Becky - l'odore di fragole

"Gne-gne-gne". Gettai in fuori la lingua in una pernacchia diretta alle spalle di Deniel. "E ancora gne! Stronzo bifolco!".

Vidi chiaramente il suo sguardo saettare da Dimitri contro di me e nascosi velocemente la lingua, fingendomi concentrata su un groviglio di rami dai quali alcuni boccioli di Rubus color magenta rendevano questo groviglio spinoso ben lontano dall'essere una pianta infestante.

Erano dei fiori carini. Un po' meno carino era lo sguardo di Deniel. I suoi occhi erano ancora cerchiati di rosso e non promettevano niente di buono quando rimasero fissi su di me in un muto rimprovero. Mi aveva sentita, era chiaro.

Sebbene si trovasse a ben oltre dieci metri da me e sebbene mi fossi limitata a sussurrare, non gli era sfuggita né la mia pernacchia né la mia imprecazione, segno che i suoi sensi da lupo erano all'erta.

Al contrario io non ero in grado di percepire alcuna parola che si stava scambiando con Dimitri e Vincent. Le schiene tese, i muscoli contratti, pronti a scattare e le espressioni gravi mi aiutavano ad intuire la natura della conversazione ma erano degli indizi troppo labili per poter comprendere davvero ciò di cui stavano davvero discutendo. 

Mi avevano messa da parte, abbandonata in un angolo del campo degli allenamenti, in un punto che - a detta loro - era ben riparato da qualsiasi possibile pericolo. Mi avevano persino dato una borraccia con del succo di mela e una coperta a righe gialle per sedermi sull'erba ancora umida dall'ultimo acquazzone. Tuttavia ero rimasta rigida come un fuscello essiccato, la coperta gettata penzoloni sulla spalla e un muso lungo come l'anno della fame.

Per quanto questa uscita non programmata mi avesse finalmente concesso di allontanarmi dalla mia prigione, non ero affatto contenta di essere stata trascinata fin lì. Stavo cominciando seriamente a credere di non avere grandi possibilità di svignarmela dalle terre dei Farrow ma di certo, con lui alle calcagna, quelle piccole possibilità diventavano praticamente nulle. 

Eludere la sorveglianza dei suoi Beta era stato fin troppo facile, occupati com'erano a starmi sufficientemente alla larga per non correre il rischio di aggredirmi. Avevo imparato che ogni dieci o massimo quindici minuti si allontanavano da me per qualche attimo per liberarsi narici e polmoni dal mio odore, e questo mi aveva permesso di escogitare, disfare e ricreare centinaia di piani di fuga. 

Ma con Deniel accanto a me ero più imprigionata di quando effettivamente mi trovavo rinchiusa nella sua camera.

  "Cretino", bofonchiai, marciando verso un tronco che giaceva lungo il perimetro del campo. 

Un fascio di luce colpiva la spaccatura nella corteccia lungo l'asse longitudinale in cui l'onda d'urto sonora irradiata dal percorso del fulmine aveva causato una vera e propria esplosione.

Con la punta della scarpa spostai alcuni spessi pezzi di corteccia, mi accucciai e posai la schiena contro il tronco, sollevando il naso all'insù alla ricerca del calore dei raggi del sole. Indossavo una giacca verde che mi calzava a pennello ma che non mi riusciva a proteggere dalle folate di vento gelide che sembravano voler bloccare la primavera in una sorta di limbo.

Ed era una giacca nuova. Come le scarpe. E come tutto ciò che avevo addosso. Deniel era stato scrupoloso nel rifarmi il guardaroba ma non aveva considerato che la mia temperatura corporea fosse molto più bassa di quella della sua specie. Sapevo che era stato Dimitri a portare sacchi interi di abiti per me, ma sapevo che dietro ad ogni più piccolo acquisto ci fosse la mente di Deniel. Solo lui poteva desiderare di ricoprirmi con abiti capaci di nascondere alla perfezione ogni curva del mio corpo. 

Maglioni a collo alto, pantaloni informi e giacche lunghe fino alle ginocchia. 

Solo l'intimo riportava un'impronta prettamente maschile, rispecchiando i suoi gusti. Non era volgare ma di certo si scostava completamente da ciò che avevo indossato fino ad ora. In uno dei tanti sacchetti che aveva consegnato Dimitri ero riuscita a recuperare un paio di slip di cotone bianco, alti in vita e abbastanza larghi da ricoprirmi completamente le natiche, abbinati ad un reggiseno senza imbottitura che appiattiva ancor di più il mio petto minuscolo. 

Era un completo brutto, probabilmente uno scherzo da parte di Dimitri, eppure era quello che preferivo. Per questo ogni mattina lo lavavo e lo mettevo a stendere vicino alla stufa a legna che sua madre utilizzava quotidianamente per cucinare, in modo che la sera, quando avrei dovuto condividere il letto con Deniel, avrei potuto indossarlo in un palliativo che non frenava assolutamente il suo desiderio ma che di certo faceva sentire me leggermente più a mio agio.

Dimitri si scostò da Deniel e Vincent e a passo lento venne verso di me, fermandosi proprio dove il fascio di luce mi colpiva sul volto, gettandomi nell'ombra. Aprii una palpebra e misi a fuoco il suo viso, alleggerito dalla rasatura. Di solito lo avevo visto con un'ombra di barba ma quel pomeriggio non ne aveva alcuna traccia, somigliando di conseguenza ad un uomo molto più giovane. Quasi più alla mia portata.

"Becky", mi salutò. "Posso sedermi qui con te?".

"Se questo non ti farà uscire di testa", brontolai, riferendomi al mio odore.

Lo vidi inalare l'aria e scegliere con cautela il punto in cui prendere posto, ovvero fuori dalla portata del vento. Tuttavia non si accomodò lontano come avevo immaginato ma si sedette proprio alla mia sinistra. Il suo braccio possente toccava quasi il mio.

Allungò le gambe in avanti e incrociò le caviglie fasciate da un paio di jeans sbiaditi e usurati dall'uso. Era strano non vederlo indossare il suo solito completo da dirigente aziendale.

"Giuro che non voglio mangiarti. Solo, non toccarmi. Okay?", raccomandò, in un mezzo sorriso.

 Ruotai gli occhi e mi sforzai di ricambiare il suo sorriso. "E' stato Deniel a mandarti qui?".

"Credi che avrei potuto avvicinarti altrimenti?", rispose ovvio.

Sollevai lo sguardo verso Deniel. Era rivolto verso il campo ma con la coda dell'occhio notai che non ci perdeva di vista.

"No. Ovvio che no", sbuffai. "Cosa ti ha detto di dirmi?".

"Nulla di importante, non preoccuparti. Ma eri qui da sola e abbiamo pensato ti servisse compagnia".

Lo fissai sul chi va là. "Perché?"

"Perché eri da sola", ripeté più lentamente.

"Perché si preoccupa della mia solitudine?", chiarii. "Me ne sono stata rinchiusa per giorni ed ora di punto in bianco si preoccupa che possa annoiarmi?".

"Mmm".

"Mmm... cosa?".

"Non è propriamente della tua noia che si preoccupa". Con un cenno del capo indicò il campo degli allenamenti dove alcune leve stavano scontrandosi. "Stanno per mutare".

"In lupi?", chiesi scioccamente, raddrizzando la schiena per l'ansia.

Dimitri si voltò verso di me, la fronte corrugata. "Te lo ricordi, sì, che siamo licantropi?".

"Vagamente", risposi acida. "Tu non combatti?".

"No. Sta per arrivare il secondogenito di Carl ed è meglio che ci sia qualcuno di abbastanza forte che lo tenga a bada".

"E' pericoloso?".

"Naa. E' solo un cucciolo. Il fatto è che spesso lo dimentica e cerca di infilarsi nei combattimenti. Non è ancora pronto per farlo e rischierebbe di farsi molto male. Va da sé che Carl e la sua compagna ne uscirebbero letteralmente di testa".

"Perché non resta Carl con suo figlio?".

"Perché lui ha bisogno di allenamento".

"Tu no?".

Scrollò la testa, divenendo improvvisamente serio. "No. Io no".

"Perché no?".

Gli occhi si illuminarono di giallo, catturando il fascio di sole. "Perché sono già sufficientemente letale".

"Sarebbe interessante vederti".

L'ombra di un sorriso spazzò via di colpo la sua espressione grave. Gli occhi tornarono del loro colore naturale. "Fidati. E' meglio di no".

"Sei forte come Deniel?".

Una mezza risata gli scosse il petto e per poco il suo bicipite si scontrò contro la mia spalla. Si scostò di lato e con un colpo di tosse frenò la risata. "Deniel è l'Alpha".

Non ebbe bisogno di aggiungere altro. Con quella singola parola aveva abbondantemente risposto alla mia domanda. Non c'era nessuno più forte e brutale dell'Alpha. Nessuno che lo potesse eguagliare in forza e velocità. La sua stessa corporatura lo distingueva dagli altri. La sua testa superava di almeno una spanna l'altezza delle leve e dei Beta, la stazza muscolosa e la furia a stento trattenuta emanavano selvaggia ferocia e la promessa di una morte certa. Non a caso tutti quanti, al suo passaggio, retrocedevano in un segno di rispetto. 

Ora sapevo che se retrocedevano era anche per un naturale istinto di sopravvivenza.

"A proposito di questo...", attaccò ma poi tacque, valutando la distanza di Deniel.

Si era spostato di un centinaio di metri e un gruppo di leve si era sistemato in un cerchio ben disegnato che lo cingeva. Il combattimento stava per iniziare e nell'aria vibrava una scarica di elettrizzante adrenalina. Persino io ero curiosa di assistere, sebbene la mia mente non ne fosse propriamente pronta. Era appena riuscita ad accettare l'esistenza di una specie diversa da quella umana e non è che l'avesse accattata di buon grado.

"Ho sentito che questa mattina Deniel è stato un poco brusco con te dopo il tuo giretto nei boschi", confidò quando fu abbastanza certo che il suo Alpha fosse fuori dalla portata d'orecchi.

Sollevai le spalle, minimizzando. Non volevo fare la parte della martire. "Te lo ha raccontato lui?".

"No. Ho sentito. Mi aveva chiesto di restare nei paraggi nel caso avesse perso la testa".

"Ti ha chiesto di proteggermi da lui?".

"No. Non da lui. No. Dalla Bestia... Era piuttosto furioso".

Di nuovo sollevai le spalle. "Sì, l'ho notato".

"E aveva ragione", disse, usando il tono accondiscendente che di solito usano i fratelli maggiori per rimproverare. "Non puoi continuare ad andartene in giro per i boschi da sola".

"Volevo solo raggiungere i miei genitori. Non stavo propriamente scappando".

"Per quale ragione?".

"Per quale ragione?", mi stizzii. "Sono da soli in città con un branco di licantropi che mi sta cercando. Volevo portarli qui".

"Quindi ti fidi della protezione di Deniel!", tirò le somme.

"In realtà avrei preferito fidarmi di più della polizia ma so che le pistole non possono fermarvi, perciò non ho molte alternative che fidarmi ciecamente di Deniel".

"Se ti fidi tanto di lui, perché non ti fidi anche del suo giudizio?".

"Che intendi dire?".

"Nessuno potrebbe proteggerti meglio di lui. Le sue capacità tattiche e logiche ti terranno sempre lontana da qualsiasi pericolo. Questo ormai lo hai capito. E queste sue capacità lo hanno portato a decidere di lasciare i tuoi genitori in città. Credi lo abbia fatto per negligenza?".

"No", mi ritrovai a rispondere, seppur incerta.

"Se ha deciso di lasciarli lì è perché ha valutato che corressero meno rischi che condurli nelle nostre terre", dipanò ogni mio dubbio.

"Io...", attaccai incerta.

Ma lui mi parlò sopra: "Tu credevi se ne fosse fregato di loro".

"No!", risposi di getto. Poi però aggiunsi: "Forse. Cioè... sì, potrebbe essere".

Si lasciò sfuggire un ghigno sardonico. "Questo dimostra quanto poco conosci il mio Alpha".

"Non si tratta solo di fiducia".

"Di che altro allora?".

Allungai le gambe e imitai la sua posizione, stringendomi nella giacca quando una folata di vento mi colpì dritta in faccia. "Dico che forse hai ragione tu. Ma solo in parte. Non lo conosco come Alpha... Dio, ho scoperto della vostra esistenza solo da qualche giorno. Il fatto è che non lo conosco nemmeno come uomo. Non so cosa pensa, cosa prova, non so nemmeno cosa vuole...".

"Te".

"Non hai capito...".

"Sì invece. Lui pensa, prova e vuole solo te. Ogni cosa la fa per te. Ogni decisione la prende per te. Un lupo ha una sola compagna per la vita mentre una femmina potrebbe addirittura scegliersi altri compagni, sebbene l'imprinting provato dal compagno la lega profondamente a lui. E' per questo che un lupo spende ogni sua energia per renderla felice".

Abbassai lo sguardo sulle mie mani, in imbarazzo. "Ed è anche per questo che si comporta in modo così possessivo?".

"E ancora non hai visto niente", ridacchiò. "Con te si sforza di apparire umano ma nella sua natura c'è un lupo, ed è esso a guidarlo ed a tenere il controllo su ogni suo pensiero o gesto. Fidati, piccoletta, se tu gli hai detto di amare la tua famiglia, automaticamente la tua famiglia è al sicuro".

"Avrebbe potuto dirmelo lui", mi indispettii.

"Avresti potuto dirglielo tu che sei fuggita perché temevi per la sorte dei tuoi genitori", rigirò la frittata.

Mi imbronciai. "Lo avrei fatto se non fosse sempre così dispotico e aggressivo".

"Sì, questa mattina lo è stato", ammise, ripensando alle parole che mi aveva urlato contro.

Ripensandoci anche io, mi ritrovai ad arrossire. Dimitri aveva senza dubbio sentito anche quando Deniel mi aveva assicurato che mi avrebbe fatto allargare le gambe per...

Di colpo mi ritrovai a stringere le cosce, percependo un calore all'altezza del basso ventre che non riuscii a riconoscere. 

Fu Dimitri a spiegarmelo, e lo fece senza alcun pudore: "Ti stai eccitando al pensiero?".

"Cosa? No!", esplosi, rossa in volto.

"Sento l'odore", mi guardò storto, per nulla imbarazzato. Poi si accigliò e rivolse lo sguardo verso i Beta che si stavano preparando allo scontro. "Prega Dio che non lo percepiscano anche gli altri o siamo nella merda".

"Deniel non mi eccita affatto", ribadii furibonda, piantando i talloni a terra per alzarmi.

Dimitri mi schiaffeggiò un ginocchio. "Resta qui, pazza. Non andartene in giro con quel profumo addosso se non vuoi vedere questo allenamento trasformarsi in una carneficina".

Rilassai le gambe all'istante. "Deniel. Non. Mi. Eccita".

"Sì-sì, okay".

"Dico sul serio".

"E' per questo che non gli togli gli occhi di dosso? Per questo che la notte, mentre sei addormentata e senza controllo, strusci il tuo sedere sul suo cazzo?".

Balzai in piedi. "Come ti permetti?".

"Sono il suo braccio destro, so qualsiasi cosa lo affligga. E questa cosa lo affligge parecchio. Hai idea in che condizioni sia al mattino il tuo Alpha?", continuò, senza sollevare lo sguardo. Senza nemmeno muoversi di un solo centimetro.

Sapeva che nonostante fossi furiosa non mi sarei allontanata di un solo passo. La paura era la migliore prigione, o peggiore a seconda dei casi.

"Lui ti ha marchiata. Non lo ha fatto del tutto, d'accordo, ma ha gettato il suo seme su di te", continuò. "Suppongo ti abbia spiegato cosa succede quando accade".

Incrociai le braccia al petto. "Provo tutto più amplificato".

"E se lo desideravi prima, figurati ora", concluse, sollevando finalmente lo sguardo su di me. "Risiediti per favore. Tra pochi secondi muteranno e ti preferirei accanto a me".

Spostai la mia concentrazione sulle leve e trattenni il respiro. Non ero pronta.

Mi ero appassionata in passato a qualche telefilm sui licantropi e le trame erano ben più adolescenziali di ciò che stavo vivendo nella realtà. Raccontavano in modo affascinante questo mondo parallelo a quello umano: uomini e lupi si mescolavano tra di loro senza grosse interferenze, gli adolescenti mutanti frequentavano persino il liceo e si innamoravano delle studentesse. Di tanto in tanto c'erano degli scontri ma avvenivano sempre di notte, lontano dalle persone normali che trascorrevano le proprie esistenze senza mai venire a scoprire dell'esistenza di queste creature letali. E quando si trasformavano, dei lampi di luce o un'immagine creata ad hoc col computer mostravano allo spettatore una scena veloce e indistinta che faceva scomparire le sembianze umane per sostituirle con quelle animali in un batter d'occhio.

Nella vita reale non accadeva così. Nella vita reale c'era il rumore di ossa che si spezzavano, legamenti che crepitavano come tizzoni ardenti, mugugni di dolore che accompagnavano ogni sfilacciamento dei muscoli, tesi fino a gonfiare e scoppiettare come quelle piccole palline d'aria per imballaggio che da piccola mi divertivo a far esplodere. 

E prima di tutto questo i vestiti venivano tolti e messi al riparo. Uomini e donne vagavano per il campo completamente nudi, senza alcun pudore, senza nemmeno cercare di celare le proprie parti intime. Erano queste le prime a ricoprirsi di una peluria folta, seguite poi dal volto e infine dagli arti. I capelli erano gli ultimi ad allungarsi e lo facevano solo quando il corpo umano si era amalgamato in tutto e per tutto con quello di un lupo dal garrese molto più alto rispetto a quello di un lupo normale.

Immobilizzata nel terrore osservai per ultimo Deniel. Il suo manto era antracite, tendente al bianco sulle zampe posteriori e all'attaccatura delle orecchie che sormontavano gli occhi, rossi e cerchiati da ciuffi neri. La sua stazza sormontava quella di tutti gli altri, impreziosita da un portamento regale che lo distingueva come Alpha.

Fu solo a quel punto che tra tutte le bestie ne trotterellò una più piccola. Un cucciolo. Di quelli che possono anche far tenerezza e che di solito ci si ferma per strada ad accarezzare quando ti passano accanto. Il figlio di Carl.

Distratta com'ero dalla scena che mi si stava presentando, sentii a malapena il fischio di richiamo di Carl che fece scattare sugli attenti il piccolo lupo di licantropo. Immediatamente trotterellò verso di noi ma quando ci fu quasi addosso piantò le zampe anteriori nel terreno e frenò la corsa. Gli occhi gialli mi puntarono e si venarono di rosso, esattamente come quelli di Deniel.

"Non è solo l'Alpha ad avere gli occhi rossi?", balbettai, appiattendo la schiena contro il tronco.

"No, tutti possiamo averli. Ma farli diventare rossi sarebbe come sfidare apertamente le regole del nostro Alpha, quindi se ci teniamo alla nostra vita li lasciamo gialli", spiegò, facendo un cenno con la mano al cucciolo per incitarlo ad avvicinarsi. "Vieni qui testa dura, questa umana appartiene all'Alpha, non ti farà del male. E tu non ne farai a lei".

"Riesce a capirti?", mi sorpresi. Chi era? San Francesco?

"I licantropi capiscono l'idioma umano, esattamente come quando non sono mutati. La difficoltà è comprendere il linguaggio animale. Ma abbiamo ottime scuole".

"Scuole?".

"Tipo i vostri licei. Anziché studiare il francese impariamo la nostra lingua animale".

"Mi prendi in giro? E gli insegnanti chi sono?".

"L'Alpha e gli anziani".

"E' folle", mi sfuggì.

"Anche studiare francese lo è, ma tant'è...".

Un ruggito di comando diede inizio all'allenamento e ogni lupo si posizionò in posa d'attacco lungo il perimetro del campo, formando una linea retta e precisa. I canini protesi in fuori, le zampe anteriori leggermente flesse e quelle anteriori ben piantate sul terreno, pronte a balzare in avanti. Il pelo sul garrese ruvido e sollevato lungo la sottile striscia che attraversa tutta la schiena, fino alla coda protesa verso il basso. Immobile. Come le loro iridi dilatate. Poi scomparvero. Che diavolo...?

"Dove sono?", urlai

Dimitri sollevò per mezzo secondo lo sguardo e lo puntò al centro del campo, quindi tornò a fissare il cucciolo di Carl. "Sono davanti a te".

"Possono diventare invisibili?", boccheggiai, strizzando gli occhi verso il punto che gli avevo visto fissare.

"Me lo auguro. Altrimenti questi allenamenti non sono serviti a niente".

Lo fissai a bocca aperta. "Avete poteri magici?"

"No sciocca. Abbiamo il potere di mimetizzarci. Sono tutti davanti a te, nascosti a confine. Se non li riesci a vedere è un bene, significa che sono migliorati". Sollevò di nuovo lo sguardo verso destra per un altro mezzo secondo e scosse la testa deluso: "Cosa che non si può dire di quella leva laggiù".

Scrutai attentamente verso il punto in cui un'arcata di rovi si apriva in uno spiraglio da cui si intravvedevano le rocce del profilo della montagna. "Io non vedo niente".

"La tua vista è umana. Probabilmente sei in grado di vedere solo le rocce più scure".

"Infatti".

"Se ora ti avvicinassi - cosa che non farai eh! Parlo solo in senso ipotetico - noteresti che la parte più sporgente della roccia è il sederino delizioso di una giovane leva".

"Tu però li vedi. Significa che non sono nascosti così bene".

"Io so dove cercare". Sospirò e accarezzò la testa del cucciolo prima di sospingerlo cautamente verso di me. "Vuoi provare a fare amicizia?".

Ritrassi le gambe e saltellai sulle natiche per allontanarmi dalle fauci sguaiate del piccolo licantropo. Sarà anche stato piccolo ma i canini erano già più lunghi del mio polso.

"Non me la spaventare", abbaiò Deniel alle mie spalle.

Mi voltai di scatto e lo trovai accucciato accanto a me, vestito di tutto punto. Avrei dovuto accorgermi della sua presenza? Come poteva non aver emesso alcun rumore? Nemmeno uno spostamento d'aria...

"Tutto okay?", indagò e dal tono nervoso capii che era ancora arrabbiato con me.

Sollevai le spalle e tornai a voltargli le spalle. Il cucciolo sobbalzò, spaventato dal mio gesto e trotterellò tra le caviglie di Deniel, annusandogli le scarpe. Mi era impossibile capire il senso di quel gesto ma di certo doveva avere un significato perché sia Deniel che Dimitri scoppiarono a ridere.

"Certo, piccola, che quando metti il broncio lo fai fino infondo, eh!", sghignazzò, quindi si rivolse direttamente a Dimitri. "Si è spaventata?".

"Naaa... un poco solo quando li ha visti sparire".

"Solo?", obiettai.

"Forse anche un po' prima", precisò con un sorrisetto.

La mano di Deniel agguantò una ciocca dei miei capelli e tirò lievemente, comunicandomi di voltarmi verso di lui. 

"A lui parli e a me no?". Il tono era calmo ma la furia a stento trattenuta aleggiava nell'aria.

"Lui non è uno stronzo".

"No?".

"No. E io parlo solo con chi non è stronzo".

"Quindi io lo sono!".

Non era una domanda ma volli comunque togliergli ogni dubbio. "Esattamente. E' proprio ciò che sei".

"Quindi perché mi stai parlando?".

Aprii la bocca per ribattere ma mi resi conto che aveva rigirato le mie stesse parole contro di me, vincendo come al solito uno dei nostri innumerevoli scontri verbali.

"Vuoi tornare a casa?", chiese. Il tono era tornato ad essere dolce. Quasi preoccupato. "Se tutto questo è troppo, lo capirei".

"Di troppo, qua, ci sei solo tu".

La presa attorno ai miei capelli aumentò e mi sentii sospingere in avanti, verso di lui.

"Che stai facendo?".

"Ti bacio. Così forse la pianti di dire stronzate".

"No!", mi allarmai.

La risata fu lieve e non durò più di tre secondi, interrompendosi nel momento in cui le sue labbra si schiantarono contro le mie, prendendosi il bacio che non gli avevo concesso. Le sentii morbide nonostante le stesse premendo con avidità, sforzandole ad aprirsi e mordicchiandole quando si rese conto che non avevo alcuna intenzione di permettere alla sua lingua un facile accesso.

Il respiro mi si mozzò, il cuore perse un battito e poi accelerò senza alcun preavviso, risvegliando il mio respiro e sincronizzandolo al ritmo di ogni pulsazione. La ia reazione mi spaventò più del bacio in sé e di scatto gettai la testa all'indietro, sentendo il cuoio capelluto pulsare, riuscendo ad allontanarmi di un misero paio di centimetri. 

"Smettila", ansimai, muovendo piano le labbra per non rischiare di sfiorare le sue ad ogni sillaba.

Lo sguardo di Deniel indugiò nel mio, insolente e malizioso, a caccia di qualcosa che non capivo ma che allo stesso tempo percepivo con estrema chiarezza in ogni parte del mio corpo. Forse non sapevo dare un nome a ciò che provavo né potevo attribuirlo a qualche esperienza passata, malgrado questo però una parte di me, seppur restia ad ammetterlo, iniziò ad arrendersi all'evidenza che Deniel non mi fosse indifferente.

"Sai di fragole mia piccola femmina. E sapevi di fragole anche poco fa". Non c'era stata alcuna incertezza nella voce. Aveva davvero sentito l'odore dell'eccitazione su di me e di certo non gli era sfuggito nemmeno mezzo segnale che gli aveva involontariamente lanciato il mio corpo. Aveva abbastanza esperienza da saperli riconoscere tutti, persino quelli che caparbiamente gli tenevo nascosto.

"Io non...".

"Stai zitta e baciami", brontolò, di colpo nervoso, riprendendo possesso della mia bocca.

Le sue mani trovarono la mia vita e la circondarono sotto i palmi caldi e ruvidi, attirando tutto il mio corpo contro il suo fianco, fino a bloccarmi con il braccio possente avvinghiato attorno alle mie spalle. Ero immobilizzata contro di lui, tenuta in ostaggio da muscoli solidi e torniti che poco spazio lasciavano alla delicatezza mentre di colpo mi sollevavano per sistemarmi sopra le sue ginocchia. Una mano ancora aggrappata ai miei capelli.

"Piccola, se non mi fermo immediatamente...", mi soffiò contro le labbra.

Ed in reazione le leccai, facendo scivolare velocemente la lingua contro il labbro superiore e aprendogli un accesso verso cui la sua bocca si gettò, rivendicando un bacio molto più seducente di quello che era stato il bacio precedente.

La lingua di Deniel navigò esperta attorno alla mia, esplorando luoghi che nessuno aveva mai scoperto, saccheggiando il mio respiro e condividendo il suo come se ne avessi bisogno per vivere.

"Mai stata baciata", commentò adorante, in un sussurro, staccandosi di poco per fissarmi negli occhi. "La tua bocca mi appartiene. Tu, mia piccola, mi appartieni".

"Io sono solo di me stessa", polemizzai.

"Ma solo io posso farti bagnare le tue deliziose mutandine", mormorò contro al mio orecchio, usando un tono tre volte più profondo del solito. "Se stringi le cosce, amore mio, ti accorgerai che non sto parlando a vanvera".

Un colpo di tosse alle mie spalle lo fece irrigidire da capo a piedi e d'istinto mi strinse ancor di più a sé, quasi a voler proteggermi da qualcosa, volgendo uno sguardo letale verso Dimitri che a quanto pare cercava di fingersi distratto con il piccolo cucciolo di licantropo.

"L'odore della tua femmina sta cominciando a diventare un problema, fratello", lo informò.

Dovette indicargli un punto nella foresta perché di colpo Deniel rivolse lo sguardo al limitare del campo, facendo brillare di proposito gli occhi di rosso in un comando che non riuscii a comprendere.

Almeno finché non vidi quattro Beta retrocedere in lontananza con la coda tra le gambe, guaendo.

"Ti riporto a casa, combina disastri", mi aiutò a rimettermi in piedi.

Traballai sulle gambe e al primo passo che feci la stoffa delle mutandine si strofinò sulle mie grandi labbra, umida e appiccicaticcia. Abbassai lo sguardo involontariamente, puntandolo contro la cinta dei miei pantaloni.

"Sì, mia piccola femmina... so che sono bagnate", mormorò suadente al mio orecchio.

Strinsi i denti, in imbarazzo, cercando masochisticamente Dimitri con lo sguardo nella vana speranza che non lo avesse udito ma appena voltai la testa di lato le dita di Deniel mi agguantarono il mento e i suoi occhi brillarono infuocati contro i miei.

"Tu. Guardi. Me", ringhiò, arricciando le labbra per mostrare la punta leggermente allungata dei canini. "soprattutto quando ti porti addosso l'odore delle fragole".

"Paranoico", lo apostrofai.

Il sorriso sornione mi fece intendere che l'offesa non lo aveva affatto scalfito. Strizzò le palpebre, riportando gli occhi al proprio colore naturale e fischiò verso il cucciolo.

"Saluta la tua regina", comandò.

Il cucciolo trotterellò verso di me e senza preavviso balzò in avanti, atterrando tra le mie braccia. Lo afferrai di slancio, barcollando indietro poiché non mi aspettavo così scarsa diffidenza, e guardandolo negli occhi, non vidi traccia di alcun mostro.

"E' dolce", mi sorpresi, scostando il viso quando tentò di leccarmi il naso.

"Ehi!". Deniel lo afferrò per la collottola e lo strappò letteralmente via dalle mie braccia. Gli bastò osservarlo severo e dritto negli occhi per una manciata di secondi per farlo guaire come se l'avesse preso a calci nel costato. 

Il cucciolo si dimenò e balzò a terra, sbuffando, poi trotterellò verso Dimitri a caccia di protezione. 

"Perché lo hai aggredito?", polemizzai contro la sua schiena.

Con un movimento fulmineo mi si era parato di fronte, facendomi da scudo con il proprio corpo.

"Portala via dannazione", boccheggiò Dimitri, balzando in piedi. 

Solo che non stava guardando il cucciolo bensì verso il campo degli allenamenti.

Nel punto esatto in cui otto paia di occhi gialli e famelici mi stavano puntando.



























Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top