Deniel - dentro la sua vita

"Becky!". Da oltre la porta del bagno risuonò chiara la voce di suo padre e la vidi sussultare.

A giudicare dall'intensità con cui avevo udito la voce, doveva trovarsi su per giù a metà corridoio. I passi della madre invece erano più distanti. Probabilmente era andata diretta in cucina.

Distolsi gli occhi da quelli di Becky e la voltai verso di me, afferrandola per le spalle. Stava diventando cianotica a furia di trattenere il respiro.

"Stai calma", sussurrai, tenendo sotto controllo i battiti del suo cuore. Correvano troppo velocemente. Troppo. Temevo mi sarebbe crollata da un momento all'altro e mi tenni pronto a sorreggerla.

"Cosa gli dirai?", balbettò.

Le ravvivai i capelli, sistemando le ciocche oltre la spalla e le diedi un buffetto sulla guancia. Era un gesto che non avevo mai fatto con nessuna mentre con lei mi veniva totalmente spontaneo. Perlomeno, era un modo come un altro per toccarla senza per forza farla fuggire via.

"Vieni. Fammi strada. A tuo padre non piacerà vedermi arrivare in salotto prima di te". Le spalancai la porta del bagno e mi feci da parte per permetterle di passarmi accanto.

"Deniel", esitò. Un piede già nel corridoio, l'altro ancorato sull'ultima mattonella grigia del bagno. 

Sentire il mio nome pronunciato da lei era qualcosa che mi lasciava senza fiato. "Dimmi, piccola mia".

"Deve esserci un modo per tenerli fuori da tutto questo".

"No, Becky, non c'è... Aspetta, no! Non rimetterti a piangere". Mi fiondai sulle sue guance, togliendole con i polpastrelli una singola lacrima rimasta incastrata sotto le ciglia. "Ascoltami, ti prometto che non accadrà loro niente di male. Ma non posso proteggerli se non collaboreranno, aiutandomi nel non mettersi nei guai inutilmente. Vanno informati di ciò che sta accadendo".

Tirò su col naso e abbassò lo sguardo. Stava soccombendo alla mia logica. Infine si passò una mano tra i capelli e un ciuffo le rimase incastrato nello scollo della maglia. "Dio, daranno di matto".

"E' probabile. Però, se può consolarti, non sono i primi umani con cui ho dovuto parlare della mia razza".

"Davvero?". Spalancò gli occhioni e le guance si gonfiarono. Erano ancora arrossate dal pianto. 

Sollevai un sopracciglio, sorpreso che non ci arrivasse da sola. "Malloy".

Lo stupore non diminuì. "Lui sa?".

"Come credi che abbiamo potuto mantenere i confini del nostro territorio inviolati per tutti questi anni?".

Vidi il suo cervello elaborare frenico questa nuova informazione mentre si asciugava il naso con la manica della maglia e si massaggiava le mani sudate. Ero certo che se le avessi toccate le avrei trovate congelate dalla paura. Sudavano freddo. Tutto il suo corpo era madido di sudore.

"Becky? Dove sei?". Di nuovo la voce del padre.

"Andiamo", la spinsi fuori delicatamente senza incontrare alcuna resistenza da parte sua. "Togliamoci questo pensiero".

"Questo pensiero?", protestò a mezza voce. "Tu la definisci una piccola seccatura da risolvere?".

"Sshh", soffiai alle sue spalle, seguendola con calma verso il salotto.

"Ciao pa...", deglutì, rendendosi conto che la voce le era uscita simile allo stridulo di un animale ferito, e ci riprovò. "Ciao papà".

"Come stai?", domandò precipitoso, accorgendosi con un secondo di ritardo della mia presenza.

Si bloccò di colpo e con un movimento quasi impercettibile si spostò di lato, mettendosi davanti alla madre di Becky, come a volerla nascondere alla mia vista. Corrugai la fronte, sorpreso da quel suo gesto istintivo. Non era stato fatto a caso.

"Deniel?". La madre di Becky mi fissò, chiaramente stupita di trovarmi in casa. "State lavorando anche stasera?".

Avevo sentito la telefonata che Becky aveva avuto col padre, e quando la signora mi rivolse quella domanda capii che non doveva essere stata messa al corrente di ciò che la figlia aveva raccontato. Mi chiesi perché suo marito l'avesse tenuta all'oscuro ma non ebbi il tempo di elaborare una risposta.

 "Lei è il signor Farrow, suppongo". Il padre di Becky avanzò di qualche passo, coprendomi completamente la visuale sulla signora. Lo stava facendo nuovamente di proposito, ormai non avevo alcun dubbio. "Il capo di Becky, giusto?".

"Sono io. Deniel Farrow. Piacere", allungai educatamente la mano.

L'uomo esitò, fissandomi negli occhi in modo strano, infine allungò la mano di rimando per stringermela. "Sono Tony, il padre di Becky".

Non mi sfuggì il modo con cui calcò sulla parola "padre". Stava marcando il territorio, inconsapevole che quel territorio fosse ormai mio.

"Piacere di conoscerla", sorrisi affascinante, calmo e rilassato, cercando di fargli capire che il suo ruolo non aveva il potere di mettermi soggezione. 

Non mi sfuggì nemmeno come evitò accuratamente di ribattere, dicendomi che anche per lui fosse un piacere aver fatto la mia conoscenza. Mentalmente ruotai gli occhi, preparandomi psicologicamente ad affrontarlo. La cordialità che mi aveva rivolto quando c'eravamo sentiti per telefono era svanita, spazzata via presumibilmente dalla consapevolezza che avevo trascorso la serata in casa da solo con sua figlia.

Eppure c'era qualcosa che mi sfuggiva. Come poteva dare così tanta importanza al fatto che io e Becky fossimo rimasti soli quando solo venti minuti prima lei gli aveva confidato di aver visto un'aggressione?

"Lillibeth, saresti così gentile da portarci qualcosa da bere?", si rivolse alla moglie con un riguardo che mio padre non aveva mai riservato a mia madre.

Corrugai di nuovo la fronte, incuriosito dal modo con cui gli umani trattavano le proprie femmine. 

"Certo. Ti va bene della limonata, Deniel? Non è quella dell'altro giorno, eh!", si affrettò a specificare. "Una mia amica mi ha regalato tre ceste di limoni e non so più cosa inventarmi per finirli prima che vadano a male".

"La limonata va benissimo", ringraziai con un sorriso gentile, osservandola mentre usciva dal salotto.

Di colpo calò il silenzio e l'espressione di Tony passò dalla cordialità artificiosa al sospetto.

"Ci accomodiamo?", indicai il divano e con dolcezza posai una mano al centro della schiena di Becky, sospingendola avanti. Sì, stava sudando freddo.

"Sei uno di loro?", la voce di Tony, per quando fosse simile ad un sussurro, riecheggiò nella stanza per una manciata di secondi, rimanendo sospesa nell'immediato silenzio che ne seguì.

Preso in contropiede mi bloccai sul posto, irrigidendo ogni muscolo del corpo e cercando nei suoi occhi una possibile minaccia che però non trovai. Qualunque cosa sapesse, dunque, sembrava non essere sufficiente a farlo schierare contro di me.

Mi temeva, sì! Il modo in cui aveva protetto la propria moglie dalla mia vista ne era il chiaro segnale, e lo era anche il modo sgarbato con cui aveva accolto la mia presenza vicino alla figlia. Il suo timore tuttavia sembrava essere reverenziale, dettato solo dalla consapevolezza che la mia specie era, sia per forza fisica che per potenza gerarchica, nettamente superiore alla sua. 

"Sì", risposi laconico, senza scendere nei dettagli. Non riuscivo a comprendere come potesse sapere di noi licantropi e la cosa mi fece suonare un campanello d'allarme.

Tony strinse le labbra, pensando a qualcosa. Gli occhi saettavano nervosi per la stanza mentre nella sua testa passavano dozzine di pensieri diversi, tutti individuabili dai repentini cambiamenti d'espressione che andarono dalla rabbia alla paura. Dalla paura al panico più fosco. Fermandosi infine su una soggezione impacciata.

"Papà...", Becky tentò di dire qualcosa ma si bloccò appena le sfiorai il gomito.

"Aspetta", sussurrai, facendo in modo che solo lei potesse udire la mia voce.

All'improvviso l'uomo fece scattare gli occhi verso la cucina e indicò un punto impreciso con un movimento secco del mento prima di farli saettare contro di me in una supplica silenziosa. "Non davanti a mia moglie".

"Per quanto non comprenda la scelta, è la sua femmina. Decide lei, signore".

"Posso ancora... decidere... anche per mia figlia?", abbassò il tono, rendendolo incerto, quasi sconfitto.

Lo trafissi con uno sguardo, terribilmente serio. "No".

Posò una mano sulla fronte e abbassò le palpebre. Quando le risollevò, lo sguardo si era svuotato da ogni emozione, rimanendo per pochi attimi sospeso al centro della stanza, puntato contro qualcosa che non stava realmente guardando. Se sapeva chi ero, allora sapeva anche che quando un licantropo sceglieva la propria compagna, questa passava sotto la sua responsabilità. 

"Ho quasi fatto!". Lillibeth si affacciò per un istante e scomparve subito dopo.

"Se non vuole affrontare l'argomento davanti alla sua femmina sarà bene che usciamo di qui. Ci sono bar nella zona?", chiesi.

"A un isolato da qui". Sollevò la manica del maglione e guardò l'orologio sul polso. "Dovrebbe essere ancora aperto".

Annuii e presi il cellulare dalla tasca interna del giubbotto, componendo il numero di Dimitri. Mi rispose al primo squillo.

"Sto per uscire da casa di Becky", lo aggiornai. 

"Arrivo subito".

Riagganciai e mi voltai verso di lei. "Dimitri sta arrivando. Resterà qui fuori finché io e tuo padre non saremo tornati. Lui è il mio Beta, mi fido ciecamente delle sue capacità".

La fissai a lungo, in attesa di una risposta o di un qualsiasi cenno che mi facesse capire che avesse sentito. Invece restò assorta, fissando un punto contro la mia spalla, talmente immobile che il respiro non riusciva nemmeno a sollevarle il petto. Le passai una mano davanti agli occhi e con un battito di ciglia si riprese all'istante, sobbalzando come quando ci si sveglia da un incubo.

Sbatté le palpebre per mettere a fuoco e quando incrociò il volto di suo padre inclinò la testa di lato. "Come facevi a saperlo?".

Suo padre lanciò un'occhiata furtiva alla cucina. "Ne parliamo più tardi". Quindi sollevò le sopracciglia di scatto, indicandomi la porta d'ingresso. Aveva fretta di uscire.

"No, ne parliamo adesso", insistette lei, frapponendosi tra noi e l'ingresso.

L'acciuffai per un braccio, tirandola verso di me in modo da spostarla da davanti alla porta e crearmi un varco sufficiente per uscire. "Non interferire nelle scelte di tuo padre".

"Cosa?", scoppiò a ridere. Una risata talmente sarcastica che mi irritò. 

"Tuo padre decide per lei. E ha appena deciso di non volerla coinvolgere".

"Che assurdità vai dicendo?". La risata era ancora ben udibile nel tono. Strattonò il braccio, liberandosi dalla mia stretta e si voltò verso Tony. "Papà, ma sei impazzito? Non coinvolgere la mamma è assurdo!".

"Di assurdo qua c'è solo il modo irriverente con cui ti rivolgi a un maschio della tua famiglia", la imbeccai.

Le sue labbra si spalancarono in una muta "o" di sorpresa. "Cos'è? Sei uscito per caso da un film in bianco e nero del medioevo?".

 "Signor Farrow, per favore", supplicò Tony, intuendo che stavo per perdere le staffe e facendo al contempo intuire a me che avesse piena consapevolezza di quale fosse la condotta che le femmine della mia specie erano tenute ad avere.

Quello che non poteva sospettare era che, a differenza di quanto si potesse dire di un Alpha, il carattere imprevedibile e testardo di Becky mi intrigava a tal punto da ricercare io per primo uno scontro verbale con lei. Il suo cervello teneva attivo il mio e la sua prontezza nell'elaborare le risposte la rendeva degna di essere la mia compagna. Nessuna delle femmine con cui avevo interagito era riuscita mai a tenermi testa in quel modo, mentre Becky ci riusciva con una semplicità disarmante.

Contravvenendo ad ogni mia richiesta, ribattendo con arroganza a qualsiasi cosa dicessi, arrivando persino a mettere in discussione il mio ruolo di Alpha, aveva permesso ai miei occhi di non vederla più come una preda, bensì come un intero mondo da scoprire.

"Facciamo una cosa", le dissi composto, incrociando le braccia al petto con una calma che non provavo affatto. "Facciamo che quando io ti dico di fare una cosa, tu la fai senza sollevare questioni".

Imitò il mio gesto, risultando però molto meno minacciosa di quello che pensava. "Facciamo anche che quando io ti mando al diavolo, tu ci vai senza tante storie".

"Oddio", mormorò suo padre, scattando in avanti, come se fosse davvero convinto di avere mezza possibilità di fermarmi qualora avessi deciso di reagire in malo modo.

"Piccola", sorrisi nervoso, umettandomi le labbra. "Vuoi il terzo?".

Da come mi guardò capii che aveva capito benissimo a cosa mi stavo riferendo. Minacciarla con un bacio era la cosa più divertente e soprattutto efficace che potessi fare. Ovviamente non poteva sapere che la mia legge mi proibiva di baciarla davanti al padre prima del matrimonio, ed ero assolutamente intenzionato a rispettarla, anche volendo considerare che Tony sembrava essere ben informato sulle leggi che regolamentavano il branco.

"Fai quello che ti pare", sollevò le spalle con indifferenza. Gli occhi però la tradirono, direzionandosi contro la mia bocca e illuminandosi di un'attesa che -a giudicare dal modo in cui non faceva nulla per tenermela nascosta- non era ancora in grado di comprendere. La sua ingenuità era deliziosa. "Tanto tu per me sei indifferente".

"Quindi non ti è piaciuto baciarmi?", mormorai piano, serio, controllando con la coda dell'occhio che suo padre non sentisse. 

"No", rispose in fretta. Troppo. Gli occhi ancora immobili sulle mie labbra.

Mmm... mugugnai soddisfatto nella mia testa.

"Quindi potrei rifarlo... per te non significherebbe nulla?".

"No". Di nuovo rispose troppo in fretta. 

"Tu mi vuoi baciare?".

"No", rispose di getto, dandomi l'impressione di non stare nemmeno ascoltando le mie domande, rispondendo a tutto con un no per non rischiare di tradirsi e ammettere per sbaglio l'attrazione che provava verso di me.

"Non ti piaccio?".

"No".

"Il mio nome è Deniel Farrow?".

"No", rispose ancora di getto, subito però comprese l'inganno e imbarazzata strizzò le palpebre.

Mi lasciai sfuggire un mezzo sorriso soddisfatto e le pizzicai la guancia.

"Ahh... piccola. Quando la smetterai di fare la bambina?", mormorai in un rimprovero divertito. "Ora vieni con me, su! A giudicare dai disastri che combini quando parli è molto meglio se aspetti in macchina di Dimitri mentre io e tuo padre parliamo".

"Lo odio quello", si imbronciò.

Dio, poteva essere più bella di così?

"E' il tuo capo, quello", le ricordai, arricciando il naso. "Fossi in te, terrei questo odio ben nascosto".

"Mi ha rotto il cellulare".

"Te l'ho ricomprato il cellulare".

"Beh, è lo stesso. Io preferivo il vecchio".

"Se mi dai quello nuovo provvederò a romperlo ancora un po'".

"Avevo tutte le mie foto nella schedina".

"E' lo stesso".

"No, che non è lo stesso".

"Sì, invece".

"No, invece".

"Becky", mi spazientii, indicandole la porta spalancata. "Fuori! Adesso possibilmente".

"Lei è solo un arrogante testa di...".

"Ah-Ah!", le piazzai un dito davanti alla bocca, impedendole di concludere. "Dimitri è parcheggiato là. Lo vedi?".

Annuì senza guardarmi in faccia, le labbra rosse disegnavano ancora un delizioso broncio.

"Per il bene di tutti... cerca di non farlo uscire dai gangheri", raccomandai sfinito. Discutere con lei era più stancante di otto ore di lavoro.

"Siete voi che fate uscire me dai gangheri. Voi e mio padre". A quel punto si voltò verso Tony che si era appena affacciato sulla soglia. 

Si era trattenuto qualche secondo con la moglie, sviolinandole con tutta probabilità una balla sul motivo che ci aveva spinto ad uscire di fretta e furia, senza prima gustarci la limonata che ci aveva preparato.

"Spero proprio saprai spiegarmi cosa centri tu con tutta questa storia", si rivolse a lui, accusandolo con un tono autorevole che poche volte avevo udito su una donna.

"Lo farò", rispose distratto, concentrato unicamente su di me. "Ci si può fidare del tuo Beta?".

"Sta forse mettendo in dubbio le mie capacità di giudizio?".

"Sì".

Sorrisi, piacevolmente colpito dal coraggio che aveva mostrato nel parlarmi così. "Signor Tony, mi ha appena confermato di sapere chi sono e ha dimostrato di essere a conoscenza di molte nostre leggi. Ora, mi dica la prego, se davvero sa tante cose su di noi, come può davvero sospettare che esista una possibilità, seppur infinitesimale, che io possa lasciare sua figlia in mano ad un maschio che non sono io se non mi fidassi senza riserve di quest'ultimo?".

Tony annui leggermente, non trovando appigli su cui controbattere, e dimostrandomi nuovamente quante cose sapesse sulla mia specie.

"E' qui in auto, signor Farrow?", si informò, infilandosi la giacca.

"No sono a piedi. Sua figlia mi è scappata e volevo arrivare a casa vostra prima che ci arrivasse lei. La macchina mi avrebbe rallentato".

Sentii la risata sardonica di Becky alle mie spalle, incapace di credere che fossi più veloce di un'automobile a motore, ma obbligata nel medesimo tempo ad accettarlo come possibile. 

"Non è reale... non è reale... non è reale", borbottò tra sé e sé, attraversando la strada per raggiungere Dimitri. 

"Andiamo con la mia auto?", propose Tony. 

"Sì", accettai distratto, seguendo Becky con lo sguardo. Questa sua improvvisa arresa mi insospettiva. Non era da lei eseguire un mio comando senza scatenare prima una guerra.

"Lo sportello è un po' duro. Devi tirare forte". Sollevò lo sguardo sulle mie braccia e corrugò critico la fronte. "Cioè, non troppo forte".

Cercò le chiavi all'interno della giacca e fece scattare le sicure. All'interno dell'abitacolo non percepii il profumo di Becky e questo poteva significare solo che lei non utilizzava mai quest'auto prediligendo, come mi aveva accennato tempo fa Dimitri, a spostarsi a piedi o in taxi. 

Mi allacciai la cintura e reclinai il sedile, posizionato troppo vicino al cruscotto per consentire alle mie ginocchia di non sbattervi contro.

"Da quanto tempo sa che faccio parte di un'altra specie?", andai dritto al punto appena mise in moto. Evitai di pronunciare la parola licantropo per non allarmarlo. La sua apparente calma poteva essere semplicemente frutto di un autocontrollo invidiabile, ma sapevo che prima o tardi qualcosa che avrei detto o fatto avrebbe scatenato la reazione di paura che stavo attendendo.

 "L'ho capito quando ti ho visto poco fa, accanto a Becky", mi guardò con l'angolo dell'occhio, passando ad un tono più confidenziale. "Eri troppo calmo. Troppo a tuo agio".

"La calma non è una dote per quelli della mia specie", gli feci notare.

"Sì, è vero", annuì pensando a qualcosa. 

Svoltò l'angolo e individuò un parcheggio a spina di pesce proprio accanto all'insegna gialla di una caffetteria che aveva l'aria di essere frequentata da gente poco raccomandabile. Il bar era davvero a uno schioppo da casa e mi tranquillizzai. Non avevo voglia di allontanarmi troppo da lei. 

"Becky aveva appena visto un uomo mangiare un altro uomo", continuò, sedendosi di lato per potermi guardare negli occhi. Studiò attentamente la mia espressione, trovandovi la calma che stava cercando. "Per te è un fatto naturale, eh? Nulla di troppo sconvolgente".

Feci una smorfia, rimanendo impassibile.

"Se fossi stato umano, avrei visto sul tuo volto lo stesso orrore che avevo visto sul volto di Becky", concluse.

"Perché ha collegato una simile aggressione alla licantropia?".

Tony fece scattare le sopracciglia verso l'alto. "Credi davvero che noi uomini ce ne andiamo in giro a sbranare altri uomini?".

"Neanche sporadicamente?", lo derisi perfido.

Un accenno di sorriso spezzò la tensione. Scosse la testa e tolse le chiavi dal quadro con un gesto brusco. "Solo un licantropo può rimanere indifferente davanti ad una simile aggressione. E tu Deniel, quando ti ho visto, eri indifferente. Ergo...".

Gli sorrisi di rimando in un gesto che voleva essere un complimento. Era ammirevole la sua analisi, molto più arguta di quelle che di norma riuscivano a formulare gli umani. Tuttavia non poteva essere arrivato a quella conclusione senza l'aiuto di qualcuno.

Uscii dalla macchina e mi avviai lungo il marciapiede, adeguando il passo al suo. "Chi le ha parlato della mia razza?".

"Malloy". 

L'accenno di un ringhio rabbioso mi sfuggì dalle labbra e Tony si irrigidì, captando in me un possibile pericolo. Persino un gatto, sdraiato comodamente sopra un cassonetto delle immondizie, afferrò svelto un pezzo di cibo raffermo e sgattaiolò via in riflesso ad un'istinto di sopravvivenza.

Tony posò cauto una mano sul mio avambraccio, rallentando la camminata. "Non biasimare il sergente. Me ne ha parlato una sera di tantissimi anni fa e l'argomento non è più uscito. Inoltre", si strinse nelle spalle sottolineando l'ovvietà di ciò che stava per dire, "se in tanto tempo la vostra presenza non è stata rivelata al resto di noi umani, significa che né io né Malloj abbiamo divulgato ciò che sapevamo su di voi".

"E cosa sa su di noi, signor Tony?".

Mi guardò dritto in faccia, accigliato. "Abbastanza, Deniel... abbastanza".

Spalancai la porta della caffetteria, illuminata all'interno solo da alcune plafoniere. La sala era minima, sufficiente per appena otto tavoli, il bancone del bar invece occupava quasi tutto lo spazio. Era lì che la clientela aveva scelto di accalcarsi, e nessuno tra di loro sembrava ricordare quanti bicchieri di alcol avesse ingurgitato.

Appoggiati al bancone o agli sgabelli foderati in similpelle, si reggevano a stento in piedi nell'attesa che due bariste gli sbattessero sotto il naso l'ennesima pinta di birra.

Arricciai il naso, colpito con violenza da una folata di aria stagnante di alcol e sudore, e mi feci largo tra la calca, guardando divertito come tutti si scostassero all'istante, ansiosi di tenersi alla larga da me. L'ondata minacciosa che mi precedeva era un letale biglietto da visita, non c'era da stupirsi quindi che nessuno cercasse rogne. A meno che non avessero la mente alterata dall'alcol a tal punto da non essere più in grado di captare il pericolo.

"Birra?", chiesi a Tony. Quando annuì sollevai un braccio, facendo oscillare il dito indice e il medio sopra le teste degli avventori al bancone. "Portaci due birre, ragazza".

Una delle due bariste sollevò veloce lo sguardo dalla spillatrice. "Arrivano subito".

Ci accomodammo  all'angolo del bar, accanto ad un vecchio jukebox e ad un porta listini in plastica ormai completamente vuoto. Incrociai le braccia, spingendo avanti il tavolino con l'anfibio per guadagnare un po' di spazio ed attesi che fosse Tony ad iniziare il discorso, nonostante le dozzine di domande che volevo porgergli mi stessero tritando il cranio.

 La ragazza si avvicinò con le birre, trasportandole senza vassoio, e le posizionò con poca grazia al centro del tavolino. "Serve altro?".

Con la coda dell'occhio notai che nel parlare stava guardando solo me e mi seccai. Non avevo tempo per gestire una puttanella attratta dal senso di pericolo.

"Per ora no", rispose Tony con cortesia, notando che me ne stavo zitto, senza degnarla di attenzione.

La ragazza annuì ma non si mosse, urlandomi inconsapevolmente la propria disponibilità in una folata di profumo alle rose. 

Molto seccante.

Mi agitai sulla sedia, infastidito. "A posto così", borbottai impaziente. "Vattene".

Mi aggrappai al bicchiere di birra per tenere le mani occupate ed evitare di spaccare in due il tavolino e da sopra il bordo del boccale notai l'espressione contrariata di Tony mentre seguiva con lo sguardo la camminata della ragazza.

"Sei sempre così sgarbato?", chiese.

"Solo con le femmine che non sanno stare al proprio posto".

"Pensi che mia figlia saprà comportarsi come una ragazza della vostra specie?", era scettico.

"Oh, mi creda, Becky è talmente indisciplinata che non sprecherò nemmeno il tempo per sperare possa mai assumere un atteggiamento anche solo vagamente degno del ruolo che dovrà ricoprire".

"Quale ruolo?", tentennò, strappandomi un sorriso canzonatorio.

"Sa che ho un Beta, e sa anche che cosa sia un Beta. Quindi non mi venga a dire di non aver capito che sono l'Alpha del mio branco".

Tony bevve un sorso di birra, ed esalò un profondo respiro. L'ondata di angoscia che sprigionò il suo sguardo mi avvolse, facendomi vacillare sotto la violenza di quell'emozione. L'angoscia poteva nascere solo dal fatto che era a conoscenza di ciò che prevedeva la legge del mio branco circa l'unione tra un Alpha e la sua femmina.

"Quando lo farai?", mormorò, lo sguardo ora rassegnato e puntato contro lo spigolo del tavolino.

Capii al volo dove volesse andare a parare e mi sentii quasi in dovere di rassicurarlo. "Il prima possibile. Fosse per me anche stasera stessa. Ma so che siete umani e voglio quantomeno sforzarmi di fare le cose per bene... quindi non le porterò via sua figlia senza un preavviso".

Afflosciò le spalle in un respiro liberatorio e si concesse un altro goccio di birra. "Becky è a conoscenza di doverti dare la sua...". Si mosse sulla sedia, a disagio. Dopo tutto era un padre. Più che comprensibile che non riuscisse a parlare della verginità della figlia a cuor leggero. "Insomma... sa cosa deve fare... cosa deve fare con te intendo, per diventare la tua compagna?".

"No e non deve venirlo a sapere".

Staccò di colpo il bicchiere dalle labbra. "Perché?!?".

"Ho avuto l'imprinting con sua figlia. Sa cos'è?".

"Sì, Malloj me ne ha parlato".

"Allora saprà che la mia vita oramai per me non conta più nulla. Solo quella di Becky ha importanza e non ho intenzione di metterla in pericolo per unirmi a lei".

Restò fermo a fissarmi per qualche secondo, tanto per essere certo di aver compreso a fondo ciò che implicava la mia scelta. Ovvero la mia morte e quella del mio branco. Evidentemente sapeva cosa sarebbe accaduto se non avessi posseduto il magnifico corpo di Becky, perché lo stupore nello sguardo era macchiato di ammirazione.

"Quanti anni hai, Deniel?".

"Ne farò trenta prima del prossimo inverno".

"Dannazione ragazzo!", socchiuse gli occhi, come se fosse realmente preoccupato per la mia sorte. "Mi stai davvero dicendo che hai così pochi mesi di vita?".

"Se proprio devo scegliere chi salvare, scelgo di salvare lei. Tuttavia...", mi affrettai ad aggiungere, facendo una piccola pausa per dare più effetto a ciò che stavo per dire, "... ho la possibilità di garantire la salvezza ad alcune famiglie del branco, nonché ai miei genitori. Non sono intenzionato a rinunciare a questa possibilità, per questo mi serve sua figlia accanto. Non potrei tornare sul monte Eagle senza di lei. Almeno per questi mesi, quindi, sarà mia.".

"Se non è la tua compagna, come pensi di tenerla al riparo dai maschi del tuo branco?".

"Forse c'è un modo", rimasi sul vago, sentendomi di colpo a disagio persino io.

"Che modo?".

"E' davvero così sicuro di voler portare avanti questo discorso?", chiesi impacciato. "Perché mi creda, non mi sento completamente a mio agio a discutere con lei di quali e quanti metodi possa adottare per possedere Becky senza necessariamente strapparle la verginità".

Tony schiuse le labbra, gettando fuori il respiro con un soffio, come se stesse espellendo dalla gola una lunga boccata di fumo di sigaretta. "No, decisamente no".

"Bene, allora se ha concluso le domande, vorrei iniziare con le mie. La prima", elencai rapido, "ha intenzione di mettermi i bastoni tra le ruote?".

"Mi stai chiedendo se sono con te o contro di te?".

"Esattamente. Sì".

"Non ho molta scelta".

"La seconda: quanto ci tiene alla propria vita? Perché, si fidi, al momento è appesa a un filo. Sei lupi hanno messo gli occhi su Becky e arriveranno a lei e a sua moglie se a breve non dovessero riuscire a mettere le mani su di lei".

"Eri tu!", si illuminò di consapevolezza. "Questa sera... sei tu che hai sbranato un uomo".

"Era uno di quei sei lupi", mi sentii in dovere di giustificarmi, nonostante nei suoi occhi non vi lessi l'ombra di un rimprovero.

"Perché i tuoi uomini non sono qui?".

"E' la stagione del calore e degli accoppiamenti. Non posso lasciare le femmine del branco troppo a lungo senza una protezione. Ho fatto intervenire solo alcuni dei miei uomini questa sera, ma li ho già rimandati a proteggere i confini".

"Tenere Becky in città, quindi, se ho capito bene, diventerà un problema sia per lei che per me e mia moglie". Sembrava una domanda ma in realtà stava ragionando tra sé e sé, rivelando una capacità di giudizio ammirevole. 

Se sulle prime avevo temuto che sarebbe stata una bella gatta da pelare affrontare il padre della mia compagna, anche prendendo a paragone ciò che raccontavano i maschi del branco circa il primo incontro con la famiglia delle proprie femmine, ora senza dubbio dovevo ricredermi. Non solo il signor Tony stava dimostrando di conoscere le usanze della mia specie, togliendomi quindi dall'impaccio di doverlo preparare gradualmente ad accettare leggi completamente diverse, ma stava anche facendo capire di non aver alcuna intenzione di ostacolare i miei piani.

"Tenere Becky in città non diventerà un problema. Lo è già", corressi. 

"Se però tu e Becky...", si grattò il mento, impacciato, quindi prese il boccale e lo usò per nascondermi parte del volto. "Se farete l'amore diventerà la tua compagna e quei sei perderebbero interesse".

Ruotai gli occhi. "Becky mi rifiuta. Per farla mia dovrei commettere violenza su di lei".

"Gesù...".

"Inoltre questa sera è iniziata una guerra. Renderla la mia compagna non è più sufficiente per fermarli". Sbuffai e sbattei un pugno al centro del tavolo, rischiando di far rovesciare i bicchieri. "Non era così che doveva andare, dannazione!".

"A cosa ti riferisci?", indagò, improvvisamente sulle spine.

Seguii il suo sguardo, puntato contro la profonda crepa nel tavolo che partiva da sotto la mia mano. Ogni volta che non riuscivo a tenere sotto controllo la forza, finiva che qualcosa andava in pezzi, ed era scontato che Tony stesse pensando, proprio in quel preciso istante, che anche un innocente abbraccio da parte mia poteva diventare letale per Becky.

"Un licantropo e un'umana... è una cosa che non succede da secoli. Nessuno tra gli anziani del branco sa darsi una spiegazione. Stanno indagando ovviamente ma...", scrollai la testa e sollevai la mano dal centro del tavolo, scuotendola per spazzar via alcune schegge rimaste appiccicate alla pelle. "E non avrei voluto entrare nella sua famiglia in questo modo, signor Tony. Avrei voluto fare le cose per bene, con i tempi giusti, e non bussare alla sua porta per dirle che siete coinvolti in una disputa tra due branchi. Non doveva andare così".

"Ammetto che non sei il classico genero che un padre spera di portare in casa", cercò di minimizzare.

Svuotai il boccale di birra. "Ne vuole un'altra?".

"No. Ti si legge in faccia che vuoi tornare da Becky. Quello che dovevamo dirci ce lo siamo detti e per questa sera direi che ho fatto il pieno. Devi concedermi il tempo di metabolizzare ciò che ho scoperto".

Recuperò il portafogli ma lo fermai con un brusco cenno della mano. "Lasci. Offro io".

La cameriera si avvicinò, ancheggiando in un modo volutamente sensuale e per un attimo concessi al suo profumo di avvolgermi. Era insulso, quasi inconsistente, accompagnato da un retrogusto di ginepro. Non avevo mai creduto troppo al fatto che l'imprinting spingesse un lupo a trovare quasi disgustose tutte le femmine, pensando piuttosto che fosse una storiella romantica da raccontare attorno al fuoco nelle notti che precedevano la luna piena. Le femmine del branco ne andavano pazze e gli anziani spesso e volentieri avevano calcato la mano, raccontando aneddoti ridicoli su come certi maschi arrivassero persino a dare di stomaco quando una femmina diversa dalla propria compagna si avvicinava troppo a loro.

Erano tutte leggende senza fondamenta, credevo.

Ora non lo credevo più. 

Il ginepro rappresentava per noi l'odore più disgustoso, assumendo connotati velenosi, e il nostro corpo rigettava qualsiasi cosa fosse impregnata di quel particolare profumo. Come quello della cameriera per esempio.

Arricciai il naso e respirai con la bocca mentre le passai una banconota da venti, facendo attenzione di non sfiorarle le dita. "Tieni il resto".

"Grazie", ammiccò seducente. "Non ti ho mai visto da queste parti, sei un forestiero?".

"No".

"Sei di queste parti quindi?".

"La mia prima risposta soddisfa anche la tua seconda e fastidiosa domanda". Sollevai lo sguardo gelido su di lei, freddandola sul posto. "Non sono disponibile, ragazza".

"Oh... bhe...", imbarazzata si ravvivò una ciocca di capelli color miele, sviando il mio sguardo glaciale per spostarlo sulla crepa al centro del tavolino. "Io non volevo assolutamente disturbare. Mi dispiace se ho lasciato intendere interesse". Lo sguardo tornò su di me, e come accadeva sempre alle umane, si velò di eccitazione. "E' solo che sei così... affascinante".

Tony si schiarì la gola con due colpetti di tosse e con la coda dell'occhio lo vidi scuotere la testa. "Succede spesso?".

"Sempre", brontolai in risposta, alzandomi di fretta e facendo il giro alla cameriera, intenta a recuperare i nostri boccali vuoti. 

"Posso almeno sapere il tuo nome?", si umiliò fino infondo.

"Deniel", concessi, incamminandomi verso l'uscita. Del resto non era colpa sua se ogni parte dei maschi della mia razza risultava attraente alle umane.

"Allora... ci vediamo Deniel".

Sì, come no!

Spalancai la porta ed uscii senza preoccuparmi di aspettare Tony. L'odore di ginepro, mescolato a quello di rose, stava cominciando a farmi sudare freddo. La nausea era gestibile ma le tempie avevano iniziato a pulsare in un accenno di mal di testa. Ero riuscito a tenere a bada il profumo di dozzine di donne da quando ero arrivato in città, tuttavia questa sera ero troppo esausto e preoccupato per spendere energie in queste stronzate.

"Deve essere seccante", sentii la voce di Tony alle mie spalle.

"Non sa quanto". Ispirai a pieni polmoni e un arcobaleno di odori andò a spegnere quello nauseabondo della ragazza. 

Mi avviai lungo il marciapiede, controllando il cellulare quando arrivò un messaggio: Dimitri era ancora con Becky e mi stava supplicando di tornare prima che il suo cervello esplodesse. Misi via il cellulare senza rispondere al messaggio e guardai dritto davanti a me, tormentato per ciò che stavo per dire. Ero emotivamente sconvolto. Per Becky. Per me stesso. Per l'intera dannatissima situazione che mi portava, decisione dopo decisione, ad allontanarmi da chi che ero davvero, spingendomi invece a diventare ciò che non volevo essere. 

"Devo portargliela via, signor Tony", mormorai di colpo. 

L'accenno di mortificazione nella mia voce non gli era sfuggito, per questo capì subito che mi stavo riferendo a Becky. Colto dall'angoscia, rallentò involontariamente il passo. 

"Lo so", si limitò a dire. Camminò in silenzio, fissandosi la punta delle scarpe, le spalle chine in avanti. "Devi lasciami il tempo di trovare il modo per dirlo a mia moglie".

"L'avverto, non posso concedergliene troppo". 

Mi fermai accanto allo sportello dell'auto e cercai disperatamente il suo sguardo. Non sapevo nemmeno io perché tenessi così tanto al giudizio di quest'uomo. Era solo un umano santo Dio! Non avrei dovuto nemmeno provare pena per lui.

Eppure, consapevole che ogni mia parola rappresentava una pugnalata al suo cuore, sentivo vergogna verso me stesso e compassione per quest'uomo sulla sessantina che, sebbene appartenesse ad una specie inferiore alla mia, con ogni gesto, anche il più insignificante, continuava ad insegnarmi cosa fosse la dignità.

"Come convincerai Becky a seguirti?", mi fissò dritto in faccia.

Un ghigno disperato mi accartocciò ogni muscolo del viso in una maschera di dolore e mi ritrovai ad abbassare lo sguardo, quasi fosse lui l'Alpha e non io. Infine sospirai arrendevole.

"Me la prenderò e basta", sussurrai a voce ancora più bassa, provando schifo per ciò che avrei dovuto fare.

Per qualche attimo restò in silenzio, continuando a fissarmi. Sentivo il suo sguardo penetrarmi dentro. Mi faceva soffrire. "Solo... non farle male".

Sollevai gli occhi di scatto, sgranandoli. "Mai e poi mai".

E questa mia promessa aleggiò tra di noi, consolidando un legame che non aveva ragione d'esistere, basandomi su una fiducia che non meritavo di avere.














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