Deniel - la nostra prima notte insieme

"Tutto okay?", chiesi a Dimitri, posando il cellulare e la felpa sul tavolo della cucina.

Annuì. "La riunione?".

"A posto. Con domani ci saranno cinque Beta al controllo del perimetro della casa. Per intanto abbiamo deciso di aspettare".

"Sono d'accordo". Annuì e mise nel lavello il bicchiere ormai vuoto che stava rigirandosi tra le mani.

Osservai di sfuggita la porta della mia stanza e la indicai con un cenno del capo. "Ti ha dato problemi?".

"Sì", sbuffò. 

Sollevai il mento, spronandolo a proseguire.

"Ha provato a toccarmi il polso, convinta così facendo di infrangere la legge".

Sospirai. Dio che stronza! 

"Ed ha provato a sfilarmi il bicchiere di cognac dalle mani", aggiunse.

Corrugai la fronte. "Perché?".

Dimitri si strinse nelle spalle e recuperò le chiavi della propria macchina. "Me ne ha chiesto un goccio ma non sapevo se tu fossi d'accordo nel farle bere super alcolici, così ho evitato di versarne anche a lei. Ha quindi provato a sfilarmi il bicchiere, costringendomi a prenderle la mano per bloccarla. Dopo di ché mi ha minacciato di raccontarti tutto se non l'avessi aiutata a scappare". Sollevò lo sguardo su di me con un sorrisetto strafottente. "Dovresti raddrizzare la tua femmina ora che è venuta a conoscenza di alcune regolette base".

Mi lasciai sfuggire un sorriso. Era furba la ragazzina. Non abbastanza comunque da capire che in uno scontro avrei sempre e comunque vinto io.

"Ti fermi?", chiesi. Ti prego dì di no, dimmi di no.

"No, vado in città. Domani mattina alle otto arriva il manutentore della piscina per la pulizia dei filtri e alle nove ho una riunione col team pubblicitario". Fissò anche lui la porta della mia stanza. "Hai bisogno di qualcosa?".

"Vai, tranquillo. Se le cose dovessero mettersi male andrò a passare la notte da Peter".

"Okay, ci sentiamo domani allora".

"Grazie", lo salutai. "Ah!", aggiunsi svelto quando raggiunse la porta sul retro. "E' stata dura?".

"Intendi stare qui con lei?".

Annuii.

"Sì, Deniel. E' inutile negarlo. Il suo odore è un problema serio e ho idea che prima o poi ti creerà qualche guaio con gli altri. Non tutti i Beta, soprattutto le leve, hanno il mio stesso autocontrollo. Io stesso sono dovuto uscire da questa casa ogni mezzora e  ti garantisco che sono tutto un dolore".

"Mio padre?".

"E' tornato mezzora fa. Ha aperto la porta, ha tirato su col naso, ha imprecato e non è più tornato".

Scoppiai a ridere. "Grazie a Dio mia madre non se ne è accorta".

Dimitri sgranò gli occhi e ridacchiò di rimando. Quindi tornò serio. "Senti... Attento okay? Stai attento alla tua piccoletta".

Feci scontrare il mio pugno contro il suo e gli voltai le spalle, andando a passi svelti verso la mia stanza. Davanti alla porta però esitai. Bloccai la mano sulla maniglia, abbassandola appena, e restai immobile per qualche secondo prima di schiudere la porta. La stanza ormai doveva essere completamente impregnata del suo profumo, riuscivo tranquillamente a percepirlo persino da qui fuori.

Esitai ancora, riempendo i polmoni e sigillando le labbra per trattenere l'aria.

All'interno c'era solo buio e silenzio. Sbattei gli occhi e il rosso delle iridi si rifletté nella stanza, posandosi immediatamente sul corpo di Becky steso al centro del letto.

E poi il vuoto. Vuoto assoluto.

Il respiro mi si mozzò come se avessi appena ricevuto un pugno nello stomaco. Poteva esistere qualcosa più bello di lei? 

Con cautela feci un passo avanti e mi fermai di nuovo per accendere la piccola luce arancione sopra il basso tavolino davanti alla porta finestra, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso.

Era raggomitolata sul fianco destro con un lembo di coperta stretto tra le dita che teneva incrociate davanti al naso. Le labbra appena dischiuse si muovevano mosse da un respiro lento e regolare. Nonostante la penombra, sulle guance si intravedevano le strisciate di lacrime ormai secche che si erano trasportate alcuni rimasugli di mascara.

Mi lasciai cadere sulla poltrona di fronte all'armadio e mi sfilai gli anfibi. Slacciai l'orologio da polso e lo appoggiai piano sul tavolino, cercando di fare meno rumore possibile. Quindi mi tolsi i vestiti, rimanendo in boxer, recuperai l'asciugamano bianco che mia madre aveva lasciato ai piedi del letto ed andai al bagno. 

Non era propriamente un bagno in camera. Ce ne servivamo tutti perché aveva un doppio ingresso: uno dalla mia stanza e l'altro dal corridoio del salotto. I miei genitori comunque avevano smesso di usarlo, prediligendo quello più piccolo degli ospiti e nelle antine del mobile a specchio erano rimaste solo le mie cose.

Aprii il soffione dell'acqua e senza attendere che raggiungesse la temperatura calda mi ci gettai sotto, sollevando il volto per farmi schiaffeggiare dal getto e sforzandomi di non pensare che lei era lì, a portata di mano. Che era mia. Mia e basta.

Avrei tanto voluto svegliarla e scuoterla fino a farle ammettere che in realtà mi desiderava, che si sentiva legata a me. Ma a cosa sarebbe servito? Dalla testarda che era sarebbe arrivata ad accusarmi di averle sottratto quelle ammissioni con la forza. Trovando poi l'occasione perfetta per puntarmi contro il dito e giudicarmi brutale.

Era sempre lì pronta a giudicare. Non conosceva la mia razza eppure credeva di averci inquadrato in cinque minuti. Non sapeva e parlava. Sputava sentenze a destra e a manca e quando le facevi notare che aveva appena detto un'emerita cazzata cosa faceva? Si scusava? Oh no, figuriamoci. Miss-ce-l'ho-solo-io ti fissava con quei suoi occhioni spauriti e ti faceva persino sentire una merda.

Con una manata chiusi la leva dell'acqua, frizionai i capelli e li legai sulla nuca e mi avvolsi nell'asciugamano.

Dio se mi faceva girare i coglioni quella femmina!

"Oddio",. Sentii un urlo alle mie spalle e mi voltai di scatto, già nel panico, pronto a correre in camera e sventrare chiunque avessi trovato accanto a lei.

Solo che, distratto dai miei pensieri, non avevo sentito che qualcuno aveva aperto la porta del bagno e mi ritrovai faccia a faccia con Becky.


Di scatto si portò una mano davanti agli occhi e mi voltò le spalle. Con calma mi sistemai meglio l'asciugamano in vita e inclinai la testa, per sbirciare verso di lei. Il viso era nascosto dietro una spessa ciocca di capelli scuri e gliela sollevai, a caccia dei suoi occhi.

"Ciao", mormorai giocoso. 

"Ciao", gracchiò a occhi chiusi.

"Devi fare pipì?".

Annuì e a tentoni cercò la parete con la mano. Quando riuscì a posarvici il palmo si spostò cauta, un passo dopo l'altro, convinta di star procedendo verso l'interno del bagno mentre in realtà stava per sbattere il naso contro l'armadietto rimasto aperto.

Allungai il passo e l'afferrai per le spalle, facendola sussultare. Ma si poteva essere più innocenti di così? "Stai per sbattere. Se aspetti qui ferma esco di qua e il bagno sarà tutto tuo".

Annuì e appena staccai le mani da sopra le sue spalle vidi i muscoli della schiena rilassarsi. 

"Stai ferma, piccola", raccomandai, andando verso la porta. Quella ragazzina era capace di farsi male persino in un bagno. "Okay, sto uscendo".

Scossi la testa con un mezzo sorriso e recuperai dalla sedia un paio di pantaloni della tuta, macchiati sull'orlo da una macchia di pittura che non se ne era più andata via, e una canotta scura. Infilai al collo la lunga catena con appeso il ciondolo di un lupo, simbolo dell'Alpha, e mi distesi sul bordo del letto, usando un braccio come poggia testa.

Sentii lo sciacquone e subito dopo il rumore inconfondibile dei passetti di Becky avvicinarsi alla porta. La schiuse e sbirciò titubante per la stanza. Le avevo lasciato accesa la piccola luce del tavolino per paura che potesse inciampare ed ora si stava riflettendo sul suo volto, creando un gioco di ombre che la rendevano talmente bella che dovetti aggrapparmi alle lenzuola per non balzarle contro e squarciarle la maglietta con i denti. Sentii i canini allungarsi e trattenni il respiro.

Non era nemmeno entrata nel letto ed io avevo già la più grande erezione che mi fosse mai venuta. Dovevo darmi una calmata, Cristo santo!

"Devo dormire lì con te?", mormorò guardandosi le mani intrecciate.

Annuii scontato, dato che non avevo una camera per gli ospiti e non erano presenti altri letti nella camera. "Da che lato preferisci dormire?", chiesi fingendomi indifferente. Sotto di me sarebbe il lato perfetto. La Bestia ringhiò in agguato e digrignai i denti. 

Si strinse nelle spalle e restò immobile.

"Becky", sospirai, sollevando le coperte in un invito a raggiungermi. "Giuro che non ti farò nulla".

A quel punto sollevò la testa di scatto ed io evitai di ricambiare il suo sguardo. Se l'avessi fatto sarebbe stata la fine e avrei mandato a puttane il mio giuramento nel giro di tre secondi.

"Non ho un pigiama".

"Giusto". Mi alzai e andai all'armadio, lanciandole contro una mia maglietta. 

Lei l'acciuffò al volo e si guardò attorno spaesata. "Puoi voltarti?".

Feci scattare in alto le sopracciglia. Ora, va bene tutto, ma Cristo! "Parli sul serio?".

Si mordicchiò il labbro, in tensione, e di nuovo lasciò vagare gli occhietti spauriti per la stanza. Li lasciò scivolare contro il tavolino, sopra le tende, sui piedi del letto, contro la specchiera a muro. Ovunque tranne che su di me. Come cazzo aveva fatto a mantenersi così pura?

"Perciò è così che funziona?", mi chiese con la sua vocina sottile. 

E adesso cosa diavolo stava pensando? Perché di colpo si era incupita? "Funziona così, cosa?".

"Farai in modo che io mi spogli e poi...", di colpo si bloccò, divenendo paonazza.

"Finisci pure la frase", tamburellai le dita sul ginocchio.

"No, niente. Era una cosa sciocca".

"Non direi a giudicare il colore sulle tue guance che, detto per inciso, ti sta benissimo".

E per incanto il rossore aumentò. Dio, avrei voluto farla arrossire in mille altri modi. In milioni di altri modi. E tutti quanti prevedevano che Becky finisse sotto di me. 

Si strinse la maglia contro il petto e fissò la porta del bagno, facendomi intuire cosa le stesse passando per la testa.

"Dai, fila a cambiarti in bagno, disgraziata", concessi infine son un sospiro esausto, seguendo il suo delizioso culetto quando zampettò via di corsa.

 Riapparve dopo pochi attimi con indosso la mia maglia. Con solo la mia maglia.

E quello fu l'inizio della fine. 

Mi imposi di non guardarla, anche se mi era bastato quel rapido sguardo per farle un'intera radiografia. Cazzo!

Lo scollo della mia maglia le cadeva lungo la spalla e il tessuto leggero lasciava intravedere l'elastico delle mutandine che le arrivavano quasi all'ombelico. L'orlo le arrivava a metà coscia, lasciando in bella mostra due gambe talmente lunghe che se avessi voluto lasciarvi scorrere sopra il mio sguardo avrei impiegato un giorno intero. 

"Eh no, cazzo", ringhiai, sollevandomi di scatto dal letto e tornando all'armadio. Rovistai tra alcuni vecchi indumenti che non utilizzavo più fino a trovare la maglia più lunga che avessi. Mi voltai di scatto e avanzai verso di lei, puntandole gli occhi.

Dovevo guardarle gli occhi, cristo. Gli occhi. Solo gli occhi. E non è che così mi eccitasse molto meno.

"Cambiati", ordinai con un tono più duro di quanto in realtà volessi.

Lei si accigliò, guardandosi. "Ho messo la maglia che mi hai detto di mettere. Perché devo cambiarmi?".

"Perché se rimani così scoperta ti garantisco che non arriverai vergine a domani mattina".

Lei boccheggiò e istintivamente cercò di tirare su lo scollo della maglietta per coprirsi la spalla, inconsapevole che così non faceva altro che accorciare ancora di più l'orlo che a stento ormai le copriva le natiche. Che cazzo, però!

"Becky, stai peggiorando le cose", abbassai lo sguardo sulle sue cosce e lo lasciai lì, cercando di avvertirla senza per forza lasciarle intendere che stavo per sbatterla contro la parete più vicina. 

"Scusa", balbettò in imbarazzo. E la seconda maglietta che stringeva al petto a mo' di scudo le cascò ai piedi.

Mi accucciai istintivamente a raccoglierla e...

Un altro pungo allo stomaco. Il respiro mi restò incastrato in gola e dovetti deglutire un paio di volte mentre mi risollevavo con una lentezza snervante. O forse era la mia mente ad andare al rallentatore. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Dai piedi nudi, dalle caviglie sottili, dal polpaccio che si allungava esile verso il ginocchio. E poi ancora più su, verso la coscia che si tuffava sotto la stoffa. Sull'elastico delle mutandine che, Dio, avrei dato un occhio per scoprire di che colore fossero. Era da lasciare a bocca aperta!

"Vai a cambiarti. Adesso possibilmente. O sarò io a dovermi scusare con te", gracchiai, riconsegnandole la maglietta.

La vidi scomparire di nuovo oltre la porta del bagno e nervoso mi passai le mani tra i capelli più volte, come se questo gesto potesse evitarmi di prendere a pugni qualcosa. Dovevo calmarmi. Ce la potevo fare.  

Cristo santo! E non eravamo ancora stesi a letto insieme. Se reagivo così per così poco come avrei fatto a resisterle accanto l'intera notte?

Alla fine il pugno mi scappò. Affondai con le nocchie dentro l'anta dell'armadio come se fosse fatta di burro. Non mi ero praticamente reso conto di aver colpito qualcosa finché non sentii i pezzi di legno scivolare a terra.

Dio che situazione di merda!

La porta del bagno tornò ad aprirsi e Becky fece qualche passo per la stanza, stupendosi di ritrovarmi in piedi accanto all'armadio. Mi fissò, fissò l'anta, quindi fissò nuovamente me e dopo un attimo si sedette sul bordo del letto. Paradossalmente il suo silenzio mi agitava ancora di più delle sue parole.

Aveva un caratteraccio e il più delle volte che apriva bocca era per sentenziare qualcosa o per buttarmi addosso qualche imprecazione, ma almeno finché parlava riuscivo in qualche modo a capire cosa pensasse. Erano pensieri che mi facevano girare le palle, okay, ma era pur sempre meglio di non sapere.

"Vado a prendermi dell'acqua. Ne vuoi anche tu?", domandai. Non avevo sete. Avevo solo bisogno di sentire la sua voce.

"No, grazie".

"Torno subito".

Uscii in cucina e riempii un bicchiere fino all'orlo, ne presi un sorso e lo gettai nel lavello, accanto al bicchiere che poco prima Dimitri aveva lasciato lì. Quando rientrai trovai Becky sotto le coperte, raggomitolata sul lato destro del materasso, talmente vicino al bordo che le ginocchia spuntavano fuori dallo scheletro del letto. 

Mi accovacciai accanto a lei e restai a fissarla finché si decise ad aprire gli occhi e piantarli nei miei. Erano lucidi, segno che le lacrime erano già tutte lì, pronte ad uscire.

"Ehi...", mormorai dolce.


Girò lo sguardo verso il cuscino ed io mi ritrovai a sporgermi un po' di più sopra di lei. "Che succede?".

"Niente".

Sì, certo. "Guardami Becky".

Alzò gli occhi al cielo come a voler trattenere le lacrime. Madonna se era brava a farmi sentire una merda!

"Pensi che voglia farti qualcosa che non vuoi?", tirai ad indovinare.

Si asciugò il naso con l'indice e in un misto tra paura e timidezza mi schioccò un'occhiata che, lo giuro, avrebbero potuto stendere al suolo un intero branco di licantropi. Era illegale possedere degli occhi così belli.

"Non lo so... forse... non lo so", rispose con quella sua vocina. 

Quando non era armata di rabbia e testardaggine, diventava una delle femmine più indifese su cui avessi posato gli occhi. Questo dualismo mi spiazzava a tal punto da non sapere più se con lei preferivo fare la guerra a parole o fare l'amore con gli occhi. 

"Cosa accadrà stanotte?", chiese a mezza voce.

Le accarezzai il polso, piano, evitando di muovermi troppo velocemente per metterle di prevedere ogni mio gesto. "Non ho intenzione di violentarti, piccola mia. Non ti farei mai una cosa del genere. Come puoi pensare una cosa del genere? Come puoi anche solo immaginarmi capace di compiere una brutalità simile sulla mia compagna?".

"Ma io non lo sono", sottolineò.

"E' vero, ma dentro di me lo sei. In ogni parte del mio cervello c'è tatuato il tuo nome, il tuo volto, il tuo stesso respiro". Le accarezzai la guancia, scostandole dagli occhi un ciuffo di capelli, e finalmente i suoi occhioni tornarono a incastrarsi con i miei. "L'imprinting è una cosa seria, Becky". 

"E' amore?".

"No", sorrisi triste. "No, piccola, non è amore".

"E allora cos'è?".

"E' un inno alla vita. E' la rinascita, o la morte a seconda dei casi. E' ciò che regola le nostre vite e ne determina l'esistenza".

"Mi spieghi cosa si prova?".

Scrollai la testa e sorrisi ancora, affascinato dalla sua innocenza. Come potevo spiegarle una cosa che noi stessi ancora non riuscivamo a comprendere?

"Fammi spazio, ti va?", chiesi, sollevando la coperta.

Becky strisciò indietro e si strinse le ginocchia al petto, seguendo ogni mio movimento mentre mi stendevo di lato, posando la tempia contro il palmo della mano e sovrastando il suo volto per non perdere di vista nessuna delle sue espressioni. Il fatto che metà di esse fossero cariche di rabbia o di sdegno, non significava che potessi farne a meno.

"Quindi?", mi incalzò.

"Quindi, eh?", le pizzicai il naso dispettoso. "Come siamo curiose".

"E' solo che non capisco cosa provi. A momenti sembri sul punto di volermi strangolare mentre...".

"A momenti soltanto?", polemizzai.

"Scemo" ridacchiò, poi riprese la frase che avevo interrotto: "... in altri momenti invece sembri sul punto di... non saprei... mi guardi come se fosse sempre la prima volta che mi vedi e allo stesso tempo come se mi conoscessi da una vita intera".

"E' strano, vero?".

"Un po'".

"Lo è anche per me".

"Davvero?".

Le pizzicai il fianco. "Bhe, non è che abbia l'imprinting ogni giorno con una femmina diversa".

"Ti era mai capitato prima?".

"Non funziona così. L'imprinting capita una sola volta nella vita, ed è immediato, fulmineo. Ti arriva senza che tu possa evitarlo, quando meno te lo aspetti, e non c'è niente che puoi fare per eliminarlo".

"Come ti accorgi di averlo avuto?".

"Muori".

Balzò seduta e si incurvò in avanti per osservarmi da vicino. I capelli le penzolarono oltre le spalle e una ciocca mi solleticò la punta del naso, invadendolo con il suo profumo. Ma lo faceva a posta santo Dio?

"No, respiri", mi contraddisse, tornando a sdraiarsi e lasciandomi un minimo di tregua. Tregua per modo di dire dato che avevo le narici in fiamme e un'erezione costante da mezz'ora. Se fossi arrivato vivo fino alla mattina seguente avrei preteso una medaglia al valore.

"Era una metafora, piccolo mucchietto di ossa". Le sistemai meglio la coperta in modo che la coprisse fino al collo. Va bene che stavo dimostrando di possedere un autocontrollo talmente elevato che avrebbero potuto analizzarlo per dei test psicologici, di quelli che ti fanno per vedere che reazioni puoi avere quando sei sotto pressione, ma non significava che  volessi per forza mettere il culo nelle pedate. "Intendevo morto dentro".

"Ma è una cosa bruttissima", annaspò.

"No che non lo è. Semplicemente tutto quello che eri prima svanisce, ogni cosa provata fino a quel momento perde di significato. Qualsiasi ricordo sembra quasi appartenere ad una vita passata, talmente lontana da apparire sbiadito e insignificante, simile ad un sogno che ricordi solo vagamente di aver fatto. La stessa vita non ha più alcun senso. Ogni parte di noi implode, lasciando spazio per nuovi ricordi, perché solo la nostra compagna ha diritto di crearne di nuovi. Il nostro cuore smette di emozionarsi per qualsiasi cosa, per lasciare spazio solo alle emozioni che la nostra compagna vuole darci. Ci svuotiamo. Completamente. Solo per lei. Per lasciare spazio solo a lei. Perché solo lei ha diritto di esistere in noi".

Una lacrima le scivolò lungo la guancia e mi affrettai a cancellarla con il dorso della mano. "La tua riserva di lacrime è preoccupante. Perché piangi, ora?".

"Non lo so".

"Becky", la rimproverai bonario.

"E' solo che, non immaginavo... insomma, non pensavo di farti questo effetto".

Mi sfuggì un sorrisetto malizioso. "Se è per quello me ne fai anche molti altri".

Abbassò lo sguardo.

"Eh, no, piccola codarda", le acciuffai il mento, costringendola a volgere il capo verso di me. "Voglio che mi guardi quando ti dico che ti voglio".

"Smettila", ansimò.

"Perché sai che ti voglio, sai che vorrei toglierti di dosso le coperte e farti allargare le gambe sotto di me".

"Deniel!", disse più forte, cercando di liberarsi il mento dalla mia stretta. 

Rafforzai la presa. "Deniel, cosa? Deniel basta? Deniel vai avanti? Cos'è che non vuoi sentirti dire? Che ogni volta che ti guardo immagino migliaia di modi per farti gridare? Che ogni sguardo che mi rivolgi è un aperto invito a prenderti? E' questo che non vuoi sentirti dire?".

Strizzò le palpebre e gettò indietro la testa di scatto, sfuggendo alle mie dita. I nostri occhi si intrecciarono in una battaglia che lei aveva già perso in partenza. I suoi brillavano di rabbia, i miei di frenesia. Il profumo di gelsomino si sollevò dalla sua pelle, troppo lieve per sperare ci fosse una sola possibilità che lei si rendesse che dentro il suo corpo stava montando l'eccitazione, ma abbastanza forte per mandarmi in confusione il cervello.

"Non potrai evitarlo per sempre", l'avvertii.

"Evitare cosa?".

"Di ammetterlo, Becky. Di ammettere che anche tu mi vuoi. Che ci basta guardarci per più di tre secondi per...".

"No!", negò risoluta.

Annusai l'aria e una smorfia soddisfatta mi fece incurvare le labbra quando percepii i vari profumi soccombere del tutto all'aroma di gelsomino. "Non potrai evitarlo per sempre", mormorai a bassa voce.

"Io non devo ammettere niente".

Tirai su ancora col naso. "Va bene".

"Parlo sul serio".

La osservai di sbieco e mi sistemai sul materasso per l'effetto immediato che sentii in mezzo alle gambe. Il suo sguardo arrabbiato mi eccitava come un dannato. Più mi faceva incazzare, più desideravo di farla gemere. Come cazzo era possibile?

"Come no?!", finsi di darle ragione. Dai incazzati! 

"Sei soltanto un presuntuoso che crede che basti avere due muscoli qua e la per far cadere tutte ai tuoi piedi. Beh, ti è andata male con me. Spero che il tuo orgoglio sopravviva dopo che lo avrò sepolto sotto centinaia di strati di vergogna. Morirà soffocato".

Con uno scatto di reni le balzai sopra, piantando i gomiti sul materasso a lato del suo volto per non pesarle addosso. 

"Vai avanti, forza!, ringhiai a un palmo dalla sua faccia. "Dammi un'altra ragione per tapparti quella boccaccia!".

Mi piantò i suoi piccoli palmi sul torace, cercando di sollevarmi. "Levati".

"No".

"Io ti odio", urlò.

"E allora, dannazioe, fammi vedere quanto".

L'attimo successivo mi avventai sulle sue labbra, strappandole l'ossigeno che a me, senza di lei, ormai mancava completamente.









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