Deniel - non scherzare col fuoco
Chiusi la telefonata con Dimitri e presi lo zaino, alla ricerca della mia macchina fotografica. Era una Leica S3, dal valore inestimabile, con un obiettivo capace di catturare nel dettaglio un singolo granello di polvere.
La puntai contro il campo degli allenamenti e misi a fuoco l'ampio spazio che avevo davanti a me, posizionando l'inquadratura al centro di quello che era l'allenamento più affascinante a cui avessi assistito negli ultimi tempi; due leve, ormai prossime a superare l'ultimo step di addestramento, stavano ruotando l'una attorno all'altra, come due falchi che avevano adocchiato la medesima preda. Gli occhi gialli della leva dal pelo nero erano due fari capaci di eguagliare la forza di un raggio di sole. Puntavano il proprio avversario dal manto più chiaro, prevedendone ogni mossa. Compensava ogni movimento con una movenza elegante, più simile ad un felino che ad un lupo.
Misi nuovamente a fuoco, anticipando l'affondo laterale che stava per effettuare e scattai in sequenza dieci fotografie, togliendo il focus su tutto ciò che la circondava.
"Bella foto", si complimentò Vincent, uno dei Beta che avevo messo a protezione di casa mia.
Lo fissai da sopra l'obiettivo e mi accigliai. "Che ci fai qua?".
"Calmati. Ho finito il turno, sono le sette di sera".
Contrito fissai l'orologio rendendomi conto di aver impiegato più di un'ora per fare quegli scatti. Si poteva essere più deconcentrati di così?
"Lei?", chiesi, riponendo la macchina fotografica nella propria custodia.
"Sta guardando qualche film con Carl".
Il tono lascivo con cui lo disse mi irritò così tanto che mi voltai di scatto, a caccia di qualche indizio sul suo volto che mi facesse capire se dovevo ammazzare o meno quel figlio di puttana. "E...?".
"E cosa?". Dio quanto odiavo quando la gente rispondeva con un'altra domanda.
"Me l'ha toccata?", mi spazientii.
Mi diede una pacca sulla spalla, comprensivo. "Ma ti pare. Si è seduto accanto alla porta finestra per avere un continuo ricircolo d'aria e non l'ha guardata per tutto il tempo".
"E tu?".
"Io cosa?".
Cazzo che vizio.
"Tu!", sbottai. "Me l'hai guardata tu?".
Mi sorrise bonario.
"Togliti quel sorriso del cazzo dalla faccia se non vuoi che te lo renda permanente". Andavo d'accordo con lui ma ogni volta che ero tranquillo riusciva a farmi incazzare. Ogni volta!
"Non te l'ho guardata", rispose infine con noncuranza.
"E allora come fai a sapere che era seduta lontano da Carl?", ragionai ad alta voce.
Il sorriso aumentò, segno che non aveva preso sul serio la minaccia di qualche istante prima. "Ti ha proprio tritato il cervello quell'umana".
"Mi irrita e basta. E' sfrontata, sfacciata, irriverente, non recepisce le regole. Anzi, più le recepisce, più fa di tutto per infrangerle". Mi lasciai cadere seduto sulla pedana al centro del campo e frugai nello zaino per controllare che la macchina fotografica fosse messa in posizione. "Quindi no, non mi ha tritato il cervello, mi ha tritato i coglioni".
"Non avrei mai pensato di vederti così ridotto per una femmina", sogghignò, ma nelle parole vi era anche una buona dose di stupore.
Si levò un urlo tra le leve che si stavano allenando e mi voltai per controllare cosa stesse accedendo. Una di loro aveva vinto e stava trotterellando in cerchio tra i vari spettatori, esigendo la meritata gloria.
"E nonostante tutto non riesco a togliermela dalla testa", continuai confidenziale. "Più mi sfugge, più ogni parte di me la vede come una preda. Mi attrae tutto di lei. Tutto. Per lei farei le follie che i vecchi ci raccontavano la sera attorno al fuoco e che noi deridevamo. Inventerei persino nuove follie per lei, per sorprenderla, per renderla parte attiva del nostro rapporto".
"Tu, Deniel Farrow, per una donna?", mi guardò sorpreso.
Gli inviai un mezzo sorriso, composto, guardandolo dritto in faccia. "Sì! Io. Deniel Farrow. Per una donna".
"Ummm", fu il suo commento. E a me stavano già cominciando a girare le palle.
"Umm cosa?".
"Niente". E con questa risposta me le fece girare del tutto.
"Perché cazzo mugugni anziché parlare?".
"Perché non ho nulla da dirti".
Chiusi lo zaino e mi alzai, indicandogli il numero tre facendo oscillare le dita. "Hai tre secondi per dirmi cosa ti passa per la testa". Abbassai un dito. "Ora ne ne restano due".
"Ma niente...".
"Hai una capacità innata di farmi girare i coglioni, lo sai? Parla Cristo Santo...".
"E' solo che non mi piace", scrollò la testa, pensando a qualcosa. "Lei, non mi piace. Come possiamo fidarci di un'umana? Come possiamo non dare per scontato che un giorno possa tradirci e rilevare la nostra esistenza a qualcuno?".
Mi avviai verso l'arco naturale in pietra che delimitava i campi degli allenamenti. "Se è per quello non possiamo nemmeno darlo per scontato".
Per un momento mi osservò, cercando di captare i miei pensieri, schermati da un'espressione irritata. Poi riprese a parlare a voce più bassa. "Gira voce che tu non voglia farla diventare la tua compagna".
Restai in silenzio, limitandomi a fissarlo. Dovevo aspettarmelo che prima o poi qualcuno sarebbe venuto a chiedermi spiegazioni sul perché non fosse ancora la mia compagna nonostante avessi avuto l'imprinting con lei da giorni interi.
"Quindi è vero?", mormorò, prendendo il mio silenzio per una conferma.
"No", risposi di getto, senza pensare alle conseguenze. "Non ho mai detto che non voglio farla mia. Sto semplicemente cercando di capire come farlo senza ammazzarla".
Estrasse una sigaretta rollata a mano e me la porse. "Vuoi?".
Declinai con una scrollata nervosa della testa.
"Nessuno si sente minacciato per ora", riprese, aspirando a pieni polmoni. "Però se il branco continuerà a sentire il suo odore inizierà a farsi domande.
"Mi pare che ieri sera tu fossi presente alla riunione. E mi pare di aver già detto che avrei risolto il problema".
Annuì e strappò via una foglia da un ramo che gli si parò di fronte. "Quante possibilità ci sono che sopravviva?".
"Al momento tutte, dato che non ho intenzione di possederla finché non avrò trovato il branco che ci sta dichiarando guerra". Lo vidi aprire bocca ma lo fermai con un'occhiata severa. "So bene che se la marchiassi la guerra cesserebbe. Farlo ora, però, sarebbe come dare loro la vittoria a tavolino".
"E ti sembra un'idea così terribile?".
"Vuoi davvero lasciare impunito il fatto che qualcuno ci abbia minacciato?". Sollevai lo sguardo e appena scorsi la facciata di casa mia accelerai il passo. Vediamo se avrei dovuto uccidere Carl. "Oggi lo hanno fatto per via di Becky, domani potrebbero usare una scusa qualsiasi. Hanno creato un precedente ed è giusto fargli capire bene che con il branco dei Farrow non si scherza".
Restò in silenzio, soppesando le mie parole, infine annuì. "Che ne pensi delle leve?".
"Sono pronte".
"Anche per un'eventuale guerra?".
"Sì. Alcune di loro potrebbero già diventare Beta. Chi mi preoccupa sono le femmine. Ce ne sono troppe. Se le escluderemo dalla guerra potremmo ritrovarci in minoranza numerica".
La sua mano scattò contro il mio polso. "Vuoi farle combattere? Alpha, questo stravolgerebbe leggi centenarie".
"Se perdiamo, dovremo seppellire tutte quelle leggi nelle nostre stesse tombe".
Eravamo arrivati di fronte casa mia e con una rapida occhiata attorno individuai tutti i Beta a protezione. Erano ben nascosti e chi non conosceva queste foreste come le proprie tasche non sarebbe mai riuscito a scorgerli.
"Quindi ora non ci resta che aspettare, come abbiamo detto ieri", sospirò arricciando il naso. Eravamo arrivati nel giardino sul retro e il profumo di Becky era talmente forte che per un attimo, io stesso, dovetti rallentare il passo per abituarmi.
"Che alternative abbiamo?".
"E se usassimo Becky come esca?".
"Okay, sparisci", ringhiai.
"Li farebbe uscire allo scoperto", non demorse.
Mi voltai di scatto e lo afferrai per il bavero della giacca, facendolo retrocedere fino alle sdraio sistemate accanto al recinto in ferro battuto.
"Se sentirò di nuovo uscire il nome di Becky dalla tua bocca ti giuro che ti ritroverai a contare i vermi sotto terra".
"Dovresti perlomeno valutare l'idea".
Ma perché odiava la sua vita? Accecato dalla rabbia rinsaldai la stretta e lo scaraventai sulla sedia. "Becky non è argomento di discussione".
"E cosa farai? La terrai nascosta da tutto e da tutti con la speranza che ci attacchino prima di ottobre?", disse in tono provocatorio, spingendomi via. "Ti è saltato in mente che potrebbero sapere i tuoi anni? Sanno che non è la tua compagna e sanno perché stai prendendo tempo. Lo sanno, come lo sappiamo tutti noi. E se avessero solo finto di aver messo gli occhi su di lei? Se non fosse lei il vero obiettivo? Se fossi sempre stato tu?".
"Non avrebbe senso". Scrollai le spalle e sbirciai verso la porta finestra. Carl era ben distante da Becky e con la coda dell'occhio cercava di seguire il film senza perdere di vista la foresta.
"Ne ha invece! Una guerra potrebbe durare mesi e sicuramente ti distrarrebbe dai tuoi doveri verso di lei. Forse vogliono solo strappartela via per non permetterti di prenderla prima di ottobre. E a quel punto ci avrebbero vinti senza nemmeno combattere".
Distolsi lo sguardo, sfregandomi le palpebre con i pollici. A causa dell'esacerbato senso di protezione verso la mia femmina, non avevo considerato nemmeno per mezzo secondo la possibilità che lei, anziché essere l'obiettivo, fosse semplicemente il mezzo.
Il mio branco occupava una porzione di territorio del Minnesota spropositatamente ampia, cui potevamo contare sulla protezione delle autorità sia giudiziarie che della polizia di Stato. Cinto da un confine naturale quasi invalicabile, il territorio dei Farrow era praticamente inespugnabile e talmente ambito da aver attirato più volte, in passato, attenzioni e invidie da parte dei branchi degli Stati Uniti d'America.
Il fatto che in tanti anni ci avessero dichiarato guerra proprio ora che era spuntata Becky non poteva essere un caso. Il suo odore era forte, tanto ammaliatore che nessuno, a parte i Beta più fidati e con una compagna, poteva resisterle accanto. Ma era sufficiente per spingere un intero branco a gettare le basi per una battaglia che avrebbe strappato via la vita a molti della nostra specie? A rigor di logica, se l'Alpha di quei sei licantropi fosse stato abbastanza scaltro, si sarebbe limitato a esiliarli, senza mettere a rischio l'intero branco per una femmina umana. Invece non l'aveva fatto.
Osservai Vincent e con più calma allungai la mano verso di lui per aiutarlo a rimettersi in piedi. "Non userò la mia femmina come tattica in questa battaglia", sentenziai.
"Non credo tu sia così vigliacco da scartare a priori questa possibilità solo perché qualcosa potrebbe andare storto".
"Potrei diventarlo se a rischiare sarà lei".
"A te la decisione", inchinò il capo, rispettoso e stanco di portare avanti una battaglia che sapeva di aver già perso.
Posai una mano sulla sua spalla. "Qualunque decisione prenderò la vostra vita è in dubbio. E con la vostra la mia", mi sentii in dovere di dire. "Questo lo sai, sì?".
"Lo sappiamo, Alpha", specificò. Poi si strinse nelle spalle. "Lo sappiamo tutti dal momento in cui ci hai comunicato che la tua femmina è umana". Quindi corrugò la fronte, ripensando a qualcosa. "Non l'hanno presa proprio bene sulle prime".
"E in seguito?".
Si morse il labbro superiore e scrollò la testa. "Diciamo che in seguito è subentrata la rassegnazione. Nessuno ti incolpa di nulla", si affrettò a rassicurare, "ma non siamo così idioti da non sapere che appena le abbasserai le mutande la sua vita sarà pericolosamente in bilico. Mi piacerebbe aiutarti a trovare una soluzione ma...".
"Ma non c'è", convenni.
Ci voltammo a fissare Becky da oltre il vetro della porta finestra e Carl intercettò i nostri sguardi. Gli occhi erano arrossati e svuotati da qualsiasi espressione. Aveva sentito tutto ovviamente, ma sapevo che non erano state le nostre parole a rendere vacue le profonde iridi scure.
"Forse è il caso che vai da lei e salvi Carl", ridacchiò. "Cristo, guardalo: è stralunato".
Sperare che riuscisse a tollerare la presenza di Becky per una giornata intera era stato un azzardo e mi bastò osservare la pelle pallida sul suo volto per sentirmi una merda.
"Sì, è meglio", lo salutai dandogli una bacca sul braccio. "Ah, senti, fammi una cortesia: dì agli altri che stasera non terrò nessuna riunione".
"Come mai?".
"Ho bisogno che i miei genitori e Becky leghino un po'".
"Mi sembra giusto. Le regole le sa?".
Storsi le labbra, ripensando a come aveva usato quelle poche regole per provare a fregarmi. "Giusto due".
"Oh-oh, buona fortuna allora", si declinò, lanciandomi un'ultima occhiata eloquente.
Restai a fissarlo ammutolito finché non lo vidi scomparire oltre la strada principale che dal quartiere generale conduceva alle case del villaggio, quindi tornai a voltarmi verso casa mia. Carl mi stava ancora fissando da oltre il vetro.
Mi affrettai verso di lui e con un movimento veloce della mano lo incitai ad uscire senza attirare l'attenzione di Becky.
Attesi in disparte e lo fissai guardingo mentre avanzava verso di me, strisciando i piedi sulla ghiaia. Le spalle erano infossate per la stanchezza e la mandibola talmente rigida che gli zigomi sembravano ormai scolpiti nella roccia.
"Troppo", riuscì a dire a fatica, lasciandosi cadere sulla sdraio dove pochi attimi prima avevo scaraventato Vincent. Spalancò la bocca e tirò un profondo respiro, facendomi intravedere i canini che, nel tentativo di non farli allungare, erano penetrati nella gengiva, scavando a fondo dentro la carne.
"Cazzo!", mi inginocchiai di fronte a lui e gli afferrai la mascella per controllare da vicino. "Non avrei dovuto. Cazzo!".
"Lo rifarei mille volte", provò a sorridere, ma tutto ciò che gli riuscì fu una smorfia.
"E' stato un errore lasciarti accanto a lei così a lungo", non lo ascoltai. La pelle stava rimarginandosi ma a giudicare dai segni più chiari sulla gengiva inferiore non vi era dubbio che si fosse ferito una dozzina di volte per evitarsi di marchiare Becky.
"Cazzo! Allontanati da qui", imprecai appena lo vidi barcollare.
"Ma... Alpha... chi...".
"Mi stai praticamente svenendo tra le braccia come una verginella. Fai un favore a te stesso e allontanati da qui. Vai dalla tua compagna e riprenditi. Ci penso io ora a lei".
Con un certo sforzo si sollevò dalla sdraio e la maglia scura gli si tese sui tendini in tensione. Si voltò ancora una volta verso di Becky, quindi sollevò un pollice in un gesto di approvazione. "E' forte la ragazzina".
"Sì ed è mia. Smamma".
"Vado, vado", ridacchiò piano e il movimento gli causò un capogiro.
Feci scattare le braccia in avanti, pronto a sostenerlo, e di colpo sentii montare il nervoso. "Perché Cristo sei stato dentro casa con lei? Ti rendi conto dell'imprudenza?".
Strinse i denti e si incurvò in avanti, posando i palmi sulle ginocchia per liberarsi di un conato. "Come cazzo fai a restarle accanto tutto il tempo?".
Era una domanda retorica e non mi presi la briga di rispondere, non ora che aveva sperimentato sul proprio corpo il dolore fisico che alla lunga il profumo di quella femmina ci causava. Era come sentire delle lame conficcarsi nel basso ventre, di continuo, dalla cui ferita si sprigionavano lingue di fuoco che ti bruciavano dentro. Ovunque, fino alla gola. La nausea era l'aspetto più facile da gestire, anche se in più di un'occasione avevo commesso l'errore di respirarle troppo vicino e troppo a lungo, e la potenza del suo aroma aveva rimescolato il mio stomaco, troppo indifeso di fronte alla forza devastante del suo richiamo.
"Serve che ti accompagni fino a casa?", mi premurai.
"No". La schiena gli si scosse sotto lo sforzo di un altro conato e smise si tremare appena riempì i polmoni di aria pulita, espellendo quasi del tutto la fragranza della mia donna. "Ce la faccio... credo".
Lo fissai incerto. "Sei sicuro?".
Si raddrizzò e ruotò lentamente gli occhi, ispezionando con concentrazione tutti i segnali che gli stava inviando il corpo. Quando si sentì sicuro di reggersi sulle proprie gambe azzardò un passo, subito dopo un altro, e un altro ancora.
"Voglio una cazzo di ricompensa per quello che ho fatto oggi per te", mi puntò un dito contro, talmente rintontito che mi fece scoppiare a ridere.
"Lei vive... tu vivi". Direi che come ricompensa poteva bastare.
"Dannazione", mise un finto broncio. "Volevo una medaglia".
"Quella spetterà a me se riuscirò a tenermela nel letto per la seconda notte di fila".
"Ehhh, mio caro Alpha, lasciatelo dire...", tossicchiò, premendosi un braccio contro lo stomaco a causa di uno spasmo doloroso, "è stata proprio una gigantesca cazzata avere l'imprinting proprio con lei".
"Puoi dirlo forte. A domani Carl...". Feci per voltargli le spalle ma ci ripensai. "Sicuro che riuscirai a tornare a casa? Posso stare tranquillo?".
"Il pensiero che ora subirai tutto quello che ho subito io mi darà la forza".
Mi sfuggì una risata nasale. "Che figlio di puttana".
Il bagliore della luna filtrò tra le spesse coltri di nubi, disegnando delle ombre attorno agli alberi e allungando la mia mentre mi avvicinavo alla porta finestra.
Becky era ancora seduta sul divano, gli occhioni fissi sull'immagine che stava passando alla tv: un licantropo stava sbranando una ragazza, ululando alla luna con le zanne ricoperte di sangue.
Carl era proprio idiota!
Indossava ancora la maglietta dalle maniche corte che le avevo prestato per la notte che le scendeva larga lungo i fianchi nascosti dai pantaloni scuri. Avrei dovuto occuparmi del suo guardaroba al più presto. Presi il cellulare e digitai velocemente un messaggio a Dimitri.
Da Deniel Farrow - 7.48 p.m.
Mi servono abiti per Becky. Taglia 40. Scarpe basse, numero 37. Per domani.
Sbirciai verso di lei e la vidi raccogliersi i capelli in uno chignon disordinato sopra la testa, fermandoli con un mio elastico. Ripresi a digitare:
Una spazzola e degli elastici. Neri se possibile.
PS. La campagna pubblicitaria è terminata. Ho sentito il cliente ed ha accettato il progetto così com'è. Passerà domani a firmare il contratto. Lascia tutto a Connor.
Tolsi la suoneria e rimisi il cellulare in tasca.
Dio quanto era bella. Di quel genere di bellezza fuori dalla norma, semplice, mai ostentata. Mi presi del tempo per osservarla e notai che accanto all'orecchio aveva un segno rosso sulla pelle, come se si fosse grattata proprio lì. Le spalle di tanto in tanto si irrigidivano, a seconda della scena trasmessa alla TV. Era evidente che il film la stava spaventando, come era evidente che non aveva intenzione di cambiare canale ed ammettere con se stessa di avere paura.
Abbassai piano la maniglia e cercai di fare rumore con gli anfibi per segnalarle la mia presenza. Mi bastò fare un passo per vedere il suo visino sollevarsi di scatto dalla televisione.
"Ciao", mi salutò gentile. Troppo gentile.
Le cose erano due: o quel film sui licantropi l'aveva spaventata a tal punto da credere che avrei potuto sbranarla, o stava escogitando un sistema per rompermi i coglioni in tempo zero. Ed ero propenso per la seconda cosa.
"Ti stavo aspettando", sorrise timida.
Decisamente sulla seconda cosa. Mi misi sul chi va là. Dov'era l'inganno? Perché, sia chiaro, che fosse spontaneamente gentile con me non me la bevevo.
"Hai avuto problemi?", mi informai, andando a sedermi accanto a lei sul divano.
"Nessuno. Il ragazzo è...", si guardò attorno come se si fosse accorta solo in quel momento che Carl se ne era andato. Non trovandolo tornò a me. "Il ragazzo che era qua se ne è andato?".
E a lei che cosa stracazzo le importava di dove fosse Carl? Le mani cominciarono a prudermi.
"Se ne è andato dalla sua compagna. Perché ti interessa?".
Di fretta e furia afferrò il telecomando e cambiò canale. "Finalmente! E' tutto il pomeriggio che mi costringe a guardare film sui licantropi. Lo sapevi che se un licantropo muore il suo corpo fa puff?". Si bloccò e mi fissò contrita. "Fate puff sul serio?".
"No", ridacchiai. "Quelli sono i vampiri. E i vampiri non esistono. Noi licantropi moriamo senza effetti speciali".
Sembrò delusa. Poi però il suo volto si illuminò di nuovo sotto il ricordo di qualche scena che aveva visto. "Però è vero che mangiate gli ossi?".
Scoprii la linea dei denti, certo che i canini fossero sotto controllo, e sorrisi fintamente famelico. "Io preferisco la carne".
"Ma mangiate anche verdure?".
Sollevai gli occhi. "Se proprio devo".
"E i dolci?".
"Mi fanno schifo".
Sgranò gli occhioni. "Mi prendi in giro?".
"C'è una sola cosa dolce che mangio", dissi allusivo, passando lentamente la lingua tra le labbra socchiuse.
E dall'ingenua che era ovviamente non ci arrivò. "Quale?".
Mugugnai dentro la mia testa. Ma come Cristo faceva? "Lascia stare. A proposito, hai fame?".
"Da morire".
Mi venne un dubbio. "Hai pranzato?".
La vidi ruotare gli occhi, seccata da qualcosa. "Ho trovato due frittelle in cucina".
"Hai mangiato frittelle? Carl non ti ha fatta pranzare?".
"Ho pranzato", rimarcò. Poi corrugò la fronte. "Chi è Carl?".
Strinsi le labbra, accorgendomi con ritardo che mi ero lasciato sfuggire il nome. Questa ragazzina mi mandava in confusione più di quanto volessi ammettere. "Il Beta con cui ti sei sparata un intero pomeriggio davanti alla TV".
"Ah! Quindi si chiama Carl".
"No".
"Ma tu hai appena...".
"Per te si chiama Beta", specificai serio.
Infastidita si passò una mano sul collo e la maglietta le scivolò giù dalla spalla, mostrandomi la spallina del reggiseno. Doveva stringerle la pelle perché accanto alla cucitura si notava un alone rossastro. Feci per allungare la mano e sistemarle meglio quella striscia di stoffa ma riuscii a trattenermi. Non ero abbastanza lucido per potermi permettere un contatto con lei e per diventarlo sapevo che avrei dovuto sottopormi alla tortura di respirare il suo profumo fino a rendere il miei polmoni il più assuefatti possibile.
Mi inumidii le labbra e azzardai a inalare l'aria col naso. Il profumo mi invase ma a differenza delle volte precedenti riuscii a contenerne gli effetti devastanti prima che la Bestia minacciasse di risvegliarsi.
"E' così terribile che io lo chiami col suo nome di battesimo?", mi chiese innocente.
E me lo chiedeva pure? "Più che altro è inutile perché non ti risponderebbe".
"Date molta importanza ai nomi".
Mi sforzai di distogliere lo sguardo dalla sua spalla, senza ovviamente riuscirci. Dio, era un invito. "Non è ai nomi che diamo importanza. Semplicemente non ti serve sapere come si chiamano i miei Beta, dato che non esiste ragione al mondo per cui tu dovresti mai chiamarli".
Fece schioccare la lingua, contraddicendomi senza neanche aver bisogno di parlare.
"Vuoi davvero metterti a discutere su questo?", l'avvertii, assottigliando lo sguardo.
"Eccome se lo voglio".
E ti pareva! Mi avvicinai a lei con uno scatto e per lo spavento raddrizzò la schiena. "C'è un solo uomo che chiamerai, e quell'uomo sono io. Se sarai in difficoltà, in pericolo, se avrai bisogno di qualsiasi cosa, io sarò sempre lì pronto per te. Ti è chiaro?".
Posai la fronte contro la sua e prima di chiudere gli occhi per sfuggire al suo viso bellissimo vidi i suoi saettare arrendevoli contro le mia labbra. Mi separava da lei un misero centimetro, eppure ero incapace di percorrerlo.
Le avevo rubato qualche bacio, avevo fatto mio ogni battito accelerato del suo cuore, ma questa volta era diverso. Non volevo rubare. Non volevo più rubarle nulla.
"Sì, mi è chiaro". Il suo respiro mi solleticò il mento. "Quello che non mi è chiaro è il motivo per cui mi proteggete tutti quanti".
"Ci hanno dichiarato guerra".
"Questo lo so". Gli occhi ancora fissi sulle mie labbra.
"Cosa non ti torna quindi?".
"Loro lo sanno. I tuoi Beta. Sanno di essere destinati a morire... Mi hanno chiesto di convincerti a farmi diventare la tua compagna per...". Si bloccò e gli occhi scattarono colpevoli contro i miei. Aveva parlato troppo ed ora stava temendo di aver messo nei guai qualcuno.
"Chi ti ha parlato di questo?", chiesi, più duro di quanto volessi.
Il nervosismo nel mio tono la fece tentennare. Poteva non sapere ogni legge del branco ma non era così sciocca da non aver compreso che avrei punito chiunque si sarebbe rivolto a lei con eccessiva confidenza.
"Non so chi fosse", mentì.
"Becky", la ripresi, avvicinando di più la bocca alla sua e trattenendo il respiro. "Non fare la furba con me. So bene che conosci il nome di chiunque ti abbia rivolto la parola. E so anche chi sono gli unici due del branco a cui ho dato il permesso per farlo. Sia che tu mi risponda, sia che tu non lo faccia, so già chi è stato. A te resta solo la scelta di dimostrarmi se sei sincera con me o meno".
Cercò di retrocedere ma la bloccai, trattenendola per i fianchi. "Rispondimi".
"Sono stati tuo padre e Carl", ammise con un sospiro.
Le mollai i fianchi e presi il cellulare. C'era un messaggio di risposta da parte di Dimitri e alcune mail ancora da leggere da parte di alcuni clienti.
"Che stai facendo?", mi domandò.
Cercai in rubrica il numero di Carl. "Quello che ci si aspetta da un Alpha".
"No!", sbottò, cercando di strapparmi via il telefono.
Lo sollevai sopra la testa e la fulminai. "Stanne fuori".
"Andiamo, Deniel, non fare l'esagerato. Mi ha solo chiesto di sforzarmi di amarti per il bene di suo figlio".
"Non ti ha chiesto solo questo". Pigiai sul tasto di chiamata.
"Ti giuro di sì".
Digrignai i denti. "Ti ha chiesto di morire. Fare l'amore con me ti porterà dritta alla morte, lo vuoi capire?".
"Non farlo porterà alla morte tutti voi", ribatté, tentando nuovamente di strapparmi via il cellulare.
Il suo petto si scontrò contro il mio e le morbide rotondità del seno mi sfregarono gli addominali attraverso il sottile strato della maglietta. Cercai di non badarci ma ad ogni respiro sentivo aumentare la consapevolezza del suo splendido corpo premuto a forza contro il mio. L'erezione immediata mi fece capire di aver raggiunto il limite di sopportazione prima del solito. Averla così vicina mi fece fremere, annullava ogni mio proposito di non farla mia, mandava letteralmente a fanculo ogni mio timore di farle male.
Averla così vicina risvegliava la Bestia.
"Da quando ti importa di noi?", riuscii a dire usando ancora la mia voce. Le urla della Bestia stavano cercando di zittirmi, ringhiando nella mia gola, irritandola sotto il fuoco del desiderio.
"Da quando ho scoperto che a causa mia moriranno bambini. Potrete anche essere la cosa più vicina a dei mostri delle favole ma non potrei mai sopportare di essere il motivo di uno sterminio di massa".
Sollevò il braccio e riuscì con uno schiaffetto a farmi scivolare il cellulare dalla mano. Lo fissai cadere a terra e ruotare su se stesso fino a intrufolarsi sotto il divano. Gli squilli si interruppero nel momento dello schianto e il rumore della batteria che si staccava dal retro del cellulare rimbombò per qualche istante.
"Ti stai mettendo contro l'Alpha, ragazzina", ringhiai piano, spostando lentamente gli occhi dal divano a lei.
"Non sei il mio Alpha", mi tormentò con la sua testardaggine.
La Bestia si dimenò, fluttuando dentro di me come una scossa elettrica. La scarica mi attraversò ogni tendine delle braccia, schiantandosi nelle unghie. Le sentii sollevarsi dalla pelle e allungarsi nel momento stesso in cui la mandibola mi si contorse sotto la pressione dei canini.
"Non metterò a rischio la tua vita per loro", parlai sotto voce per non farle sentire quando il timbro della mia voce fosse diventato spaventosamente letale.
"Non è detto che tu debba farlo. Ci deve essere un modo per...", si inumidì le labbra, improvvisamente intimidita e fece un passo incerto verso di me, improvvisamente incapace di guardarmi negli occhi. "Insomma, un modo per...".
Retrocessi. "Non giocare col fuoco".
"Forse dovremmo provare per gradi", fece un altro passo avanti.
"No".
"Un passo alla volta", non demorse, avvicinandosi ancora.
"NO!", ruggii.
Posò una mano sulla mia guancia e si sollevò sulle punte dei piedi per baciarmi appena sotto l'orecchio così delicatamente che se non avessi avuto tutti i muscoli in tensione non sarei riuscito a percepirlo.
Un brivido mi attraversò la schiena e lei se ne accorse. La sua mano iniziò a scendere dalla guancia verso il collo, accarezzando la mia pelle e continuando poi sopra la maglia, tracciando un sentiero minato attraverso la stoffa che si tendeva all'altezza dei miei addominali.
Sibilai l'aria tra i denti. "Fermati".
Osservò i miei artigli per qualche istante ma non ebbe alcuna reazione impaurita. Con la mano proseguì il suo tormento, fermandola appena sopra la mia cintura e infilando un dito sotto i pantaloni.
"Becky", mormorai a mo' di avvertimento.
"Non mi vuoi?", chiese falsamente innocente, incurvando le labbra con una malizia che non le avevo mai visto.
"Se ti prendo...", deglutii a fatica. L'inguine dolorosamente eretto mi toglieva il respiro.
"Cosa succede se mi prendi?".
"Lo sai".
La mano scese ancora, girando attorno al mio inguine, troppo codarda per spingersi verso l'erezione.
"Cosa mai potrà accadere?", rese la voce suadente.
Strizzai la palpebre per impedire alla Bestia di deliziarsi del corpo arrendevole e tentatore di Becky. Da dove cazzo era uscita tutta quella sua malizia?
"Credi davvero sia così fragile?", mi tentò ancora.
Indugiai con gli occhi sulla modesta scollatura della maglietta e con una buona dose di masochismo la Bestia li guidò più in basso, contro il seno rotondo che sembrava essere fatto a posta per le mie mani, verso i fianchi stretti che ondeggiavano appena.
"Perché vuoi salvarci?", la voce mi graffiò in gola.
"Non mi macchierò della morte di centinaia di persone".
"Ed io non mi macchierò della tua". Richiusi gli occhi e cercai di scendere a patti con la Bestia. Le sue urla erano divenute terrificanti, mi rimbombavano nei timpani, disperate, frustrate, febbrili. Mi imploravano di prendere questa umana, pugnalandomi l'inguine ad ogni supplica.
"Guardami, Deniel". Il suo respirò mi accarezzò le labbra in una lenta carezza. Entrandomi dentro.
"Non posso farlo".
"Sì, che puoi".
"Non posso".
"Perché?".
"Perché se lo faccio, ecco cosa succede!", sbraitai, afferrando lo schienale del divano e scagliandolo contro la parete più vicina. Il vetro della finestra vibrò, facendo ondeggiare i fasci di luce che penetravano dall'esterno. La furia che tanto temevo alla fine sfociò in me, lasciando cadere ogni difesa. Ogni buon senso batté in ritirata, lasciando campo fertile alla Bestia che, priva di qualsiasi forma di ostacolo si avventò contro di lei.
Intrufolai le dita nella massa dei suoi capelli e con uno strattone me la spinsi contro con foga, sollevandola da terra senza sforzo per gettarla sul morbido tappeto al centro del salotto.
Per alcuni istanti Becky si immobilizzò dal terrore, ansimante, incapace anche solo di dire una parola, limitandomi ad osservare il mio ampio torace che la sovrastava.
"Vuoi mettere al sicuro il tuo senso di colpa venendo a letto con me?", biascicò maligna la Bestia.
Il rosso delle mie iridi si schiantò contro i suoi occhi e quella fu la miccia che fece esplodere la sua paura. Tentò disperata di rotolare su un fianco ma prima che riuscisse a muoversi le afferrai le spalle e la rimisi dov'era.
Senza alcun riguardo le salii sopra, mettendomi cavalcioni suoi suoi fianchi e immobilizzandole i polsi a lato della testa. "Ti avevo detto di non giocare col fuoco".
"Ti prego", singhiozzò, lottando per liberarsi. "Lasciami ti prego".
Rafforzai la presa contro i suoi polsi e mi lasciai sfuggire un ghigno. "Lasciarti? Dopo che tu mi hai appena supplicato di farti mia?".
"Non pensavo...".
"Non pensavi cosa?". Mi chinai e le passai la lingua sul collo, fin dietro l'orecchio, soffiando poi sulla traccia umida che le avevo lasciato sulla pelle. "Che ti avrei fatto allargare le gambe sul pavimento? Era questo che non pensavi? O forse non pensavi di farmi questo effetto?". Premetti l'erezione contro la sua coscia e ruotai i fianchi per farle sentire quanto la stessi desiderando.
"No", strattonò i polsi, riuscendo quasi a liberarsi.
"Hai voluto giocare?", ironizzò la Bestia, conducendo il mio volto contro il suo, talmente vicino che quando riprese a parlare, le labbra di Becky si mossero contro le mie. "E ora giochiamo".
La paura nei sui occhi eguagliò il fuoco che illuminava i miei. Mi entrò dentro, implacabile, risvegliando un barlume di sentimento sepolto sotto strati e strati di istinti primordiali, e ricordandomi che da qualche parte, nonostante la furia della Bestia, esisteva ancora quella parte di me capace di ragionare con un cuore.
Ogni tratto del mio volto si pietrificò, incapace di capire come potesse la paura di Becky manovrare i desideri della Bestia. Rimasi col volto sospeso a pochi centimetri dal suo per parecchi secondi, forse minuti. Infine riuscii ad allentare la presa contro i suoi polsi, trasformandola in quella che poteva benissimo essere una carezza. Una carezza che riuscii a tenere Becky imprigionata sotto di me come avevano fatto le mie brutali dita.
"Ecco cosa succede se ti sto troppo vicino", mormorai, senza più alcuna rabbia nella voce. Veloce come era arrivata, la Bestia era fuggita terrorizzata, incapace di sostenere la paura di questa piccola e apparentemente indifesa umana. "Ecco perché, per quanto io ti voglia, non ho fatto nulla per farti mia".
Mi sollevai da sopra di lei e le allungai la mano per aiutarla ad alzarsi. I suoi movimenti erano ancora incerti, tesi nello sforzo di non sfuggirmi, eppure seguirono ogni mio gesto quando, senza trovare alcuna resistenza, la attirai a me per baciarle velocemente la fronte.
"Sono l'essere più pericoloso sulla faccia della Terra", mossi le labbra contro la sua fronte. "Non dimenticarlo mai".
Quindi mi staccai a forza da lei, voltandole le spalle e retrocedendo verso la cucina per mettere una distanza precauzionale tra noi. "La lezione è finita".
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