Akumatizzata

Lila inspirò profondamente, sentendo la magia – la possessione – dell'akuma lasciarla un'altra volta.
Una volta aveva chiacchierato con Alya e, parlando, aveva scoperto dalla ragazza che Volpina era l'unica che era stata riakumatizzata più e più volte; Lila aveva ascoltato in silenzio, annuendo di tanto in tanto e pensando alla rabbia che covava verso Ladybug.
Sapeva che era quella, sapeva che ogni volta che inaspriva quella rabbia, l'akuma l'avrebbe posseduta.
Alzò lo sguardo, osservando Ladybug che, con la testa in alto guardava la farfalla bianca volare alta, nel cielo di Parigi; poco distante da lei, Chat Noir, con un sorriso dolce sulle labbra era in completa adorazione della sua lady.
Lila strinse i denti, reprimendo la voglia di urlare in faccia a entrambi: avrebbe voluto gridare Io so chi siete solo per vedere le loro espressioni preoccupate e curiose rivolte verso di loro.
Sapeva chi erano.
Solo uno stupido sarebbe rimasto cieco di fronte alle somiglianze e, a quanto pareva, lì in Francia era pieno di stupidi.
Aveva aperto la bocca tante volte, bisognosa di far vedere quando fosse più intelligente e furba rispetto a loro, ma poi non aveva mai avuto il coraggio di dire qualcosa: aveva cercato in ogni modo di attirare Adrien, ma lui sembrava totalmente devoto alla sua lady, ignorante del fatto che lei fosse sempre al suo fianco.
E Marinette...
Avrebbe voluto odiarla ma, prima che scoprisse chi c'era dietro, aveva iniziato a piacerle quella ragazzina balbettante, ma forte e gentile: dopo la terza – o era la seconda? – possessione, tutti avevano iniziato a chiamarla akumatizzata e in molti l'avevano allontanata, ben consci del pericolo che era una persona presa di mira da Papillon.
Marinette era entrata nella sua vita in quel momento, con una scatola di biscotti e il profumo dolce della boulangerie addosso.
Si alzò, attirando l'attenzione dei due eroi e si fermò, puntando lo sguardo in quello azzurro e aspettando che la coccinellina dicesse qualcosa: «Lila, io...» Ladybug allungò una mano verso di lei, indecisa su cosa fare e Lila notò come Chat Noir si era spostato dietro la sua compagna, pronto a darle il suo supporto.
Ma in fondo non faceva così anche quando era in veste normale?
Aveva visto molto spesso Adrien supportare Marinette, assumere il ruolo di suo compagno anche nella vita quotidiana ricevendo in cambio balbettii sconnessi e frasi senza senso ma il ragazzo non sembrava farci più di tanto caso e, anzi, era rimasta stupita dalla facilità con cui il biondo traduceva ciò che Marinette diceva.
Non sopportava il rapporto che avevano e, per questo, non faceva altro che mettersi in mezzo: Marinette provava ad avvicinare Adrien? Lei la anticipava.
Adrien cercava di parlare con Marinette? Lei trovava una scusa e portava via uno dei due.
Nonostante Marinette le avesse teso la mano quel giorno, nonostante ogni volta cercasse sempre di salvarla...
«Non preoccuparti a dirmi qualcosa» bofonchiò Lila, scostandosi una ciocca con un gesto stizzito, anche se partito come gesto elegante che dimostrava quanto gliene fregava di quello che l'eroina stava dicendo.
Ladybug chinò lo sguardo, stringendo forte le dita nelle altre e mordendosi il labbro inferiore, mentre Chat Noir aveva fatto un passo verso di lei, allungando una mano e fermandola a mezz'aria, indeciso se continuare in quel gesto di conforto o meno; l'italiana rimase ferma, scuotendo poi la testa e andandosene per la sua strada.
Tanto ci sarebbe stato un altro scontro con i due.
C'era sempre un altro scontro.
«Lila!» la voce di Ladybug, forte e chiara, la fermò: «Rendi vere le tue illusioni» continuò l'eroina, facendola voltare e osservarla incuriosita: teneva le braccia parallele al corpo, i pugni chiusi e lo sguardo deciso.
«Non so proprio di cosa stai parlando, sai?» buttò lì, scuotendo il capo e riprendendo la sua marcia: «Rendere vere le mie bugie? Che consiglio stupido.»
Si fermò quando fu sicura di essere abbastanza lontana da sfuggire allo sguardo dei due e rimase ferma, osservando Ladybug e Chat Noir parlare per una manciata di secondi e poi ognuno andarsene, per la sua strada: era stato così che aveva convalidato le sue teorie.
Dopo una battaglia aveva seguito Ladybug, decisa a scoprire se era veramente Marinette o no, e l'aveva vista trasformarsi e parlare con un cosetto rosso; eseguendo poi lo stesso modus operandi anche con Chat Noir, realizzando che dietro la maschera di quel micetto con la lingua lunga c'era veramente Adrien.
Sospirò, poggiandosi contro il muro e osservando il cielo celeste sopra di lei: quando sarebbe successo ancora?
Quanto ancora doveva combattere?
Era stanca di essere Volpina, stanca di indossare quel falso Miraculous ed essere a sua volta una menzogna.
Si accasciò, stringendo le gambe contro il petto e posando il capo contro le ginocchia: era stanca di essere akumatizzata.


Lila sorrise, osservando la bambina seduta davanti a lei che attendeva il proprio volo con la madre, sgambettando i piedini nel vuoto: dopo una decina di akumatizzazioni, suo padre aveva ben deciso di rispedirla in Italia.
Non era una buona cosa che la figlia dell'ambasciatore italiano mettesse a ferro e fuoco tutta Parigi, quindi la decisione era stata presa: i suoi genitori l'avevano portata a cena nel suo ristorante preferito e sua madre – e Lila era sicura anche vera ideatrice del tutto – le aveva comunicato la notizia.
Tornava in Italia.
Lila l'aveva guardata, spostando poi lo sguardo sul padre che, dopo essersi pulito le labbra con il tovagliolo candido, aveva annuito: Ruggero Rossi faceva sempre tutto ciò che sua moglie diceva o decideva.
Lila aveva accettato di buon grado, poiché in Italia sarebbe stata lontana da tutto: da Adrien, Marinette e le loro controparti.
Da Papillon e i suoi akuma.
Da Volpina.
«Posso sedermi?» domandò una voce maschile e Lila si voltò, osservando un anziano con una stravagante camicia hawaiana, che osservava con desiderio il posto accanto al suo, occupato dalla borsa.
«Certo» mormorò Lila, togliendo il tutto e osservando un piccolo peluche cadere e rotolare per terra: era il suo portafortuna, che teneva sempre con sé quando doveva prendere un volo da sola; un regalo che sua madre le aveva fatto, quando ancora tutto era più tranquillo e suo padre era solo un uomo che ambiva a diventare qualcuno.
«Che carino!» esclamò la bambina davanti a lei, scendendo dal suo sedile e recuperando il piccolo pupazzetto: «Che cosa è?»
«E' un alpaca» le rispose Lila, accucciandosi davanti a lei e sorridendo, mentre la bambina si stringeva il peluche al petto e carezzava il candido pelo sintetico: «Ti piace?»
La piccola annuì, cullando un po' l'alpaca, alzando poi la testa quando venne annunciato un volo: Lila osservò la madre balzare in piedi e mettere dentro le sue cose: «Abigail. Rendi il pupazzo alla signorina» ordinò perentoria la donna, voltandosi un secondo verso la figlia e poi tornando alle sue mansioni: «Svelta! Dobbiamo andare a prendere l'aereo.»
Abigail annuì, allungando l'alpaca a Lila lo riprese, carezzando il muso e osservando poi la piccola che, con uno sguardo triste, osservava l'animale fra le sue mani: «Ti piace?»
La piccola annuì e l'italiana abbassò lo sguardo sull'alpaca: «Proteggila come hai fatto con me. D'accordo?» ordinò al peluche, passandolo poi alla piccola: «Il suo nome è Lancillotto. E' un alpaca molto coraggioso che ti proteggerà.»
«Abigail! Vuoi muoverti?»
La bambina non considerò la madre, osservando il dono che le veniva offerto e la ragazza: «Ti chiedo solo di trattarlo bene. E' molto importante per me» continuò Lila, sospingendolo verso Abigail: «Me lo puoi promettere?»
«Sì» dichiarò la piccola, stringendo nella manina il pelo candido e poi alzandosi, sorridendo felice a Lila: «Ti prometto che lo proteggerò io.»
«Ok» Lila annuì, osservandola andarsene con la madre e l'alpaca bianco stretto al petto, con il musetto poggiato sulla spalla: «Addio, Lancilotto» bisbigliò, recuperando la borsa e voltandosi verso l'anziano, che aveva osservato tutta la scena in silenzio.
«E' stato un gesto molto generoso il tuo.»
«Era solo un peluche» bofonchiò Lila, dando una breve occhiata al cellulare: nessuna chiamata. Perfetto.
Aveva fatto in modo che nessuno sapesse che quel giorno sarebbe partita.
Lila sarebbe semplicemente svanita.
Puff!
Andata via.
«C'è molto più di quello che immagini in te, Lila. E un giorno te ne accorgerai.»
Come poteva conoscere il suo nome?
Lila alzò la testa, voltandosi e aspettando di trovare l'anziano orientale con gusti discutibili in fatto di camicie ma, invece, non trovò nessuno: si guardò attorno, cercando di intravederlo da qualche parte, ma di quel misterioso signore non c'era più nemmeno l'ombra.
C'è molto più di quello che immagini in te, Lila.
Che cosa aveva voluto dire?
Come faceva a sapere chi era?
Aspetta, forse l'aveva riconosciuta perché lei era l'akumatizzata.
E un giorno te ne accorgerai.
La voce elettronica annunciò il suo volo e i pensieri sparirono, mentre afferrava la borsa e si dirigeva verso l'aereo che l'avrebbe portata via – e per sempre – da Parigi.
Non sarebbe mai più tornata.
Non voleva più tornare.
Lei non sarebbe più stata l'akumatizzata.

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