Deniel - L'odore di una vergine

La cameriera si avvicinò ancheggiando tra i vari tavolini della veranda, trasportando abilmente con una mano sola un vassoio d'acciaio. Un hamburger senza cipolle e un hot dog con formaggio alle erbe vennero posizionati accanto ai nostri calici di birra.

"Serve altro, signori?".

"A posto", la congedai frettoloso, senza degnarla di un'occhiata.

Alle sue spalle, oltre lo steccato dipinto a mano che cingeva la piccola veranda, le auto sfrecciavano veloci zigzagando tra i pedoni che si affrettavano nei bar vicini per la pausa pranzo.

Tremavo di impazienza mentre aspettavo che questa cameriera sistemasse con voluta lentezza il taccuino delle ordinazioni nella tasca del grembiule. Sapevo cosa stava cercando di fare: voleva attirare l'attenzione su uno di noi due. Madonna Santa che due palle!

Le donne umane ci trovavano irresistibili, fiutavano il pericolo che emanavamo e ne venivano attratte, affascinante dall'adrenalinica consapevolezza di poter essere toccate da noi in modi che si dissociavano completamente dall'amore. Inoltre la nostra esigenza di rinnovamento cellulare era la miccia che accendeva la loro eccitazione. Ci bastava uno sguardo languido, un lieve sfioramento del braccio, e loro si sarebbero donate a noi senza tante cerimonie. Era una questione di chimica, che poco spazio lasciava alle fantasie romantiche. Semplice chimica, necessaria unicamente al mantenimento della nostra specie.

Solo che io non avevo tempo per queste cazzate. Il pensiero dell'imprinting mi stava mandando fuori di testa e per quanto mi stessi rifiutando di accettare la cosa, quella ragazzina umana restava un chiodo fisso, un tormento. E per la miseria se mi dava fastidio questa cosa.

Non potevo permettermi un simile problema. La mia vita doveva seguire uno schema prestabilito al cui primo posto c'era la sicurezza del mio branco. Non potevo mandare tutto a puttane prendendomi per compagna un'umana. Non potevo permettermelo. 

Avrei potuto uscire con lei qualche volta, prendermi la sua eccitazione, magari ritagliarmi persino cinque minuti per bere qualcosa con lei in uno di quei tanti bar che amava frequentare Dimitri. Di certo non avrei potuto gettarla nella mia vita e nel mio mondo. Sarebbe diventata una limitazione per me, un maledettissimo bastone tra le ruote. Era troppo fragile, troppo umana. Non aveva né la forza fisica né psicologica per poter diventare la Regina del mio branco. Non ero nemmeno certo se, in quanto umana, potesse per legge farlo.

Inoltre tutta la mia esistenza si fondava sul pericolo e sulle lotte territoriali che spesso mi vedevano sul campo insieme ai miei Beta in uno scontro tra branchi ostili. Averla accanto a me mi avrebbe senza ombra di dubbio portato a prendere decisioni diverse, che non la coinvolgessero più del dovuto, e la sicurezza del branco avrebbe vacillato.

E non potevo permetterlo. Anzi, non volevo.

Infondo l'avevo vista solo qualche minuto, non avevo ancora alcun legame. Non me ne fregava niente di lei!

 "Vuoi che ti dica cosa so su di lei?", attaccò Dimitri

"Ogni cosa", risposi di getto.

Ma che cazzo! Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!

"Si chiama Becky Hower, ventidue anni, nata e cresciuta qui i Minnesota", sprofondò la mano nella tasca interna della giacca del completo grigio scuro e ne estrasse un biglietto di carta rigida. "Qui c'è segnato il suo indirizzo".

Afferrai il biglietto e lo nascosi nella tasca anteriore dei jeans. "Data di nascita?".

"Ventidue luglio".

"Vai avanti", incalzai, afferrando il boccale di birra. Perché era vergine a ventidue anni?

"E' molto legata a due dipendenti, Jenny della contabilità e Connor della grafica".

Il boccale si frantumò nella mia mano e quel poco di birra che era rimasta schizzò sul tavolino.

"Stai calmo, Deniel", c'era una nota di rimprovero nella voce di Dimitri.

Ci guardammo attorno per accertarci di non aver attirato l'attenzione degli altri avventori e con irritazione percepii il profumo della cameriera prima ancora di vederla. Stava già puntando il nostro tavolo con una pezza tra le mani. No, dai, per davvero... come faceva a non accorgersi del mio vaffanculo scritto in fronte?

"Te la vuoi scopare, per favore?", sbottai.

Dimitri strabuzzò gli occhi, senza capire. "Ma di chi parli?".

"Della cameriera che sta tornando al nostro tavolo. Ho bisogno che me la levi dalle palle o non riuscirò ad avere una conversazione con te degna di essere chiamata tale".

Dimitri si massaggiò la mascella squadrata con aria sfinita. "Che palle". 

"Fammi questa cortesia o le strappo la giugulare".

Ruotò gli occhi e appena lei si accostò al nostro tavolo, di mala voglia impostò le labbra in un sorriso tentatore.

"Che stretta poderosa", commentò la cameriera, indicando i frammenti del bicchiere. "Giornata storta?".

"Non sai quanto", borbottai.

"Posso fare qualcosa per migliorarla?", cinguettò seducente. Per esserlo lo era per davvero. Ma era vero anche il mio vaffanculo che non riusciva a captare.

Fissai annoiato Dimitri, in attesa che intervenisse.

"Sono certo di poter essere io a migliorare la tua", le disse Dimitri.

L'attenzione della donna si calamitò su mio fratello. "E come?".

"Te lo spiegherò tra trenta minuti nel retro di questo pub". Si bloccò, pensando a qualcosa. "Avete un retro, sì?".

"Ovviamente", ridacchiò.

"Fatti trovare lì. Ed ora, per favore amore, ho bisogno di parlare con mio fratello, quindi non disturbarci più, intesi? Qualunque cosa accada non tornare a questo tavolo".

La cameriera piantò i pugni sui fianchi, offesa, ma bastò un bacio mimato dalle labbra di Dimitri per liquefarla completamente. Ero quasi spaventato di vederla scivolare a terra e stupidamente mi tenni pronto per afferrarla al volo. 

"A tra poco, amore", la congedò.

La donna sussultò e posò una mano al centro del petto. Il battito cardiaco era accelerato, lo potevo percepire chiaramente a questa distanza e a questo livello di intensa frustrazione. Il nostro udito funzionava in modo simile a quello degli umani a patto che non fossimo in balìa di qualche forte emozione. Poco importava se fosse rabbia o eccitazione o felicità. Ogni tipo di emozione risvegliava in noi la bestia, acuendo i nostri sensi e rendendoli simili a quelli del lupo.

"Devi riuscire a mantenere il controllo, dannazione", mi imbeccò Dimitri una volta rimasti soli. "Non puoi avere queste reazioni ogni volta che pronuncio il nome di un maschio. Non sei più in mezzo ai boschi. Le regole umane sono molto diverse da quelle del branco e non puoi biasimare quella ragazza se ha degli amici".

Digrignai i denti e con un gesto rabbioso del braccio allontanai il piatto con l'hamburger. Mi era passata la fame. Brutto segno. "In che modo posso farlo affinché sembri un incidente?".

Dimitri mi puntò un dito contro. "Non uccideremo Connor".

Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi, arrendendomi alla sua logica. Stare troppo tempo tra gli umani lo aveva rabbonito, era evidente. Simpatizzava per quella razza, parteggiava per la loro sorte, arrivando a difenderli e ostacolare di conseguenza un mio desiderio. 

Come Alpha sapevo che mi sarebbe bastato ordinargli di staccare la testa a quel maschio e Dimitri avrebbe ubbidito all'istante. Malgrado ciò mi lasciai contagiare dal suo buonsenso, cercando di captare tra i suoi ideali un percorso che mi avrebbe condotto verso una pace dei sensi che quella ragazzina aveva mandato a farsi fottere senza nemmeno aver bisogno di guardarmi negli occhi. Dio se la odiavo!

Osservai le mie mani: tremavano ancora ma l'istinto omicida stava diminuendo pian piano. La fame tornò.

"Che altro?", ripresi il discorso. "Che altro sai di lei?".

Sbirciò dentro il proprio hot dog per controllare se il formaggio fosse effettivamente alle erbe. "Lavora nel reparto pubblicitario da sei mesi. Prima di allora ha lavorato come cameriera in un fast food, come assistente in uno studio dentistico e come venditrice porta a porta di prodotti per la cosmesi. Non ha terminato gli studi per mancanza di soldi, aveva iniziato l'università ma ha abbandonato i corsi dopo pochi mesi".

"La sua famiglia non l'ha sostenuta?".

"Lo ha fatto. Suo padre e sua madre hanno fatto tripli turni per pagarle le tasse universitarie. Persino suo fratello ha lavorato per un certo periodo come addetto alla sicurezza in un liceo per poterle finanziare gli studi ma non è bastato. Non tutti hanno la fortuna di avere un budget come il nostro".

Strinsi le labbra e allungai le gambe sotto il tavolo, incrociando le caviglie. "Non si tratta di fortuna ma di senso per gli affari".

Era un complimento indiretto verso di lui, poiché era solo merito suo se la mia agenzia pubblicitaria era divenuta partners dei più importanti marchi. Io ero il braccio, lui la mente. Eravamo una squadra perfetta. Inoltre io vivevo di rendita per i diritti delle mie fotografie. La foto che avevo scattato a mio padre durante la sua mutazione era diventata il logo dell'agenzia e prima ancora era stata utilizzata come marchio di una casa cinematografica di Singapore. 

Altre mie foto avevano fatto il giro di tutto il mondo ma quella che ritraeva mio padre sotto forma di lupo aveva fatto in modo di gonfiare il mio portafogli e fornirmi dei fondi sufficienti per aprire dal nulla un'agenzia che dava lavoro a sessanta persone.

Due ragazzine con la divisa del liceo ci passarono accanto e un inebriante profumo di rose saturò l'aria in modo così inaspettato che mi sembrò di essere stato catapultato in un prato primaverile.  Arricciai il naso, massaggiandomi la fronte. Sentivo già le iridi bruciare.

"Deniel", mi chiamò urgente Dimitri. "Deniel guarda il tavolo. Abbassa lo sguardo".

Ubbidii all'istante, consapevole che le mie iridi erano diventate rosso fuoco. Con la coda dell'occhio osservai le due ragazzine allontanarsi, ignare del pericolo, quindi tornai a sbirciare verso Dimitri. Se ne stava composto sulla sua sedia, intento a sorseggiare la sua birra. La vena che gli pulsava sul collo era l'unico indizio della sua frustrazione.

"Come ci riesci a resistere?", imprecai a denti stretti.

"E' questione di abitudine. Nel mondo umano funziona così: le ragazze perdono la verginità molto tardi". Si scolò un sorso di birra e scosse la testa, pensando a qualcosa che però non condivise con me. "I primi tempi sono stati duri. Prima ti abitui al loro odore e meglio è, o rischierai di sfiorare la pazzia".

"Quanto duri?", indagai.

Guardò di lato, sviando il mio sguardo benché non lo stessi osservando intensamente. Tenevo ancora le palpebre socchiuse per timore che le mie iridi non fossero tornate nere. 

"Ho quasi ucciso una ragazza". Si massaggiò la mascella, lasciandosi cadere indietro sullo schienale della sedia. Lo sguardo erano lontano, perso dietro a dei ricordi spiacevoli. "Una sera. E' bastata una sera. Ero nel mondo umano da pochi giorni e ingenuamente avevo deciso di fare una corsa al parco. Avevo scelto di andarci di sera, quando sapevo non ci sarebbero state molte persone". 

Scosse ancora la testa e si sistemò il nodo della cravatta, allentandolo. La vena sul collo aveva smesso di pulsare. 

"Una ragazzina", sussurrò, abbassando le palpebre. Quando le riaprì le iridi brillarono di giallo ma fu solo un attimo. "Non aveva nemmeno quattordici anni. Se ne stava seduta su una panchina da sola, un cappellino da football calcato in testa e un bicchiere di pepsy in bilico sulle ginocchia nude. Mi sono avvicinato troppo e il profumo della sua verginità mi ha colto alla sprovvista. In un attimo mi sono avventato su di lei e...".

Si bloccò, studiandomi attentamente. Capii dal suo sguardo spento che quel ricordo doveva farlo stare ancora male. Eppure si trattava di una semplice umana. Come poteva nutrire questo enorme senso di colpa?

"L'hai posseduta?", chiesi.

Acciuffò il boccale di birra e lo fece oscillare, fissando la schiuma che rimaneva attaccata ai bordi prima di assorbirsi lentamente. "Sono riuscito a fermarmi in tempo. L'ho trascinata di peso dietro ad un gruppo di alberi e quando l'ho sbattuta contro il tronco ha urtato la testa ed è svenuta. E' stato a quel punto che coi denti le ho strappato i vestiti di dosso". Chiuse gli occhi ancora e il bicchiere per poco non si rovesciò. "Cristo Santo! Profumava di rose come un prato fiorito. Le mie cellule aveva il disperato bisogno di una ricarica di sesso e il suo odore di vergine era ipnotico". 

"Come hai fatto a trattenerti? Va contro la nostra natura".

"Non mi sono trattenuto. La trasformazione era già in atto. I miei artigli erano spuntati tutti e dieci di colpo e ho cominciato ad accarezzarla, tagliuzzando inevitabilmente la sua carne fresca. C'era sangue ovunque. Poi grazie a Dio è intervenuto il guardiano notturno. Ci ha puntato contro la torcia ma sono riuscito a scappare in tempo, prima che potesse rendersi conto di ciò che ero. Il sergente Malloj mi ha fatto una bella lavata di capo il giorno dopo".

Pensai al vecchio compagno di mio nonno e ringraziai il cielo che fosse dalla nostra. Il suo aiuto era prezioso, un muro invisibile che teneva separati licantropi e umani. Conoscendo mio nonno da una vita, Malloj sapeva alla perfezione di cosa eravamo capaci e di quanto poco autocontrollo avessimo nella sfera sessuale, soprattutto nel periodo del calore. 

Era quasi impossibile per noi tenere a bada il lupo durante quel periodo e solo una femmina di licantropo poteva sopportare i nostri istinti bestiali.

"I giornali ne hanno parlato per settimane. La polizia cercava un aggressore armato di coltelli e per tutto il tempo hanno instaurato un coprifuoco. E' stato sempre grazie all'intervento del sergente Malloj se il caso è stato archiviato".

"Cristo, Dimitri! Pensi davvero che gli sbirri sorvoleranno su una ragazzina lasciata a morire dissanguata in un parco?".

"Il sergente Malloj mi ha garantito che questo caso è stato spostato tra quelli irrisolti".

Piegai la testa di lato, facendo schioccare i tendini del collo. "Voglio che tu ti dia una calmata con le puttane, o per lo meno vedi di non lasciare tracce in giro dopo che hai finito".

Dimitri si sporse in avanti, posando gli avambracci sul tavolino. "Non sono più stato con una vergine. Non mi ci sono nemmeno più avvicinato. Annusami. Sto dicando la verità".

Ispirai a fondo. Sentii l'odore della vergogna e del senso di colpa. Una spruzzata di profumo acre mi invase le narici come se qualcuno mi avesse spruzzato addosso del deodorante. Non vi era traccia di menzogna né di qualche sotterfugio.

"Hai più rivisto la ragazzina?".

Scosse la testa. "No, per fortuna. Ho solo letto sui giornali che è stata in ospedale per dieci giorni. Quando poi ebbi la certezza che era fuori pericolo ho cercato di togliermela dalla testa. Le sono debitore comunque".

"Per quale ragione?".

"E' stato grazie a lei se sono riuscito ad abituarmi al profumo alle rose delle vergini. Ogni volta che lo sento ricordo ciò che ho fatto".

"E' un buon palliativo per resistere", concordai.

"Se non altro, la paura di aver messo in serio pericolo la segretezza dell'intero branco è stato e continua ad essere un buon pretesto per tenere l'uccello nei pantaloni".

"Perché non me ne hai mai parlato?".

Di nuovo sviò lo sguardo. "Non volevo metterti a conoscenza delle mie debolezze".

"Sai che puoi parlarmi di tutto".

Annuì, distratto di colpo da qualcosa oltre le mie spalle. "Stai attento. Si sta avvicinando un'altra ragazzina".

Feci schioccare due volte la lingua sul palato. "Anche io ho un palliativo".

"Sarebbe?".

La ragazzina ci passò accanto talmente vicino che la sua tracolla mi sfiorò il gomito. Lo ritrassi e lasciai vagare gli occhi sul piccolo fondoschiena fasciato da dei pantaloncini corti. Ancheggiava in un naturale movimento ondulatorio, senza ostentare alcuna malizia. 

"Beh", sospirai, ruotando gli occhi seccato. "Diciamo che è un palliativo in versione mini cui cui ho avuto inspiegabilmente l'imprinting".

"Come te lo spieghi?"

"Non me lo spiego".

"Dovresti informare tuo padre. Forse qualcosa di simile è già successo in passato".

La rabbia mi vinse di nuovo, gonfiandomi i muscoli del petto. "Non la prenderà bene".

"Potrebbe importargli di più che non morirai entro pochi mesi. Sei stato così concentrato e impegnato ad allenare le nuove leve da dimenticarti completamente dei tuoi doveri di Alpha".

Sollevai gli occhi di scatto. "Bada a come parli".

"Deniel!", calmò il tono, posando la mano sopra la mia. "Sai meglio di me che un Alpha senza compagna è destinato a morire al compimento dei suoi trent'anni. Perché hai aspettato tanto a cercartene una?".

"Ero impegnato con le nuove leve".

"Questo lo abbiamo già detto".

Arricciai il naso, soccombendo alla sua logica. "Ne avevo timore. Temevo mi avrebbe distratto in questo momento così delicato".

"Oh, lo farà! Lo farà eccome. Ma ti ricordo che un branco senza il proprio Alpha è destinato a soccombere. Becky è la tua e la nostra salvezza e prego il Signore che sarà abbastanza forte per sopportare tutto questo".

"Un'umana con un licantropo?", scoppiai a ridere, amaro. Disperato. "Il nostro incontro è stata la sua condanna a morte. Il tempo, inoltre, ci è nemico. Dannazione!", sbattei un pugno sul tavolino e i piatti vibrarono. "Se solo non l'avessi incontrata nel periodo del calore".

Dimitri mi annusò. "Ci sei dentro fino al collo. Il tuo calore... e il suo odore di vergine...".

"Dovrei starle alla larga", dissi insensatamente. Primo perché era impossibile che un licantropo rinunciasse alla propria compagna, secondo perché rinunciare a lei significava la disfatta dell'intero branco.

"Dovresti, sì", concordò. Il sopracciglio destro sollevato, come a sottolineare la ridicolezza di queste parole. "Ma dato che sappiamo benissimo che non lo potrai fare, come credi di riuscire a farla tua senza che si opponga?".

Unii le mani in preghiera e le posai contro la fronte, cercando di oppormi al senso di disperazione che teneva in ostaggio la mia lucidità. Dovevo escogitare un piano, e alla svelta. 

"Per il momento cercherò di usare le tattiche umane, giusto per abituarla alla mia presenza", buttai lì. "Perciò cerca di dirmi quanto altro sai su di lei. Gusti musicali, hobby, preferenze...".

"Adora le orchidee".

"Un buon fioraio dove lo trovo?".

"A due isolati da qui. Ti basterà fare una telefonata. Mmm... che altro?". Tamburellò il dito contro il mento, pensandoci su. "Le piacciono i film fantasy".

"Ma per favore!", brontolai. "Quei dannati film le avranno fatto il lavaggio del cervello. Impiegherò secoli a farle capire che i licantropi nella realtà sono completamente diversi da quello che si legge nei libri o si vede alla televisione".

"Impiegherai parte di quei secoli anche a farle credere che esistono nella realtà".

Sbuffai e con un cenno della mano lo invitai a proseguire.

"Veste con abiti pochi costosi". 

"A questo posso rimediare".

"La sera resta quasi sempre in casa e quelle poche volte che esce si incontra con Jenny. Le piace molto camminare in montagna e non sopporta la città e il traffico".

"Altro?", mi scaldai. Perché doveva parlare a rate?

"Direi che è anche tanto. Ti ricordo che sono il suo capo e non suo fratello. Non è che la mattina si sveglia e venga dritta da me a raccontarmi i fatti suoi".

Estrassi una banconota dal portafoglio e la lanciai sopra il piatto vuoto. Quindi ne estrassi un'altra e la porsi a Dimitri. "Dagliela alla cameriera dopo che te la sarai scopata nel retro. Con i miei omaggi".

"Che infame", scoppiò a ridere, sollevandosi dalla sedia e facendo cenno alla ragazza in questione di aspettarlo.

"Questo ristorante mi piace e voglio tornarci. Quindi vedi di lasciarle un bel ricordo, se capisci cosa intendo".

Acciuffai la mia giacca dallo schienale e infilai una manica.

"Ah! Questa devi proprio saperla", scoppiò a ridere.

Mi voltai verso di lui, ritrovandolo al mio fianco. La sua mano scattò contro la mia spalla, colpendola un paio di volte con fare consolatorio. 

"Ha paura dei cani".

"Ma porca puttana!", sbottai, dandogli un pugno scherzoso allo stomaco. 





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