Deniel - furia

Incastrai il telefono tra la spalla e l'orecchio in modo da avere entrambe le mani libere e mi chinai per sistemare la pedana al centro dei campi di allenamento. Alcune leve avevano divelto le assi sul perimetro e andavano riposizionate prima che qualcuno potesse farsi male.

"Ehi Deniel!". Carl mi allungò il martello. "Che ne pensi di iniziare gli allenamenti nel bosco?".

"Mmm". Figuriamoci se quella ragazzina non doveva crearmi problemi anche oggi! Quella lì prima o poi mi avrebbe fatto uscire di testa. Poco ma sicuro! 

"A mio avviso le leve hanno raggiunto un ottimo livello".

"Mmm". E quanto cazzo ci metteva Dimitri a rispondere?

"Perciò insieme a Vincent abbiamo considerato di farle immedesimare in un vero campo di battaglia. Potrebbe tornare utile. Se tu sei d'accordo si intende".

"Mmm". Ma porca puttana! Cioè, sul serio, cosa c'era di così difficile dal pigiare il tasto di risposta? Lo poteva fare persino mio nonno che a stento sapeva distinguere un fottutissimo telefono dagli auricolari per l'ipod.

"E poi con l'arrivo imminente della guerra direi di accelerare i tempi di addestramento".

"Mmmm".

"Deniel? Mi stai ascoltando?".

Giuro che se non avesse risposto nel giro massimo di tre secondi glielo avrei ficcato sul per il culo quel cellulare!.

"Deniel!"

Mi sentii chiamare e sollevai la testa, infastidito. Trovai il volto di Carl a una spanna dal mio. Che cazzo voleva adesso? Non lo vedeva che ero al telefono? Il fatto che stessi avendo una conversazione muta con il trillo degli squilli a vuoto era irrilevante.

"Ciao", lo salutai, sforzandomi di apparire cordiale. "Che ci fai qui?".

Ah, no! Mi aveva passato il martello, perciò doveva essere qui già da un po'. Ma che cazzo me ne fregava poi...

"Sul serio?", sbottò, infastidito da qualcosa. "Me lo hai chiesto sul serio?".

Qual era il suo problema adesso? "E tu sul serio non mi hai risposto?".

"E' da un minuto buono che ti sto parlando".

Ah sì? Mi sfilai il cellulare da sotto l'orecchio e glielo dondolai davanti al naso con fare ovvio prima di far ripartire la chiamata.

Questa volta Dimitri rispose quasi subito. "Ehi fratello".

"Fratello un cazzo. Perché non mi hai risposto?".

"Deniel?", mi chiamò Carl.

Ma che cazzo voleva ancora? Lo fulminai con lo sguardo, facendo in modo che le miei iridi brillassero di rosso in un chiaro segnale di Alpha. "Sono impegnato, non lo vedi?", ringhiai.

Istintivamente Carl abbassò lo sguardo e inclinò la testa di lato, porgendomi una buona porzione di collo in un muto segno di sottomissione. Solo che non era capace di stare in silenzio! Doveva proprio rompermi i coglioni fino infondo, sennò non era contento. 

"Che faccio intanto? Le porto nel bosco?", chiese umilmente.

Corrugai la fronte. "Ma di che Cristo stai parlando?".

Carl ruotò gli occhi e mi strappò il martello dalle mani. "Lascia perdere. Fai questa telefonata e ne riparliamo".

Lo fissai stranito, quindi gli voltai le spalle e tornai a Dimitri. "Fin dove è riuscita ad arrivare questa volta?".

Dimitri sospirò. Non era uno di quei sospiri metallici che di solito si sentivano gracchiare nella cornetta, e questo significava che aveva attivato il vivavoce. E significava quindi automaticamente che stava ancora correndo nel bosco. "Al fiume, quasi al confine. Ha seguito le tracce delle leve".

"E' solo un caso che lo abbia fatto".

"Perché?".

Mi sfuggì un sorriso dolce. "Perché non sa assolutamente cosa sia una traccia".

"Questa volta comunque è partita fiduciosa. Si è portata da casa un sacco con dei viveri... forse credeva di arrivare più lontano".

"Ora dov'è?".

"In camera tua e... ti avverto... dai rumori che ho sentito dopo che l'ho chiusa là dentro ho il forte sospetto che quando tornerai troverai due o tre cosette rotte".

"Due minuti e sono lì", assicurai, imboccando già il viale che da oltre il profilo seghettato della montagna si apriva sul confine più a ovest.

La sola idea che Becky fosse da sola in camera mia a fare chissà che cosa mi faceva mancare il respiro per l'ansia. Non ero preoccupato per ciò che avrebbe potuto rompere. Più che altro ero terrorizzato all'idea che, rompendo qualcosa, potesse farsi male. Volendo considerare quanto era fragile e sbadata... e incazzata!

"Deniel!".

La sera prima, dopo la riunione con i Beta, si era chiusa in uno di quei suoi classici silenzi che mi mandavano al manicomio. Per quanto le sue parole mi facessero irritare la maggior parte delle volte, il suo mutismo era capace di farmi incazzare di brutto. Perché era evidente che lo usava come scudo di protezione. Col silenzio poteva completamente estraniarmi dalla sua mente ed escludermi da ciò che provava, come se non fossi abbastanza degno per poter essere reso partecipe dei suoi sentimenti. Ma che razza di stronza!

Ce ne eravamo andati a dormire come se niente fosse, scambiandoci una buonanotte talmente fredda che probabilmente persino un orso polare avrebbe mandato a fanculo quel gelo, poi lei si era voltata di spalle, avvolgendosi nella coperta in modo che i nostri corpi non potessero sfiorarsi nemmeno per sbaglio, aveva sbadigliato un paio di volte, aveva allungato le gambe, sprimacciato il cuscino, sbadigliato di nuovo e basta. Basta!

Ma vaffanculo!

"Deniel!".

Non è che mi ero aspettato grandi dimostrazioni di affetto, ma quantomeno un'imprecazione Santo Dio! Invece niente! Le ero venuto sulla sua bella fighetta, l'avevo trascinata in una sala piena di licantropi, le avevo imposto persino l'abito da indossare e lei non aveva nemmeno speso mezzo respiro per mandarmi al diavolo. Niente! Niente di niente!

Perché cristo non mi aveva mandato a fanculo come avrebbe fatto un'altra umana qualsiasi?

Lo sapevo io il perché. Perché era una stronza, ecco perché! E che razza di stronza.

"Cristo! DENIEL!".

Mi voltai appena mi sentii chiamare: Carl stava correndo per stare al mio passo, strattonandomi per l'orlo della maglia.

"Che c'è?".

"Avevi detto che terminata la telefonata avremmo discusso di quella cosa".

Corrugala fronte, incuriosito, ma non diminuii il passo. "Quando mai ci siamo parlati io e te?".

"Deniel, stai bene?". Mi si mise davanti ma ancora non mi fermai. Così iniziò a camminare all'indietro, guardandomi attentamente in faccia. "Poco fa stavamo parlando delle leve".

"Ne stavi parlando con chi?".

"Come con chi? Con te".

Ah!

Comunque avrei dovuto aspettarmelo che la mia ragazzina avrebbe approfittato della mia assenza per tentare l'ennesima fuga. Se ne era rimasta zitta per tutta la serata e quando se ne stava zitta non c'era da aspettarsi mai nulla di buono. Nemmeno quando parlava, se era per quello. Ma almeno quando sputava sentenze era più facile per me prevedere le sue mosse.

Dio se era testarda! Quanto tempo le serviva per capire che era mia? Che non le avrei mai permesso di liberarsi di me? Non era poi così difficile da capire.

"Perciò se hai due minuti te ne sarei grato", riprese Carl. Stava ancora camminando all'indietro, rallentandomi l'andatura.

"Due minuti per cosa?".

Non faceva altro che fissarmi con i suoi occhioni pieni di astio. Con gli altri era tutta una moina e sorrisi dolci ma con me ovviamente tirava fuori il peggio di sé. Faceva l'offesa, si attaccava alla parola "rapimento". Esisteva solo quello. Tutto ciò che facevo, qualsiasi cosa, dalla più bella alla più brutta, la riportava sempre lì, al rapimento.

Cristo! Neanche l'avessi tenuta legata in catena in una cantina con pane e acqua. 

Sapevo che da qualche parte nella sua testa stava cominciando a prendere forma la convinzione che l'avevo "rapita" per proteggerla, ma ammetterlo le costava troppo sforzo. Ammetterlo le avrebbe impedito di vedermi come il villain della situazione e di conseguenza lei avrebbe perso il titolo di vittima.

Ma certo, diamo tutte le colpe a Deniel... è più facile così!

"Due minuti per parlare delle leve", scandì lentamente, Carl.

Oh, ma era ancora in mezzo ai coglioni questo qui? Non aveva niente da fare? "Non ho tempo ora".

"Che sta succedendo?".

"Niente".

"Eddai, Deniel. Non ci sei con la testa. Che succede?".

Succedeva che avevo fretta. Becky era da sola in camera mia in compagnia di pensieri sbagliati. A fomentare il suo odio per me. Ecco cosa stava succedendo.

Che poi... odiarmi... che parola grossa. Lei non mi odiava. D'accordo, l'avevo rapita. Ma lei non mi odiava. E sì, d'accordo, l'avevo praticamente gettata con la forza sul letto e mi ero toccato direttamente sopra la sua fighetta. Okay. Ma non per questo mi odiava.

O sì?

Cazzo.

"Levati", lo strattonai, spostandolo di lato. "Ho davvero fretta. Ne parleremo nel pomeriggio".

"E' Becky?", intuì.

"E' sempre Becky", ringhiai.

BECKY

Acciuffai le forbici e le infilzai nel centro dell'ennesimo maglione di Deniel, sminuzzandolo fino a che i brandelli cascarono sopra il mucchio di altri pezzi di stoffa.

Ero furibonda.

Più che furibonda.

Quando la sera prima la compagna di Carl mi aveva confidato che Deniel mi aveva rapita per proteggere la mia famiglia, avevo sentito il sangue pulsarmi nelle orecchie per la rabbia. Il rombo dell'ira aveva offuscato ogni rumore presente nella grande sala, offuscandomi persino la vista.

Lo odiavo. 

Tagliuzzai una manica e la lanciai contro la porta, accorgendomi con qualche secondo di ritardo che questa era spalancata e che il pezzo di stoffa, anziché colpire il legno massiccio aveva centrato in pieno il petto di Deniel.

Lo sguardo gli si posò lentamente sulle forbici che tenevo tra le mani, poi si spostarono con una lentezza snervante sopra i mucchi informi di vestiti che avevo gettato qua e là per la stanza. Tornarono a me e con ancor più lentezza scivolarono nuovamente contro le forbici.

"Siediti". Aveva usato il tono che la sera prima gli avevo sentito riservare ai propri Beta. Non prometteva niente di bene, perciò ingoiai la rispostaccia che avevo sulla punta della lingua e mi avvicinai alle due poltroncine che circondavano il piccolo tavolino sormontato dall'immancabile bottiglia di un alcolico che non conoscevo.

Non glielo avevo mai visto bere, eppure il livello scendeva un poco ogni giorno.

Il suo sguardo tornò su di me. Lo sguardo di un predatore che non aveva intenzione di perdermi di vista, mescolato a quello di un uomo in balìa di sentimenti totalmente umani. Difficile intuire se in quel momento il suo lupo fosse più forte del suo lato umano. Si avvicinò cauto, muovendo gli anfibi sulle assi di legno senza produrre alcun rumore, quasi stesse levitando, quindi si fermò accanto alla poltroncina di fronte alla mia e la sua grossa mano calò sullo schienale, facendo scricchiolare l'intera struttura. 

"Stanca?", indagò con una punta di ironia.

Intuii che si stava riferendo al mio tentativo di fuga e deglutii a vuoto. Quello che avevo di fronte era un Deniel diverso e che a stento riconoscevo. Non lo avevo mai visto indossare le sue vesti di Alpha con me e non sapevo quali fossero i confini verso cui potevo spingermi senza far emergere la Bestia. 

Non era la prima volta che cercavo di scappare, tuttavia questa volta ero riuscita a spingermi molto più in là, e considerando che i suoi Beta mi avevano ricondotta a casa esattamente due minuti prima che Deniel facesse ritorno, mi faceva intuire che lo avessero avvisato cronologicamente di ogni mio passo.

Il fatto che Deniel non si fosse preso la briga di venirmi a cercare o di bloccare la mia fuga, significava semplicemente che le mie possibilità di scappare da lui erano ridotte allo zero.

Deglutii ancora e lasciai vagare lo sguardo per la stanza.

"I tuoi occhi, Becky! Devono restare su di me". Il comando arrivò sotto forma di un bisbiglio e forse per questo tuonò come una minaccia.

Col cuore in gola abbassai le palpebre e le risollevai scontrandomi con le sue iridi: erano rosse. Non lo erano solo i contorni. Erano tutte rosse. Mi appiattii contro lo schienale. Merda!

"Mi... mi dispiace", blaterai. La menzogna era talmente evidente che peggiorò solo la mia situazione.

"Davvero Becky?". Fece un passo avanti, staccando la mano dallo schienale della poltroncina, e il suo petto possente riempì tutta la mia visuale. "Sai quanti Beta ti hanno dovuta seguire?".

Dovetti inclinare la testa per continuare a guardarlo in faccia. "Suppongo Dimitri".

"Dimitri è solo la punta dell'iceberg".

"Mi dispiace". Dio, forse se avessi continuato a ripeterlo sarebbe suonato più veritiero.

"Oh, ti dispiacerà, stanne certa". No! Decisamente non era suonato più veritiero.

Mi contorsi le mani sul grembo e dovetti far leva su ogni rimasuglio di coraggio per non deviare lo sguardo e disubbidire al suo ordine. "Che intenzioni hai?".

"Ti ho dovuta far seguire da quindici miei uomini e otto leve. Leve che mi servivano al campo", declinò la mia domanda. "Te lo ricordi che sta per iniziare una guerra, sì?".

Annuii e questa volta mi fu impossibile continuare a sostenere il suo sguardo. Improvvisamente entrambe le sue mani si schiantarono sul mio schienale, a lato delle mia spalle, e il suo ampio torace incombé su di me mentre si chinava in avanti fino a portare il volto ad una spanna dal mio. 

"Ho detto che mi devi guardare negli occhi", ringhiò. Un ringhio profondo, simile in tutto e per tutto a quello di un animale.

Per la paura sobbalzai e strinsi le cosce per trattenere lo stimolo di urinare. La paura aveva innescato una reazione a catena dentro di me, togliendomi il respiro ed avendo la meglio  sul meccanismo di ritenzione dell'urina della vescica. Avevo già visto Deniel arrabbiato. Lo avevo visto offeso, eccitato, ferito, allegro, protettivo. Avevo incontrato la sua Bestia e l'avevo fronteggiata fino a farla retrocedere. Ma questo Deniel era diverso. Era sconosciuto e brutale. 

Era l'Alpha.

Ed io ero profondamente stupida perché tutto ciò che riuscii a fare fu di spalancare la bocca e blaterare nuovamente un "mi dispiace".

Deniel inclinò la testa e allargò le narici, annusandomi con deliberata lentezza finché le zanne si allungarono, deformandogli l'arcata superiore della bocca. Le vidi spuntare da sotto il labbro e sgranai gli occhi, immobilizzata dal terrore, come se quella fosse la prima volta che le vedessi.

"Sei...", provai a dire ma dovetti deglutire un paio di volte per ritrovare la voce. Ci ritentai: "Sei tu? Tu o la Bestia?".

"La Bestia è feroce. Io sono premeditatamente brutale", rispose, sfiorandomi il collo con le zanne.

Bastò questo minimo sfregamento per graffiarmi la pelle e percepii alcune gocce di sangue scivolarmi lungo la clavicola. Mi si accelerò il respiro. Lo sentivo premere contro i polmoni, farli bruciare, ansimare. Esplodere in piccoli respiri veloci e simili a dei singhiozzi.

"Deniel...", masticai l'aria.

"No, piccola mia umana. Da adesso io non sono più Deniel. Da adesso sono il tuo Alpha e che tu lo voglia o meno ti sottometterai a me".

"Non volevo scappare da te", scoppiai a piangere.

"No?", sorrise, cattivo.

Una ciocca di capelli gli sfuggì dall'elastico e si scontrò contro il mio naso. Mi solleticava ma non osai muovermi per toglierla da lì.

"Volevo la mamma", singhiozzai, consapevole di essere regredita a quindicenne. 

Avrei voluto spiegargli che volevo raggiungere la mia famiglia per assicurarmi che fosse al sicuro e per rassicurarli e mostrare loro che ero viva e che stavo bene. Volevo raccontare loro tutto, sebbene mio padre fosse al corrente di dove mi trovassi e del perché Deniel mi stesse tenendo prigioniera. Volevo addirittura prenderli per mano e portarli qui, dentro i confini delle terre del branco dei Farrow, dove, ne ero certa, avrebbero corso meno rischi che starsene in città.

Non era forse quello che mi aveva sempre detto Deniel per giustificare il rapimento? Mi aveva condotta qui per assicurarsi che fossi sotto protezione ventiquattro ore, in ogni maledettissimo istate. Ma mai, nemmeno per un secondo, aveva pensato di portare qui anche la mia famiglia.

Mi ci aveva gettato lui nel suo mondo, aveva creato lui questa situazione, rischiavo la vita a causa di un imprinting che, per quanto fosse un sentimento nobile, non riuscivo e non potevo capire.

I suoi sentimenti per me non avevano messo in gioco solo la mia vita, la sua e quella del suo branco. Avevano condannato anche i miei genitori. Eppure, nemmeno per un istante aveva pensato di portarli qui. Mi aveva condotta lontano da loro -come mi aveva spiegato la compagna di Carl la sera prima- convinto di proteggerli. Ma come poteva credere che il branco nemico, quando non mi avrebbe trovata, non se la fosse presa con loro?

Non stavo scappando da lui. Stavo semplicemente andando a recuperare la mia famiglia.

Avrei voluto dirgli tutto questo, invece tra i singhiozzi riuscii semplicemente a dire: "Volevo la mamma".

Ed era la cosa più riduttiva e sciocca che avessi potuto pronunciare, a giudicare da come il rosso dei suoi occhi si accentuò, dimostrando che non aveva creduto alle mie stupide parole.

"Non fuggirai più da me", me ne diede la conferma. "E se per una qualsiasi ragione, e per qualsiasi bada che intendo propri ogni maledettissima ragione, ti allontanerai da questa casa senza di me, ti darò una punizione talmente esemplare che implorerai il tuo Dio di salvarti da me. Mi hai capito, ragazzina?".

Annuii in silenzio.

"Dillo a voce".

"Ho capito".

"Ho capito... ?".

"Ho capito... Alpha".

"Non ti voglio più vedere correre pericoli inutili, ci siamo ben intesi?".

"Sì-sì".

"Sai cosa significa per una femmina senza un marchio correre da sola per questi boschi durante la stagione degli accoppiamenti?".

"Sì".

"E questo non ti ha fermata", non era una domanda ma da come restò in attesa era evidente che si aspettava comunque una risposta.

"Essere aggredite", minimizzai con la voce così tremolante che, a differenza sua, la mia somigliò invece a una domanda in tutto e per tutto.

E la cosa non gli piacque a tal punto che sentì il bisogno di correggermi con parole cattivi e feroci: "Essere fottute, mia piccola Becky. Fottute in un modo che i tuoi innocenti occhi non hanno mai visto e la tua dolce mente non è in grado di comprendere. Fottute in un modo talmente brutale che della tua figa non rimarrebbe più niente di intatto. E' questo che stavi andando a cercare?".

Il labbro inferiore mi tremò. "No".

 "Brava, piccola mia umana. No! No è la risposta giusta. E vuoi sapere come fanno i miei Beta a non buttarti a faccia a terra e montarti come la peggiore delle puttane?".

Mi sfuggì un singhiozzo talmente forte che per un secondo vidi chiaramente la rabbia di Deniel eclissarsi. Per un attimo i lineamenti del suo volto si distesero, tornando ad essere quelli del ragazzo umano un po' burbero e dispotico e allo stesso tempo affascinante e paziente. Ma fu appunto solo un attimo.

"Sono costretti a tornare a casa e sbattere le proprie compagne, marchiandole col proprio seme più volte con l'unico desiderio di procreare e sfogare i propri istinti. Questo, va da sé, implica che nasceranno cuccioli. Tanti cuccioli". Inclinò ancora il volto conto il mio e la ciocca di capelli restò appiccicata tra le sue labbra e le mie, fungendo da barriera a quello che preannunciava trasformarsi in un bacio brutale. "Implica che ci saranno più famiglie che dovrò uccidere se deciderò di non marchiarti. Implica che ho meno uomini durante l'addestramento. Implica che la concentrazione del mio esercito va a farsi fottere. E' questo quello che vuoi, mia piccola umana?".

Scossi la testa e la ciocca si spostò ancora, mettendo a nudo le mie labbra. Erano secche, forse addirittura screpolate, e graffiarono contro quelle più umide di Deniel.

"Guarda quel letto", ringhiò, senza muoversi di un centimetro, certo che sapessi benissimo dove far scorrere il mio sguardo.

Lasciai che le mie iridi si scontrassero contro il morbido materasso che dividevo con lui ogni notte e le lasciai lì.

"Su quel letto tu aprirai le gambe per me ed io entrerò nella tua fighetta così a fondo che nulla potrà salvarti dal mio marchio. Sta a te decidere se farti sbattere in modo brutale o se al contrario farti possedere da quel briciolo di parte umana che riesco ad avere quando ti ho sotto di me. Ma lo farai, Becky...". Dallo schienale della poltroncina, le sua mani si spostarono veloci sopra le mie cosce, spalancandomi le gambe in un gesto brutale. "Tu allargherai le gambe per me. Lo farai perché finalmente ho capito che lasciarti il libero arbitrio equivale a condannarti a morte. Lo farai perché ho capito che non marchiarti è ancor più pericoloso che farlo".










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