo sento io è davvero forte. –

Il ragazzo accanto a lui gli pizzica il fianco.

− Stai dicendo che ha un odore migliore del mio? –

− No, Kenma, sai che nessuno ha un odore migliore del tuo. –

Si deve proprio piegare per baciarlo e lo fa senza alcun problema. Gli arruffa i capelli e se lo tira vicino.

− Voi due state insieme? – chiede ancora Kuroo, guardando Iwaizumi.

Lui arrossisce, discosta lo sguardo.

− Mh-mh, sì. –

− Davvero? –

Tira una gomitata appena accennata a Kenma, alza le sopracciglia.

− Guarda un po' tu, tutto mi aspettavo tranne questo. –

Si gira di nuovo verso di noi.

− E lui che cos'è? –

Sta parlando di me?

− Un Elfo del Sole. –

− Ma che cazzo dici. –

Mi giro di scatto.

Eh?

− Sono Tooru degli Elfi del Sole, il figlio del Re. – m'intrometto.

Kuroo mi guarda, poi annusa l'aria.

Scuote la testa.

− Tu non sei un Elfo. –

Hajime s'irrigidisce.

− È un Elfo. Ha le orecchie a punta. –

− Smetti di mentire a te stesso, lo sai anche tu. Quello non è un Elfo. –

− E allora che cosa dovrei essere? –

Mi sembra di bruciare.

Io... io sono un Elfo, ok? Lo sono, io lo so che lo sono. Come potrei non esserlo?

− Questo non lo so, non ho mai sentito un odore come il tuo. Ma di sicuro non sei un Elfo. –

Mi giro verso Hajime.

Ha lo sguardo distante, un po' spaventato.

Lo sapeva?

Lo sapeva e faceva finta di niente?

O lo sapeva ma aveva paura al contempo di saperlo?

Mi stringe il polso, mi guarda dritto negli occhi.

− Qualsiasi cosa tu sia continui ad essere mio, ok? –

− Io... −

Kenma sorride, quando vago con lo sguardo nella confusione più totale.

Niente di quello che credi vero lo è, principe.

Apro la bocca per rispondergli, ma non riesco a farlo.

L'unica cosa vera di te è quel mezzo Umano che hai a fianco.

Smettono di tremarmi le mani.

Benvenuto nel Branco delle Lande, Tooru della Stirpe degli Antichi.

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➥✱"ceann-snaoid" in gaelico significa "capobranco"

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