Becky - ogni prima volta (parte 1)
BECKY
La penombra creava geometrici giochi di ombre che si infrangevano contro il volto di Deniel, traballando nello sguardo scolpito in una maschera di dura fierezza. Mi osservava in silenzio, mantenendo una spalla disinvoltamente posata contro la parete, le braccia incrociate al petto in una posa deliberatamente annoiata.
Lasciai che i miei occhi si prendessero del tempo per osservare la sottile linea di peli che dall'ombelico scendeva fino a sparire sotto la cintura dei pantaloni che gli calzavano sui fianchi alla perfezione. Trattenni il respiro quando feci scendere lo sguardo un po' più in basso, sopra le anche che spuntavano dalla stoffa e lo lasciai andare appena mi scontrai contro l'inguine, sufficientemente dotato da camuffarsi a malapena sotto il pesante strato dei pantaloni.
"Smettila", mormorò severo. "Se mi guardi in quel modo non riuscirò a starti lontano ancora per molto".
Colta in flagrante gli voltai le spalle, avvicinandomi alla finestra. Oltre il vetro il mondo sembrava essersi fermato: la mancanza di luci e del rumore del traffico rendevano quel posto simile ad un dipinto che giaceva immacolato in una teca lontana anni luce dalla realtà.
La foresta iniziava immediatamente dal confine del piccolo cortile, allargandosi in una macchia scura indistinta, animandosi a seconda del ritmo del vento.
Eravamo entrati in camera sua da una ventina di minuti e, a parte qualche parola di circostanza, non ci eravamo addentrati in alcuna discussione, ignorandoci a vicenda mentre a turno ci preparavamo per andare a dormire. Ed ora che eravamo pronti, sembrava che nessuno dei due volesse fare il primo passo ed entrare nel letto.
"Sei arrabbiata con me?", spezzò il silenzio.
"Un po'. Sì", risposi.
"A me sembra più di un po'".
Feci spallucce sperando che lasciasse cadere il discorso.
"Sei furiosa con me per come ti ho toccata? E' questo?", andò dritto al punto.
"Non voglio parlarne", tergiversai.
Usai la penombra come ottima alleata per nascondere il rossore sulle mie guance. Eppure una parte di me sapeva a Deniel non sarebbe sfuggito il mio imbarazzo. Nessun uomo mi aveva mai guardata come faceva lui. Persino quando mi rivolgeva un'occhiata distratta o frettolosa era in grado di leggermi nella mente. Il suo sguardo sapeva entrarmi dentro, trafugando i sentimenti segreti che avrei voluto tenere per me, e facendoli propri.
"Dovremmo farlo, però. Non credi?".
"Cosa vuoi sentirmi dire?", parlai piano, senza inflessioni. Ero sul punto di avere una crisi di nervi e di certo non volevo mostrarmi debole ai suoi occhi.
"Voglio sentirti dire perché l'aver goduto sulle mie dita ti fa infuriare".
"Non è questo".
"E allora cos'è? Vuoi recitare la parte della pentita? Vuoi farmi sentire un mostro perché ti desidero?".
Mi voltai di scatto verso di lui, sentendo montare la rabbia. "Tu non desideri. Tu prendi e basta".
"Sì, io prendo. Mi prendo tutto ciò che vuoi darmi. Perciò non aspettarti che non raccolga i tuoi inviti".
Strinsi le mani in pugno. "Non ti ho mai invitato a sbattermi contro una parete, toccandomi nonostante ti urlassi di non farlo".
Un sorrisetto beffardo gli incurvò l'angolo della bocca. "So riconoscere un no, e il tuo non lo era".
Con uno scatto voltai la testa di lato, quasi le sue parole mi avessero schiaffeggiata. "Ti avevo chiesto di avvicinarci a piccoli passi".
"Mi pare che sei ancora vergine, o sbaglio?", restò calmo. "O forse sbaglio nel ricordare che mi hai chiaramente chiesto di farti mia?".
"Ma non così".
"E cosa volevi? Mmm?".
Sbirciai verso la sua direzione quando percepii il rimbombo dei suoi passi intervallarsi con il battito assordante del mio cuore. Si era staccato dalla parete e a passi lenti stava venendo verso di me.
"Non sono il principe delle favole, Becky. Non sono quell'uomo di cui tanto si parla nei libri che voi donne amate leggere. Se vuoi dolcezza non l'avrai da me. Potrò sforzarmi di mostrarmi come l'uomo che non sono, ma la Bestia prima o dopo avrà sempre la meglio. E questo non ti fa arrabbiare". Mi venne più vicino e i nostri occhi si incrociarono in una muta battaglia. "Tu non sei affatto furiosa. Tu sei terrorizzata da me".
Non era una domanda ed io non mi presi la briga di smentire le sue parole. Farlo mi avrebbe indotta a mentirgli, e se ciò che sua madre mi aveva detto a riguardo della fiducia e del potere delle donne era vero, prendermi gioco di lui sarebbe stato il più grasso sbaglio che avrei potuto commettere.
Avevo bisogno che si fidasse di me per uscire da quella situazione e tornare a casa, e non sarei mai riuscita a convincerlo a riportarmi indietro prima di ottobre se non gli avessi dimostrato che le mie parole erano sincere.
"Perché ti faccio paura?", insisté, raggiungendomi.
Il calore sprigionato dal suo corpo invase il mio spazio e la sua ombra inghiottì la mia. Mi ci volle tutto il coraggio che avevo per restare lì dov'ero e continuare a guardarlo in faccia.
"Non è di te che sono terrorizzata".
Mi afferrò per un gomito e mi fece voltare verso la finestra, afferrandomi i capelli in una mano e lasciando che le dita scivolassero tra essi in una carezza. Nonostante la delicatezza dei suoi movimenti, mi ritrovai ad irrigidire un muscolo dopo l'altro lungo la schiena.
"Ne sei sicura?", sussurrò calmo al mio orecchio, spostandomi la massa di capelli su una spalla per lasciare scoperto il collo.
Le nostre sagome si rifletterono nel vetro, troppo scure per distinguerne i tratti ma sufficientemente nitide da mostrare quanto la sua stazza fosse nettamente superiore alla mia. Il suo corpo mi sovrastava, facendomi sentire più piccola di quello che ero, sembrava volermi inghiottire.
"Sì, ne sono sicura", annaspai, immobile, chiudendo gli occhi.
Le sue dita indugiarono sulla clavicola, seguendone i contorni con sfrontata lentezza. "A giudicare da come ti tremano le mani non direi".
"Mi spaventa ciò che mi fai provare", ammisi.
Deniel si chinò in avanti, sostituendo le dita con le labbra. Un ciuffo di capelli gli sfuggì dall'elastico e dondolò al centro del mio seno, come un morbido pendolo che scandiva i secondi.
"Cosa ti faccio provare, piccola?", mosse le labbra verso l'alto, puntando la mandibola.
"E' tutto... non lo so", provai a deglutire. "E' tutto nuovo".
Le sue labbra raggiunsero il mio lobo e con i denti lo catturò, tirandolo leggermente. "E suppongo tu stia odiando il fatto che ad insegnarti tutto questo sia io".
"Non è così". Mi morsi il labbro, cercando di mantenere il controllo sul mio corpo. L'eccitazione era lì, pronta a rapire ogni rimasuglio di lucidità. Potevo rinnegarla ma sapevo che al suo occhio attento non sarebbe sfuggita. La sua comprovata esperienza in fatto di donne mi metteva in una posizione di svantaggio.
"Sai di piacermi", ammisi riluttante.
"Lo so?".
"Sì, dannazione. E' il tuo mondo a non piacermi".
Posò una mano sulla mia spalla nuda e la lasciò scivolare lungo il fianco, adagio, in un movimento controllato che mi fece intuire fosse sulle spine, pronto ad un mio più piccolo accenno di rifiuto per toglierla immediatamente.
"Non ti sembra di conoscerlo troppo poco per poterlo giudicare?".
"E' una prigione. E tu sei diventato il mio carceriere nel momento esatto in cui ho varcato la soglia di casa tua".
"Non sarà così per sempre".
"Mi riporterai dalla mia fami...".
"Sì", rispose prima ancora che potessi terminare la frase. "Non ti serve chiedermelo, sai già che ti ci riporterò. So quanto sia importante per te la tua famiglia, e spero tu possa comprendere quanto lo sia per me la mia. I nostri mondi non avrebbero dovuto mescolarsi ma è successo. E per questo è iniziata una guerra. Non ti chiederò mai di combatterla al mio fianco. Ti chiedo solo di rimanere viva. Solo questo. Ho bisogno di tempo per mettere al sicuro la mia famiglia e per farlo ho bisogno di te".
"Sai benissimo che esiste un solo modo per salvarli tutti".
La sua mano scivolò al centro del mio stomaco e con una lieve pressione mi attirò addosso al suo petto. I tendini dell'ampio torace vibrarono forti sulla mia schiena e il suo inguine, già teso per l'eccitazione, pulsò contro le mie natiche. Cercai di prendere fiato ma l'aria mi restò incastrata in gola.
"Esistono metodi più sicuri per lasciarti il mio odore addosso", sembrò titubante. Qualunque idea gli stesse vorticando in testa non lo convinceva del tutto.
Fu a quel punto che i nostri occhi si incrociarono dentro il vetro della finestra. I suoi erano colmi di frenesia, l'eccitazione e il desiderio offuscavano l'alone rosso che circondava le iridi, eppure le sue dita restarono caute e ferme al centro del mio stomaco, in una attesa galante che mi regalò del tempo prezioso per accettare le sue mani su di me.
"Mostrami quali sono", azzardai.
Si umidì le labbra e senza preavviso le sue dita si artigliarono alla stoffa della maglietta che usavo come pigiama, strattonandola verso l'alto e lasciandomi scoperte le mutandine e una sottile striscia della pancia.
L'aria tiepida si posò sulla mia pelle nuda, ma non fu quello a farmi rabbrividire, bensì il suo sguardo. Nella penombra appariva animalesco, vorace. L'alone rosso si rinforzò , brillando contro il vetro e scomparendo quando abbassò il capo oltre la mia spalla, deliziandosi di ciò che, da quella posizione, poteva intravedere del mio corpo.
"Fermami", lo sentii dire disperato. Il suo indice trovò il bordo delle mie mutandine e scivolò sotto il pizzo. "Dimmi di fermarmi, Becky".
Sentii le ginocchia cedere e mi inarcai tra le sue braccia, protendendo il seno verso l'alto e reclinando la testa contro la sua spalla. La sua bocca si fiondò immediatamente contro la guancia, sfregandosi sulla pelle e facendola bruciare al suo passaggio. Il mio cuore si paralizzò. Non era stata la barba ad irritarmi la pelle, realizzai. Erano stati i canini.
"Se lo faccio moriranno tutti", blaterai confusa.
"Non spetta a te salvare il mio mondo".
In un ultimo rimasuglio di lucidità, le parole di sua madre rimbombarono nella mia testa come una condanna a morte. "A chi altri?".
"Decido io per la tua sorte. Ed ho deciso che la tua vita è più preziosa di tutte le loro vite messe insieme".
"Rimpiangerai questa scelta. Sai che è così".
Con un respiro più accelerato confermò che avevo ragione.
"Non sarò gentile", mi avvertì in una supplica.
Il dito avanzò dentro le mutandine fermandosi contro un punto recettivo del mio inguine che mi fece sussultare. Istintivamente posai una mano contro la sua e immediatamente la sua avanzata si arrestò.
"Non voglio che ti fermi", giustificai la mia reazione. "E' solo che... non ho mai... nessuno ha mai...".
"Nessuno ti ha mai toccata in questo modo a parte me, vero?".
Scrollai la testa, arrendevole, piena di imbarazzo. I suoi gesti sicuri mi inibivano, gettavano trappole insidiose per la mia autostima, appartenevano ad un uomo maturo che conosceva già tutto del sesso. Improvvisamente la mia inesperienza mi fece vergognare di me stessa.
"Vorrei avere più esperienza", ammisi, abbassando lo sguardo. "Sarai sicuramente abituato a...".
"Voltati", l'ordine secco rivelò che qualcosa nelle mie parole aveva incrinato la sua calma.
Quel cambiamento di umore mi fece correre un brivido di terrore lungo la schiena e dovetti far appello al coraggio per voltarmi verso di lui.
Era molto più alto di me, gli arrivavo a malapena al mento e fui costretta a reclinare la testa per fissarlo.
"La tua verginità è mia", ruggì. La gelosia era tenuta a bada dalla passione ma bastava un altro passo falso da parte mia per farla esplodere. Lo intuii dal modo in cui le mie ultime parole gli avevano fatto serrare la mascella. "Non c'è nulla della tua inesperienza che non mi ecciti. Ogni gemito che per imbarazzo trattieni è la prova che sei mia"
Mi acciuffò per le spalle e mi fece retrocedere verso i piedi del letto.
"Ogni volta che sfuggi al mio tocco per timore, mi dimostra che il tuo corpo spetta a me".
Con una lieve pressione mi spronò a sedermi sul bordo del materasso. Lo sentii traballare sotto il mio peso e mi aggrappai alle lenzuola per non permettere all'ansia di farmi scattare nuovamente in piedi.
"Ogni volta che arrossisci di fronte ad un mio sguardo un po' più lungo mi fa esplodere di desiderio". Si inginocchiò di fronte a me e le sue mani calarono implacabili sopra le mie ginocchia nude, stringendole tra le dita quel tanto che gli bastava per obbligarmi ad allargare le gambe.
I suoi occhi vennero immediatamente calamitati dal pizzo trasparente delle mie mutandine e ciò che vide lo fece inalare l'aria lentamente tra i denti, in un sibilo talmente eccitante che sentii il basso ventre andare a fuoco.
"Chiediti come possa non eccitarmi il fatto che questa è la prima volta che apri le gambe davanti a un uomo?".
Le sue parole audaci mi fecero formicolare le guance e allo stesso tempo sentii che stava succedendo qualcosa tra le mie gambe. Una sorta di smania che non avevo mai provato, neppure quelle volte che, sola in camera, mi ero toccata alla ricerca di un piacere fugace e a malapena appagante. Cercai di regolare il respiro e impacciata staccai le mani dalle lenzuola, portandole sull'orlo della mia maglietta per cercare di coprirmi.
Gli occhi di Deniel scattarono in alto, contro i miei, in segno di ammonimento, e le dita sovrastarono le mie, ingabbiandole, e costringendole a lasciare la presa contro la stoffa.
"Temi che non riesca ad apprezzare ciò che vedo?", chiese gentile.
Deviai lo sguardo, sentendomi esposta, incapace di sostenere il suo.
"Guardami piccola. Guardami in faccia e dimmi che non ti eccitano i miei occhi su di te".
Scrollai la testa e strizzai le palpebre. Sentivo il cervello paralizzato, in balìa tra l'imbarazzo di essere seduta di fronte al volto di Deniel, a gambe divaricate, coperta nell'intimità con un sottilissimo pizzo che lasciava poco all'immaginazione, e la paura di ciò che sarebbe accaduto se non l'avessi fermato.
Aveva detto che non sarebbe stato gentile, e di fatto i suoi gesti erano un continuo miscuglio di dolcezza e autorevolezza. Passava dall'essere delicato, dallo sfiorarmi appena, all'afferrarmi prepotente per farmi fare ciò che gli dettava il desiderio.
Alla base dei miei timori non c'era solo la mia inesperienza in fatto di uomini. Non ero così ingenua da non sapere cosa accadesse in una camera da letto tra uomini e donne. Quello che non sapevo era come si sarebbe comportato lui. Era la cosa più simile ad un animale e i canini allungati, seppur non fossero spaventosi come avevo creduto sulle prime, erano un chiaro segnale che il suo modo di fare l'amore era lontano anni luce da quello degli umani.
Era come se Deniel fosse due persone nello stesso corpo. Riuscivo a percepire quando la Bestia che aveva dentro di sé prendeva il sopravvento, ed era qualcosa di così spaventoso che nessuno dei suoi avvertimenti poteva renderne giustizia.
No! Non sarebbe stato gentile. Di colpo un fremito lungo la schiena mi fece accapponare la pelle, e questa volta non per l'eccitazione.
"Cosa accadrà ora?", esitai.
Mi acciuffò il mento, costringendomi a voltare la faccia verso le sua. Le iridi erano divenute completamente rosse, svuotate completamente dalla gentilezza di pochi attimi prima.
"Cosa pensi stia per accadere, piccola umana?", la voce suonò diversa, più gutturale, spaventosamente bassa e seria. Era la voce della Bestia.
"Farai l'amore con me?".
Annuì lentamente. "Oh sì".
Mentre lo disse però, i suoi occhi furono attraversati da un lampo di preoccupazione e il rosso sbiadì.
"Fermami adesso finché sono ancora in grado di ascoltare la tua voce", implorò tra i denti, la voce di nuovo normale.
"Hai detto che c'è un altro modo per lasciarmi il tuo odore addosso", presi tempo, approfittando del fatto che la Bestia sembrava essere distratta.
Mi guardò supplichevole, scrollando piano la testa. "Tu mi vuoi morto, piccola".
"Quel modo è più sicuro?".
Strinse le labbra. "Non è detto che funzioni".
"Ma è più sicuro?".
Aggrottò la fronte e inspirò un ansimo. "Sì, maledizione, sì!", ammise controvoglia, certo che con quella risposta mi avrebbe spinta logicamente a rifiutarmi di fare l'amore con lui.
La gola gli vibrò in un grugnito sofferente ma con ostinata forza restò immobile, stringendo le mani in pugno sopra le mie ginocchia, trattenendo a stento la frenesia.
"E' questo ciò che vuoi?", biascicò, tra il deluso e la supplica.
"Per ora".
"Mi ucciderai prima o poi, lo sai?", tentò di scherzare, ma sull'ultima sillaba un ringhio vibrò letale, rabbioso, segno che la Bestia non era affatto soddisfatta della mia risposta. Gli occhi brillarono famelici, quasi furiosi, guardandomi come se di colpo fossi diventata una preda. "Ma per ora prega il tuo Dio che sia io a non uccidere te".
E fu a quel punto che le sue mani scattarono contro il mio stomaco, gettandomi rabbiosamente indietro sul materasso e trattenendomi in quella posizione mentre la sua bocca si avventava contro il pizzo delle mie mutandine, strappandomele via.
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