Becky - ti faccio mia


Non avevo assolutamente detto di amarlo! Avevo ammesso di non odiarlo, ed era ben diverso... tuttavia la vasta gamma di sentimenti umani che mi rimescolava lo stomaco non sembrava pensarla allo stesso modo.

Sentivo ancora la rabbia infervorare la battaglia dentro di me che, dopo giorni, non trovava ancora un vincitore tra odio e amore. Eppure le sensazioni amplificate dal seme di Deniel avevano sferragliato un'arma potentissima che stava ribaltando le sorti di questa guerra, facendo pendere l'affetto che provavo per lui verso una vittoria sempre più vicina.

Rifiutavo ovviamente di amare un uomo simile. Non lo accettavo e in parte mi spaventava. Del resto come poteva non essere così?

Non ero cieca, men che meno sciocca, e sapevo che il suo rapimento rappresentava per me la possibilità di vivere. Non potevo biasimarlo per avermi strappata via dal mio mondo. Aveva cercato una soluzione e l'aveva attuata, anteponendo la mia sicurezza ai miei desideri. 

Era semplice da accettare.

Non lo era affatto invece accettare di far parte del suo mondo. 

Tolsi l'accappatoio e rovistai tra alcune borse alla ricerca di un abito comodo. Strappai il cartellino del negozio e lo indossai, senza prendermi la briga di verificare allo specchio se mi calzasse bene. Sapevo già che Deniel aveva azzeccato ogni mia taglia.

Malgrado ciò, quando sollevai la testa dai sacchetti, la mia immagine nella specchiera catturò la mia attenzione. Non era l'abito a suscitare il mio interesse bensì la collana col ciondolo di lupo che avevo visto appesa sul bordo dello specchio qualche giorno prima. 

Penzolava solitaria ed era l'unico accenno al branco dei Farrow che avessi trovato in tutta casa. Nessun altro oggetto sembrava ricollegare Deniel e la sua famiglia alla licantropia; mobili, utensili, vestiti e accessori erano completamente identici a quelli usati dagli umani.

Mi chiesi quanto di diverso ci fosse effettivamente tra le nostre specie.

"Sei pronta?". Deniel fece capolino dalla porta del bagno e per un attimo restai a bocca aperta.

Era vestito con un tocco di eleganza in più rispetto al solito, un probabile gesto di cortesia per la presenza del nuovo ospite, e mi fece sentire sciatta.

"Secondo te lo sono?", chiesi titubante, abbassando lo sguardo sui miei pantaloni e la maglietta rosa. Stavo cominciando ad aver bisogno di conferme da parte sua e la cosa mi irritò.

"Forse avresti potuto asciugarti i capelli. Lo dico più che altro perché non vorrei ti raffreddassi. Per il resto...", lasciò scorrere lo sguardo su di me con una lentezza sfrontata e infine lo fissò sul mio seno, permettendo alle proprie labbra di incurvarsi in un sorriso pericolosamente malizioso. 

Non ebbe bisogno di terminare la frase perché il suo sguardo parlava chiaro. Gli andavo bene. Ai suoi occhi apparivo perfetta. Come sempre. 

Com'era possibile?

"Il cugino di tua madre sa che sono umana?", domandai quando spalancò la porta della stanza per invitarmi a seguirlo in cucina.

"Si sente dal tuo odore".

"Questa cosa dell'odore è proprio fastidiosa".

Le sue sopracciglia scattarono ironiche verso l'alto. "E lo vieni a dire a noi?".

Mi scappò una mezza risata. "Presumo che per voi sia un tormento".

"Il tuo di certo".

Oltrepassai la soglia della stanza e subito mi fermai. Ero incerta. Probabilmente spaventata. Faticavo ancora a pronunciare la parole "licantropo" senza rischiare di andare in iperventilazione. Restarmene chiusa in una stanza con quattro mutanti andava oltre a ciò che la mia testa riusciva a razionalizzare. 

"Sarò al sicuro con quell'uomo?", tentennai.

"Cucciola...", sorrise, indicandosi il petto. "Dove sono io?".

Lo fissai. "Bhe, sei qui".

"Io sono e sarò sempre il tuo scudo al dolore", c'era qualcosa di talmente solenne nel suo sguardo da spazzare via ogni mia più piccola preoccupazione. "Perciò non interrogarti mai più sulla tua sicurezza. Se io sarò accanto a te, tu non avrai mai mezza ragione per sentirti in pericolo, perché sono pronto e capace di sopportare centinaia se non migliaia di gradi di dolore per non farne sentire a te. Okay?".

Annuii impacciata. "Questo dovrebbe essere il momento in cui io ti ringrazio, giusto?".

"Dipende in che modo vuoi ringraziarmi. Ne conosco alcuni che...".

"Okay, okay, okay, non proseguire, ti sei fatto intendere benissimo".

"A giudicare dal rossore sulle tue guance non ho dubbi al riguardo", ammiccò, porgendomi la mano. "Vuoi cenare in corridoio?".

Sbattei le palpebre, tra stupore e speranza. "Possiamo farlo davvero?".

"Era una battuta, disgraziata", mi spinse dolcemente in avanti. "Forza! Ti attende una cena bestiale".

Gli diedi un manata scherzosa contro il bicipite. "Spiritoso!".

E col restante coraggio che mi restava arrancai lungo il corridoio, capace tra il sottile rimbombo dei nostri passi di esaltare tra le stretti pareti il riverbero delle voci della famiglia di Deniel. I toni erano cordiali, quasi cantalenanti, eppure sapevo che nel momento esatto in cui avrei fatto il mio ingresso la tensione avrebbe irrimediabilmente rovinato l'atmosfera.

"Ehi!". Deniel mi afferrò per il polso e fece in modo di portarsi davanti a me, schermandomi col suo corpo. "So che odi e che non puoi comprendere le nostre leggi, tuttavia non posso fartele ignorare". Storse le labbra, pensandoci su, quindi si corresse: "Perlomeno non sempre".

"Ho il sospetto che a breve ti sentirò dire qualcosa di profondamente maschilistico".

Le sue labbra gonfie e semi nascoste dalla barba incolta si storsero nuovamente, facendomi intuire di aver fatto centro. "Diciamo che non per una volta tanto non si tratta di una questione maschi-femmine. Il punto è che nessuno può stare davanti all'Alpha, perciò dovrò entrare prima di te".

"E se qualcuno si sbaglia?".

"Nessuno si sbaglia".

"Ma se...".

"Nessuno Becky", ripeté, questa volta mortalmente serio. "C'è una gerarchia e non è stata creata a caso. Pronta?".

"No".

"Allora andiamo".

Il sorriso con cui accompagnò le proprie parole fu smagliante. Mi frastornò. Mi accompagnò come una mano invisibile pronta a sostenermi nel caso avessi deciso di fuggire o peggio svenire. Mi guidò come soffici cuscini verso un terreno spigoloso e minato di paure che non avrei mai potuto affrontare e superare.

Si fece scudo degli sguardi curiosi, assorbendoli per poi respingerli al mittente, proteggendomi in una bolla che mi diede il tempo di immagazzinare abbastanza ossigeno per entrare in cucina senza dare di stomaco.

Mi cullò in un abbraccio flebile come un ricordo, ma sufficientemente potente per non farmi crollare.

Un sorriso che mi permise di entrare a testa alta e mantenere lo sguardo fisso di fronte a me, svuotato da qualsiasi cedimento o incertezza, fiero nella sua umile certezza che, nella loro scala gerarchica, rappresentava una delle posizioni più alte, seconda solo a quella dell'Alpha.

"Siete arrivati finalmente". Pam, la madre di Deniel, si alzò di fretta e furia dalla sedia attorno al tavolo e mi venne incontro. "Vieni, non vedo l'ora di presentarti mio cugino".

Mi trascinò avanti senza esitazioni, dimentica probabilmente del fatto che ero umana e che come compagna di suo figlio non aveva diritto di toccarmi. Eppure nessuno reagì come mi aspettavo: nessun sussulto, nessuno mugugno. Nemmeno un'occhiata stranita.

L'ospite era seduto accanto al padre di Deniel, sulla sedia che di solito spettava a me. Un groviglio di ricci neri che gli cascavano sulle spalle e si mescolavano scompostamente alla lunga barba attraversata da qualche filo griglio che tradiva la giovane età. La pelle attorno agli occhi era leggermente lucida ma si intravvedevano delle sottili rughe d'espressione, tipiche di chi passa la maggior parte del tempo a sorridere.

Gli occhi erano forse ancor più scuri dei capelli, l'iride ampia inghiottiva quasi completamente la parte bianca dell'occhio e le palpebre erano fisse, immobili, quasi surreali. Non sbattevano mai, nemmeno sotto il fisiologico bisogno di lubrificare l'occhio.

Ed erano fisse su di me. Allo stesso modo in cui si potrebbe osservare un fantasma.

"Salve", abbozzai.

L'ospite inclinò la testa di lato e dilatò le narici, ispirando il mio odore un paio di volte. Fu a quel punto che le sue palpebre, per la prima volta, si abbassarono per risollevarsi quasi subito. In quella frazione di secondo gli occhi avevano mutato il colore, divenendo ocra.

"Avevo percepito odore di umani ma pensavo di essere folle", mormorò. Una voce graffiante, quasi nasale. Di scatto si sollevò e a grandi passi mi venne incontro. Salutò Deniel con un cenno reverente della testa, che spesso avevo visto fare anche dagli altri Beta, e poi riportò immediatamente l'attenzione su di me.

"Erano decenni che non incontravo un'umana", mi studiò, avvicinandosi ancora e facendomi venire voglia di retrocedere. Quindi sollevò la mano, ruotandola col palmo all'insù e restando in attesa.

Mi avevano ripetuto come un mantra la regola inderogabile che proibiva ad ogni essere vivente, umano e non, di sfiorare la compagna dell'Alpha, eppure, incoraggiata dal modo privo di esitazioni con cui Pam mi aveva appena toccata, mi ritrovai ad adottare un atteggiamento tipicamente umano e senza pensarci allungai la mano verso l'ospite, incontrando la sua a metà strada.

Tutto ciò che accedé in seguito fu veloce, eppure i miei occhi registrarono ogni dettaglio al rallentatore: l'ospite inclinò la testa e sollevò le nostre mani unite verso la propria bocca, adagiandola contro il mio dorso in un elegante bacia mano. La saliva che ricopriva le sue labbra si depositò contro le mie venature in rilievo. Alcuni peli della barba mi solleticarono le nocchie. Il suo respiro mi scaldò i tendini della mano.

E poi tutto scomparve. 

Compreso l'ospite.

Deniel si era mosso talmente veloce da non permettermi di registrarne i movimenti. Nel tempo di un battito di ciglia si era spostato da oltre le mie spalle ed ora era riverso sopra il tavolo, trattenendo l'ospite sotto di sé con una presa ferrea attorno alla gola. 

"Tu. Non. La. Tocchi!", il ringhio che uscì dalla sua gola mi fece tremare insieme ai vetri delle finestre.

Le sentii chiaramente vibrare contro l'intelaiatura in legno, allo stesso modo in cui traballavano a seguito di una lieve scossa di terremoto. Ma ciò che più mi fece tremare fu il modo in cui la mano di Deniel, artigliata contro la gola dell'ospite, fece pressione verso l'alto, sollevando la testa del poveretto per poi sbatterla contro il legno duro del tavolo.

I bicchieri che erano stati posati sussultarono fino a rovesciarsi e rotolare a terra. Lo schianto si mescolò al terribile rumore del legno della tavolata che si crepava sotto la nuca dell'ospite.

"Deniel", boccheggiai, facendo istintivamente un passo avanti.

Il braccio di Pam mi si parò di fronte, arrestando ogni mio successivo passo. "Lascia che se la vedano tra di loro", mi apostrofò, severa.

"Lo ucciderà", annaspai, aggrappandomi al suo braccio con la stupida illusione di avere anche solo mezza chance di riuscire ad abbassarlo. Di certo la forza di Pam non eguagliava quella di Deniel, ma apparteneva comunque ad una razza fisicamente superiore a quella umana. Lo dimostrava il fatto che non dovette nemmeno flettere i muscoli del braccio quando mi ci aggrappai con tutto il mio peso.

"Ne ha il diritto", sollevò le spalle. "Tuttavia non lo farà".

La mano di Deniel costrinse l'ospite a sollevarsi completamente da sopra il tavolo e con una ferocia inaudita lo sbatté nuovamente all'indietro. La nuca dell'ospite sobbalzò contro il legno, crepandolo del tutto e venendo letteralmente inghiottita dalle schegge.

"Non sapevo fosse la tua compagna", provò a difendersi, aggrappandosi con entrambe le mani a quella di Deniel e facendo abbastanza pressione da riuscire a liberarsi dalla morsa.

L'istante successivo, ruotando sul fianco, riuscì a capovolgere la situazione, gettando Deniel contro la parete più vicina e mettendo tra di loro una distanza di sicurezza.

"Ora lo sai", sputò Deniel, incurvando le spalle in avanti in una posizione d'attacco.

Gli occhi rossi lampeggiarono talmente potenti che per riflesso le iridi dell'ospite si tinsero di ocra, sottolineando la diversa posizione gerarchica che entrambi ricoprivano. Avevo imparato coi giorni che quando un Beta o un qualsiasi licantropo adottava quel tipico colore giallo, stava comunicando una buona dose di remissione. Malgrado ciò non vi era nulla d'altro nell'atteggiamento fiero ed orgoglioso dell'ospite che mi faceva supporre una predisposizione a sottomettersi.

Era evidentemente offeso per quell'attacco ed il motivo era ben chiaro; in quanto umana non si poteva aspettarsi che fossi la compagna dell'Alpha, pertanto il suo sbaglio era giustificato. E di certo era l'unica ragione per cui stava respirando ancora.

Tuttavia, dopo un silenzioso scontro di sguardi, abbassò il proprio e inclinò la testa, sollevando le mani in alto in segno di resa.

"Mi dispiace", borbottò. "Non ho percepito il tuo odore su di lei".

Pam si voltò di scatto verso di me, fulminandomi col più severo degli sguardi. "Da quanto voi due non...?", ringhiò furiosa al mio orecchio.

"Io...". Ero imbarazzata. Ancor più di imbarazzata. Come poteva pretendere che mi confidassi su una simile cosa proprio con lei?

Quando capì che non avevo alcuna intenzione di formulare una frase di senso compiuto tornò alla carica con Deniel. "Portatela in camera, perdio!".

"Prima deve mangiare", abbaiò.

"Vi porterò la cena in camera".

Feci scattare lo sguardo tra lei e Deniel. Prima di cosa? Dovevo mangiare prima di cosa?

"Ho delle notizie da dare all'Alpha", si intromise l'ospite, rivolgendosi a Pam. Lo sguardo però dirottò curioso verso di me.

E di nuovo il suo corpo si staccò da terra, volando letteralmente sopra ciò che rimaneva del tavolo e rotolando di fianco fino a precipitare sulle dure assi del pavimento.

"Non osare guardarmela", il ringhio di Deniel fu terrificante. Mi fece accapponare la pelle.

Lo fissai stravolta acquattarsi a terra, i palmi delle mani posate sul pavimento prima di balzare in avanti come un animale lanciato a tutta velocità contro la propria preda.

Atterrò sopra le ginocchia dell'ospite e il rumore delle rotule che si spezzavano si udì nonostante l'urlo straziante di dolore che squarciò il silenzio all'interno della ristretta cucina.

"No!", gridai, coprendomi il volto con entrambe le mani e accucciandomi nell'angolo, con la schiena posata contro la parete. Era troppo. Non volevo vedere. Non potevo riuscirci.

"Stai calma", il respiro di Pam mi scostò i capelli, segno che si era a sua volta accucciata accanto a me. "Tempo qualche minuto e sarà di nuovo in piedi. Non avere paura per lui. Alzati ora. Devi uscire di qui".

Scrollai la testa, incapace di muovermi. Non avevo nemmeno il coraggio di sbirciare tra le dita. 

"Come posso non guardartela?", ridacchiò l'ospite. "Mandi in giro la tua femmina con quell'odore di vergine addosso e avanzi pretese con gli altri maschi?".

"Sei morto", il tono lieve di Deniel fu più spaventoso di un urlo. 

"Devi alzarti, Becky. Adesso possibilmente!", la voce di Pam aveva perso la calma e lo interpretai come un brutto presagio. "Se non te ne vai immediatamente da qui, allora sì che dovrai temere per lui. Qui tra un po' ci scappa il morto. Forza, su. Alzati".

Quella previsione fu la molla che mi fece scattare. La paura era rimasta, viscida come una serpe, ma il terrore di vedere quell'uomo morire a causa mia vinse su ogni mia terminazione nervosa, prendendo in possesso ogni tendine delle gambe e facendole schizzare oltre la soglia della porta.

"Non finisce qui", sentii la voce di Deniel da oltre la cucina e mezzo secondo dopo la udii di nuovo, questa volta disumanamente vicina. "Vieni con me tu!".

Mi agguantò per il gomito, trascinandomi letteralmente in camera e quando oltrepassai lo stipite richiuse la porta alle proprie spalle.

Mi voltai stravolta verso di lui e ciò che vidi nel suo sguardo mi fece arretrare. La furia che aveva rivolto all'ospite non era nulla in confronto a quella che stava riversando contro di me. Mi paralizzò lo stomaco.

L'ombra di Deniel si scagliò contro di me Quando fece un misero passo avanti la sua ombra imponente si scagliò contro di me, inghiottendomi in un vortice di rabbia.

Con le mani sui fianchi mi sorrise. Non era un sorriso dolce. Era glaciale, come il suo sguardo. Logorava ogni rimasuglio di coraggio che mi era rimasto. 

"Adesso io e te parliamo", il tono fu una sentenza. 

Senza distogliere lo sguardo da me si tolse con noncuranza la maglietta, lasciandola cadere sopra la piccola poltroncina. Poteva chiaramente sentire su di sé il mio sguardo carico di paura e questo lo spinse a inclinare la testa di lato per osservarmi meglio.

"Di cosa vuoi parlare?", mormorai, cercando di sviare il suo sguardo. Assurdamente mi faceva sentire in colpa, sebbene non sapessi con estrema certezza se la rabbia che stava cercando di tenere a bada fosse per me o un rimasuglio di quella che aveva provato verso l'ospite.

"Davvero me lo stai chiedendo?".

Mio malgrado mi scontrai col suo sorriso truce, i denti serrati e la linea della mascella dura e ostile. 

No! La rabbia che stava provando era per me e sembrava riassumere l'errore che avevo commesso. Non avrebbe lasciato correre ciò che era successo poco fa in cucina e non esisteva parola che potessi dire per calmarlo. Perché effettivamente avevo commesso un errore.

Il più grave tra le loro leggi.

Scrollai la testa, indietreggiando di qualche passo. Tra me e la porta si innalzava la sua figura, talmente grossa e brutale da sembrare quella di un animale.

"Mi dispiace, non volevo farmi toccare. Lo aveva fatto tua madre e pensavo che..."

"Tu... pensavi... cosa?", scandì composto, la rabbia a stento trattenuta.

"Pensavo che essendo un parente potesse farlo", tremavo così tanto che persino le mie parole uscirono in singhiozzi.

"Le regole cambiano quando sono io a deciderlo!", sbraitò di colpo, facendomi sussultare. "Tu non le interpreti a modo tuo. Le esegui e basta, e che io possa morire se ne infrangerai un'altra d'ora in avanti".

"Non volevo infrangere nessuna regola, te lo giuro".

"Però lo hai fatto".

"Perché pensavo...".

"Di nuovo?", digrignò i denti.

"Non l'ho fatto per provocarlo", riformulai la frase. 

"Ah no?", sorrise gelido.

"Credi che io abbia interesse verso di lui?", sbottai allibita.

"Osa anche solo provarci ad averne", minacciò, voltandomi le spalle per versarsi un goccio di alcol dalla bottiglia che teneva sul tavolinetto ai piedi della poltroncina.

"Sinceramente mi sembra tutto un'esagerazione. D'accordo, ho allungato la mano per presentarmi ma mi sembra una motivazione alquanto campata in aria per reagire così", cercai di difendere la mia dignità.

"Esagerata?", rimarcò, il sorriso perfido nella voce. "Tocchi un maschio che non sono io, davanti a me, e ti aspetti che io resti fermo a guardare?".

"Non l'ho toccato", persi le staffe. "Mi sono presentata. Nel mondo civilizzato è una prassi comune".

"Ma qua sei nel mio mondo. Ti sarai accorta che le regole umane non valgono!".

"Io non conosco le vostre usanze. Non so come facciate a presentarvi tra di voi".

"Le nostre femmine...", inspirò e si corresse. "La mia femmina non deve presentarsi a nessuno. Non fintanto che è vergine".

"Bhe, forse dovresti rivedere la tua concezione di gelosia perché mi sembra folle".

Riposò la bottiglia e fece oscillare il bicchiere, bagnandone le pareti con il liquido ambrato del liquore. "Folle dici? Quindi è questo che vuoi fare? Vuoi nasconderti dietro la tua inesperienza per non ammettere di esserti accorta del modo in cui ti stava guardando?".

Sgranai gli occhi, presa in contropiede. "Cosa stai dicendo?".

"Oh, no mia cara. Non giocare all'ingenua con me", ridacchiò sdegnato. "Non venirmi a raccontare che non hai notato il modo in cui si è leccato le labbra quando ti ha vista entrare. Cosa credi volesse fare con quella lingua? Eh?".

Si voltò di scatto nuovamente verso di me ed io mi ritrovai ad arretrare. 

"Sai dove avrebbe voluto passartela quella lingua?". Gli occhi gli scivolarono lungo il mio corpo, fermandosi all'altezza del mio ventre e facendomi intuire cosa intendesse dire.  

Profondamente umiliata mi ritrovai a stringere i pugni lungo i fianchi. "Sei un porco! Un dannatissimo porco!".

Deniel arrestò il bicchiere a pochi centimetri dalla bocca, fissandomi serio e minaccioso oltre il bordo del bicchiere. "Oh, lo sarò senz'altro prima che tu possa uscire da questa camera".

Un terrore sordo mi fece fischiare le orecchie quando intuii la minaccia che si nascondeva in quella frase. "Che intenzioni hai?".

Le sue labbra si incurvarono in un ghigno mentre si chinava per posare il bicchiere, quindi tornarono a tendersi in una linea rigida appena avanzò di un altro passo. "Ti prendo".

"No", boccheggiai.

Scrollò la testa lentamente e fece un altro passo avanti. "Sì".

"Avevamo detto di procedere a piccoli passi", presi tempo, appiattendo la schiena contro la parete e camminando di lato per allontanarmi da lui.

"Vai sul letto", mormorò.

Scrollai la testa. "No".

"Ti conviene andarci, piccola, prima che sia io a portartici".

"Ci sono i tuoi genitori di là. Sentiranno...", giocai l'ultima mia carta.

Lo sguardo si incupì prima di brillare di rosso. "Hai tre secondi".

"Deniel".

"Tre", annunciò, facendo un passo di lato per compensare i miei movimenti.

"Ascoltami".

"Due".

"Per favore".

Il secondo successivo mi sentii sollevare di peso e quello successivo ancora percepii il morbido materasso contro la schiena e il torace duro di Deniel contro il petto.

"Uno, Becky", scandì, fiondandosi contro la mia bocca.











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