Becky - scelte

La luce filtrò attraverso le mie palpebre, facendole vibrare, e il panico arrivò immediato, devastante, portandosi dietro il ricordo di ciò che era successo.

Provai a sollevarle per sfuggire a quelle immagini ma ogni rimasuglio di forza che ancora possedevo era impegnato in una lotta contro il dolore. Lo sentivo al centro del petto, mi lambiva la pelle come lingue di fuoco, scivolando verso l'imboccatura dello stomaco, contraendolo in spasmi che mi toglievano il respiro per poi accelerarlo fino a trasformarlo in ansimi.

Era proprio quando i polmoni rischiavano di esplodere che il dolore, fulmineo come era arrivato, svaniva di colpo, concedendomi attimi preziosi per ricaricare le forze e prepararmi mentalmente all'ondata successiva.

Le immagini mi martellavano la testa. Più il dolore mi scivolava addosso nella sua perfida insistenza, più le immagini si facevano nitide, divenendo lampi di luce accecante che mi riportavano a quel bosco.

A quel tronco.

Al corpo di Deniel che si accaniva contro il mio.

Ai suoi occhi vitrei, velati di spasmodica passione, mentre affondava nel mio corpo con una brutalità tale da cancellare ogni idea romantica che avevo avuto dell'amore fisico.

Erano quegli occhi l'ultima cosa che avevo visto prima di svenire. E non erano stati gli occhi di Deniel. Non c'era stato nulla di lui in quello sguardo né nel corpo che mi aveva tenuta imprigionata. La Bestia gli era saltata addosso, atterrandolo, annientando la sua parte umana, smaniosa di vendicare i tentativi che Deniel aveva attuato fino a quel momento per tenerla lontana da me.

Il ricordo sbiadì appena il mio cervello si concentrò sul dolore che sia accaniva sui miei tentativi di resistere e di non gridare. Ma ero consapevole di avere la bocca spalancata, le mani strette a pugno, la gola in fiamme per le urla.

Attesi che tornasse ad affievolirsi e finalmente spalancai gli occhi, rendendomi conto che quelle urla non erano le mie.

Un Deniel impazzito stava sbraitando contro Malloy, chino sopra di me mentre con un batuffolo di cotone imbevuto di sangue cercava di disinfettarmi i tagli. Capii che era stato il disinfettante ad aumentare il dolore e con uno scatto del braccio scostai il suo prima che potesse nuovamente tormentarmi le ferite.

"Ciao", mi salutò, allargandosi in un sorriso. "Ciao, piccolina".

"Malloy", biascicai con la bocca impastata. Mi sembrava di avere la lingua immersa nella sabbia. Deglutii e vagai con lo sguardo per la stanza, riconoscendone subito il mobilio.

Oltre le spalle di Malloy si affacciò il volto di Dimitri. Gli occhi lucidi di stanchezza e un mezzo sorriso dispiaciuto e preoccupato.

"Ehi guerriera", mi salutò affettuoso, parlando a bassa voce come se temesse di spaventarmi. "Se vuoi che me ne vada...".

"No, resta", scrollai la testa e una fitta lancinante alla nuca mi immobilizzò.

"Hai preso una brutta botta alla testa", mi spiegò Malloy. "Come ti senti?".

"Così così". Strizzai le palpebre e tornai a passare in rassegna ogni angolo della stanza. 

"Stai tranquilla. Lui non c'è", Dimitri intuii chi stessi cercando con lo sguardo.

 "Dov'è?".

Indicò la porta alle proprie spalle col pollice. "In cucina. Un attimo fa stava dando di matto, probabilmente avrai sentito le urla. Così l'ho sbattuto fuori".

Mi sfuggì un mezzo sorriso e la testa riprese a martellarmi. "Difficile immaginarlo far qualcosa contro voglia".

"Non era molto contento in effetti", ridacchiò. "Vuoi... vuoi che lo mandi via?", tornò a farsi serio.

"No. Chiamalo per favore".

"Vuoi vederlo?", si sorprese Malloy.

"Sì".

"Becky", mi fissò guardingo, quasi dubbioso. "Sei proprio certa di stare bene?".

 "Non è a me che devi chiederlo. E' lui quello veramente ferito".

"Io... non credo tu sia molto lucida". Quindi ruotò il busto, girandosi verso Dimitri. "Forse dovremmo portarla in ospedale. Si comporta in modo confusionario".

Ma Dimitri non lo ascoltò. Si limitò a guardarmi, annuendo lentamente con la testa, in totale connessione con i miei pensieri.

A differenza di Malloy, sia io che Dimitri potevamo immaginare in quali e quanti sensi di colpa si stesse affogando Deniel. 

"Lo chiamo", sentenziò infine, leggendo la sicurezza nella mia espressione.

"Sei folle? Hai battuta la testa pure tu?". 

Malloy cercò di sbarrargli la strada ma a Dimitri bastarono poche parole per costringerlo a farlo passare. Non furono in sé le parole stesse. Fu il tono che usò. Talmente disperato da ammutolire Malloy. "Se voi umani amaste una donna come Deniel ama lei, capiresti perché sto andando a chiamarlo". 

Un attimo dopo scomparve oltre la porta e Malloy si accostò al mio orecchio, conscio probabilmente che ogni parola avesse pronunciato poteva essere udita da loro due.

"Non sei tenuta a vederlo. Non dopo quello che ti ha fatto. Qualunque vendetta tu stai architettando, vederlo non ti aiuterà a portarla in atto", fraintese.

"Non voglio vendicarmi".

"Bhe, accidenti ragazza, dovresti. Ti ha violentata. Quel pezzo di merda ti ha resa in fin di vita. Fidati, non lo dimenticherò. Non gliela farò passare liscia. Sono stato loro amico per tanti anni e per tutto questo tempo hanno recitato alla perfezione la parte della minoranza etnica, degli emarginati". Si strofinò i pollici sulle palpebre rugose e sospirò. "Dio, se hanno recitato bene. Ci sono cascato dentro con tutte le scarpe. Si piangevano addosso, dipingendosi dei santi quando la realtà è che hanno ammazzato diverse ragazze in tutti questi anni. Ed io ho protetto degli assassini".

"Lo hai fatto perché sapevi che quelle morti non erano intenzionali".

"Hanno comunque ucciso", si scaldò.

"E tu li hai trattati come animali. Se un lupo uccidesse una persona, rinchiuderesti quel lupo o ammazzeresti tutti i branchi esistenti?", cercai di farlo ragionare.

"Loro non sono lupi".

"Ma sono animali".

"Li difendi?", si accigliò.

"Sì. Perché agiscono secondo degli istinti e sapendolo si sono auto emarginati in modo da non rappresentare un pericolo per noi umani".

"Beh, lo hanno fatto un po' di merda!", sbottò. "Scusa il linguaggio. E' solo che...". Prese un lungo respiro e osservò la porta, aggiungendo in fretta: "Non posso perdonargli il fatto che ti abbia ridotta così. Proprio a te".

La porta si spalancò e gli occhi stravolti dall'ansia di Deniel si calamitarono immediatamente su di me. Aprì la bocca per dire qualcosa ma poi ci ripensò, lasciando che la testa gli scattasse in avanti, sconfitta. 

"Vieni", mormorai, cercando di risultare dolce.

Deniel sollevò entrambe le mani e si avvicinò cauto, con gesti calcolati. "Non temere nulla. Non ti farò altro male".

"Vieni", lo incitai, quindi tirai il lembo della camicia di Malloy. "Puoi lasciarci soli?".

"Non ci pensare neanche ragazzina".

"Fuori", il tono di Deniel rasentò la maleducazione ma fu la minaccia implicita a far scattare indietro Malloy.

"Toccala con un dito e ti giuro che...".

"Malloy", intervenni. "Per favore. Lasciaci soli qualche istante. Solo qualche istante. Se avrò bisogno di aiutò ti chiamerò".

Malloy passò accanto a Deniel e quando fu a portata d'orecchi lo sentii lanciare un autorevole avvertimento. "Dimitri ed io siamo qua fuori. Prova a chiudere la porta della stanza e la butto giù a sprangate".

Contro ogni mia aspettativa Deniel si limitò ad annuire. Non reagì. Non ribatté. Si lasciò minacciare e basta. L'unico momento in cui avevo visto in lui una scintilla di autorevolezza era stato quando Malloy aveva ignorato un mio desiderio. Poi era tornato a chiudersi nella sua spirale di sensi di colpa. Lo stavano mangiando da dentro, lasciando dei segni indelebili sul suo volto.

Lo fissai paziente che prendesse una sedia e la trascinasse accanto al letto. Si lasciò cadere stancamente, ruotando il polso per sistemare la collana col ciondolo di lupo che gli era rimasta incastrata nel polsino della maglia. Lo sguardo era ovunque, tranne che su di me.

Sapevo, fuori di ogni dubbio, che se mi avesse guardato avrebbe perso il controllo, dicendo con ogni probabilità le parole più sbagliate. Avevo ancora davanti a me il suo volto stravolto mentre affondava nel mio corpo e sapevo che il dolore che stavo provando io non era neanche lontanamente paragonabile a quello che stava provando lui. Fu questa consapevolezza a sollevarmi la mano per posarla sulla sua guancia. Pur non meritando alcuna giustificazione, il suo dolore mi guidò a lui.

"Respira Deniel". Era strano che per una volta fossi io a doverglielo ricordare.

Vidi il suo petto gonfiarsi e i muscoli tesero la stoffa della maglia per qualche secondo di troppo, sottolineando che stava trattenendo l'aria in gola da troppo tempo.  Anche se gli occhi insistevano a mantenersi fissi contro un punto della parete, non potei evitarmi di notare che erano arrossati di pianto. 

"Temo il tuo silenzio ancor più delle tue parole", disse, e parlò così piano che a stento riuscii a sentirlo. 

"Pensi che io non voglia più rivolgerti la parola?".

"Non è un pensiero così sbagliato, dopo tutto". Provò a sorridermi ma il tentativo fallì miseramente. "Malloy sostiene che non ci sia un trauma cranico", cambiò discorso, freddo. Distaccato.

Si era innescato in lui una sorta di istinto difensivo che lo spingeva a mantenere le distanze da me, la scelta automatica e istintiva di ricercare ogni possibile segno di pericolo nei propri gesti.

"Sì, la botta non è stata poi così forte". Evitai di dirgli che se ero immobile era perché ogni minimo movimento mi causava fitte allucinanti. Era inutile esasperare il suo dolore.

Per i secondi successivi ci rifugiammo dietro un silenzio forzato, fatto di parole non dette, di pensieri divisi. Eppure identici. La mano mi scivolò lungo la sua guancia e cadde a peso morto sul lenzuolo, troppo sfinita anche solo per compiere quel semplice gesto.

Fu a quel punto che con uno scatto della testa Deniel si chinò contro di me, posando la fronte contro la mia. Il suo respiro mi sbatté caldo e veloce contro le labbra.

"Credevo di essere morto. Quando mi sei svenuta tra le braccia, credevo di essere morto".

Sbattei le palpebre quando una sua lacrima la centrò in pieno, coinvolgendo a forza il mio cuore ad assistere alla sua sofferenza.

Mi avevano spiegato abbastanza cose sull'imprinting da sapere che non era la parte umana di Deniel ad esserne soggiogata. Era la Bestia che mi aveva reclamata fin da subito. Ma nel farlo aveva portato di conseguenza il cuore di Deniel a battere come un qualsiasi cuore innamorato... e umano.

Umano come le sue lacrime.

"Sapevamo che sarebbe successo. Mi hai avvertita tante volte", provai ad avviare la conversazione.

"No. No. No. Non ci provare, Becky. Non giustificarmi".

"Non lo sto facendo. Tuttavia non posso ignorare il fatto che non sei stato tu a farmi questo", mi indicai il petto.

"Becky, no...", un singhiozzo gli spezzò la voce.

"Mi hai tenuta protetta dalla tua parte animale, e la tua parte animale si è ribellata. L'hai esclusa da... noi. Le hai rubato ogni mio bacio, ogni mio gesto, persino le mie rotture di scatole. Ogni volta che l'hai zittita, privandola di me, è stata una volta in più che la Bestia si è infuriata".

I suoi occhi umidi di sollevarono di colpo contro i miei, sorpresi dal mio ragionamento. Qualunque cosa avesse pensato fino ad ora, l'idea che la Bestia potesse essere stata gelosa di lui non lo aveva sfiorato. L'aveva vista sempre come una parte integrante del suo essere quando la verità era che lui e la Bestia erano due realtà distinte. Non vi era spazio per entrambi nello stesso momento. 

Non vi era una lotta che avrebbe potuto combattere per tenerla a bada.

Non vi era sentimento umano che avrebbe potuto prevaricare sugli istinti innati.

Perché Deniel era un animale. E come animale agiva.

I sentimenti non erano altro che la condanna da espiare per ciò che era.

"C'è stato un momento in cui ho creduto davvero fosse possibile donarti un futuro", mormorò afferrando il ciondolo a forma di lupo che teneva legato al polso. Se lo rigirò tra le dita un paio di volte e lo lasciò andare. "L'ho pensato persino pochi attimi fa, quando Dimitri è venuto a chiamarmi. E' stato a quel punto che ho pensato: mia Dea ti supplico, dammi il coraggio di lasciarla andare. Dammi la forza di non inginocchiarmi accanto al suo letto per implorarla di vivere quel futuro con me".

La sua mano corse verso la mia, stringendola alla ricerca di un appiglio. Era come vederlo sgretolarsi davanti a me, ed io non potevo fare altro che restare immobile ad osservare la sua disfatta. 

"Perciò resterò in silenzio se ti alzerai per andartene. Ogni tuo passo distruggerà un pezzo di me ma non farò nulla per bloccarti la strada, anche dovesse portarti lontana da me", continuò piano, parlando così a bassa voce che sembrava rivolgersi unicamente a sé stesso.

Mi morsi il labbro per frenare il tremolio. Sapevo cosa significa quel tremore: lacrime. Erano tutte lì, pronte a unirsi alle sue.

"Mi hai fatta innamorare della tua parte umana", ammisi in un sussurro quasi colpevole, lasciando andare la sua mano.

E la prima lacrima squarciò gli argini che contenevano tutto il mio dolore.

Erano lacrime di addio. Un addio che avrei potuto dare soltanto io, perché era contro natura per un licantropo lasciare andare la propria compagna. La decisione non poteva spettare a lui. Toccava a me scegliere. A lui toccava la parte più difficile: accettare qualsiasi cosa avessi scelto.

Scelsi la strada più difficile, quella in salita e piena di insidie. E lo feci nel momento in cui il mio cervello metabolizzò l'amore nelle parole di Deniel. Era un amore umano, totale, così forte da risvegliare il mio.

Scelsi di salvarlo.

Scelsi di donargli il futuro che sperava.

Scelsi di andarmene.


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