LA BESTIA - DENIEL - BECKY - Un'ultima volta

LA BESTIA

Ugulai.

Il dolore era invalidante, mi faceva sentire menomata.

Mi penetrava dentro come un tarlo, nutrendosi di ogni mia resistenza, cibandosi di essa per aumentare di intensità.

Poi crebbe.

Toccò l'apice e aumentò ancora. Martoriando ogni cosa rimasta in piedi, distruggendo al proprio passaggio qualsiasi tipo di legame che avevo costruito con quest'umano.

Si faceva chiamare Deniel ma in realtà era un banalissimo corpo difettoso che io avevo reso forte, veloce, resistente. Quasi immortale.

E lui si ostinava ad oliare i perfetti ingranaggi di quella che avevo reso una perfetta macchina da guerra con degli ostacolanti e deboli sentimenti umani. 

Tentava di sottomettermi esasperando le sensazioni che sosteneva di provare per la mia femmina. Camminava ad un passo davanti a me, escludendomi di proposito, difendendola da me! Da me che l'amavo oltre ogni ragione possibile. Oltre ogni logica umana.

Me la stava portando via!

Il dolore strappò via a morsi l'ultimo anello debole che teneva unite la mia esistenza con quella di Deniel e immediatamente mi accanii sui suoi sentimenti, spazzandoli via, fendendoli fino a tritarli e spargerli nell'angolo più remoto del suo cervello.

Prendendomi finalmente il mio spazio.

La Bestia dentro il corpo di ogni mutante avrebbe seguito il mio esempio, atrofizzando i loro pensieri umani, così influenzabili e mortali da far prevalere il loro aspetto umano, e indebolendo il freno esagerato che intorpidiva le loro esigenze sopite.

I loro corpi, e parte delle loro menti, si erano perfettamente adattati al mondo umano, ne avevano assunto usi e costumi per poter consentire una convivenza che non doveva esistere.

Era tempo per me, e per tutte le Bestie, di tornare a ripopolare questo mondo.


DENIEL

Osservai i Beta mentre si organizzavano in squadre da venti uomini, cercando di rendere equilibrate e suddividendo ogni area del mio territorio.

Conoscevo le loro abilità e sapevo che il mio intervento in quel momento sarebbe stato superfluo. Se c'era una cosa che sapevano fare molto bene, quella era pianificare una battaglia.

Sebbene fossero decenni che il mondo non assisteva ad una guerra così epocale, nessuno di loro sembrava arrugginito. Seguivano il finto piano che avevo architettato con l'aiuto di Dimitri e Malloy, troppo eccitati per posticipare al giorno dopo.

L'idea iniziale prevedeva di lasciare il tempo al branco di Kennet di avvicinarsi ai confini ma stava diventando complicato tenere a bada la loro eccitazione. Avevano bisogno di agire, io stesso ne avevo. Non si poteva più aspettare senza il rischio che gli animi si scaldassero. 

Tenerli chiusi nell'edificio generale li avrebbe portati a rivedere le nostre strategie per la milionesima volta e il rischio che potessero intuire che il piano era solo uno specchietto per le allodole, aumentava ad ogni domanda che mi porgevano.

"E' tutto a posto con le mappe satellitari?", mi avvicinai a Vincent.

Se ne stava chino sul computer da ore, i lunghi capelli scuri lo schermavano da tutto ciò che gli stava accadendo attorno, per questo sussultò quando comparvi alle sue spalle.

"Ho appena ricevuto una mail con gli accessi per accedere da remoto nella J.p.L".

Sollevai le sopracciglia di scatto, sorpreso. "Hai ancora contatti nella Nasa?".

"Alpha, io sono la Nasa", si pavoneggiò, digitando velocemente qualcosa all'interno di un grafico che riproduceva in scala e in modo capillare ogni zona del Minnesota.

Lo colpii alla spalla. "Sbruffone".

"Tempo due ore e riuscirò a disturbare la frequenza", confermò, tornando a chinarsi verso il desktop.

Dalla parte opposta della stanza sentivo gli occhi di Malloy addosso ma non me ne curai. Avevo incaricato Dimitri di tenerlo d'occhio perché la fiducia era andata a farsi fottere. Sapevo che non sarebbe passato sopra alla mia aggressione, lo sguardo che aveva rivolto alla mia compagna quando aveva riaperto gli occhi, era stato uno sguardo quasi paterno e per quanto negli anni avesse dimostrato di accettare la mia razza, ora non potevo sapere più con certezza da che parte si sarebbe schierato.

La mancanza di comunicazione degli umani era proverbiale; preferivano rintanarsi nel proprio silenzio piuttosto che estraniare i pensieri, ed io non li conoscevo così bene da riuscire a captare i segnali di pericolo che inviano con le proprie espressioni.

Per questo avevo affidato questa incombenza a Dimitri. Lui era integrato nel mondo umano più di tutti i Beta presenti nella stanza, tanto da arrivare a preferirli in determinate circostanze. Se c'era qualcuno in grado di presagire le intenzioni di Malloy era proprio lui. Ed io avevo un dannato bisogno di sapere se sarebbe stato al mio fianco in questa guerra o al contrario.

"Allora?", lo affiancai. "E con noi o contro di noi?".

Dimitri gli lanciò un'occhiata, senza farsi notare. "Difficile dirlo. Ciò che temo è che voglia fare il doppio gioco".

"Cioè?".

"Farci credere di essere dalla nostra e poi voltarci le spalle".

"Dubito possa riuscirci una volta iniziata la guerra".

"Non dico che voglia allearsi con Kennet ma...", lo fissò ancora, più a lungo, e questa volta Malloy se ne accorse. "E' molto legato a Becky e, se per ora non rappresenta un problema, più avanti lo sarà senz'altro".

"Va eliminato quindi", sentenziai veloce, prima che potesse raggiungerci.

Dimitri allargò le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi con un movimento stanco. "O lui o noi".

"Quando si entra in azione?", Malloy mi si parò di fronte ma si rivolse a Dimitri, segno inequivocabile che tollerava a stento la mia presenza.

Ignorare il mio ruolo era la forma più alta di tradimento.

"Se Vincent riesce nel suo intento, direi che tra due ore possiamo partire".

"E Becky?", gli domandò ancora, insistendo ad escludermi.

Solo che questa volta l'argomento riguardava in prima persona la mia compagna e Dimitri sollevò entrambe le mani, facendogli capire che non spettava a lui rispondere.

Fu a quel punto che Malloy, seppur di mala voglia, mi schioccò una veloce occhiata. Il risentimento gli offuscava le iridi, rendendole pozzi gelidi.

"Te la consegnerò tra un'ora". Mi zittii quando una leva ci passò accanto ed attesi che si allontanasse. "Avrete il tempo necessario per raggiungere il luogo che ti ho indicato per mail". 

Un Beta mi chiamò e gli feci un cenno. "Con permesso".

"E dopo?", sentii la voce di Malloy alle mie spalle. 

Mi bloccai. "Che intendi?".

"Finita la guerra, dove dovrò riportarla?".

Deglutii, sentendo il cuore implorarmi di non dirlo ad alta voce. "A casa sua".

"Cosa?", Dimitri sembrò risvegliarsi da un lungo sonno. Fece il giro attorno a Malloy, liquidandolo con un gesto della mano, e mi corse dietro. "Che cazzo significa, Deniel?".

"Significa che ha preso la sua decisione".

"Vieni un attimo fuori, dannazione", sbottò, afferrandomi per un braccio.

Mi lasciai trascinare fuori dall'edificio generale, troppo sfinito anche solo per protestare. Del resto, era più che naturale volesse saperne di più, ed io non potevo esimermi dal metterlo al corrente. Era il mio Beta in seconda, ma soprattutto, era amico di Becky.

"Che decisione ha preso? Quando?", mi investì.

Fissai il grande prato, senza in realtà vederlo. La mascella così serrata che a stento riuscivo a respirare.

"Poco fa, in camera mia. Mi sorprende che tu non abbia sentito".

"Sai com'è? Ero un po' impegnato a calmare un Malloy incazzato nero". Scosse la testa, ripensando a qualcosa. "Come puoi essere certo che sia la scelta definitiva? Era naturalmente spaventata e la paura spesso fa agire impulsivamente".

Concentrato sul prato di fronte a me impiegai qualche secondo per far sì che le sue parole avessero presa su di me. Staccai gli occhi dai fili d'erba e li posizionai verso i suoi. 

"Non era spaventata. Non da me perlomeno".

Mi scrutò preoccupato, quasi incerto se continuare o meno quel discorso. "Allora hai ancora una possibilità".

Scossi la testa.

"Fidati di me, un po' la conosco pure io. Abbiamo visto tutti quanti quanto sia impulsiva. Sono certo che tu riuscirai a farle cambiare idea. Forse ora non vuole ascoltarti ma potrai contare anche sul mio aiuto", parlava a raffica 

"Non ha preso questa scelta per timore o perché furiosa".

"E allora perché?".

I capelli mi frustarono il volto, mossi dal vento, ma non ebbi nemmeno la forza di spostarli. Ero immobile, pietrificato dal dolore. E quando parlai sentii ogni nervo del mio corpo frantumarsi in frammenti di pura agonia.

"Ha scelto di andarsene per amore".

"Ha rinunciato a te per amore?". C'era troppa sorpresa nella sua voce, come se reputasse impossibile che lei potesse essere arrivata in qualche modo ad amarmi.

Sulle prime, io stesso ne ero rimasto talmente colpito da non ritenerlo veritiero. Avevo pensato fosse stato lo choc a farla straparlare o peggio ancora la paura di dover affrontare la mia reazione davanti l'ennesimo rifiuto.

Ma poi mi aveva guardato dritto negli occhi e in quello sguardo non vi avevo visto alcun margine di falsità. Aveva davvero imparato ad amarmi. Chissà quando e chissà in che modo, una piccola parte di lei si era legata alla mia parte umana, e lo aveva fatto a tal punto da rinunciare a una vita con me. Per me. Per salvare me.

"Per amore?", ripeté, la sorpresa invariata nel tono. "Sa abbastanza su di noi da sapere anche che un licantropo si lascerebbe morire senza la propria compagna. E tu lo definisci amore?".

Deglutii, inghiottendo un singhiozzo che si tradusse in una quasi impercettibile vibrazione nelle spalle. "Mi ucciderei piuttosto che permettere alla Bestia di farle altro male. Perciò, sì Dimitri! Conosce abbastanza cose su di noi da sapere che andandosene non mi avrebbe condannato a morte".

"Ha rinunciato a te per darti una possibilità", parlò tra sé e sé, comprendendo infine cosa si nascondesse dietro la scelta apparentemente egoistica di Becky.

"E che io sia dannato se non sarò abbastanza forte per fare altrettanto".

BECKY

Entrambi c'eravamo sempre infiammati rapidamente di rabbia, ma l'amore era sempre stato in mezzo a noi, a tenerci uniti con le proprie dita invisibili, ancora prima che io potessi rendermene conto.

Ed ora eccolo qui, quell'amore: schiacciato sotto la determinatezza della mia scelta, dilaniato dall'impossibilità che i nostri due mondi potessero collidere, incontrandosi poi in un abbraccio.

Lo sentivo dimenarsi dentro il mio cuore, alla ricerca di una falla nella mia decisione di andarmene, pronto a farmi rimangiare tutto. 

Ma non potevo permetterglielo. Restare avrebbe indotto Deniel a soccombere sotto i propri sensi di colpa, recitando una parte umana che non gli apparteneva. Ci sarebbe stato sempre un pericolo, una complicanza o un desiderio sessuale troppo accentuato che mi avrebbe portata in fin di vita. 

L'amore che Deniel diceva di provare per me era autentico ma restava l'amore di un animale, e come tale lo avrebbe spinto a comportarsi. Quando poi sarebbe riemersa la sua parte umana, i sensi di colpa lo avrebbero divorato, portandolo a togliersi la vita piuttosto che alzare nuovamente un solo dito su di me.

Al contrario, se quel dito non lo avesse alzato, la Bestia lo avrebbe irretito e inglobato nella sua furia animalesca, fino a far scomparire per sempre ogni traccia di sentimento in lui. 

E a quel punto l'intera razza umana ne sarebbe rimasta schiacciata. 

Mi raggomitolai al centro del letto, posando la schiena sulla testiera e chiudendo gli occhi per fermare il vortice di emozioni che mi faceva girare la testa.

Oltre la porta chiusa della camera da letto sentivo le voci concitate dei genitori di Deniel. Era la prima volta che li sentivo discutere e mi sorpresi nel constatare che il tono di Pam fosse di gran lunga superiore a quello del marito.

Mi aveva sempre raccomandato di mostrarmi remissiva, fingendo una sottomissione che avrebbe focalizzato l'attenzione dei maschi lontano da ciò che in realtà, le femmine, escogitavano alle loro spalle. 

Ma ora le cose sembravano essere cambiate. Ora io ero diventata Regina del branco. Ed ero umana. Anni luce lontana dal loro mondo e dalle loro regole. Il vento stava soffiando in una direzione diversa e sembrava che ogni femmina presente lo percepisse, azzardando un'audacia che fino ad allora non avevano osato palesare.

Qualche minuto più tardi, alle loro voci si unì quella di Deniel ed immediatamente spalancai gli occhi, contando i passi che rimbombavano sul pavimento in legno e che lo stavano conducendo a me.

Spalancò la porta senza bussare. Gli occhi mi scivolarono addosso per un nano secondo prima di vagare nella stanza alla ricerca di qualcosa. 

Si avvicinò lentamente al tavolinetto e stappò una nuova bottiglia dal vetro zigrinato. L'annusò e ne prese un sorso talmente generoso che dovette irrigidire la mandibola per ingurgitare la quantità d'alcol senza tossire.

"Malloy sta arrivando", mi aggiornò, dandomi le spalle.

"Qui?".

"No, non qui", scosse la testa e prese un altro sorso, questa volta più piccolo. "Qui non è più sicuro. Il branco di Kennet è alle porte del confine nord, in attesa di attaccare. E' tempo di levare le tende".

"Non combatterai?", mi sorpresi. Non conoscevo molto i ruoli di un'Alpha ma mi aspettavo di vederlo in prima fila in quella battaglia.

"E' tempo di levare le tende per te", chiarì. "Malloy ti condurrà in un posto sicuro".

"E se non volessi andarci?".

Volevo sì, mettermi al sicuro, ma più di ogni altra cosa speravo di poter tornare a casa dalla mia famiglia.

Deniel si voltò appena, lanciandomi un'occhiata oltre la spalla. "Hai fatto la tua scelta, no?".

L'occhiata non era durata più di qualche istante, eppure fu sufficiente per farmi capire quanto la mia scelta lo stesse uccidendo. Di nuovo, il dubbio di aver preso la decisione sbagliata tornò a tormentarmi.

"Sì", mormorai. "L'ho fatta".

"Perciò per una volta tanto sforzati di fare come dico io senza discutere".

"Sei arrabbiato". Non era una domanda. Che lo fosse si capiva dal mondo in cui si ostinava a darmi le spalle e nella risposta che mi aveva appena dato.

"Sono furioso, piccola", confermò schietto. "Talmente furioso che vorrei caricarti in spalla, portarti al confine e scoparti davanti a Kennet per dimostrargli che sei mia".

"Ma non lo farai". Nemmeno questa era una domanda.

"No, non lo farò. Farlo andrebbe contro un tuo desiderio e per quanto tu mi abbia rifiutato, il mio bisogno di accontentarti e renderti felice non finirà mai".

"Suona come una condanna".

"Lo è", scrollò le spalle, spiccio. "Indossa le scarpe. Partiamo tra due minuti".

"Deniel...".

A quel punto si voltò, mostrandomi il rosso delle sue iridi. "Ho detto: indossa le scarpe".

Mi alzai lentamente dal letto sentendo un peso nello stomaco. Sentivo la libertà sfiorarmi le dita, eppure non riuscivo ad allungare la mano per afferrarla.

Deniel aveva gettato in aria il mio destino ed ora giaceva sparpagliato alla rinfusa ai miei piedi, rischiando di essere calpestato ad ogni mio passo. Sebbene avessi già preso la mia scelta, ero in bilico tra la mia vecchia vita e quella che lui avrebbe potuto darmi. 

Mi sarebbe bastato fare un passo verso quella porta chiusa, e poi gli altri passi sarebbero venuti da sé. Eppure non riuscivo a muovermi.

"Deniel...", ci ritentai.

"Non sentirti in colpa. Andartene è la scelta giusta". Assurdamente era lui che stava cercando di confortare me.

"Se lo faccio morirai".

I suoi occhi scavarono nei miei, solenni. "Sì".

Mi ritrovai a scuotere la testa e fare quel singolo primo passo divenne ancor più difficile. La mia libertà, divenne talmente dolorosa da spingermi a ricadere seduta a peso morto sul bordo del letto.

"Non riesco ad andarmene", confessai, sbattendo le palpebre per ricacciare indietro alcune lacrime.

"Sì che ce la fai".

"No, invece".

Deniel si accucciò di fronte a me, posando le mani sulle mie ginocchia e portando gli occhi all'altezza dei miei. "Sai cosa vorrei farti in questo momento?".

Mi contorsi le mani, preparandomi al peggio. "E' una cosa bella?".

"Dio, se lo è", abbassò il tono fino a renderlo un sussurro. "Quello che vorrei fare è allargarti le gambe", nel dirlo fece pressione sulle mie ginocchia e spalancò le mie cosce, spingendosi in avanti col torace per obbligarmi a tenerle divaricate. "Lasciare che le mie mani scivolino lentamente sotto questa gonna talmente eccitante che mi maledico tutto il tempo per avertela comprata". Accompagnò le parole con i gesti che aveva descritto, fermando le dita contro la cucitura dei miei slip. "Poi scosterei le tue mutandine per lasciare scoperta la tua dolce fighetta".

Come preannunciato sentii la stoffa degli slip scostarsi di colpo e l'aria tiepida mi colpì la pelle nuda. Senza rendermene conto provai a chiudere le gambe ma le sue spalle mi bloccarono ogni movimento. Fu a quel punto che mi sentii avvampare. Ero nuda dalla vita in giù, esposta ai suoi occhi come un trofeo. Il suo respiro caldo mi fece venire accapponare la pelle delle cosce.

"Infine passerei la lingua sulle tue dolci labbra, su e giù. Un paio di volte. Solo per capire se sei bagnata per me come sto immaginando".

"Deniel...", annaspai.

Ma la sua lingua premette sulla mia apertura, muovendosi esattamente nel modo in cui aveva detto di voler fare, e quando scostò la testa all'indietro, lo vidi chiaramente sorridere soddisfatto prima di passarsela sulle labbra, assaggiando la mia eccitazione.

"E dato che sei fradicia...", si sollevò di scatto, agguantandomi le cosce per farmi slittare in avanti fino a farmi trovare col sedere sul bordo del letto, "...posso finalmente scoparti".

Posò una mano al centro del mio petto e con un leggera pressione mi fece scivolare sdraiata sul materasso. Con un movimento rapido mi fece voltare a pancia in giù.

"Ginocchia sul letto", ordinò, serio, esigente.

"E' un addio?".

"Becky, ginocchia sul letto".

La sua voce si arrochì, divenendo più energica e spingendomi a fare come aveva ordinato.

Sollevai una gamba e subito dopo l'altra, ritrovandomi con la guancia schiacciata contro le lenzuola e il sedere proteso verso l'alto. Il materasso cigolò nel momento esatto in cui udii l'inconfondibile rumore della zip dei suoi jeans che si abbassava.

Mi afferrò per i fianchi, solcandomi la pelle dei glutei coi polpastrelli finché non mi posizionò esattamente come voleva lui. 

"Cosa vuoi farmi?", tremai.

"Voglio solo dimostrarti che posso fotterti senza ucciderti".

Appoggiò la punta della propria erezione sulla mia apertura e la fece scivolare su e giù, raccogliendo la mia eccitazione.

"Voglio che la nostra ultima volta sia questa", ansimò appena la cappella venne inghiottita dalle mie labbra. "Reggiti alle lenzuola. Non sarò delicato".

E come aveva avvertito, entrò dentro di me in un unico colpo, spingendo in avanti tutto il mio corpo. Ero ancora indolenzita dalla nostra ultima volta e il dolore per qualche attimo superò di gran lunga il piacere, strappandomi un gemito.

Il bruciore poi, aumentò quando si ritrasse, uscendo quasi completamente dal mio corpo.

"Ho detto reggiti", ringhiò, incurvandosi sopra di me e spostando le mani sulle mie spalle per tenermi ferma. 

L'attimo dopo, un secondo affondo mi fece sbattere i denti e capii seriamente il perché mi avesse suggerito di aggrapparmi al lenzuolo. Incurvai le dita e artigliai la stoffa, approfittando del fatto che stava arretrando nuovamente con lentezza calcolata.

La sua erezione pulsò contro la mia apertura e restò lì, ferma, in attesa di non so che cosa.

Spalancai gli occhi e lo cercai con lo sguardo, senza sapere cosa aspettarmi, in balìa delle sue decisioni.

Lo trovai serio, composto, quasi trattenuto. Le labbra sigillate a nascondermi con probabilità i canini, la fronte corrucciata per lo sforzo di restare fermo, la vena sul collo che pulsava a ritmo del suo battito cardiaco.

Sentivo la sua punta sfregarmi la pelle delicata. Mi faceva sentire vuota. Incompleta. Mi faceva desiderare di più. Nonostante il dolore, nonostante la mia scelta, la sua immobilità mi stava facendo uscire di testa.

Rendendomi audace. Fu per questo che mi ritrovai a ruotare i fianchi, in una muta richiesta di averlo nuovamente dentro di me.

La sculacciata arrivò immediata e inaspettata, togliendomi il respiro. 

"Dimmi di no", mi sfidò, arrogante.

"Ti prego...".

"Ti prego cosa?".

"Muoviti".

"Ho un nome. Usalo. Urlalo".

Strinsi i denti. "No".

"No?", l'arroganza aumentò.

Con un colpo di reni si spinse completamente in avanti, allargandomi senza riguardo. La punta del suo pene si spinse talmente a fondo da farmi urlare. E di nuovo si immobilizzò.

"Avanti, piccola, so che hai voglia di urlare", mi stuzzicò, perfido fino infondo.

"Ti piacerebbe".

"Conosco tanti metodi per farti urlare, piccola. Non costringermi a usarli tutti".

"Vaffanculo".

"Ah sì?", ridacchiò.

Colpì la mia natica con una sculacciata possessiva e subito dopo colpì anche l'altra. Quindi si ritrasse e martellò potente dentro di me con affondi dominanti e veloci.

"Me lo stai strizzando", ringhiò, colpendomi ancora con le dita ben divaricate.

Sentivo il sedere in fiamme ma per quanto mi dimenassi la sua erezione mi impalava frenetica, togliendomi la possibilità di sfuggirgli.

Tutto ad un tratto la sentii ingrossarsi. I movimenti divennero aritmici mentre le mani di Deniel ripresero a solcarmi i glutei, strizzandoli mentre mi tirava contro il suo ventre a ritmo delle spinte.

"Stai per venire, piccola", mi informò, riconoscendo segnali del mio corpo che io nemmeno conoscevo.

"Deniel!", urlai appena sentii tutto il sangue fluire nel mio clitoride, facendolo contorcere in spasmi incontrollati.

Ogni forza sembrò abbandonare il mio corpo, lasciandomi spossata, esausta, ansimante. Allungai le braccia sopra la testa quando le ginocchia non furono più in grado di reggere il mio peso ma non ebbi il tempo di riprendere il respiro prima di ritrovarmi nuovamente a pancia in sù, occhi negli occhi con Deniel.

Lo vidi salire carponi sopra di me, facendo oscillare il materasso e sgranai gli occhi quando notai la punta del suo membro avvicinarsi alla mia bocca.

"Apri", sentenziò, muovendo rapido la mano chiusa a pugno attorno alla propria asta.

"Io non ho mai...".

Posò la punta umida di liquido contro le mie labbra e spinse i fianchi in avanti, aprendomela con forza.

Trattenni il respiro, assaggiando la sua eccitazione salata mentre la punta scorreva avanti e indietro contro il mio palato. Si muoveva in modo rude e veloce, senza tuttavia spingersi troppo a fondo nella mia bocca. 

"Cazzo", imprecò, stringendo i denti e strizzando le palpebre.

Di colpo si ritrasse, scese veloce ai piedi del letto e posò il pene contro la mia apertura, inondandola del suo seme quando raggiunse l'apice del piacere.

Quando riaprì gli occhi aveva il fiatone, la fronte imperlata di sudore e le possenti spalle tremavano. Gli occhi parlavano al posto suo. 

Non esisteva parola che potesse descrivere ciò che stava provando. Solo le lacrime potevano farlo. Poche, quasi invisibili, incastrate nelle ciglia. Mi stavano urlando di amarmi.

E allo stesso tempo mi stavano dicendo addio.

Si sistemò i jeans e arrotolò le maniche della camicia prima di acciuffare l'orlo delle mia gonna per coprirmi.

"Infilati le scarpe. Malloy ci sta aspettando".

A quel punto se ne andò, lasciandomi ansimante e sola.












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