Becky - rapimento
"Per favore passami l'insalatiera. E' là sopra. La vedi?".
Seguii la traiettoria del dito con cui la mamma stava indicando una pila di ciotole in plastica in bilico sopra la credenza.
"Non starai cucinando troppe cose?", chiesi dubbiosa.
Le scatole erano colme di carne fritta, cavolfiori pastellati, crema di peperoni, pane grigliato e uova sode. Sopra il gas invece si stavano sbollentando le verze con cui avrebbe fatto involtini di macinato. Il tavolo al centro della cucina era un campo di battaglia, cosparso di farina, gusci d'uovo e stoviglie da lavare.
Da quando il mio capo le aveva lasciato intendere di apprezzare la sua cucina, tanto da affidarle il compito di occuparsi del buffet per il team pubblicitario più famoso di tutto il Minnesota, mia madre aveva perso il senso della misura.
"Dai avanti, forza!", mi spronò, ignorando il mio scetticismo e controllando per l'ennesima volta l'orologio che aveva al polso. "L'insalatiera. Passamela".
Qualcuno bussò alla porta e lei si voltò agitata verso la pentola sopra il gas, mescolando con vigore le verze. "Sono già qui? Vai ad aprire e non far entrare nessuno qui in cucina. Guarda che disastro. Ah, aspetta: l'insalatiera".
Spostai le scodelle di plastica cercando di non farle cadere a terra e liberai l'antina della credenza quel poco che bastava per estrarre l'insalatiera di metallo che di solito usavamo solo il giorno del Ringraziamento. Gliela passai e trascinai i piedi lungo il corridoio, attardandomi un momento davanti allo spicchio di specchio che emergeva tra le giacche appese sull'attaccapanni. Di solito lo ignoravamo tutti e col passare del tempo c'eravamo quasi dimenticati che fosse lì. Era scheggiato sui lati ma se non ti avvicinavi troppo non si notava.
Quella mattina mi ero truccata ma, non essendo abituata a farlo, avevo bisogno di controllare che l'effetto sulla mia faccia non mi facesse sembrare quella che non ero: e cioè una deficiente con un pennello in mano pieno di trucco che non aveva idea di come stendere.
Avvicinai il naso allo specchio, ignorando volutamente il piccolo brufolo sulla tempia e focalizzando lo sguardo unicamente sogli occhi, dove delle occhiaie bluastre lottavano da sotto il trucco in una muta sfida su chi tra i due fosse più forte. Ovviamente, tra il trucco e le occhiaie, avevano vinto le occhiaie.
Aprii la porta e mi ritrovai faccia a faccia con un ragazzo che non avevo mai visto. I capelli scuri gli ricadevano attorno alle tempie in un groviglio spettinato, spiccando col pallore della pelle su cui si potevano benissimo intravvedere le cicatrici dell'acne. Gli occhi a mandorla di un blu acceso gli davano un aspetto orientale e allo stesso tempo svedese.
"Buongiorno".
"Buongiorno a lei". Si chinò per raccogliere un pacco e ne lesse il cartellino attaccato sul lato anteriore. "Abita qui il signor Tony Hower? Ho un pacco da consegnare".
"Al momento non è in casa".
"Può firmare lei al suo posto, nessun problema". Mi porse una penna e fece scuotere il pacco. "Dove lo metto?".
Allungai le braccia per afferrarlo. "Può darlo a me".
"No, no. E' pesante. Se mi fa strada glielo porto dentro".
"Grazie", sorrisi cordiale. "Venga pure".
Gli indicai il corridoio e lo guidai fino in cucina.
"Chi era?", domandò la mamma quando mi vide tornare. "Oh, salve!".
"Ho un pacco da consegnare. Dove lo appoggio?", chiese sbrigativo il ragazzo delle consegne.
La mamma gli indicò la parete sgombra di mobili accanto alla vetrata chiusa che dava sulla veranda. "Lì a terra va benissimo. Devo pagare qualcosa?".
"No, niente", rispose distratto, guardandosi attorno. "E' una bella casa", commentò, puntando gli occhi in ogni angolo con una lentezza quasi sfacciata e fermandoli su di me. Mi squadrò con la medesima calma prima di far scattare lo sguardo verso la porta. Corrugò la fronte e tornò immediatamente a noi, parlando con più fretta: "Vado, vi auguro una buona giornata".
"Anche a lei. Arrivederci", salutai.
Lo seguii fino alla porta e tornai in fretta e furia in cucina. "Posso aprirlo?".
"Ah no! Aspetteremo tuo padre". Un colpetto alla porta la fece sbuffare esasperata. "E adesso chi è?".
Tornai sui miei passi, convinta di ritrovarmi nuovamente faccia a faccia con il ragazzo delle consegne ma quando aprii la porta restai per un momento senza fiato.
Deniel Farrow se ne stava sul secondo gradino dell'ingresso nella sua più assoluta calma, il terrore e il paradiso mescolati in un groviglio di assoluta perfezione.
"Buongiorno", sorrise ma subito le labbra tornarono a piegarsi verso il basso. Inclinò la testa e con un dito mi accarezzò le occhiaie. "Sei molto stanca".
La dolcezza nei suoi gesti cozzava totalmente con la forza devastante che si intuiva ad ogni minimo movimento. I bicipiti si torcevano sotto la leggera stoffa della maglietta scura, rivelando un ammasso di tendini e muscoli che si rincorrevano possenti fino al torace ampio e sodo. Era uno spettacolo per gli occhi... oppure una condanna a morte.
"Tu invece sembri invecchiato di un paio d'anni in una sola notte". Lo studiai attentamente, inquietandomi nel notare come le rughe si fossero moltiplicate attorno agli occhi, conferendogli uno sguardo più spento, quasi vitreo.
"Se non altro sai con certezza che questa notte non sono stato con nessuna", tentò di scherzarci su.
Corrugai la fronte. "Quindi è normale? Ogni notte invecchiate di anni?".
"Non ogni notte. Sono mesi interi che non mi prendo una femmina umana ma ne sto cominciando a risentire gli effetti solo ora".
"Perché quindi non lo fai?". Lasciai scorrere lentamente gli occhi sui contorni del volto, stupendomi di quanto potesse essere fastidiosamente affascinante. "Non mi sembri un uomo che abbia difficoltà a trovare compagnia".
Deniel sfoderò un irritante sorrisetto. "La tua domanda è dettata dalla curiosità o dalla gelosia?".
Sollevai gli occhi al cielo. "E' ovvio che è dettata dalla curiosità".
"Non c'è niente di ovvio nella curiosità. Soprattutto se si tratta della tua". Fece per aggiungere altro ma di colpo si irrigidì. Un muscolo dopo l'altro. Si guardò attorno e un cipiglio lo adombrò mentre dilatava le narici, captando un odore che sulle prime non aveva percepito. "So che non ami invitarmi in casa tua ma che ne dici se ci spostiamo dal pianerottolo?"
"Che succede?", mi allarmai.
Non sapevo assolutamente come i licantropi riuscissero a fiutare i vari odori né in che modo potessero identificarli uno ad uno con una semplice sniffata. Tuttavia, a giudicare dallo sguardo attento e cupo di Deniel, capii che l'odore che stava annusando non gli piaceva per niente.
"Resta ferma dove sei", ordinò sbrigativo, oltrepassandomi con un movimento tanto fulmineo che a stento lo vidi scomparire oltre la porta.
Ebbi appena il tempo di voltarmi e afferrare la maniglia che era già di ritorno. Mi afferrò per un polso e mi si parò di fronte, come a volermi fare da scudo col suo corpo.
"Resta dietro di me", disse a voce bassa e dura, trascinandomi lungo il corridoio e facendo sfrecciare gli occhi per la stanza.
Arrancai dietro di lui. "Che cosa hai annusato?".
"C'è una scia. All'esterno l'ho percepita con difficoltà ma dentro casa è molto più forte".
Mi sentii impallidire. "Uno di quei cinque è stato qui?".
Non rispose. Ad occhi chiusi tirò su col naso un paio di volte e voltò la testa di scatto verso la cucina. "Viene da lì".
Sgranai gli occhi verso la mamma, pregando che non avesse udito le sue parole, e di colpo mi sentii svenire.
"E' entrato qualcuno in casa? Un ospite?", domandò.
"No, nessuno. L'ultimo ad entrare sei stato tu". Di colpo ripensai al ragazzo delle consegne e aggiunsi: "poco fa è entrato un ragazzo a consegnare un pacco".
"Dov'è?".
"Il ragazzo?".
"Il pacco", sbottò. La sua impazienza era evidente, gli faceva rasentare la maleducazione.
"E' in cucina, vicino alla porta finestra".
"Per chi è?".
"Per mio padre".
Senza aggiungere altro si fiondò in cucina e appena incrociò gli occhi di mia madre si trasformò, da teso a rilassato. La sua capacità di dissimulare le emozioni era sconcertante.
"Signora, me lo lasci dire: si è proprio superata", commentò gentile, osservando i vassoi e le scatole di plastica piene di cibo. Con la coda dell'occhio individuò il pacco ma la sua espressione restò impassibile. "Sarà stanca. Non mi dica che sta cucinando interrottamente da ieri sera?!".
"Ma ti pare", ridacchiò, scuotendo la pentola e facendo saltellare alcuni gambi di sedano che stavano rosolando. "Ho dormito ovviamente. Accomodati, non restare lì in piedi. Becky, ci pensi tu a offrirgli qualcosa da bere?".
Scattai sull'attenti e mi affrettai verso il frigorifero. Sentivo ogni muscolo intorpidito, la tensione mi rallentava e rendeva impacciati i movimenti. Afferrai una lattina di pepsy e tentai di aprirla. La linguetta di metallo sfuggì dalle mie dita. Una volta. Due. Tre. Finché la mano di Deniel Farrow si posò con forza sopra la mia.
"Calmati", mi mimò con le labbra. Mi accarezzò le dita in una carezza veloce e sfilò la lattina da sotto di esse per aprirsela da solo. Ne assaggiò un sorso e mi lanciò un'occhiataccia che, se la situazione non fosse stata talmente drammatica, ne ero certa, sarei scoppiata a ridere. "Sul serio? Pepsy?".
"Gradisce un'altra cosa?".
"Che mi dia del tu, magari".
Mi portai la mano alla bocca. "Scusami, è l'abitudine".
Sollevò un sopracciglio. "Beh, è un'abitudine un po' di merda, non ti pare?".
"Dipende dai punti di vista".
Ruotò gli occhi, seccato, e senza quasi rendersene conto li puntò contro lo scatolone, corrugando la fronte per un istante prima di massaggiarla con il palmo e spianare le rughe che si erano create.
"Ragazzi, vado a prendere le bevande al negozio", disse la mamma, togliendosi il grembiule. "Dieci minuti e torno".
"Le serve una mano?", propose Deniel, facendo oscillare lentamente la lattina. La sua calma era assurda.
"No, no, ci mancherebbe. E poi i tuoi dipendenti saranno qui a momenti".
Deniel controllò l'ora sul display del cellulare e annuì. "Suo marito dov'è?".
"A lavoro".
"Non può chiamarlo per farsi dare una mano da lui?".
Sia io che mia madre lo fissammo stranite.
"So arrangiarmi", rispose convinta, lanciandogli un'altra occhiata stranita. "Vado e torno, okay? A dopo".
"A dopo signora", la salutò, posando la lattina e ruotando il busto sulla sedia, in modo da essere voltato verso la porta finestra.
Appena udì la porta d'ingresso chiudersi in un tonfo balzò in piedi e i lineamenti del volto si irrigidirono, tornando a mostrare ciò che veramente stava provando. Si accucciò accanto al pacco e senza bisogno di un taglierino lo aprì a mani nude squarciandone le alette superiori.
Mi avvicinai a lui e sbirciai all'interno. La scatola era vuota, a parte un biglietto ripiegato su se stesso. Deniel lo afferrò e lo lesse in mezzo secondo, tenendolo inclinato in modo che io non potessi scorgere ciò che c'era scritto.
"Il ragazzo delle consegne mi aveva detto che era un pacco pesante", raccontai.
"E lo è", commentò, accartocciando il biglietto e infilandolo nella tasca dei jeans. "Ha usato la scusa del peso per entrare in casa, non è così?".
Annuii, di nuovo con la gola troppo secca per parlare.
"Le cose sono due: o voleva studiare il tuo appartamento per capire come attaccare oppure voleva lasciare un messaggio anche per me".
"Cosa c'è scritto nel biglietto?".
"Un messaggio per tuo padre. L'odore che invece ha lasciato in casa è un chiaro messaggio per me".
"Che messaggio?".
"Lascia stare". Afferrò il cellulare da sopra il tavolo e digitò velocemente un numero che conosceva a memoria. "Faccio una telefonata e torno".
"Aspetta", gli corsi dietro quando avanzò di qualche passo verso la veranda. "Che c'era scritto? Chi è stato a lasciare il messaggio?".
"Becky, non ti riguarda. Lasciami fare questa telefonata".
"Non mi riguarda?", scoppiai a ridere isterica. "Quel biglietto era indirizzato a mio padre, avrei dovuto leggerlo io e non tu. La tua è totale mancanza di rispetto verso la privacy".
"E la tua è una totale mancanza di rispetto per le mie palle. Perché me le stai facendo girare, Becky. E Dio quanto ci stai riuscendo bene!".
Mi bloccai di colpo, zittendomi; era la prima volta che si rivolgeva a me in questo modo, mettendo da parte una pazienza che, me ne rendevo conto solo ora, dovevo aver minato in più occasioni data la mia capacità di contestare ogni cosa che diceva e faceva.
"Ho diritto di sapere che sta succedendo", dissi a voce un po' più bassa.
Deniel indicò la sedia più vicina a me. "Siediti e aspettami".
Quindi mi voltò le spalle, con un brusco movimento del braccio spalancò la porta finestra per uscire in veranda e avviò la chiamata. Appena si accorse che lo stavo seguendo irrigidì le spalle e tornò sui suoi passi, bloccandosi di fronte a me, così vicino che dovetti inclinare indietro la testa per poterlo guardare in faccia. Cosa che col senno di poi avrei preferito evitare, ritrovandomi ad essere fissata da quei suoi occhi rossi come il fuoco dell'inferno.
"Aspetta un momento", disse contro la cornetta, rivolgendosi a chiunque gli avesse appena risposto. Quindi strinse le labbra e le lasciò andare con uno schiocco.
Stava valutando cosa fare di me, era chiaro, e istintivamente retrocessi di un passo. Feci per allontanarmi ancora ma la sua mano si schiantò contro il mio fianco, costringendomi a barcollare in avanti, contro il suo petto. Fu come scontrarmi contro un muro di granito e il respiro mi restò incastrato in gola, uccidendo il piccolo urlo che stava per sfuggire dalle mie labbra, spalancate per la sorpresa.
"Ringrazia il cielo che sei mia", ringhiò furioso. Il petto vibrò contro il mio con una forza tale da farmi tremare dalla testa ai piedi. La stessa voce era cambiata, divenendo rauca, profonda, fredda più del ghiaccio stesso. "Nessuno disubbidisce all'Alpha, tienilo a mente. Posso tollerare la tua insolenza fino ad un certo punto e fossi in te non farei in modo di scoprire fino a che punto io riesca ad avere pazienza. Quindi se ti dico di sederti, tu ti siedi. Non contesti. Non polemizzi. Ti siedi e basta. Intesi?".
Annuii, frastornata, incapace di distogliere lo sguardo dagli aloni rossi che gli circondavano le iridi e mi ricordavano che, dietro al suo aspetto e i modi gentili, si nascondeva un essere sovrannaturale, guidato da una Bestia. Attesi che le sue dita allentassero la morsa e retrocessi finché sentii il legno della sedia contro gli stinchi. Mi lasciai cadere e affondai la schiena contro il duro schienale, osservata a vista da Deniel.
"Dimitri", disse infine, tornando a parlare al cellulare, senza mai togliermi lo sguardo di dosso.
Forse si aspettava che mi sarei alzata appena mi avesse voltato le spalle ma di certo non avevo intenzione di muovere un solo muscolo fino a nuovo ordine.
"Ho novità... sì!... Perché?... Non così presto, però!", parlò ad enigmi, talmente serio che mi ritrovai a chiedermi se stessi tremando a causa sua o a causa del pacco. "Te ne concedo cinque. Poi vado senza di te... Nessun problema... parlaci tu e poi riferiscimi... sì, è logico". Chiuse la chiamata e mise via il cellulare. "Vieni".
Balzai in piedi e lo seguii lungo il corridoio. "Dove stiamo andando?".
"A casa".
"Siamo già a casa".
"A casa mia".
"Cosa? Non verrò a casa tua".
"Metti la giacca. Farà più freddo". Si fermò davanti alla porta e la spalancò, osservando velocemente lungo la strada prima di rientrare. Individuò la mia borsetta sora l'appendiabiti e la aprì, controllandone velocemente l'interno.
"Ma che stai facendo?", cercai di strappargliela via.
"I tuoi documenti sono nel portafogli?", domandò, togliendolo dall'interno della borsa e sollevandolo in alto, in modo che non potessi riprendermelo.
"Certo che sono lì dentro", sbottai. "Ridammi subito le mie cose".
Mi riconsegnò la borsetta e in fretta e furia mi aiutò a sistemarla sulla spalla. Quindi tornò a voltarsi verso l'appendiabiti e acciuffò la giacca più pesante che vi era appesa.
"Che stai facendo?".
Si voltò di scatto verso di me e per un attimo restò in silenzio, fissandomi corrucciato. "Se ti chiedessi di salire in macchina e venire con me, lo faresti?".
"Certo che no", risposi ovvia, senza pensarci.
Sospirò e con un movimento tanto fulmineo quanto inaspettato mi posizionò un braccio attorno alla schiena, attirandomi contro il suo fianco. "Allora ti sto rapendo".
Cercai di divincolarmi, invano. "Sei impazzito? Io non ti permetto di...".
"Che palle!", borbottò, ruotando gli occhi.
L'attimo successivo calò potente il palmo contro la mia bocca, rafforzò la stretta sulla mia schiena e mi sollevò da terra, trascinandomi via da tutto quello che fino ad ora era stato il mio mondo.
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