Becky - l'ombra del diavolo
"Allora, quel panino?", chiese di punto in bianco Farrow, mentre si allacciava la cintura di sicurezza. "Hai ancora intenzione di mangiarlo da sola in ufficio o posso deliziarmi della tua presenza ad un chiosco?".
Aveva di nuovo cambiato atteggiamento, spogliandosi dai panni del capo dell'azienda e assumendo le sembianze di un qualsiasi ragazzo che aveva appena finito il turno di lavoro.
Lo osservai di sottecchi, cercando di intuire cosa lo rendesse d'improvviso così gioviale, ma a parte un sorrisetto rilassato non intravidi alcun appiglio sul suo volto che potesse tradirne i pensieri.
"Il chiosco mi sembra un posto molto poco romantico, quindi accetto l'invito", adeguai il tono a quello scherzoso che aveva usato pochi attimi primi.
"Se però hai ancora qualche reticenza, posso portarti alla camionetta a ovest della periferia. Dicono che il cuoco sputi nell'olio per valutarne la temperatura. Meno romantico di così si muore".
Feci una smorfia disgustata. "Il chiosco va benissimo".
Non era un vero chiosco ma un locale sotterraneo talmente piccolo da poter ospitare un massimo di tre tavolini. Per questo si era guadagnato quel soprannome.
Ingranò la marcia e si avvicinò a passo d'uomo alla barra automatica. Digitò un codice che a noi dipendenti non era stato comunicato perché non avevamo il permesso di parcheggiare nei sotterranei, ed attese che la stanga si alzasse, intrufolandosi con disinvoltura nel traffico dell'ora serale.
La luce dei lampioni illuminava i margini della statale, accompagnandoci verso il parco che fungeva da polmone della città. Non era chissà che grande e ben curato, ma era anche l'unico spazio verde tra i vari edifici che potessero concedere una pausa dallo smog e il grigiore di una città in continua espansione. Qualche anno fa, in quel parco, una ragazzina era stata aggredita e lasciata agonizzante in una pozza di sangue, sotto le chiome di un salice piangente, e per un certo periodo la gente aveva smesso di frequentarlo, spingendo la direzione comunale a sospendere tutti gli interventi di manutenzione ordinaria. Poi il caso era stato archiviato e tutto era tornato quasi alla normalità.
"Come pensa di riuscire a trovare delle comparse a quest'ora di sera?", domandai, curiosando verso il tachimetro quando mi accorsi che l'andatura della macchina era cambiata di colpo. A differenza di pochi minuti prima stava andando molto lentamente e di tanto in tanto il suo piede si sollevava dall'acceleratore, giusto qualche attimo prima che il motore chiamasse la marcia più alta.
"L'idea è quella di affiggere dei cartelloni d'invito ai negozi che si affacciano sulla tua via". Si voltò per un momento a lanciare un'occhiata ai sedili posteriori e subito tornò alla strada. "Se vuoi dargli un'occhiata sono là dietro".
Mi slacciai la cintura e mi misi in ginocchio sul sedile, srotolando uno dei cinque cartelloni che erano stati avvolti da una pellicola trasparente. La grafica era talmente buona che diedi per scontato ci fosse sotto il suo zampino. La sua abilità fotografica era fuori discussione, pensai mentre ne osservavo i dettagli e ne leggevo le scritte.
"Offrirà davvero cinquecento dollari a chi verrà scelta per lo spot?", mi sorpresi, mollando il cartellone e tornando seduta sul sedile.
"Questi sono i prezzari", sbuffò infastidito, rallentando ancora e controllando qualcosa dallo specchietto laterale.
"Perché sta andando così piano?".
"Perché ci stanno seguendo", rispose annoiato, come se la cosa lo stesse lasciando indifferente.
"Come? Chi?", mi agitai, voltandomi di scatto e aggrappandomi al sedile.
Oltre il vetro posteriore la strada si allungava a perdita d'occhio in una inquietante desolazione. Nessun fanale alluminava l'asfalto dietro di noi, né davanti. Il traffico si era dissolto appena avevamo oltrepassato la linea invisibile che separava la downtown dalla periferia, trasformando completamente lo scenario: dai prati curati all'inglese, ai vicoli squallidi che somigliavano in tutto e per tutto a quelli in cui ero cresciuta.
"Non c'è nessuna macchina dietro di noi", cercai di rassicurarlo.
"Lì", indicò con un cenno del mento un punto all'interno del parco.
Osservai le chiome nere degli alberi che sfrecciavano oltre il finestrino, diradandosi solo nel punto in cui alcune stradine sterrate e chiuse al traffico si inoltravano nella vegetazione per convergere nel prato centrale.
"Signor Farrow, ne è sicuro? Io vedo solo alberi".
Lasciato il parco alle nostre spalle Farrow frenò di colpo, svoltando bruscamente verso destra della carreggiata e salendo sul marciapiede con due ruote del Pick Up in un parcheggio improvvisato.
"Resta in macchina", ordinò asciutto, slacciandosi la cintura.
"Dove sta andando?".
"Devo capire una cosa". Aprì la portiera e notai che non aveva spento il motore del Pick Up, segno che con tutta probabilità sarebbe rientrato subito.
Mi slacciai alla svelta la cintura e cercai la leva per aprire lo sportello. "Vengo con lei".
"Becky". La testa di Farrow si affacciò al finestrino abbassato. Un ringhio possente che non gli avevo mai sentito graffiava la sua voce, alterandola, rendendola quasi irriconoscibile. "Non ti ho fatto una dannatissima richiesta. Se io ti dico di restare in macchina, tu resti in macchina".
"Se c'è qualcuno che ci sta seguendo voglio vederlo in faccia e chiamare la polizia. Sa, quelli con il distintivo, le manette attaccate al cinturone e una pistola nella fondina". Stava accadendo tutto troppo in fretta, non avevo il tempo di ragionare.
"La polizia non può garantirti nessun tipo di protezione e le loro pistole sono completamente inutili. Vuoi stare ferma?". Di colpo sparì dalla mia vista e due secondi dopo ricomparve accanto al mio sportello spalancato, bloccandolo con un braccio per impedirmi di scendere.
Mi tappai la mano con la bocca, incapace tuttavia di bloccare completamente l'urlo di sorpresa. Barcollai all'indietro, scontrando le spalle contro lo schienale in un vano tentativo di allontanarmi da lui.
"Come ha fatto?", annaspai, osservando il punto in cui si trovava pochi istanti prima. "Non è possibile. Non può aver...", scrollai la testa e voltai lentamente il volto verso di lui, ritrovandomi di fronte ai suoi occhi.
Erano tornati rossi, talmente brillanti che per un momento mi sentii accecata e dovetti sbattere le palpebre.
"Che sta succedendo?", battei i denti. La paura mi serrò la gola. I polmoni cominciarono a bruciare in mancanza di ossigeno.
"Resta in macchina e non guardare fuori. Voglio avvicinarmi per capire se fanno parte del mio branco o se al contrario sono degli esterni che ci stanno dichiarando guerra".
"Guerra?", ripetei attonita. "Ma di che sta parlando? Quale guerra?".
"Se entro tre minuti non sono tornato, ingrani la prima, guidi fino a casa e ti ci chiudi dentro. Farò in modo che lì tu sia al sicuro". Fece per chiudere lo sportello ma qualcosa nel mio sguardo lo fece tentennare.
Terrorizzata, sentendomi in trappola, agii senza ragionare. Piantai i talloni contro la portiera, riuscendo in qualche maniera a crearmi un varco sufficiente per scendere. Fuori il mondo sembrava andare più veloce, come in un film che scorreva troppo veloce sul nastro. La nausea arrivò improvvisa e travolse il mio stomaco, facendomi contorcere in avanti.
"Stai calma", bisbigliò, infilando le mani sotto le mie ascelle per sorreggermi. Guardò un punto oltre le sue spalle e nell'intorpidimento seguii la sua traiettoria, scorgendo la sagoma di sei persone sul manto erboso. Erano immobili, allineate in una fila eterogenea. In attesa.
D'impulso tentai di scappare via ma ero intrappolata. Il braccio muscoloso di Farrow era posato contro il mio stomaco e mi teneva ancorata alla carrozzeria dell'auto. Scalciai terrorizzata, travolta dalla nausea, ma la sua stretta si rafforzò mettendo fine ad ogni mio tentativo di divincolarmi.
"Non mostrarti spaventata. Se si accorgeranno della tua paura diverrai per loro una preda ancora più appetibile".
Lo fissai terrorizzata. La bocca spalancata in un urlo che non voleva uscire e in un respiro che non riusciva ad entrare.
"BEcky, ti prego, respira", parlò veloce, acciuffandomi il volto e reclinandolo verso l'alto.
Nonostante il tono preoccupato i suoi occhi erano terrificanti, letali, pronti a spazzar via qualunque cosa si fosse messa tra me e lui.
Provai ad inalare una boccata di aria ma all'improvviso Farrow mi spinse verso il basso, coprendomi la testa con le proprie braccia. Un fischio violento passò accanto al mio orecchio ed esplose in quello che parve il tonfo di un cassonetto rovesciato. La macchina oscillò, facendomi dondolare contro Farrow.
"Porca puttana", imprecò, sollevando un braccio per estrarre una freccia dalla fiancata. Ne annusò la punta e imprecò di nuovo, posizionandosi in modo da farmi da scudo con il proprio corpo mentre mi trascinava davanti al cofano, fuori dalla traiettoria di tiro.
"Stai bene?", si premurò, osservando velocemente ogni parte di me.
Scossi la testa per rispondere di sì, ma un flebile suono mi rimase bloccato in gola, per metà singhiozzo, per metà gemito isterico.
"Becky", pronunciò lentamente il mio nome. "Adesso ho bisogno che tu faccia esattamente quello che ti dico. La vedi quella via laterale?".
La indicò ed attese che io riuscissi ad individuarla.
"Devi percorrerla tutta fino infondo. Da lì un'altra stradina a sinistra ti riporterà velocemente in centro".
Lo fissai terrorizzata, incapace di muovere anche solo un muscolo.
"Hai capito?".
Continuai a fissarlo, scuotendo leggermente la testa.
"Ti prego, Becky, dì qualcosa. Dimmi che hai capito. Devo raggiungere quei sei prima che decidano di dividersi perché a quel punto mi sarà impossibile difenderti da loro".
Deglutii per ritrovare la voce. "Hanno davvero lanciato una freccia?".
Esitò un lungo istante prima di rispondermi e quando lo fece la voce era lievemente incrinata dall'ansia. "E' intrisa di veleno. Se mi colpiscono sono automaticamente fuori combattimento per ore. Se colpiscono te sei morta. Lanciare una freccia, nel mio mondo, significa dichiarare guerra".
"Siamo spacciati. Non riusciremo mai a...".
"Ascoltami, Becky. Ascoltami!", arrestò il mio fiume di parole con un tono così calmo che per un momento mi chiesi se in vita sua avesse mai saggiato la paura. "Ho bisogno che tu resti concentrata. Concentrati sulle mie parole. E' di vitale importanza. Sei uomini non sono nulla per me. Te lo garantisco. Ora ti supplico: concentrati".
Tentennai un momento. "Sono concentrata".
"Appena ti volto le spalle voglio che tu corra più veloce che puoi lungo quella via. Lascia qui la macchina, hanno colpito il serbatoio e riusciresti a fare pochi chilometri prima di ritrovarti a piedi. Usala piuttosto come scudo tra loro e le frecce. Voglio che tu corra più veloce che puoi lungo quella via. Non voltarti mai indietro. Appena sarai arrivata in centro chiama Dimitri e digli di raggiungermi".
"Lo chiamo subito e...".
"No. Prima ti metti in salvo. Poi lo chiami. Ho bisogno di saperti al sicuro o non riuscirò ad essere lucido".
La mia aria confusa non lo demoralizzò né intaccò la sua calma.
"So quello che faccio. Non mi sto sbagliando", mi rassicurò, mantenendo una calma composta e concentrata. "Quando avrai chiamato Dimitri ti fermerai per riposare. A quel punto sentirai i tuoi polmoni esplodere per la stanchezza e avrai bisogno di qualche istante per riprendere le forze. Ti concedo due minuti. Non un minuto di più. Hai capito? Non uno di più. Se a quel punto non ti avrò raggiunto, chiama un taxi e fatti portare al confine di accesso sul monte Eagle. Ho degli uomini laggiù. Dì loro che sei la mia compagna, nessuno farà storie. Hai capito tutto?".
"Sì".
Mi lasciò andare e traballai sulle ginocchia, guardandomi attorno con prudenza. Anche gli occhi di Farrow tornarono a fissare l'ampio prato che si allungava fino al ciglio della strada.
"Come posso lasciarti qui...", provai a dire.
"Io me la caverò", garantì, la rabbia aveva già spazzato via la calma. "Al mio tre, vai, e non voltarti per nessuna ragione", aggiunse.
Scattò in ginocchio per osservare meglio da oltre al cofano e si acquattò, simile a una belva pronta al balzo.
"Uno", scandì, cercando la mia mano.
Mi aggrappai alle sue dita stringendole come se da esse potessi prelevare tutto il coraggio che mi mancava.
"Due".
Trattenni il fiato.
"Tre!", decretò, mollando le presa contro le mie dita "Ora. Vai. Corri!".
Non esitai. Intorpidita dal terrore feci i primi passi con incertezza e poi scattai verso la strada sgombra di automobili, voltandomi solo quando arrivai all'imbocco della stradina pedonale: la sagoma di Farrow era già svanita.
La strada laterale era illuminata a malapena dai neon fosforescenti di alcuni negozi cinesi che sfarfallavano di tanto in tanto, come se la tensione elettrica venisse a mancare. Davanti a me il silenzio sembrava la mappa che mi avrebbe condotto verso la salvezza. Macinai alcuni metri, inghiottendo l'asfalto con tutta la velocità a cui riuscivo a fare appello. Mi girava la testa, avrei voluto fermarmi e vomitare ma non osavo farlo.
Il panico mi inondò fino a riempirmi gli occhi di lacrime. Non avevo idea di dove mi trovassi né di come sarei sopravvissuta ma la cosa che più mi terrorizzava era il pensiero di Farrow. Non importava quanta sicurezza riponesse in sé stesso: restava comunque in uno contro sei persone. Come era riuscito a mantenere la calma? Perchè io non ci riuscivo?
Rallentai l'andatura, incerta sul da farsi. E fu proprio durante questa pausa, mentre i miei passi smisero di rimbombare sull'asfalto, che udii uno strano ruggito animale. Mi raggelai sul posto e trattenni il respiro, restando immobile per un lasso di tempo che mi parve ragionevole. Quindi mi voltai con un rimasuglio di coraggio per accertarmi che dietro di me non vi fosse nessuno.
La stradina sembrava vuota ma il buio avvolgeva ogni cosa e non permetteva ai miei occhi di abituarsi all'oscurità. Posai una pano sul muro perimetrale di una casa e staccai un pezzo di intonaco, lanciandolo davanti a me.
Nessun movimento. Nessuna voce.
Lanciai un altro pezzo e rizzai le orecchie. Niente.
In lontananza riecheggiarono altre urla, questa volta simili alla voce di due uomini che stavano litigando, quindi altri due ringhi, in rapida sequenza. Poi nulla. Solo un silenzio pesante e prolungato.
"Deniel?", urlai. Il panico mi torturò, insediandosi senza alcun preavviso in ogni parte del mio corpo irrigidito. "Deniel?".
Mi ritrovai di nuovo a correre, verso il punto da cui ero venuta, fermandomi solo quando la punta delle scarpe venne illuminata nuovamente dai lampioni rivolti verso la strada principale. Un camioncino mi passò accanto veloce, togliendomi la visuale per pochi attimi, e quando sfrecciò via individuai all'istante la sagoma di Farrow in quel fazzoletto d'erba illuminato a stento dal bagliore della luna.
Se ne stava in piedi, a gambe divaricate, ergendosi minaccioso sopra uno di quei sei uomini che stava cercando di allontanarsi carponi. Degli altri cinque non vi era traccia ma non me ne curai subito. Gli occhi non riuscivano a staccarsi da quella scena raccapricciante.
Intorpidita dal panico restai con inerzia sul ciglio del marciapiede, sorreggendomi ad una macchina parcheggiata con entrambe le mani, in dubbio se accucciarmi o se assistere a ciò che stava accadendo e a cui non riuscivo a dare un senso.
Torreggiando sopra l'uomo che strisciava carponi nel vano tentativo di sollevarsi sulle ginocchia, Farrow allungò il braccio contro la gola di quest'ultimo, sollevandolo da terra con una mano sola. Sollevò il braccio più in alto e l'uomo si dibatté, contorcendosi contro la stretta che lo stava poco a poco strozzando.
Che Deniel fosse forte l'avevo ormai appurato, eppure l'uomo tarchiato che stava tenendo sollevato con una sola mano doveva pesare quasi il doppio. Era impossibile che potesse tenerlo fermo e sollevato da terra con la forza di un solo braccio.
Sbattei lentamente le palpebre per mettere a fuoco, sentendo uno strano rimbombo nelle orecchie, simile al ringhio terrificante e prolungato di una bestia che stava braccando. Il normale istinto legato alla sopravvivenza guidò la mia gamba all'indietro, verso il buio del vicolo, lontano da ciò che non riuscivo a comprendere e al riparo da quel suono agghiacciante.
La schiena di Deniel si inarcò in una movenza innaturale mentre ruotava leggermente su se stesso per scagliare a terra il corpo contratto del suo rivale e un fascio argentato di luna lo centrò in pieno volto. Tutto ad un tratto la sua testa scattò all'insù, proprio verso la luna, e la bocca si spalancò brutale, mettendo in evidenza dei canini talmente allungati da sormontare il labbro inferiore. Di nuovo il suo ringhio sovrannaturale annullò ogni altro rumore, facendo lampeggiare gli occhi rossi che saettarono veloci alla ricerca di quelli dorati dell'uomo steso a terra.
"Oh mio Dio", mormorai. Un altro passo indietro.
L'acuto ululato si placò appena Deniel si accucciò sopra l'uomo, avanzando di un metro con i palmi delle mani che affondavano nel terreno, lasciando dietro di sé impronte simili a quelle di un lupo. Agguantò il corpo ormai arreso dell'uomo e lo strattonò come fosse un pupazzo in modo tale da avvicinare i propri denti alla sua giugulare e affondarvi i canini.
Un getto di sangue sprizzò dalla ferita profonda e alcuni pezzi di carne si staccarono letteralmente dall'osso, appena visibile sotto la pozza di sangue nero.
"Non è vero", recitai con inerzia. "Non è vero... non è vero".
Retrocessi ancora, facendo sì che la mia ombra si mescolasse con quella di un cassonetto, tremando a tal punto da muovermi al rallentatore. Avevo già visto quella brutalità sul viso di Deniel, gli occhi rossi e selvaggi che esaminavano ogni cosa con una fredda letalità. Avevo già visto parte di ciò che era, e se fino a quel momento la ragione mi aveva impedito di darvi un nome, ora questo montò dentro di me con la forza di un vento gelido, intriso di una certezza angosciante.
"Licantropo", mormorai, osservando il volto di Deniel macchiato di sangue che si chinava verso il fianco dell'uomo ormai in fin di vita per sbranarne il costato.
Barcollai all'indietro, un passo dopo l'altro. Finché i passi si trasformarono in una corsa che mi avrebbe portata lontana da lui.
Quando mi inoltrai nuovamente nel vicolo, come aveva assicurato Deniel impiegai poco a raggiungere la stradina che si apriva alla sinistra. Con gli ultimi rimasugli di forza corsi a perdifiato, ignorando il pulsare del cuore nelle tempie e il dolore lancinante alla milza. Ad ogni passo che facevo mi sembrava di essere sempre allo stesso punto. L'angoscia mi rallentava ogni movimento e la distanza che mi separava dal viale a sinistra mi sembrava impossibile da coprire.
Lo imboccai e mi fermai per un momento con la schiena appiccicata ad un muro per riprendere fiato. Poi ripresi la corsa, attingendo all'ultima scarica di adrenalina rimasta dentro le mie vene, contando lentamente nella mia testa per impedirle di rivivere ciò che avevo visto. Se lo avessi fatto sarei crollata.
E poi eccole. In lontananza. Le luci della Down Town si stagliavano nel manto scuro della notte. L'eccitazione spinse i miei passi più velocemente.
"Aiutatemi", mormorai. Mi schiarii la voce e ci riprovai ma dalla gola uscì solo un suono strozzato: "Aiuto".
Un furgoncino sbucò dal nulla, facendomi sussultare e mi passò accanto, sfiorandomi la spalla destra. Retrocessi giusto in tempo e arrancai avanti, verso la casa più vicina. Martellai la porta di pugni ma nessuno venne ad aprirmi. Strisciai in avanti, verso l'abitazione più vicina dalle cui finestre usciva la luce ambrata.
La raccomandazione di Deniel risuonò nella mia testa. Non potevo concedermi più di tre minuti in quel luogo. Era stato molto categorico al riguardo. Ed io ne avevo già persi troppi tornando sui miei passi quando avevo temuto che Deniel avesse avuto la peggio con quei sei uomini. Sebbene lo temessi ancor più di quei sei, qualcosa di me mi spinse a fare ciò che si era raccomandato, evitando tuttavia di chiamare Dimitri. Non potevo farlo. Non con la consapevolezza che fosse uguale in tutto e per tutto a Deniel. Il piano che mi aveva raccomandato era ormai andato in fumo.
"Becky", il mio nome sembrò fluttuare nell'aria.
Mi voltai di scatto. Un uomo che non riconoscevo mi stava fissando. Lo sguardo serio, svuotato da qualsiasi sentimento, non mi faceva capire se fosse un nemico o un alleato.
"Sei tu Becky?".
Quando si rese conto che non ero intenzionata a rispondere sollevò le mani in segno di resa. "Non ho intenzione di farti del male".
"Il tuo nome", abbaiai.
Ma lui non rispose. Si limitò a sollevare il braccio e a schioccare le dita. L'istante successivo alcuni uomini uscirono da dietro alcuni alberi e si avvicinarono, circondandomi.
"Avvisatelo", ordinò l'uomo davanti a me.
"Sono già qui".
Riconobbi la voce di Farrow all'istante e nonostante ogni possibile logica mi sentii sollevata.
Ruotai su me stessa, cercando di capire dove fosse e senza quasi rendermene conto mi ritrovai imprigionata nel suo abbraccio.
"Andate a finire quello che ho iniziato", ordinò implacabile, trattandoli come se fosse stato superiore a tutti loro. Dopo di ché il suo respiro mi sbatté contro la fronte, segno che non stava più guardando i quegli uomini. "Stai bene?".
"No", scoppiai in un pianto liberatorio.
"Ora ci sono io. Vieni piccola, ti riporto a casa".
"No!", urlai, scostandomi malamente.
La mente uscì dall'annebbiamento con la stessa velocità con cui vi era entrata e per la prima volta le immagini di quell'aggressione scorsero davanti ai miei occhi al rallentatore. Una volta, due volte... all'infinito. Rincorrendosi in una sequenza sempre più nitida, dai contorni meno sfumati, captando tutti i dettagli che erano sfuggiti alla logica ma che ora avevano un senso talmente reale da mettere sottosopra ogni idea che mi ero fatta della vita. Del mondo stesso. Di Deniel.
"So che hai visto", confidò soave, camminandomi incontro con una lentezza studiata, le mani alzate e i palmi rivolti verso di me in quella che voleva essere una posa inoffensiva.
La mia mente era inerme come il mio corpo, in balìa da quelle immagini raccapriccianti che si rincorrevano in un loop del terrore ogni volta che osservavo il volto di Farrow. Lo scollo della maglia bianca era diventato nero, grondava di sangue denso che si rincorreva in rigoli fino al punto in cui la stoffa era stata squartata da quello che sembrava essere il graffio di tre artigli.
Scossi la testa. "Non ho visto niente".
"Non scappare, Becky". Intuì prima di me ciò che la mia mente aveva appena ipotizzato di fare.
"Non ho visto niente", sussurrai, lasciando che un respiro più pesante dei precedenti si mangiasse l'ultima sillaba.
"Avvicinati, ti prego", implorò, avanzando cauto di un altro passo.
Gli occhi avevano perso il luccichio rosso, rendendolo più umano, e per un attimo mi sforzai di illudermi di essermi immaginata tutta. Dovevo aver immaginato tutto. Era impossibile! Andava oltre a tutto ciò che la scienza e la religione avevano divulgato in secoli di studi e scoperte. Possibile che tutto ciò che leggevamo sui libri o vedevamo in televisione fosse reale? Perché nessuno ne aveva mai parlato?
"Hai sbranato un uomo", mi lasciai sfuggire, concludendo in un urlo isterico. Come se avessi appena realizzato quanto fosse accaduto.
"Non era un uomo".
"Hai... sbranato vivo un uomo". Lo sguardo mi si catapultò contro il sangue che gli imbrattava i ciuffi di capelli che nascondevano le tempie, rendendo ancora più reali le mie parole.
No, non avevo immaginato tutto. Farrow aveva davvero morso quell'uomo alla gola e al costato, maciullandone la carne fino all'osso e sputandola contro il manto erboso ormai impregnato da schizzi di sangue nero.
Sentii le gambe cedere sotto il mio peso e in una frazione di secondo Farrow mi raggiunse, afferrandomi saldamente sotto le ascelle per sostenermi.
"Aggrappati a me. Ti tengo io".
"Non ti avvicinare", biascicai, sforzandomi di divincolarmi. Ma ormai le forze si erano eclissate nell'ombra di una consapevolezza che non mi dava pace.
"Non ti farò del male, piccola. Non te ne farò mai", assicurò, nella voce una sofferenza che non avevo mai udito.
Di colpo mi lasciò andare e barcollai sul posto. Qualcosa guizzò nel suo sguardo con estrema intensità, troppo simile a una carezza.
"E' tempo che tu comprenda ogni cosa".
"Ho già compreso". Mi stupii che non vi fosse alcun tremolio nella mia voce. "Mi ci è voluto un po', d'accordo, ma penso di aver finalmente capito tutto".
"No. Non hai capito". Avanzò verso di me e di colpo si bloccò, notando che stavo brandendo la mia collanina d'argento a mo' di arma. "Argento", disse, scrollando la testa in un mezzo sorriso.
"Stai indietro!", minacciai, strattonando la sottile catenina in avanti e lasciandola oscillare tra me e lui.
Con un movimento lento sollevò la mano, agguantando il ciondolo tra le grosse dita, poi lo lasciò andare, mostrandomi i polpastrelli intatti. "L'argento è una leggenda".
Retrocessi di un passo, annaspando all'interno della borsetta, senza distogliere lo sguardo da lui, quindi estrassi l'accendino che avevo involontariamente messo in borsa dopo aver attizzato il falò alla base del sergente Malloj.
Feci scorrere il pollice sulla pietrina, sprigionando una fiammella ridicola che si spense subito. Ci riprovai e lo spinsi in avanti, allo stesso modo in cui un prete brandiva il crocifisso davanti al volto di un posseduto.
"Il fuoco?", chiese scettico.
"Tiene lontano gli... animali".
"Ti rendi conto che mi hai visto accendere un falò? Cosa pensi possa farmi la fiamma di un accendino?".
Si mosse così rapidamente che registrai solo un confuso movimento indistinto davanti a me mentre mi rubava di mano l'accendino. E di nuovo la consapevolezza di rappresentare per lui la preda perfetta mi attanagliò lo stomaco.
Se lo infilò in tasca e fece un altro passo verso di me. "Non siamo come credi".
"Ho visto cosa hai fatto. Siete esattamente come credo".
"Mi rammarico che tu abbia dovuto assistere ma non posso scusarmi per questo. E non lo farò. Ucciderei chiunque volesse farti del male, umano o non umano".
"Il ché ti rende folle o pericolosamente iperprotettivo". Mi guardai attorno, valutando la distanza che mi separava dalla stazione dei taxi.
"Sai che non ti lascerò raggiungere quei taxi", mi lesse nel pensiero.
Tornai a lui, provando una forte nausea per il fatto che stesse parlando della morte con tanta semplicità. Ogni muscolo del suo corpo urlava pericolo. "Che intenzioni hai? Cosa vuoi farmi?".
"Voglio solo parlare con te". Si guardò attorno, concentrato. "Ma non qui. Gli altri cinque sono sfuggiti e per quanto i miei uomini stiano setacciando il perimetro ti voglio lontano da qui".
"Sono licantropi anche loro?". Nel chiederlo chiusi gli occhi, vergognandomi quasi per aver pronunciato una parola così terribilmente assurda e un'altra ondata di lacrime si aggiunse a quella precedente.
"Siamo tutti licantropi. Io, Dimitri, i sei che sono sulle tue tracce, gli uomini che hai visto poco fa".
"E Malloj?".
"No, lui è umano". Si avvicinò ancora, coprendo la distanza tra di noi. "Non volevo che le cose andassero così, ho sperato fino all'ultimo di poterti introdurre nel mio mondo con gentilezza, possibilmente da un maschio che a differenza mia non fosse un guerriero".
Lo fissai senza capire e li digrignò i denti, in combutta con qualcosa che lo fece tentennare.
"Sono un'Alpha, Becky. Il mio ruolo è dare la morte a chi si ribella alla mia legge e non sono abituato ad accampare giustificazioni nei confronti di nessuno per le mie azioni".
Avevo già sentito quel termine e ne conoscevo il significato, per quanto potesse essere vero quello che narravano alla televisione. La stessa televisione che mi aveva "insegnato" quali armi usare per combattere un licantropo ma che nella realtà non avevano alcun effetto.
"Sei il mostro delle leggende", lo schernii, l'isteria che mi attanagliava mentre Farrow allungava la mano verso di me.
Osservai le sue dita protese e sgranai gli occhi allucinata. Come poteva credere che avrei afferrato la sua mano per lasciarmi condurre da lui?
"Non sono così diverso da te. Le nostre razze si intrecciano in quello che va oltre al folclore umano". Una giostra di emozioni ruotò sul suo volto: rabbia, frustrazione, incertezza.
"E dovrei crederti? Ho visto il tuo volto sfigurato, i canini lunghi quasi quanto il palmo della mia mano che strappavano via la carne a quell'uomo, i tuoi occhi rossi!". Scattai indietro. "Vattene. Vattene via. Non voglio più rivederti. Esci dalla mia vita".
"Non posso farlo". Nella sua voce risuonò un pianto che non trovava sbocco in alcuna lacrima, come se il solo pensiero di lasciarmi andare lo distruggesse.
Eppure questa volta non si mosse e non fece nulla per trattenermi quando scappai via verso la stazione dei taxi.
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