Becky - quegli occhi rossi

La macchina del sergente Malloj sbandò su alcuni massi accatastati sul ciglio del sentiero prima di fermarsi. Alcune foglie si staccarono dai rami e planarono sul cofano argentato per poi venire catturate da una folata di vento che le accompagnò fin sopra i miei scarponcini.

Le calciai via e chiusi la zip della giacca per ripararmi dal freddo della sera mentre mi avvicinavo all'auto senza tentare di nascondere il malumore.

"Ehi bambina!", mi salutò, sporgendo un braccio dal finestrino.

Sollevai la mano per riparare gli occhi dal fascio di luce dei fanali e la riabbassai solo quando Malloj spense il motore, consentendo alla penombra della sera di tornare a fare da padrona.

"Ho portato la cena", fece dondolare due sacchetti di plastica. Chiuse lo sportello con un calcio e si arrampicò lungo la salita che dall'esiguo parcheggio conduceva al cortile esterno della base.  "Spero che Deniel abbia già provveduto ad accendere il fuoco".

"Se ne sta occupando ora". Allungai la mano verso di lui: "passami i sacchetti, ti aiuto".

"Ho portato salsicce e bistecche. Ah! Ho dimenticato la birra in auto. Puoi pensarci tu?".

Posai i sacchetti a terra e gli indicai il punto in cui il signor Farrow stava creando il falò. "Mettiti vicino al fuoco. Si gela la sera".

"Puoi dirlo, ragazza", alitò, osservando il suo respiro condensarsi in una nuvoletta bianca. "Sono davvero dispiaciuto di avervi costretti a dormire all'aria aperta. Quando non vi ho visto arrivare ero davvero convinto foste tornati in città".

"Ti perdonerò sempre tutto", ammiccai. "Dai, ora vai o ti prenderai un malanno. La giacca dell'uniforme non ha l'aria di essere molto calda".

Facendo attenzione a dove posizionavo i piedi percorsi la breve discesa cercando di schivare i massi più scivolosi e ricoperti di muschio. 

"Ehi, bambina?", lo sentii richiamarmi.

Mi avvicinai all'auto e mi voltai.

"Stai bene? Mi sembri strana... pensierosa".

"Non sono stati due giorni facili".

"Sarai stanca, immagino".

Abbassai lo sguardo, in bilico tra l'imbarazzo e il nervosismo. "Non è quello. Il fatto è che il signor Farrow non si è comportato in modo corretto".

"Deniel è un uomo molto autoritario e, non credo di esagerare nel dire che il suo carattere sia perlopiù dispotico".

Il bisogno di confidarmi mi fece parlare di impulso: "ha tentato di baciarmi".

"E suppongo, a giudicare dal tuo tono, che non abbia usato dolci sistemi per riuscirci".

Mi mordicchiai un'unghia sentendo le lacrime bussare insistentemente per poter uscire allo scoperto. Non era tanto il fatto che avesse minacciato di baciarmi a farmi tremare il labbro per l'umiliazione, era piuttosto la mortificante consapevolezza che ai suoi occhi valevo poco o niente per permettersi tanta confidenza.

Non vi era stato nessun accenno alla dolcezza quando mi aveva saldamente afferrata per impedirmi di sfuggire, né quando aveva baciato e annusato il mio collo senza chiedermi il permesso. Questo senza ombra di dubbio non rientrava nelle tecniche di corteggiamento bensì in quelle di un uomo che voleva prendersi una donna facile.

"Ha dato per scontato che lo avrei ricambiato", sbottai. "Non mi ha nemmeno lasciato la possibilità di sottrarmi".

"Becky!", mi fissò improvvisamente attento, assottigliando lo sguardo. "Ti ha forse fatto qualcosa che...".

"No, no. Certo che no", mi affrettai a tranquillizzarlo. "Ha solo minacciato di baciarmi...", ruotai gli occhi e di malavoglia aggiunsi: "anche se poi alla fine non lo ha nemmeno più fatto".

"Sul serio?", c'era fin troppo stupore nel tono, come se lo ritenesse impossibile. Distrattamente mi chiesi quanta confidenza avessero loro due. 

"L'ho rifiutato. Presumo si sia sentito offeso".

"Ma chi? Deniel?", scoppiò a ridere. "Non credo, bambina. Penso piuttosto che ti abbia dato una esemplare dimostrazione di rispetto".

"Vai a vedere che ora diventa pure Santo", mi scaldai.

"Su, Becky, ora non fare la bambina. Deniel è un uomo di trent'anni e tu una ragazza veramente bella. Non ci vedo tutto questo dramma se desidera un bacio".

"Quell'essere non desidera! Lui pretende e... Dio quanto è irritante!", mi passai una mano tra i capelli, i nervi a fior di pelle. "Farrow è il mio capo, Malloj. Il mio capo! E tu sai bene quanto la mia famiglia abbia bisogno dei soldi che guadagno con questo lavoro. Non posso rischiare di perderlo solo per accontentare i capricci di un uomo che, per inciso, non mi rispetta affatto. Se lo facesse avrebbe chiesto il mio permesso invece che pretendere che gli dessi qualcosa che nella sua testa bacata gli è assurdamente e illogicamente dovuta".

"Se ti chiedessi il permesso otterrei solo uno schiaffo". Dalla penombra, Deniel fece un passo avanti, rivelando la propria presenza. Il volto contratto in una posa quasi annoiata. 

Lo fissai truce. "Come si è permesso di ascoltare? Era una discussione privata".

"Mi permetto questo e molto altro ancora", anche il timbro della voce sembrava annoiato. "Mi permetto ogni cosa che ti riguarda, e mi permetto di farti notare che tra tante cose dette, ce ne è una che mi urta in particolar modo".

"Sarebbe?". Incrociai le braccia, sul piede di guerra, e con orrore mi accorsi che i suoi occhi si soffermarono un secondo di troppo contro il mio seno.

"Il fatto che pensi che il mio volerti baciare sia un capriccio. Tesoro, se lo fosse, tu saresti già dentro la base, nuda, a implorarmi di farti riprendere fiato".

"Come...?". Sgranai gli occhi, oltraggiata, lasciandoli saettare tra Malloj e Farrow. "Come si permette?". Quindi bloccai gli occhi su Malloj. "Hai sentito?".

"Eccome", sorrise bonario. "Di fatto ti ha appena rivolto un complimento".

"Lo difendi?", ero allucinata.

"Forse i metodi del ragazzo sono un poco rudi...", attaccò.

"Non è che non abbia proprio tentato di essere dolce, eh", lo imbeccò Farrow.

"Quanto? Dodici ore?", lo apostrofò, un sopracciglio alzato in una postura scettica. 

"Forse anche tredici".

Sembrava stessero parlando una lingua a me sconosciuta. Si intendevano alla perfezione, come se Malloj fosse già al corrente di tutto. Un dubbio mi perforò la testa ma era ancora troppo vago per dargli una forma.

"Stavo dicendo, bambina, che forse i suoi metodi sono stati un poco rudi, questo è vero, ma non si può negare che ti stia corteggiando senza farti pressioni".

"A onor del vero qualche pressione sarà bene che inizi a fargliela", mormorò Farrow, arrogante. 

"Senza esagerare, però", lo imbeccò Malloj, come se io non fossi nemmeno presente. 

Di nuovo il dubbio si affacciò nella mia testa e puntai lo sguardo su Malloj. Era un amico di famiglia, avrebbe dovuto patteggiare per me, minacciare di far intervenire mio padre... indignarsi quantomeno. Invece sembrava viaggiare sulla stessa lunghezza d'onda del signor Farrow, rivolgendosi a lui come se sapesse più di quanto mi era dato invece sapere a me.

"A cosa ti serve questa campagna promozionale?", mi rivolsi al sergente. Non era una domanda ma una accusa a tutti gli effetti. Il dubbio stava cominciando ad assumere una forma sempre più distinta.

"Ad una raccolta crowfunding", rispose senza esitazione. 

"Sei stato tu a convincere Farrow di scegliermi come assistente?".

"Non sottovalutarti", intervenne il mio capo. "Sei molto competente... se non si tratta di avvolgere cavi". Allungò il collo verso Malloj per parlargli più da vicino. "E' incredibile come riesca ad ingarbugliarli".

I contorni del dubbio tornarono a dissolversi come nebbia e mi diedi della stupida per aver creduto che Malloj avesse architettato un piano con Farrow. Tuttavia il sospetto rimase. Era un sospetto molto piccolo ma che tuttavia non voleva andarsene.

"Sarà meglio che recuperi la birra", tagliai corto, dando loro le spalle.

Fu in quel momento che li vidi. Al limitare del bosco, dove i raggi della luna non trovavano spazio, rimanendo imprigionati tra il groviglio di rami talmente bassi che sfioravano il terreno, otto piccoli cerchi di luce rossa erano puntati verso di me.

Mi irrigidii per lo spavento e istintivamente arretrai di un passo. Le piccole sfere di luce restarono in posizione, talmente immobili da sembrare dipinte nella notte dalla mano di un pittore. Difficile intuire cosa fossero.

Assottigliai la vista, cercando di mettere a fuoco, ma di colpo, come erano apparse scomparvero.

"Becky", la voce di Farrow era cupa e vicina. Troppo vicina.

Mi voltai in un sussulto, trovandomelo alle spalle, e di nuovo il cuore perse un battito. La violenta furia nel suo sguardo era la cosa più minacciosa che avessi visto. Per un attimo arrivai scioccamente a pensare che fosse stato proprio grazie al suo sguardo che quei lampi di luce rossa erano svaniti. 

"Li hai visti?", chiesi, dimenticando di dargli del lei.

"Sì", rispose laconico. 

"Cos'erano?".

"Gli occhi di alcuni lupi".

"Lupi?", mi strozzai nel panico. Stavo facendo il pieno di spaventi e dovetti posare la schiena contro la fiancata della macchina per calmare il respiro.

Farrow mi si piazzò di fronte, come a volermi fare da scudo. "Se ne sono andati via appena mi sono avvicinato. Stai tranquilla".

"L'altra notte aveva detto che non si sarebbero avvicinati e che gli ululati erano il richiamo degli adulti", con gli occhi spalancati indicai il punto in cui li avevo visti. "Ora invece erano a dieci metri da me".

"L'altra notte ti avevo anche detto che non avrei permesso a nessuno di farti nulla", mi ricordò, calmo. "Perciò, respira Becky. Se mi starai accanto non ti accadrà mai nulla".

Lo fissai incerta. Sembrava stesse cercando di dirmi altro, nelle sue parole si sentiva la promessa di qualcosa di ardente, selvaggio, solenne. E divenni ancora più incerta quando mi resi conto che la sua sola vicinanza mi trasmetteva a tutti gli effetti una tranquillità tale da farmi sentirmi al sicuro.

"Sei più calma?", indagò comprensivo.

Annuii, sbirciando per sicurezza verso il limitare del bosco. Degli occhi rossi non vi era più traccia perciò mi arrischiai a recuperare velocemente le lattine di birra dal bagagliaio e tornai in fretta e furia accanto a Farrow.

"Ho fatto", dissi veloce. "Torniamo vicino al fuoco?".

"Sei ancora spaventata", non era una domanda.

"Un po'. Non amo molto i lupi".

Notai le sue sopracciglia incresparsi, ma fu solo un attimo. "Forse non li hai conosciuti a fondo. Sono una specie da cui gli umani dovrebbero imparare".

"Preferirei conoscerli su google", tagliai corto, superandolo.

"E sei ancora arrabbiata", parlò alle mie spalle. Anche questa non era una domanda ed ebbe il potere di rallentare i miei passi.

"Non lo so".

"Torna qui", invitò, usando un tono talmente autoritario che mi bloccò sul posto.

Un secondo dopo mi raggiunse, piazzandosi davanti a me talmente vicino da costringermi ad inclinare la testa per poterlo guardare. Avrei voluto verificare se Malloj fosse ancora presente ma l'ampiezza del torace e l'incredibile ammasso di muscoli di Farrow mi bloccavano la visuale, obbligandola a focalizzarsi solo su di lui.

"Non sono un uomo paziente", disse, avvicinandosi ancora.

Feci un passo indietro e lui subito uno in avanti. 

"E non accetterò altri rifiuti da parte tua", un altro passo avanti.

Retrocessi di nuovo, senza distogliere gli occhi dai suoi. Avevo il bisogno di tenere sotto controllo la situazione, benché mi stesse sfuggendo di mano.

"Signor Farrow, la prego", implorai nervosa. "Ho davvero bisogno di questo lavoro".

"E' questo che ti spinge a negarti?".

Retrocessi ancora e sentii le natiche posarsi contro il metallo duro della fiancata dell'auto. Ero in trappola. La gola mi si seccò e dovetti deglutire un paio di volte per poter rispondere.

"Non la prenda a male ma fatico a credere che lei sia davvero interessato a me".

Con uno scatto fulmineo Farrow si chinò in avanti fin quasi a sfiorarmi il naso, ma non mi baciò né mi toccò: si limitò ad allungare il braccio dietro di me, contro la fiancata dalla macchina, togliendomi ogni possibilità di fuga. 

"Cosa ti fa credere che io non lo sia?", respirò contro le mie labbra.

Gli occhi non erano più puntati contro i miei ma fissi sulla bocca, immobilizzati nell'attesa.

"Non lo faccia, la prego", intuii la sua prossima mossa.

La sua mascella ebbe un guizzo. "Rispondi alla mia domanda".

"Ho... motivo di credere che...", deglutii, deconcentrata dal suo respiro. Sapeva di terra umida e aria pulita. Un mix che ricordava la natura di questi boschi, come se lui fosse un elemento stesso della montagna Eage. 

"Che?", incalzò paziente.

"Insomma, lei è molto più grande di me".

"Abbastanza, sì".

"Quindi credo che, insomma immagino lei sia abituato ad un altro genere di donna e...".

"Ne sei forse gelosa?"

Sollevai le mani contro il suo torace per impedirgli di avvicinarsi ancora, scontrandomi contro un intreccio di tendini e muscoli che si contrassero a contatto con le mie dita. "No, penso invece che lei mi abbia scambiata per una di loro".

"Se ti considerassi uguale o anche solamente simile a quel genere di femmina, in questo momento la mia lingua starebbe esplorando la tua bocca". Sollevò la mano per acciuffarmi una ciocca di capelli e ci giocherellò arrotolandola su un dito. "E invece mi sto privando di questo piacere da due interi giorni. Cosa che, è giusto tu lo sappia, non sarò in grado di tollerare ancora a lungo. Perché entro domani io ti bacerò, che tu lo voglia o meno".

"E' proprio questo che mi fa dubitare di te", mi scaldai. "Non ti importa di ciò che voglio".

"Mi importa invece, non immagini nemmeno quanto, ma te lo ripeto, non sono un uomo paziente. Perciò perdona la mia reticenza ad accettare un falso rifiuto".

"Falso?", mi indignai. Misi più forza nelle braccia e provai a spingerlo all'indietro, senza ovviamente riuscire a spostarlo di un misero centimetro.

"Vuoi che mi allontani?", intuì le mie intenzioni.

"Non riesco a ragionare se mi sta così addosso".

Immediatamente retrocesse di un passo, posizionandosi non abbastanza lontano come avrei voluto ma sufficientemente distante dalla mia bocca. Il profumo del suo respiro svanì, mescolandosi a quello della natura e lasciando libero il mio cervello dalla sua ipnotica fragranza.

"Non mento quando dico di non volerla, signor Farrow", precisai.

"No?", sollevò scettico un sopracciglio.

"No", ribadii.

"Mmm...", si grattò il mento con gesti lenti, inchiodandomi con uno dei suoi classici sguardi intrisi di severa autorevolezza. "Se fossi malignetto potrei metterti alla prova".

"Otterrebbe solamente l'ennesimo rifiuto".

La mano si fermò all'altezza della cicatrice che gli deturpava la pelle dello zigomo, nascosta sotto un lieve strato di barba, e gli occhi scattarono inflessibili contro i miei. "Otterrei di risentire quel profumo di rose e fragole".

Mi accucciai per prendere le lattine che avevo deposto sul terreno. "Di che profumo sta parlando?".

Quando mi risollevai lo trovai voltato di spalle, i muscoli della schiena contratti a tal punto da tremare, una mano stretta tra i capelli legati sulla nuca, come se gli fosse scoppiata l'emicrania.

"Paro del tuo profumo, Becky, quello che credi mi faccia infuriare...", rispose, la voce a scatti. "Di solito la tua pelle sa unicamente di rose. Ogni vergine si porta addosso quell'odore".

Spalancai la bocca. "Il suo è solo un tentativo sfacciato di chiedermi se sono vergine e può anche rassegnarsi perché non discuterò di una cosa tanto personale".

"Non mi serve una conferma. So che sei vergine allo stesso modo in cui so che ti chiami Becky".

"Le persone vergini non hanno un odore diverso. Stai vaneggiando. E se proprio vuoi saperlo non lo sono. Contento?".

Si voltò di scatto, come se avessi gridato. Quello che accadde in seguito fu talmente veloce da lasciarmi senza fiato. Un attimo prima Farrow mi stava osservando e un istante dopo era sdraiato sopra di me, schiacciandomi col suo peso senza alcun riguardo. L'impatto mi fece uscire l'aria dai polmoni e quando spalancai la bocca per urlare la sua mano vi calò sopra implacabile. Si era mosso talmente veloce da non permettermi di registrarne i movimenti, né di prevederli. 

La violenta collera nei suoi occhi li fece brillare di rosso o forse era solo la mia immaginazione. Strizzai le palpebre e ci riprovai: le iridi erano accerchiate da una striscia rosso fuoco che si allargava millimetro dopo millimetro verso la pupilla, ristretta a tal punto da non essere più spessa di uno spillo.

"Te lo dirò una volta soltanto", la voce era simile a quella del ringhio di un animale. Era spaventosa e mi fece accapponare la pelle. "Non stuzzicare mai la mia gelosia. La tua verginità non è un argomento su cui amo scherzare perciò non tentare mai e poi mai di metterla in discussione. Mi hai capito?".

Boccheggiai per la paura. L'uomo che avevo di fronte non era Farrow. Nulla sul suo volto aveva mantenuto le fattezze che avevo ormai imparato a riconoscere. Pur con le sembianze identiche, ogni tratto emanava una potenza animalesca, l'espressione completamente trasfigurata dalla rabbia era selvaggia, gli occhi completamente rossi erano la rappresentazione di ogni più fantasiosa paura. Qualcosa sotto le labbra sembrava pulsare, come se l'ossatura della mandibola stesse mutando e allargandosi per far spazio a una dentatura più lunga. Le narici fremevano a caccia del profumo di cui mi aveva accennato.

Era Farrow. Eppure allo stesso tempo era la cosa più simile ad un animale che avessi mai visto.

Le sue stesse movenze somigliavano a quelle di un felino. Veloci, sicure, imprevedibili. Talmente forti da far pensare stesse cacciando una preda.

Mi venne da vomitare e deglutii l'aria. 

"Farrow...", mugugnai contro il palmo della sua mano. Le mie lacrime si bloccavano contro le sue dita. "Mi sta facendo male. La prego, la supplico...".

"Deniel fermati per l'amor del cielo!", percepii in lontananza la voce di Malloj.

La mano di Farrow si sollevò di scatto e il peso del suo corpo possente diminuì addosso al mio, consentendomi di tirare un respiro profondo. I polmoni bruciavano per la mancanza di ossigeno e il respiro mi uscì in singhiozzi, accompagnato dalle lacrime che, senza più le dita di Farrow a deviarle, mi scivolarono in bocca e lungo le tempie.

"Tra le tue gambe si sprigiona l'odore delle fragole ogni volta che ti eccito", mi sussurrò all'orecchio. "Sai quante volte l'ho sentito?".

Quindi si sollevò di scatto e mi lanciò un'ultima occhiata dall'alto. "Ti ho concesso del tempo che non ho mai concesso a nessuno. Ora non ti rifiuterai più a me, ragazzina".

Malloj scelse quel momento per raggiungerci e, notando le mie lacrime, si accucciò immediatamente, infilando un braccio dietro la mia schiena per aiutarmi a mettermi seduta. Gli occhi, notai, non perdevano di vista Farrow.

"Non è così che deve andare", lo sgridò. "Cosa pensi di ottenere terrorizzandola?".

Farrow nemmeno lo guardò. 

"La mia pazienza è finita, Becky", mi allungò la mano ed attese che gliela stringessi. "Seguimi, torniamo in città".

"Vuole licenziarmi?", borbottai.

Farrow chiuse gli occhi e quando li riaprii era svanita ogni traccia di rosso. La particolarità delle sue iridi ricordava quella dei lupi che avevo intravisto al limitare del bosco e con ogni probabilità, questo aspetto somatico, aveva giocato un brutto scherzo sulla mia immaginazione, portandomi a spaventarmi più del dovuto.

Col senno del poi, mi resi conto che Farrow non mi aveva fatto alcun male, e l'unica parte di me che pulsava dolorante era il cuore, ferito dalle dure parole irrispettose che mi aveva rivolto. Le mie stesse lacrime, di colpo, mi parvero eccessive.

"Lascia che ti aiuti", insistette, voltandosi poi verso Malloj. "E tu levale le mani di dosso".

"Deniel...".

"All'istante", indurì il tono.

Percepii immediatamente l'assenza del braccio di Malloj dietro la mia schiena e per un attimo barcollai. Piantai i palmi a terra e feci leva sulle ginocchia per sollevarmi. Appena ci riuscii, Farrow mi acciuffò la mano, tenendola saldamente in modo da bloccare sul nascere qualsiasi mia protesta.

"Andiamo", ordinò.

"Non vengo da nessuna parte con lei", dissi, voltandomi poi verso Malloj.

"Malloj non ti sarà di alcun aiuto", si intromise Farrow.

"Perché vuoi tornare in città?", gli chiese. "I piani non erano questi".

"Eravate d'accordo", mormorai. Il dubbio di pochi minuti prima tornò, questa volta sotto forma di certezza. La paura mi fece nuovamente boccheggiare e la consapevolezza di essere da sola in un bosco, in compagnia di due uomini di cui non mi fidavo, mi fece rizzare i peli della nuca. "Cosa volete farmi?".

Entrambi però mi ignorarono.

"Il piano è cambiato. Il suo odore è troppo forte, sta cominciando ad attirare a valle i lupi in calore", spiegò Farrow. "E finché non sarà mia non potrò proteggerla dall'attenzione di altri maschi. E' una tentazione troppo forte, Malloj, io stesso sono stato più volte sul punto di prenderla contro la sua stessa volontà. Non credo che gli altri avranno il mio stesso riguardo".

"Che succederà?", si allarmò, avvicinandosi istintivamente a me.

Li fissai senza capire. "Di cosa state parlando?".

Di nuovo mi ignorarono.

Deniel digrignò i denti e un lampo di rosso tornò fulmineo a colorargli le iridi. "I più eccitati potrebbero arrivare a sfidarmi. Avevo creduto che il suo odore fosse forte solo per me, a causa dell'imprinting, ma mi sbagliavo. C'erano sei lupi a meno di dieci metri da lei, e se Becky rappresenta per loro anche solo la metà della tentazione che scatena in me, sono certo che arriveranno a seguirla in città".

Malloj annuì, comprensivo, e senza spiegarmi nulla cominciò a sfilarmi la giacca.

"Che stai facendo?", provai ad oppormi ma Farrow mi tenne ferma.

"Lascerò la sua giacca al limitare del bosco, in questo modo le tracce si confonderanno". Malloj mi sfilò la seconda manica e infagottò la giacca a vento. "Portala via, resto io qua a controllare che nessuno vi segua".

Farrow lo ringraziò con un cenno del capo e mi sospinse verso il suo Pick Up, senza darmi alcuna spiegazione.

"Sali", ordinò.

"Che sta succedendo?".

Mi rannicchiai sul sedile a lato del passeggero e fissai il buio della notte.

"Allacciati la cintura". Mise in moto e fece un'inversione azzardata, immettendosi nel sentiero tortuoso che conduceva verso le luci della città.

"Mi dica che sta succedendo".

"Hai sentito".

"Ma non ho capito", strillai in preda al panico. "Lei mi deve una spiegazione".

Il suo sguardo mi incenerì e la macchina sbandò per un secondo, costringendolo a riportare gli occhi contro la strada. "Non posso darti spiegazioni".

"Perché?".

"Perché non sei pronta ad accettarle".

"Voglio proseguire in taxi".

La sua risata fu quasi offensiva. "Ora fai la brava e avvisa tuo padre che stiamo arrivando".

"Accosti la macchina", alzai la voce, afferrando il cellulare per chiamare la stazione di taxi più vicina.

Il suo braccio scattò verso di me e mi strappò il cellulare dalle mani. 

"Lei è la persona più maleducata che abbia mai avuto la sfortuna di incontrare! Perché mi sta portando via dal set? Perché Malloj era così spaventato?".

Farrow ringhiò una risposta, troppo veloce perché capissi, ma sembrava una sequela dii imprecazioni.

"Eravate d'accordo fin dal principio. Avevate un piano ed esigo che lei mi spieghi".

La mandibola scrocchiò. Le labbra talmente sigillate da formare tutto attorno una linea bianca. "Per favore, Becky, chiama tuo padre".

"E con cosa? Il mio cellulare lo ha preso lei!".

Lo sollevò per osservare il display senza perdere di vista la strada. Entrò nella rubrica e si fermò sul numero di mio padre. Prima di avviare la chiamata, però, esitò, tornando a lanciarmi un'occhiata di sbieco.

"Ho fatto un errore di valutazione", confessò, irritato. "Credevo che i lupi non avrebbero sentito il tuo odore a quella distanza. Credevo di essere il solo a percepirlo così forte".

"Di che sta parlando?".

"I lupi possono sentire molti più odori rispetto agli umani, soprattutto possono percepire l'odore di una femmina che non è mai stata con un uomo. E questo li fa uscire di testa, annulla ogni loro razionalità, spingendoli ad essere aggressivi e audaci".

Corrugai la fronte. "Anche lei percepisce il mio odore".

"Sì, anche io".

"Come ci riesce?".

Mi osservò con la coda dell'occhio. "Diciamo che ho vissuto per molti anni a stretto contatto con loro".

"Perciò mi sta allontanando dal bosco perché lo ritiene pericoloso?".

"Esatto. Come ti ho detto, ho fatto un errore di valutazione. Tu non hai colpe".

Aprii la bocca ma una risata mi sfuggì prima che potessi trattenerla. "Lei è totalmente pazzo. E mi offende se spera davvero che io creda ad un'assurdità simile. Pretende davvero che mi beva la storiella che i lupi vadano in branco a rimorchiare le... umane?", calcai bene sull'ultima parola, giusto per sottolineare quanto fosse assurda la sua versione.

"Puoi scegliere di crederci oppure no", fece spallucce. "La questione comunque non cambia: da adesso in poi mi starai accanto finché non porterai addosso il mio odore".

Mi voltai verso il finestrino, incontrando solo oscurità. "E' assurdo. Tutto questo è completamente assurdo. E lei si sta inventando tutta questa storiella per avere una scusa per potermi stare accanto e riuscire a portarmi a letto".

"Non mi serve un letto per farti mia né una stupida storiella".

Mi voltai e lo schiaffeggiai. L'auto sbandò di nuovo e Farrow rallentò così bruscamente che mi strozzai con la cintura di sicurezza. Accostò la macchina al centro della strada e posò un gomito sul volante per potersi voltare verso di me. Lo sguardo lampeggiava di collera.

"Come puoi essere così cieca?", urlò. "Come puoi non esserti chiesta il motivo per cui quei lupi avevano gli occhi rossi? Dello stesso rosso che riempie i miei!".

Ci fu un lungo silenzio in cui mi rifiutai di pensare. Non volevo farlo. Avevo visto abbastanza film di fantascienza per rendermi conto che la situazione che stavo vivendo si avvicinava ad una trama scontatissima di un film di serie B. Ed era folle oltre che umiliante. Folle perché ogni parola che avevo sentito non trovava alcuna base nella logica, e umiliante perché Farrow pensava davvero che avrei dato credito a delle storielle campate in aria sui lupi.

Poteva anche aver vissuto a stretto contatto con quegli animali, ma farmi credere di essere diventato simile a loro a tal punto da poterne assumere qualche tratto, come per esempio gli occhi rossi, beffeggiava completamente la mia intelligenza. 

"La sola cosa che rende tollerabile questa assurda situazione è che se l'è inventata perché forse mi desidera davvero". Tornai a fissarlo, sforzandomi di calmare il tono. "Che cosa vuole da me? Perché ha inscenato una campagna... Dio, non so nemmeno più se credere che sia una vera campagna promozionale".

"Non lo è".

"Grandioso". Le lacrime tornarono ad appannarmi la vista e sbattei le palpebre un paio di volte per cacciarle indietro. "E Malloj? E' un amico di famiglia, come ha potuto prestarsi ad una cosa simile?".

"Malloj è un caro amico anche della mia famiglia. Di mio padre prima ancora che mio. Quando gli ho parlato di te ha deciso di aiutarmi, tutto qua".

"Tutto qua?", tirai su col naso. "Mi avete ingannata e lei dice tutto qua?".

"Sì", annuì, ingranando la marcia. "Tutto qua".

La macchina sobbalzò in avanti e i fanali tranciarono di netto l'oscurità davanti a noi, puntando verso le luci sfavillanti della città. Mi rifugiai nel silenzio cercando di rimettere in ordine i pensieri. Tra tutti martellava quello di essere stata ingannata ma non era da meno nemmeno il pensiero che qualcosa, in tutto questo caos, mi stava sfuggendo. La realtà stava scivolando verso un'altra dimensione togliendo senso a tutto ciò che era accaduto. Farrow continuava a parlare del mio odore ed era forse l'unica cosa sincera che mi aveva detto. Non era una storiella che si era inventato su due piedi poiché era evidente che non aveva mai finto l'irritazione che il mio profumo era capace di scatenargli. Persino quando eravamo in ufficio cercava in tutti i modi di mettersi accanto ad una finestra aperta quando ero nei paraggi.

"Non ti ho mai mentito", lo sentii parlare piano. Gli occhi sulla strada.

"Certo... come no?".

"Non ti sto raccontando una storiella stupida per riuscire a portarti  a letto. Quei lupi erano davvero interessati a te e spero tu sia abbastanza lucida da intuire in che modo lo fossero".

Sbuffai dal naso. "Sta dicendo cose senza senso, se ne rende conto?".

Annuì, piano, la testa persa dietro chissà quale pensiero. Impiegò quello che parvero minuti prima di ribattere: "ti riporterò a casa. Dirai a tuo padre che abbiamo finito prima del tempo perché ti senti la febbre, e da domani, ti prego, ti prego, ti prego, esci di casa solo se ci sarò io con te".

Scrollai la testa. "Non farò niente di tutto ciò".

"Non sei nella posizione di discutere su questo", ruggì per la frustrazione. La voce era talmente alta che rimbombò nell'abitacolo. "Quei lupi non si daranno pace finché non ti troveranno! Sei e sarai la loro ossessione finché non porterai il mio odore addosso. Sei libera di credermi oppure no ma non metterò a rischio la tua vita e quella della tua famiglia perché non ti fidi di me!".

Mi dimenai sul sedile. "Cosa centra la mia famiglia?".

"Saranno disposti a tutto per averti, lo vuoi capire?". Non vi era spazio per la calma nella sua voce. Parlava a scatti, rapido. Il panico era tangibile a tal punto da farmi smettere di credere stesse mentendo. "Pensi davvero che non arriveranno  minacciare la tua famiglia?".

"Dei lupi? Come possono minacciare la mia famiglia? Sono animali!", non lo presi sul serio. "Si mettono a fare pipì in giardino per marcare il territorio?".

"Cercheranno di marchiare il territorio, sì", confermò, tetro. "Quello che ti sfugge è che il territorio sei tu, e sarai tu quella marchiata".

Lo fissai stravolta, pentendomi immediatamente di avergli dato corda. "Abito in via...".

"So dove abiti", disse, svoltando nel lungo vialone che collegava il centro con la periferia.

Arrestò l'auto davanti al mio portone senza alcuna esitazione, come se fosse stato lì davanti per ore intere e conoscesse la via a occhi bendati.

"Chiudi la porta a chiave e non uscire finché non passerò a prenderti domani mattina", raccomandò, senza guardarmi. Gli occhi erano puntati sullo specchietto retrovisore alla ricerca di qualcosa che non capivo.

Aprii la portiera. "Non occorre che si scomodi, non verrò in ufficio. Non credo ci verrò più".

"Alle nove sarò qui", mi ignorò. 

"Ha sentito cosa ho detto?".

E ancora mi ignorò. "Parlerò a tuo padre".

"No", mi allarmai. "Non lo coinvolgerà in queste sciocchezze".

"Sono sciocchezze solo per te, Becky".

"Sono sciocchezze per ogni persona dotata di un cervello funzionante".

Farrow si passò una mano sugli occhi, di colpo esausto. Sembrava combattuto, incerto su come agire. Infine mi guardò e un lampo di inaspettata dolcezza stonò tra la rabbia che gli ottenebrava lo sguardo. 

"D'accordo", si arrese, soccombendo alla mia logica. "Lasciamolo fuori per il momento. Ma, per favore, almeno per domani promettimi che non farai nulla di avventato. Sarò da te alle nove, ti porterò in ufficio e ti giuro che risponderò ad ogni tua domanda. Promettimelo".

Ci pensai su. Tutto sommato eravamo giunti ad un compromesso. Quindi annuii di malavoglia, più che altro per timore che si rimangiasse le ultime parole e decidesse all'ultimo di fare irruzione in casa mia per raccontare a mio padre qualche assurda storiella sui lupi.

"Promesso. Ma non ho alcuna domanda da porle. Ne avrei se credessi anche solo a mezza parola di quello che si è inventato. Arrivederci signor Farrow", salutai scontrosa, salendo di corsa i due gradini che portavano al portoncino di ingresso-.

"Becky?", mi richiamò, abbassando il finestrino a lato passeggiero. "Il mio nome è Deniel. E' tempo che tu cominci ad usarlo".


























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