Deniel - More that at feeling (parte 2)

Ero quasi arrivato alla mia auto quando mi accorsi che mio padre mi aveva seguito silenzioso. Aprii lo sportello e lo vidi posato contro l'angolo del muro dell'edificio generale, le mani infilate in tasca, le labbra sigillate in una smorfia di autentica preoccupazione.

"Che c'è?", mi accigliai.

"Resta per pranzo. Sei appena arrivato", mi pregò. Gli occhi però rifiutavano di incrociare i miei, un segno evidente di quanto si sentisse addolorato per quanto c'eravamo detti poco prima.

"Devo andare a fottermi la mia compagna, lo hai dimenticato?", sputai rabbioso, cercando le chiavi nella tasca della felpa.

"Non parlare in questo modo di lei", mi apostrofò, staccando le spalle dal muro e camminando lentamente verso di me. 

Richiusi lo sportello con un tonfo e allargai le braccia. La pazienza era finita. "Che cosa vuoi, papà? Sei stato chiaro a dirmi che non ho alternative. Devo marchiarla, punto. Sei stato chiarissimo".

"Ti ho detto cose che sapevi già. Dimmi piuttosto perché sei venuto da me. Cosa speravi di trovare?".

"Collaborazione", sputai. "Un appoggio che, è evidente, non sei intenzionato a darmi".

"Figlio", mi posò una mano sulla spalla, obbligandomi a voltarmi verso di lui.

Guardarlo mi risultava fastidioso perché in quel momento mio padre rappresentava la voce della mia coscienza. Dalla sua bocca uscivano le parole che il mio cervello conosceva ma che per codardia non pronunciava.

"Figlio", richiamò nuovamente la mia attenzione. "Sai benissimo di essere venuto da me per disilluderti. Hai tentato di tenere quella femmina lontana da te e, credimi, sei ammirevole per questo. In pochi ci sarebbero riusciti. Apprezzo la tua forza di volontà e ancor di più l'amore che stai dimostrando di provare per lei, rischiando la tua vita e quella di tutti noi per salvare la sua. E' ammirevole, figlio mio. Davvero. Ma è sbagliato. E se sei venuto qua è perché sentivi il bisogno che qualcuno te lo dicesse".

Infilai le mani in tasca e scalciai una pietra, facendola ruzzolare su un fazzoletto di terra che spiccava tra gli alti fili d'erba. In quel punto vi erano ancora i segni di una piccola baruffa inscenata tra due cuccioli del branco.

"Sei venuto qua perché dovevi scendere a patti con il tuo senso di colpa", continuò, implacabile. 

"Stai zitto!", urlai disperato e la mia voce scomparve, sostituita dal disumano ringhio di un animale, decifrabile solo da chi apparteneva alla mia razza.

"Nella tua testa hai già deciso di seguire i tuoi doveri, ma dovevi far sì che tale scelta ricadesse su di me per gettarmi addosso la tua responsabilità e i tuoi rimorsi". 

"Sono venuto per informarti dei sei lupi", lo contraddissi, rifiutando la sua versione.

"Hai i tuoi beta per questo".

"Potrebbero essere loro quei sei lupi".

"Andiamo, Deniel. Un beta si ucciderebbe piuttosto che disertare un tuo ordine. Quei sei lupi erano delle leve o appartenevano a Kennet".

La sua frase era talmente logica che uccise sul nascere ogni mia protesta. Scalciai un'altra pietra, facendola rotolare accanto all'altra, quindi passai entrambe le mani tra i capelli che avevo lasciato sciolti, spostandoli da davanti alla faccia. 

"La ucciderò", scrollai la testa, gli occhi vacui che vagavano nella foresta. Il dolore arrivò immediato e non fui capace di controllarlo. La bestia dentro di me si dimenò, ruggendo per essere liberata e facendomi contorcere le giunture delle spalle, già curvate in avanti in una posa d'attacco.

"No, Deniel. Non lo farai". Si allontanò di qualche passo, intuendo che ero sul punto di trasformarmi da un momento all'altro. "L'istinto di protezione che provi verso di lei incanalerà la tua forza".

Passai la lingua sui canini, graffiandola e riempendo il palato dell'odore metallico del mio sangue. Quindi mi accucciai, conficcando gli artigli nel terreno. Sulle nocche erano spuntati i primi peli neri ma riuscii a frenare la trasformazione e un attimo dopo si staccarono dalla pelle, cadendo a terra come la pelle vecchia di un serpente prima di venir spazzati via dal mio respiro.

"Calmati Deniel", parlò piano, girandomi attorno con cautela. "Cerchiamo una soluzione".

I miei occhi rossi seguivano ogni suo movimento, captando ogni sua possibile mossa. Le narici fremevano, deliziandosi dell'odore della sua paura. Poteva anche essere mio padre, ma quando ci trasformavamo in preda alla collera, ogni sentimento umano soccombeva a quelli sadici della bestia, trasformandoci in una perfetta macchina mortale. 

"Non.Ci.Sono.Soluzioni", guaii in agonia e talmente forte che il suono mi uscì dalla gola in uno straziante appello d'aiuto, trasportando nell'aria il mio dolore, talmente smisurato da attirare pian piano i componenti del branco.

Pur non vedendoli, sentivo i loro passi avvicinarsi circospetti, il respiro quasi trattenuto in un gesto reverenziale di muta consolazione. 

Mio padre sollevò le braccia per intimare loro di fermarsi e il rumore dei passi si interruppe. Mi voltai e il ringhio feroce che nacque dalla mia bocca fu così inaspettato da farli retrocedere uno, ad uno, fino a raggiungere una sufficiente distanza di sicurezza.

Capii che ero stato sul punto di attaccare tutti loro e di soprassalto mi rialzai, ritraendo gli artigli e i canini. Sapevo che la mia capacità di ragionare con chiarezza era destinata ad avere la peggio contro il dolore, perciò lasciai che ogni mio senso, dalla vista all'olfatto, dal gusto all'udito, si accanissero sui profumi della terra bagnata e sui rumori delle foglie mosse dal vento.

Il mio corpo si dissociò dalla mente, divenendo un tutt'uno con la natura e facendo sì che i pensieri assumessero contorni sempre più sfumati, simili ad una fotografia ingiallita dal tempo che immortala momenti e volti sconosciuti. 

Tutto perse di significato. Rabbia e frustrazione non trovarono appigli nella mia testa, svuotata da qualsiasi ragionamento, e scivolarono via inermi insieme alla bestia dentro di me. Si era accucciata arrendevole, in attesa di essere risvegliata appena fossi ceduto nuovamente sotto la pressione delle emozioni.

"Respira Deniel", udii in lontananza la voce di mio padre. Seppur calma, era dominata dall'apprensione. 

"E' tutto okay", borbottai, voltandomi nuovamente vero il branco. Mi stavano monitorando curiosi, senza muovere un solo muscolo. "Perdonatemi".

"Che succede Alpha?", chiese uno dei miei beta.

"A tempo debito sarete informati. Tornate alle vostre occupazioni".

"Certo Alpha", annuì, incitando gli altri ad allontanarsi. "Se hai bisogno...".

"So di poter contare su di te", mi sforzai di sorridere.

Si allontanò nel bosco prendendo per mano la propria compagna e per un attimo invidiai il modo il cui i loro movimenti fossero in assoluta simbiosi. Quando uno dei due si muoveva, l'altro ne imitava la movenza, arrivando persino a regolare il respiro in modo che quando il maschio respirava, la femmina poteva assorbirne la fragranza per restituirgliela subito dopo. E viceversa.

"Vieni in casa Deniel", mi invitò mio padre. "Pranza con noi. Tua madre saprà consigliarti su come trattare la tua femmina".

"So come va trattata una femmina", ruotai gli occhi.

"Io ho detto "la tua", non una femmina qualsiasi". 

"Immagino tu abbia saltato la lezione sulla tenerezza, dato che quando hai messo incinta mia madre le hai quasi strappato via mezza mandibola".

Alzò il mento spavaldo, mascherando alla perfezione l'evidente dolore che la mia provocazione aveva scaturito. "Ognuno ha le proprie condanne. Io sono stato abbastanza "uomo" da affrontarle e conviverci. Tu invece? Sarai altrettanto uomo?".

"La mamma è una licantropa Santo Dio. Non è umana. E' diverso".

Feci per andarmene ma mi bloccò la strada.

"E' sempre diverso", mi apostrofò, senza però scendere nei dettagli, come se fosse improvvisamente stanco di quella discussione. "Vieni in casa e pranza con noi. E' tempo che anche tua madre venga messa al corrente di ciò che ti è accaduto".

Lo seguii di malavoglia ed entrammo in casa direttamente dal retro accomodandoci attorno al lungo tavolo in legno intarsiato con il nome del nostro branco. La mamma e la sua amica Clarissa erano intente a spadellare ma attesero che mio padre desse loro il permesso prima di sospendere il proprio lavoro per sedersi con noi.

"Clarissa, vai dal tuo compagno", ordinai gentile. "Devo parlare con mia madre".

"Sì, Alpha", rispose conciliante, piegandosi per baciare mia madre sulla guancia prima di scappare via. 

La seguimmo tutte e tre con lo sguardo e appena si richiuse la porta alle spalle, tornammo a fissarci. Fu mio padre a prendere la parola per primo.

"Ti domando scusa se prima sono stato brusco", le sorrise adorante. "Nostro figlio ed io stavamo affrontando un argomento delicato".

"Non preoccuparti, amore mio. Lo avevo intuito. Discutevate di cose su cui posso essere messa al corrente?", domandò docile.

Becky non avrebbe mai imparato. Non si sarebbe mai comportata come lei - pensai.

"Portaci da mangiare e parliamone", la invitò, provando ad imitare il mio tono gentile. "Le notizie che abbiamo da darti sono rincuoranti e allo stesso tempo difficili".

La mamma si alzò, voltandosi di lato per afferrare i nostri piatti e mettendo in mostra la lunga cicatrice che le attraversava lo zigomo sinistro, tuffandosi lungo il collo, fino a sotto il colletto del castigato maglioncino verde. La pelle attorno allo squarcio era lucida e più pallida.

Riempì i piatti con della carne stufata e ce li passò, chiedendo con lo sguardo il permesso di sedersi, che mio padre le concesse all'istante.

"Tuo figlio ha avuto l'imprinting con un'umana", le spiegò appena si sedette.

La parte destra del suo volto, l'unica ad aver mantenuto la capacità di movimento, si accartocciò in un'espressione sorpresa. "Come è possibile?".

"E' raro, ma può succedere. A qualcuno di noi è accaduto in passato... o almeno, così mi aveva raccontato mio nonno. Tuttavia è una situazione su cui non abbiamo grosse notizie e proprio per questo richiede il temperamento docile di una femmina per essere affrontata".

La mamma allungò il braccio sopra il tavolo, posando la mano sopra la mia. "Immagino i tuoi timori, Deniel".

"Forse non sarebbe male se gli spiegassi come incanalare la potenza durante un rapporto sessuale", continuò spiccio, mio padre.

Lei sollevò gli occhi su di lui, sorpresa. "Come potrei farlo?".

"Durante l'accoppiamento voi femmine siete in grado di sottomettervi. Sono certo che esista un modo anche per noi maschi di temperare il nostro dominio quando vi possediamo".

La franchezza con cui le parlò non sembrò scuoterla. Ebbe un fremito del labbro, dalla parte sana e ancora in grado di sollevarsi, poi tornò impassibile. "Se esistesse ve lo avremmo spiegato da tempo".

Gli occhi di mio padre scattarono sulla sua cicatrice e per un attimo si velarono. Mi chiesi cosa dovesse provare ogni volta che la osservava in faccia e per un attimo ripensai a ciò che mi aveva detto poco prima a riguardo dei suoi rimorsi. Non li aveva affrontati, semplicemente aveva imparato a conviverci.

Di colpo capii quale fosse il suo vero intento. Non mi aveva attirato in cucina per trovare una soluzione bensì per dimostrarmi che non esisteva. Mia madre era la prova vivente di quanto le azioni di noi maschi influissero sulle loro vite e per quanto amassimo le nostre compagne, prima o poi ognuno di noi avrebbe perso la lucidità durante un rapporto sessuale. Ad alcune licantrope poteva andare bene, ad altre peggio, come nel caso di mia madre.

Un nodo alla gola mi costrinse a deglutire e ruotai gli occhi per impedire alle lacrime di offuscarli. 

"Come lo hai perdonato?", chiesi alla mamma.

Accanto a me sentii il braccio di mio padre irrigidirsi ma non vi badai quasi. Le aveva deturpato il volto a causa di un momento di debolezza, e quel volto era lì davanti a lui ogni giorno, ogni istante della sua esistenza, ad inasprirgli il rimorso. Aveva aggredito la propria compagna... non meritava pietà.

"Come potrei non perdonargli una cosa di cui non ha colpe?", rispose, inviandogli un sorriso talmente carico di ammirazione che per un attimo mi sentii quasi di troppo. Mio padre le strizzò l'occhio e lei ridacchiò, curvando la testa di lato come una ragazzina alle prima cotta. "E' nella vostra natura desiderare di possederci e non ho mai sentito nessuna lamentarsi", ridacchiò ancora, questa volta più maliziosamente. "Il fatto che alle volte perdiate la testa è solo un chiaro ed evidente segnale di quanto ci apprezziate".

"Vi feriamo", strinsi i pugni, non concependo come fosse possibile che lei ci difendesse a tal punto.

"Ci adulate. Ci adorate. Ma è solo voi stessi che ferite a morte". La sua mano tornò a posarsi sopra la mia, accompagnata da uno sguardo ben più serio di quelli precedenti: "Ferirai la tua compagna prima o poi".

"Mamma... è umana", tremai. "Non mi limiterò a ferirla. Rischierò di ucciderla anche solo con un bacio".

Lei sorrise accondiscendente e andò alla ricerca dello sguardo di mio padre. Per un attimo si fissarono, complici, quindi mio padre acconsentì a qualcosa che lei era riuscita a comunicargli con gli occhi e lei tornò a voltarsi verso di me.

"Quando io e tuo padre ti abbiamo concepito era una notte di luna piena, al culmine del periodo del bisogno. La primavera si respirava nell'aria e c'era sovraeccitazione ovunque. Sai cosa accade in questo periodo... non tutti i lupi sanno darsi un contegno. Quella sera avevo dato confidenza ad un lupo entrato da poco nel branco. Era molto giovane e non sapeva ovviamente quanto potesse essere rischioso stuzzicare la possessività di un Alpha. Benché avesse sentito l'odore di tuo padre su di me, non aveva esitato a trotterellarmi attorno facendo moine per tutta la sera".

Mio padre si alzò di scattò, facendo rovesciare la sedia e marciò in veranda, chiudendo la porta alle sue spalle con un tonfo.

"Non ama ascoltare questa storia", mi spiegò comprensiva.

"Lo immagino", addentai un pezzo di carne. "Che ne è stato di quel giovane lupo?".

Mi lanciò uno sguardo di sbieco, ovvio, sottolineando quando fosse stupida la mia domanda. Quindi riprese a raccontare, senza particolari inclinazioni nella voce. "Quando mi ero ritrovata da sola con tuo padre mi aveva fatto una bella lavata di capo ma anziché assecondarlo o scusarmi lo avevo aggredito, ringhiandogli contro e cercando di azzannarlo alla gola. Non avevo sfidato solo il mio compagno. Avevo sfidato l'Alpha".

Scosse la testa e prese il mio piatto per riempirlo di nuovo. Lo posò al centro del tavolo e con un cenno del capo mi chiese se poteva rimettersi seduta.

"Mamma smettila di chiedermi il permesso. Stiamo parlando! Vuoi farlo stando in piedi? Stai in piedi. Vuoi farlo da seduta? Mettiti seduta. Sentiti libera di fare ciò che più desideri".

Restò spiazzata per un attimo. "Sei molto tollerante".

"Semplicemente reputo assurdo che dobbiate sempre aspettare un nostro comando. La sottomissione fa parte delle genetica ma qua si esagera".

Un lampo di luce ammirevole le illuminò lo sguardo, annerendone i contorni dorati. "Sei un Alpha magnifico".

"Così magnifico da essermi innamorato di un'umana".

"Com'è?", indagò, mettendosi a sedere e incrociando le mani sotto il mento.

"Piccola", risposi di getto.

La risposta non sembrò soddisfarla e mosse le dita velocemente per incitarmi a continuare. "E' bella?".

"Dio", sospirai, lasciandomi cadere contro lo schienale della sedia. "Lei non è solo bella. E' seducente, inconsapevole di esserlo, timida a tal punto da deliziarmi gli occhi con un rossore squisito sulle sue guance. Solo che...", scrollai la testa e tornai a sporgermi in avanti, afferrando nervosamente la forchetta. La piantai dentro un pezzo di carne e gettai fuori il respiro in uno spasmo rabbioso. "Dio quanto parla! Ha sempre da lamentarsi, mi accusa di tutto, protesta per ogni cosa e mi respinge. Costantemente! Rifiuta ogni genere di corteggiamento, mi priva della sua bocca e di qualsiasi contatto".

"Hai tentato di prenderla contro la sua volontà?".

"Manno, certo che no".

"Sei ammirevole. Starle accanto senza toccarla...", si morse un labbro e si voltò verso la porta chiusa che dava sul retro, come se potesse in qualche modo far arrivare il proprio sguardo a mio padre. "Dev'essere doloroso e tremendamente difficile. Inoltre il suo rifiutarsi la rende una preda irresistibile. Il ché dimostra che sai controllarti già molto bene, e Deniel, figlio mio, dimostra anche che hai la possibilità di accoppiarti con lei senza per forza massacrarla".

Le parole erano sagge ma venendo dal cuore erano prive di analisi critica, pertanto non potevo riporvi la mia completa fiducia.

"Cos'è successo poi?", la incalzai.

Corrugò la fronte per un attimo, poi capì. "Intendi la notte del tuo concepimento? Tuo padre ha dato l'ordine di uccidere il giovane lupo e sono tutti quanti partiti per la caccia. Tornò all'alba, ancora sotto forma di lupo, stringendo tra le mascelle il braccio di quel lupo. Voleva dimostrarmi che gli appartenevo e si è accoppiato con me senza trasformarsi".

Sgranai gli occhi e tossii un pezzo di carne che mi era andato di traverso. "Ti ha presa mentre eri nella tua forma umana?".

"Perché credi mi abbia concesso di raccontarti questa storia?". Abbassò le palpebre in un tentativo come un altro di celarmi il suo dolore. Quindi le risollevò. Lo sguardo svuotato da qualsiasi emozione. "Se per tuo padre sono una perenne dimostrazione di quanto mi ha fatto in un momento di debolezza, per te rappresento invece la prova che una femmina, di qualsiasi razza, può resistere più di quanto voi pensiate".

Feci per ribattere ma lei mi parlò sopra. "Figlio mio, la ami?".

Annuii, fingendo disinteresse con un'alzata di spalle.

"Voglio la risposta ad alta voce".

Sbuffai e in imbarazzo passai un'unghia nella venatura del legno. "Ho avuto l'imprinting, è logico che la amo".

"Lei ne è al corrente?".

"Presumo di sì", corrugai la fronte, infastidito. 

"Presumi o ne sei certo?".

"Ho tentato di baciarla, mamma!". Spostai il piatto vuoto e vi gettai dentro la forchetta, pulendomi le labbra con un tovagliolo. "Più chiaro di così si muore".

"Penso che Dimitri dovrebbe darti qualche dritta su come funzionano le cose nel mondo umano. Quelle femmine sono diverse dalle nostre e dubito che un bacio, per loro, possa avere il nostro stesso significato. Da quello che so, ed è molto poco, nel mondo umano le femmine danno molta importanza all'accoppiamento e molta meno importanza al bacio".

"Che assurdi", ridacchiai, aspro.

"Lei potrebbe dire la stessa cosa di noi".

Mi infilai la felpa e mi sporsi sopra il tavolo per baciarla sulla fronte. "Grazie per i consigli".

"La marchierai?".

"Ho già detto a papà che ci penserò".

"Vedi di pensarci bene, Deniel, perché quei sei lupi, chiunque essi siano, cercheranno di portartela via allo stesso modo in cui quel giovane lupo ha tentato di strapparmi via a tuo padre. Per quanto mi riguarda, non ho dubbi sul fatto che riuscirai a marchiarla senza ucciderla. Tuttavia ne ho circa la tua possessività: dubito riuscirai a reprimerla. E nel mondo umano, di occasioni per provare gelosia ne avrai davvero molte".

"Ma che ne sai tu degli umani?", borbottai per zittirla. Stava iniziando a straparlare come di solito facevano le femmine e andava fermata.

"Calpesto le nostre terre da molto più tempo di te e, forse ti sembrerà strano, ma non sono sempre stata solo la compagna dell'Alpha. Prima di esserlo ero libera. Esattamente come la tua femmina. Perciò, Deniel, qualcosa sugli umani la so. Ed è molto più di quello che sai tu".

Assomigliava a un rimprovero e mi irrigidii. Come madre poteva imbeccarmi ma dal giorno in cui ero divento Alpha ne aveva perso il diritto. Tanta audacia, oltre a sorprendermi mi mise sul chi va là.

"Cosa sai?".

Scosse la testa e tornò a fissare la porta che dava sul retro. Con ogni probabilità mio padre era nei paraggi ed era impensabile quindi che lei si arrendesse alle confidenze.

"Quando la porterò qui, nel branco, saprai aiutarmi?", cambiai domanda.

"Saprò aiutare lei", specificò.

"Lo farai?".

"Lo sto facendo dal momento in cui ti ho chiesto di marchiarla". Fece il giro al tavolo e mi prese a braccetto, accompagnandomi verso il portoncino d'ingresso. Non era molto alta di statura e inclinando lievemente il collo potevo posare la fronte sulla sommità della sua testa.

"Sono terrorizzato, mamma", ammisi, parlandole tra i capelli.

"Lo so, figlio mio, lo so. E lo sarai ogni volta che ti accoppierai con lei". Sfilò il braccio dal mio gomito e mi prese il volto a coppa tra le mani, baciandomi prima una guancia, poi l'altra. "Prima o poi lei si innamorerà di te... sai che accadrà. E quando succederà ti desidererà molto... Sei così bello...".

Si scostò per osservarmi e un sorriso di apprezzamento le fece inclinare la parte destra del labbro. La parte sinistra invece restò immobile, priva di ogni forma di vita. Ora che sapevo come erano andate veramente le cose, provavo molta più pena per lei. Quella cicatrice, che si portava addosso come un marchio, aveva assunto un significato nuovo.

"Ti desidererà tantissimo", rimarcò con un filo di voce. "E tu ti donerai a lei perché non potrai mai privarla di godere di una vostra unione. Solo che, ciò che per lei sarà una gioia appagante, per te sarà solo un tormento. Ogni volta. Per sempre. Perciò sì, figlio mio, voi maschi non ci ferite... voi ferite unicamente voi stessi".




"


lo ha fatto consegnare in mille pezzi davanti a me, 

"



a questa vostra sottomissione"












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