Deniel - di nuovo al comando

"Alpha!", mi corse incontro la piccola Senna, abbandonando un catino d'acqua in mezzo al prato che divideva l'edificio generale dalle abitazioni dei Beta.

"Ciao piccoletta", allargai le braccia, in attesa che si rifugiasse nel mio abbraccio. La sua spontaneità, dovuta ai tredici anni, era contagiosa e sapeva sempre rilassarmi i nervi.

E Dio se li avevo tesi! Avevo lasciato la mia femmina a Dimitri. Mi ci era voluta tutta la mia forza di volontà per lasciarla a casa, da sola, nelle mani di un altro. Ma in quel momento non potevo certo portarmela dietro. Farla girovagare per il villaggio, sebbene sarei stato accanto a lei ogni frazione di secondo, rappresentava un pericolo che non avrei potuto gestire. 

La piccola Senna si lanciò contro il mio petto e l'impatto mi fece retrocedere di due passi. La sua forza era aumentata, valutai soddisfatto, segno che la maturazione finalmente era giunta al termine anche per lei. Era diventata a tutti gli effetti una lupa adulta e il suo seno schiacciato contro il mio torace me ne dava un'ulteriore conferma.

"Temevo non ti avrei rivisto per mesi", mormorò, posando le piccole labbra contro il mio collo.

"Senna", la rimproverai, posandole le mani sulle spalle per allontanarla di qualche centimetro. "Fai la brava".

I suoi occhi scuri e colmi di desiderio ricercarono i miei. "Sono davvero stufa dei tuoi rifiuti. Con le altre ti diverti e...".

"Senna", secondo avvertimento. "Devo davvero rispiegarti per la milionesima volta come funzionano le cose?".

"No", si imbronciò.

"E allora fai la brava", sciolsi l'abbraccio e feci un passo indietro, guardandomi attorno e passando in rassegna i volti di chi attorno a noi era intento a svolgere i propri compiti. "Hai visto Ayris?".

"Perché vuoi saperlo?", si ingelosì. La inchiodai con uno sguardo severo e le sue iridi si tinsero di giallo in un muto segno di sottomissione. "Sono un paio di giorni che se ne sta per i fatti suoi al laghetto. Suo padre è molto arrabbiato".

"Ha litigato con qualcuno?".

Si strinse nelle spalle e osservò la cima delle vette, attraversate da un piccolo falco che, da come teneva spiegale le ali, aveva appena puntato il pranzo. Nascoste tra quelle vette, il piccolo laghetto alpino a forma di cuore era tutto fuorché visibile ad occhio nudo. 

"Da quando sei tornato l'ultima volta è strana. Nervosa. Ha saltato anche i sui turni di monitoraggio". Un sorrisetto sfrontato le scoprì la lunga linea di denti. "Che punizione le darai?".

Digrignai i denti, nervoso. A quanto pare la mia assenza aveva avuto una brutta influenza su alcuni componenti del branco. "Esemplare, piccola Senna. Esemplare".

Inclinò la testa di lato, leccandosi il labbro superiore. "Anche io voglio essere punita".

"Smettila", mi spazientii, non riuscendo però a trattenere una risata. "Ti preferivo quando eri ancora una bambina tutta trecce e brufoli. Santo Dio, ma fai così anche con gli altri?".

"A volte", ammise colpevole.

"Ah, Senna Senna...", sospirai, cercando di trattenere un'altra risata quando immaginai i miei fratelli fuggire da lei per non cadere in tentazione. Se qualcuno di loro le avesse strappato la verginità, oltre a vedersela con me, avrebbero poi dovuto affrontare la rabbia del compagno di Senna. Non aveva ancora avuto l'imprinting ma era questione di giorni ormai, ne ero certo. La primavera era alle porte e il calore, per chi non era accoppiato, stava cominciando a diventare particolarmente doloroso.

Istintivamente ripensai alla bocca di Becky, premuta contro la mia mentre le stavo rubando un bacio. Cazzo! Eccome se stava diventando particolarmente doloroso.

Divaricai le gambe per alleviare la tensione al basso ventre e tornai a concentrarmi su Senna. Mi sarei concentrato anche su una cazzo di lucertola se questo fosse servito a togliermi quella piccola umana dalla testa. Non avevo grandi pretese Cristo di un Dio! Mi sarei accontentato di non pensarla anche per cinque miseri secondi. Mica chiedevo la luna!

E invece no! Lei era sempre lì, a tormentarmi anche senza essere presente. Poco prima, aveva addirittura tentato di stringermi la mano, dalla stronza che era! Io mi disperavo, pensavo e ripensavo ad ogni momento trascorso con lei, anche il momento più di merda, e lei invece che faceva? Mi dava la mano! E non perché lo volesse. Mi dava la mano perché gli facevo pena.

Ma si può essere più stronze di così?

"Alpha!". Senna mi sventolò la mano davanti al viso. "Mi stai ascoltando?".

"Certo". Figuriamoci se un Alpha si distrae!

"Quindi perché?".

"Perchè cosa?".

"Lo vedi", sbatté un piede a terra. Era adulta ma certi atteggiamenti fanciulleschi non era ancora riuscita a strapparseli di dosso. Che tenerezza! "Non mi hai ascoltata".

"Dai su", le scompigliai la frangia. "Che mi avevi chiesto?".

"Ti ho chiesto se questa volta resterai più a lungo".

"Sì, sono qui per restare. Stasera terrò una riunione con i Beta, spiegherò loro qualche cosa e se andrà tutto come voglio domani potrai venire a trovarmi a casa. Devo presentarti qualcuno".

"Chi?", si illuminò.

"Lo saprai domani".

Storse il labbro. "E' una femmina?".

"Lo saprai domani", ripetei secco, baciandole la fronte. "Devo andare da Peter, ora. E' giù ai campi?".

"Sì sì", confermò sicura.

"Allora buon pomeriggio piccola Senna".

"Non sono piccola", brontolò, gettando in fuori il petto.

Osservai le sue forme senza malizia ma con molta attenzione per valutare ancora una volta se avesse raggiunto l'apice della maturità. Era indispensabile che lo avesse fatto per trovarsi un compagno, e dato che ero io a dover dare loro il benestare, prima ancora delle rispettive famiglie, volevo essere matematicamente certo di non commettere qualche sbaglio.

"Sì Senna", la tranquillizzai, incamminandomi lungo il sentiero che portava ai campi. "Hai un bellissimo seno. Sei tutta bellissima. Il tuo compagno è un maschio fortunato".

"E se non mi reclamasse?", mi urlò dietro, la preoccupazione ben udibile nel tono.

Sollevai il braccio per salutarla. "Sarebbe un perfetto idiota".

I campi dove addestravamo le leve erano più a valle, in una stretta fenditura tra le rocce che bloccava i raggi del sole per la maggior parte delle ore pomeridiane. Quel piccolo avvallamento si era creato naturalmente milioni di anni prima dallo scioglimento dei ghiacci ma era da poco che non veniva solcato dai vari torrenti che si inspessivano durante i mesi invernali. Un altro segno più che evidente che il cambiamento climatico aveva lasciato sul nostro territorio.

Quando arrivai alla prima grotta, che segnava un percorso obbligato per addentrarsi nei campi, controllai che le leve incaricate al monitoraggio dell'ala ovest del nostro territorio fossero alla propria postazione. Il fatto che Ayris avesse disertato mi aveva fatto scattare un campanello d'allarme. Era ovviamente troppo presto per poter capire se fosse stata spinta da un capriccio o se invece avesse scelto di disubbidire a un mio ordine per farmi dispetto. Conoscendo la sua situazione ero propenso a pensare alla seconda ipotesi, ma non mi piaceva puntare il dito contro qualcuno senza averne prima le prove.

"Ehi!", andai incontro a Peter.

Peter sollevò la testa di scatto e posò il martello sopra la pedana che stava montando al centro del primo campo.

"Non ci credo!", sbottò felice, saltando giù dalla pedana con un balzo e venendomi incontro. "Sei tornato!".

Fece scontrare il palmo della mano contro il mio, in una stretta ferrea e un sorriso malizioso andò a sostituire quello felice. Mi venne da sollevare gli occhi al cielo ma riuscii a trattenermi. 

"E quindi?", cantilenò, dandomi dentro con una spallata. "Com'è?".

Quella domanda mi riportò a Becky e a quel punto mi fu davvero impossibile evitare di sollevare gli occhi. "Testarda".

"Maddai, non è possibile", sbottò in una risata. 

"Credici!", annuii, osservando la pedana. "Che stavi costruendo?".

Peter si voltò ad osservare il mio stesso punto. "Una pedana per gli allenamenti. Una sorta di ring. Ho notato che i campi di allenamento hanno spesso la pavimentazione scivolosa in questa stagione, e per certi esercizi mi serve che le leve siano ben stabili sulle proprie zampe".

Annuii pensieroso. Mi fidavo di lui. Era tra i Beta più potenti che avevo, secondo solo a Dimitri, e qualche settimana prima gli avevo assegnato il compito di affiancarmi durante l'addestramento delle leve. Quando poi era arrivato il momento di spostarmi in città gli avevo lasciato carta bianca, e a quando vedevo mi aveva preso in parola.

I suoi occhi tornarono su di me. "E com'è? Oltre a testarda?".

Sospirai e raggiunsi la pedana. A quanto pareva non sembrava voler lasciar cadere il discorso tanto facilmente. Diedi qualche colpetto all'intelaiatura per valutarne la resistenza e mi sembrò un ottimo lavoro. 

"Domani te la farò incontrare", promisi.

"Tutto bene?", indagò. "Voglio dire... noi, noi come branco intendo, siamo a posto?".

Contorsi le labbra, innervosito dalla domanda. Sapevo cosa mi stava chiedendo. Tutto il branco era a conoscenza delle due ragioni che mi avevano spinto a lasciare il villaggio per trasferirmi in città. La prima, era rinnovare gli accordi con il sergente Malloy per la delimitazione del nostro territorio, la seconda, era trovare la mia Compagna, dato che non avevo avuto l'imprinting con nessuna lupa del branco.

"Non proprio", rimasi vago.

"Che significa? Non hai avuto l'imprinting?".

"Sì", risposi secco e immediatamente lui si rilassò.

Forse era la volta buona che lasciava cadere il discorso. Così forse avrei potuto aggiornarlo sulle minacce che aveva ricevuto la famiglia di Becky. 

"Sembri preoccupato", tornò alla carica.

"Non sono preoccupato". Ero incazzato.

"Ah no?".

Feci segno di no con la testa.

"Allora cosa c'è?".

Cazzo che vizio, però!

"Niente, sono solo preoccupato".

"Questo lo avevo intuito".

Cristo! Dopo avermi rivolto venti volte la stessa domanda ci mancava solo che non lo avesse intuito.

"Sei preoccupato perché non è ancora diventata la tua compagna?", indagò.

Buttai fuori l'aria in un colpo solo, massaggiandomi le tempie.

"Oh capito il problema", intuì. Andò a sedersi sulla pedana e spostò chiodi e martello per farmi spazio. "E' lei che non ha ancora voluto accoppiarsi con te?".

"No, sono io a non volerlo. Cioè...". Ma che cazzo! "Anche lei non vuole".

Mi fissò dubbioso. Potevo quasi leggergli nel cervello e seppi cosa stava per chiedermi prima ancora che aprisse bocca. "Perché non l'hai posseduta?".

Strinsi le mani attorno al bordo della pedana e il legno si sgretolò, facendo scricchiolare l'intera struttura.

Peter scoppiò a ridere. "Quindi è questo? Non l'hai posseduta perché ti fa innervosire?".

"No, no. Tu non capisci! Lei mi fa proprio girare i coglioni", sbattei un pugno su una trave e questa si staccò dal supporto, rotolando al centro del campo.

La risata di Peter aumentò. "E' davvero così testarda?".

Okay, era giunto il momento. "E' umana".

"No!", sbottò. "Cazzo! E dov'è ora?".

"A casa mia".

"Sa cosa siamo?".

"Sì".

Estrasse dalla tasca una cartina e del tabacco e iniziò a rollare. "E' un bel problema del cazzo, Alpha!".

"Puoi dirlo".

"Ed io non so se voglio conoscerla", aggiunse.

"Lo immaginavo".

"Non fraintendermi". Terminò di rollare la sigaretta e l'accese. "Ma sono almeno tre settimane che non scopo e il calore sta diventando ingestibile".

Ripensai a Senna. "Ti è capitato di vedere la piccola Senna?".

"Non nelle ultime settimane. Sono praticamente rimasto sempre qua ai campi".

"Eh!", sorrisi mio malgrado. "Fossi in te andrei a darle un'occhiata".

"Ha raggiunto la maturità?".

"Oh, eccome". Allungai la mano per farmi passare la sigaretta e feci un tiro, gettando fuori il fumo lentamente. 

"E tu come farai? Con la tua compagna intendo. Non voglio mettere in dubbio una tua decisione, ma portarla proprio qui nella stagione del calore mi sembra un azzardo".

"La sua famiglia è stata minacciata", attaccai, raccontandogli poi nel dettaglio tutto ciò che era successo nell'ultimo periodo fino ad oggi. Estrassi il biglietto e glielo lessi: "Madre. Padre. Lei".

Tre parole. Nient'altro. Tre fottutissime parole. Il significato nascosto però era più pesante di un tomo di cinque chili.

"Merda!", bofonchiò Peter, con la sigaretta penzoloni tra le labbra socchiuse. Allungò la mano verso il biglietto: "Fa vedere?".

Glielo passai e preso dalla rabbia gli strappai la sigaretta dalla bocca per fare un'altra boccata. Ero teso all'inverosimile. 

Madre. Padre. Lei. Porca puttana! 

Era l'ordine cronologico con cui avrebbero massacrato la sua famiglia. Avrebbero iniziato dalla madre, poi dal padre. E infine sarebbero arrivati a lei. E quando un branco gettava nero su bianco un ordine cronologico come quello, voleva dire che aveva dato inizio alle danze e che il tempo dell'attesa era finito.

L'unico modo per salvare la sua famiglia, a quel punto, era stato portare via Becky. Nessun licantropo si sarebbe preso la briga di irrompere in una casa in cui Becky non fosse stata presente. Nessun di noi uccideva per piacere o senza un obiettivo ben preciso. Il problema era che, portandola via da lì, avevo attirato quei cinque lupi e il loro rispettivo branco qui nel villaggio.

"Sai già chi ci ha dichiarato guerra?", chiese, rigirandosi il biglietto tra le mani. Provò ad annusarlo ma l'odore di chiunque l'avesse scritto era svanito da tempo.

"No, ma ho sospetti su Ayris e sul branco di Kennet".

Quando sentì quel nome si irrigidì e il biglietto gli scivolò tra le dita, depositandosi sul mio anfibio. Lo conoscevamo tutti molto bene Kennet, anche se non ci eravamo mai scontrati né con lui né col suo branco. La sua nomea da figlio di puttana non era nata così, da un giorno all'altro, se l'era guadagnata sul campo il maledetto! Aveva creato un esercito raccattando in giro per l'America tutti i lupi solitari allontanati dai rispettivi branchi perché troppo rissosi, o perché avevano disertato, o peggio ancora a seguito dalla morte della loro compagna. Questi ultimi erano i più pericolosi. Mossi solo dalla rabbia e accecati dal dolore, riponevano la loro sorte al destino, senza curarsi di arrivare vivi fino alla luna successiva. Erano così poco legati alle loro vite che spesso venivano utilizzati per missioni suicide. Uccidevano per uccidere, vedendo nella morte del proprio avversario una distrazione al dolore, senza timore di cadere in battaglia.

Erano inferiori a noi numericamente, ma cento se non mille volte più feroci. Vivevano solo con lo scopo di allenarsi poiché nulla poteva far sperare loro in un futuro migliore e senza dubbio la loro formazione di battaglia era più strutturata di quella del mio branco.

"Ayris che centra?", chiese. Di colpo corrugò la fronte, spostando lo sguardo verso le vette della montagna. "A proposito, ha disertato un paio di sere".

"Lo so, me lo ha detto Senna". Mi alzai e mi lisciai la felpa nel punto in cui un po' di cenere si era depositata. "Ne parleremo in riunione. Ne ho indetta una per...", guardai l'orologio, "... per adesso".

Peter balzò in piedi e sistemò chiodi e martello dentro la cassetta porta attrezzi. "Sono pronto, andiamo".

Davanti all'edificio generale si era raccolto un gruppo di Beta. Se ne stavano con la schiena posata contro la parete, fumando e passandosi un paio di lattine di birra. Appena ci videro arrivare smisero di parlottare e gettarono le lattine ormai vuote nel piccolo cesto che usavamo come bidone della spazzatura.

Con un cenno del capo feci capire loro di entrare e quando anche Peter li seguì estrassi il cellulare, digitando velocemente il numero di Dimitri.

"Ehi fratello", mi rispose al secondo squillo.

"Cosa sta facendo?".

"Credo stia dormendo. Si è chiusa in camera tua e sono almeno dieci minuti che non sento più alcun rumore. Vuoi che entri a controllare?", chiese titubante.

Sì, col cazzo. "Non occorre. Se fosse scappata ogni maschio del branco ne avrebbe avvertito l'odore e gli ululati sarebbero arrivati fino in città. Non ha con sé il cellulare, vero?".

"Assolutamente no".

"Prendilo".

"Okay".

Sentii del trambusto e poi di nuovo la voce di Dimitri. "Preso".

"Vai nella schermata dei messaggi".

"Mmm".

"Che c'è?".

"C'è il blocco. Ha messo una password".

"45089", dettai. 

"Non ti fai sfuggire nulla di lei, eh?", ridacchiò. "Okay, sono dentro".

"Invia un messaggio a suo padre. E' registrato sotto il nome di Tony. Fingi di essere lei, dagli la buonanotte e rassicuralo, ma non dirgli dove siamo".

"Devo scrivere anche alla madre?".

Ci pensai su. "Meglio di no. Teniamo buono il padre per il momento".

"La riunione è iniziata?".

"Ora. Tengo il telefono vicino. Se ci sono problemi chiamami". 

Chiusi la chiamata ed entrai nella grande sala. Era molto simile a casa mia, con le travi a vista e arcate in pietra al posto dei normali telai delle porte. Una porta finestra a doppio battente faceva penetrare i raggi lunari che si infrangevano sulle panche disposte una dietro l'altra in una fila ordinata che terminava davanti ad una tavolata in legno massiccio. I cinquanta Beta erano tutti  seduti lì attorno. Mi sedetti a capo tavola e afferrai il martelletto in legno, facendolo scontrare sul bordo del tavolo per dare inizio alla riunione.

Il chiacchierio si fermò all'istante e tutti gli occhi si puntarono contro di me, in attesa.


"Ho trovato una compagna", andai dritto al punto, improvvisando l'intero discorso. A differenza delle altre volte non mi ero preparato, e a conti fatti avevo fatto una cazzata, perché ero già a corto di parole. 

Un mormorio si sollevò ma durò ben pochi istanti. Troppo pochi per permettermi di pensare a cosa dire. O meglio, come dirlo.

Mi accomodai meglio sulla sedia e allungai il braccio sullo schienale, posizionando una caviglia sopra il ginocchio. Volevo mostrarmi tranquillo ma dentro di me sentivo ribollire il sangue. Seduto accanto a me, Peter, avvertì la mia tensione e con un colpetto di tosse mi incitò a mantenere la calma.

"Ed è umana", proseguii. Fanculo, non c'era un modo delicato per dirlo.

Un altro mormorio, questa volta più acceso, rimbombò per la stanza spoglia di mobili. Sentii alcune parole scorrere veloci tra i Beta, tipo un'umana, oppure come è possibile, ed anche siamo nella merda ragazzi.

"Per questioni di sicurezza ho dovuto portarla qui, al villaggio. In questo momento è a casa mia e non le permetterò di uscire finché non avrò la certezza che voi siate pronti. Non vi metterei mai in pericolo, potete starne certi". 

"Abbiamo avvertito l'odore", si alzò una voce alla mia sinistra. Il Beta che aveva parlato aveva il volto sfregiato, un ricordo della sua penultima caccia. E lui era quello che aveva avuto la meglio.

"Difficile non avvertirlo", ridacchiò un altro.

Sentii i canini allungarsi e gli occhi bruciare, e in reazione al mio umore nero, Peter mi diede una lieve gomitata sul fianco.

"E' mia", sibilai basso, eppure il mio ringhio riecheggiò per dieci interminabili secondi, accendendo attorno a me l'oro negli occhi dei Beta che immediatamente abbassarono il capo in segno di rispetto.

"Un'altra battuta idiota su di lei e vi ritrovate a fare da concime per i vermi", parlai piano, e per questo ancora più minaccioso. Mi presi del tempo per osservare i Beta uno ad uno. "Becky, la mia compagna... come potrete ben intuire, oltre a non aver ricevuto il mio marchio non porta su di sé nemmeno il mio odore".

"Oh merda", esclamò un Beta. Era il più giovane ed aveva appena finito il periodo di leva.

"Cercherò in tutti i modi di lasciarle addosso il mio marchio", lo tranquillizzai.

"E come, mio Alpha?", si lagnò. 

Di colpo vidi nero e lo fulminai, aggrappandomi al tavolo per non rischiare di saltargli addosso.

"Calma", mormorò Peter al mio orecchio. Quindi prese la parola. "Ci sono svariati modi per lasciare addosso ad una femmina il nostro odore, non occorre necessariamente accoppiarci con lei. E' un palliativo, un odore momentaneo duraturo forse un giorno, massimo due. Ma è comunque qualcosa".

Chiusi gli occhi e trattenni il respiro, gettandolo poi fuori con un colpo secco. Di questo passo li avrei fatti fuori tutti prima ancora di entrare nel vivo della riunione. Nella mia mente stavo già progettando uno sterminio di massa. 

"Se adesso avete finito di parlare della vita sessuale della mia femmina vorrei affrontare un altro discorso", dissi a denti stretti.

Un altro Beta sollevò il braccio, chiedendomi il permesso di parlare. Sapevo già cosa stava per chiedermi perciò lo ignorai. Se avessi portato avanti quella discussione, prima o poi qualcuno di loro mi avrebbe chiesto -più che giustamente- se vi era la possibilità che decidessi di non renderla la mia compagna. E a quel punto sarei stato costretto a dire loro la decisione che avevo già preso.

E non avevo il coraggio di guardarli dritti in faccia per dire che erano spacciati. Riponevano la massima fiducia in me, le loro stesse vite erano condizionate da ogni mia decisione e non c'era un modo per dire che la vita di Becky era più importante di tutte le loro vite messe insieme.

Nessuno di loro sospettava nemmeno lontanamente che avrei messo la mia piccola umana davanti alla sicurezza del branco. Ma andare a letto con lei era pericoloso oltre ogni ragionevole dubbio e non riuscivo nemmeno ad immaginare come avrei potuto sottoporla ad un supplizio del genere.

Di colpo mi sentii un traditore. Non meritavo la fiducia che avevano riposto in me, né gli sguardi di ammirazione che, nonostante tutto, mi stavano rivolgendo. 

"Ho già avuto modo di parlare poco fa con Peter, aggiornandolo sul ciò che è accaduto in città".

"Ma perché portarla qui?", mi interruppe ancora il Beta più giovane, guadagnandosi uno spintone di rimprovero dal Beta seduto alla sua destra.

"Esci", ordinai calmo.

"Alpha, sinceramente...".

"Fuori, cazzo!", gridai.

Di colpo sembrò finalmente rendersi conto dell'errore commesso e a capo chino si alzò piano, rimettendo a posto la sedia. A parte Dimitri e Peter, nessun altro poteva interrompermi durante una riunione o prendere la parola senza attendere il proprio turno. Era una regola semplice, Cristo! Di quelle che imparavamo a memoria nei primi dieci anni di vita. Ora, come cazzo era possibile che un Beta, dopo anni e anni di allenamento, mi venisse ancora a rompere le palle durante una riunione?

Mi strofinai il viso con le mani, cercando di calmare il nervoso, ed attesi che l'ennesimo mormorio si attenuasse prima di continuare. Cazzo, avevo perso il filo del discorso! Ma si poteva essere più nervosi di così? Pensai a Becky e la rabbia crebbe. Ecco. Appunto!

"L'Alpha poco fa mi ha spiegato il motivo per cui ha portato Becky qui da noi", Peter venne in mio soccorso, fedele e abile come sempre. Se non ci fosse già stato Dimitri, non avrei avuto dubbi ad elevarlo come secondo al comando. "Un branco ci ha dichiarato guerra, reclamando la sua umana".

Notai che aveva evitato di chiamarla compagna e con un rapido sguardo per la stanza percepii che tutti quanti avevano notato la stessa cosa. Era proprio questo la base di tutti i nostri maledettissimi problemi. 

"Non ho lasciato il mio marchio su di Becky e sei lupi di un branco rivale l'hanno rivendicata. Sono riuscito a farne fuori uno ma gli altri cinque, quando hanno capito che lei mi appartiene, hanno chiaramente dichiarato guerra a me e alla famiglia della mia femmina. E' cristallino che vogliano portarmela via per togliermi il potere. L'ipotesi più plausibile è che vogliano inglobare questo branco al loro, rubandoci il territorio". Sbuffai, facendo segno a Peter di passarmi una sigaretta. L'accesi e aspirai un paio di volte. "Potrei risolvere tutto marchiando Becky. Ma se lo faccio le possibilità che possa sopravvivere sono scarse e potremmo tutti morire entro sei mesi. Se invece non la marchio, moriremo comunque tutti entro gli stessi fottuti sei mesi". Feci un altro tiro e gettai indietro la testa, posando la nuca sullo schienale della sedia. Quindi gettai fuori il fumo con uno sbuffo. "La situazione è questa".

Con la coda dell'occhio vidi un Beta sollevare il braccio e feci un cenno col mento per incitarlo a prendere la parola.

"Credo che per prima cosa sia imperativo mettere al sicuro Becky. Noi potremmo difenderla ovviamente ma...", lasciò la frase in sospeso.

Un altro la completò al posto suo. "Ci stai chiedendo molto, Alpha. Come faremo a resistere al suo richiamo se tu non le lascerai addosso il tuo marchio? Come faremo a difenderla in queste condizioni?".

Mi massaggiai le tempie, cercando di escogitare qualcosa. Dio che situazione!

"Ho bisogno che a gruppi andiate a fondo valle, o in città. Andate dove cazzo vi pare. Accoppiatevi con più umane possibili, impregnatevi del loro odore e cercate più possibile di attenuare i vostri istinti carnali", proposi, rendendomi conto del sacrificio che stavo chiedendo a tutti loro. "Solo cinque di voi hanno una compagna e sarete incaricati alla sorveglianza di casa mia. Tutti gli altri potranno dedicarsi al monitoraggio dei confini. Voglio che alcune leve si spingano giù fino alla base del sergente Malloy e restino stazionarie in quel punto. La stessa cosa vale per il passaggio che c'è su alla vetta più a nord".

Feci per prendere il martelletto e porre fine alla riunione quando nella sala si sollevò un'altra voce: "Tutto qui?".

"Che intendi dire?".

"Non dovremmo escogitare un piano d'attacco? Se ci hanno dichiarato guerra significa che prima o poi arriveranno da noi, è inevitabile. Forse converrebbe che attaccassimo invece di aspettare".

"Attaccare chi?", mi spazientii. "Non sappiamo a che branco appartengano quei sei lupi. Che facciamo? Li attacchiamo tutti?".

"Sei sicuro che appartengano ad un branco?", ipotizzò un altro. "Potrebbero essere dei solitari".

Scrollai la testa- "No, si conoscevano. Le loro movenze erano di chi è abituato a combattere fianco a fianco da anni".

"Però non è detto che sappiano chi tu fossi", ragionò Peter.

Mi voltai a fissarlo, senza capire.

"Intendiamoci, non sto dicendo che non abbiano capito che sei un Alpha, ma magari non sanno che sei l'Alpha di questo territorio. La loro ricerca potrebbe durare più tempo di quel che pensiamo e noi ne guadagneremo per rafforzare i confini e il nostro esercito".

"Potrebbe essere un'ipotesi", mugugnai pensieroso. "Ed avvale la mia idea di aspettare che siano loro ad attaccare. Scontrandoci in queste terre poi, ci può solo avvantaggiare. Conosciamo ogni centimetro dei boschi, ogni nascondiglio, la conformità del terreno. Non ci faremo cogliere impreparati".

"Perciò rafforziamo soltanto i controlli per ora?", chiese il Beta incaricato a seguire le leve durante la caccia.

Annuii. "Ho bisogno di sistemare la situazione con Becky prima di ogni cosa. La sto tenendo qua contro la sua volontà e c'è la possibilità che possa tentare di fuggire. Occhi aperti okay?".

Si levò un coro di rassicurazioni e immediatamente mi sentii una merda. Sbattei i gomiti sul tavolo e posai la fronte sul palmo della mano.

"Sei stanco?", chiese Peter.

Feci di no con la testa e senza osare guardare nessuno in faccia mormorai piano, quasi sottovoce, consapevole comunque che anche i Beta seduti più lontano mi avrebbero sentito. "Mi dispiace ragazzi. Non era previsto che...".

"Ma ti pare Alpha".

"Non è colpa tua".

"L'imprinting non si può comandare".

"Non devi dispiacerti di nulla".

"Ci siamo noi".

Scrollai la testa e storsi le labbra. "Mi dispiace", ripetei, sbattendo il martelletto sul tavolo.

Tutti quanti si alzarono uno dietro l'altro ma io rimasi per un momento seduto, le spalle incurvate in avanti in una posa sconfitta. Era stato relativamente facile in città prendere la decisione di non marchiare Becky, anteponendo la sua vita a quella del branco. Ma ora che avevo tutti i miei fratelli qui davanti, ora che i loro occhi mi cercavano fiduciosi nonostante in più d'uno avesse intuito che non ero intenzionato a rendere Becky la mia compagna... Dio, non era più così facile. 

Ogni decisione presa fino a quel momento vacillò, rimescolando le carte in tavola.

Attesi che tutti fossero usciti, infilai la felpa e controllai il cellulare nonostante non fosse arrivato nessun avviso di notifica. Scorsi i messaggi di Dimitri e come era ovvio che fosse non ne trovai di nuovi.

Quindi spensi la luce e uscii, trascinandomi dietro il pesante portone.

"Deniel!". Carl, uno dei Beta veterani, lasciò in sospeso gli altri con cui stava parando e mi venne incontro. Mi strinse la mano. "Sono davvero contento che sei tornato".

Ricambiai la stretta. "Mi fa piacere rivederti. Come sta la tua compagna?".

"Incinta", sorrise soddisfatto.

"Ehi, complimenti", gli diedi un colpo sulla spalla, concedendomi finalmente il primo sorriso della giornata. "E che ci fai qui con me? Va da lei".

Carl si grattò la nuca, voltandosi verso il gruppo di Beta con cui stava parlando poco prima. "Veramente volevo discutere con gli altri delle trappole da mettere ai confini".

"Naaa, lascia stare per stasera", gli diedi una leggera spallata. "Va da lei e basta".

"Okay", sorrise di rimando. 

Ci stringemmo nuovamente la mano e ci salutammo.

Feci per imboccare la strada che portava verso casa mia quando mi sentii richiamare. E ancora. E ancora. Ogni volta che salutavo un Beta ne spuntava un altro. Quanti cazzo di Beta avevo?

Fu così che passai un'oretta circa a parlare con questo e quello. Alcuni mi chiesero di come fosse vivere in città, i più diretti indagarono su Becky, altri semplicemente mi salutarono, aggiornandomi allo stesso tempo di quello che era successo durante la mia assenza. Fu così che scoprii che la piccola Senna si era fatta trovare nuda nel letto di alcune leve e rispedita a casa dai Beta. Avrei dovuto ricordarmi di farle una bella ramanzina.

Ma non ora. Ora volevo solo tornare a casa da lei.































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