Becky - io a casa sua

Mi ci vollero una manciata di secondi per decidermi ad alzare la testa quando percepii i passi dei genitori di Deniel Farrow avanzare sopra il pavimento in legno della cucina. Era una stanza modesta, interamente in stile baita, con il soffitto a spiovente e con le travi a vista, e le pareti in sasso intervallate da alcune colonne portanti di mogano striato. Il mobilio si rifaceva allo stile della casa, umile e in legno, e cozzava con gli elettrodomestici in acciaio di ultima generazione. Solo il piano cottura era grande quanto il tavolo, evidentemente costruito su misura perché non mi era mai capitato di vederne uno con otto fuochi. Per il resto la stanza era prettamente spoglia di quei segni identificativi che facessero supporre fosse stata arredata da una donna: niente fiori o ritratti di famiglia, niente calamite attaccate all'anta del frigo né biglietti pro memoria dimenticati qua e la. Era tutto tirato a lucido in un ordine maniacale. 

Quando nella mia visuale si unì la figura del padre di Deniel mi decisi finalmente a riversargli addosso tutta la mia attenzione. Ero convinta di trovare accanto a lui anche la madre ma invece di lei non vi era più traccia.

Mi stava fissando attentamente, studiando ogni tratto del mio volto alla ricerca di qualche dettaglio che, era evidente, gli stava sfuggendo. Forse si stava chiedendo quale motivo avesse spinto il figlio ad avere con me questa cosa chiamata imprinting. Era evidente che la loro specie considerava inferiore la mia, e a giudicare da come mi stava fissando, mi chiesi quanto e come ci considerassero al di sotto di loro.

Restai immobile, fissandolo di rimando, domandandomi in imbarazzo se fosse il caso che spezzassi il silenzio, ma alla fine decisi di restare zitta, ben consapevole di ogni mia parola con tutta probabilità sarebbe stata sbagliata. Le leggi di queste persone, se così si potevano chiamare, erano le più assurde e contorte che avessi mai potuto sentire e benché non mi importasse più di tanto di infrangerle -anzi, ne avevo quasi il desiderio- sapevo che in quel momento avrei fatto meglio a non tirare troppo la corda.

Non sapendo cosa dire mi limitai a porgergli la mano, ma anche questo gesto a quanto pareva rientrava tra le cose sbagliate da fare. Suo padre sussultò, fissando la mia mano senza afferrarla, quindi ansimò e voltò gli occhi verso Deniel per ottenere l'autorizzazione a stringermela.

"Fai pure", borbottò Deniel, chiudendosi alle spalle la porta del retro.

A quel punto, contro ogni logica, il padre si aprì in un largo sorriso e con deferenza allungò verso di me le braccia, stringendomi il palmo con entrambe le mani e chinando la fronte fino a toccarmi le dita.

Completamente colta di sorpresa ricercai lo sguardo di Deniel ma lui non se ne accorse: teneva gli occhi puntati contro le mani del padre, ancora strette attorno alla mia e la cosa non sembrava piacergli molto. 

"Può bastare", si seccò, dandomene conferma e venendo verso di noi per acciuffarmi il braccio. Lo strattonò verso di sé, liberandomi dal contatto col padre e con una lieve pressione sul polso mi costrinse a fare qualche passo indietro. 

"Beh, io non ho avuto nemmeno il tempo di capire come si chiama", protestai.

"Non ti serve sapere il nome di un altro uomo".

Su un primo momento pensai stesse scherzando ma poi dovetti ricredermi. "E' tuo padre", cercai di farlo ragionare.

"Hai da contestare anche su questo?".

"Sì, dannazione".

"Ci risiamo...", chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. 

"Come hai potuto avere l'imprinting con lei?", il tono del padre era un'offesa. "E si può sapere perché non l'hai istruita prima di portartela in casa?".

"Come se fosse possibile", mormorò.

"Okay, forse non potevi istruirla su tutto", concesse. "Ma le basi, Cristo! Almeno quelle!".

Deniel restò in silenzio per un momento, ragionando su qualcosa che a quel punto non mi presi nemmeno la briga di indagare. "Papà mi serve indire una riunione per questa sera", disse infine.

"Nell'edificio generale?".

"Sì, voglio tutti i Beta. Ho da chiarire alcune cosette su Becky e se non lo faccio, qui scoppia una guerra in meno di 24 ore".

Il padre annuì. "A giudicare da come si comporta la tua compagna lo penso anche io".

"Scusate, come mi starei comportando?".

Deniel sorrise a denti stretti. "Non vuoi saperlo".

"Sì, che voglio".

Scrollò la testa e andò al lavello per prendersi un bicchiere d'acqua. "Fidati, non vuoi".

"Ho detto di sì".

"Come una facile", rispose di getto. Il tono non era accusatorio ma si vedeva comunque che la cosa lo irritava.

"Una facile?", mi puntai un dito al centro del petto. "Io? Una facile, io?".

Mi guardò da sopra l'orlo del bicchiere. "Non puoi andartene in giro a toccare chiunque".

"Ma se non sono nemmeno andata in giro. Cos'è? Un'accusa preventiva? Prevedi che che me ne andrò a zonzo a toccare la coda di qualche cagnetto? Ah! Fantastico! Molto maturo davvero".

Lo sentii sospirare e il bicchiere gli traballò tra le dita quando lo sollevò per puntare suo padre. "Hai toccato lui".

"Stai scherzando?".

Fece segno di no con la testa, muovendola lentamente. Serio oltre ogni immaginazione. Dio, non stava affatto scherzando. 

"Non stai scherzando?". Era talmente assurdo che per sicurezza mi ritrovai a domandarglielo di nuovo.

Svuotò il bicchiere e lo depose nel lavello. "Te l'ho già spiegato. Le femmine degli Alpha non vanno toccate. Mai!".

"Dimitri lo ha fatto".

"... a meno che non sia io a concederlo", aggiunse.

"La prendete sul serio da queste parti la gelosia".

"Non si tratta di gelosia", mi venne incontro portando un bicchiere d'acqua anche a me e mi squadrò col suo solito modo sfacciato. Quindi si corresse. "Cioè... anche! Comunque si tratta perlopiù di sicurezza. La compagna dell'Alpha deve essere protetta da chiunque, persino dallo stesso branco a cui appartiene. Se dovesse capitarle qualcosa, l'Alpha ne morirebbe. E senza Alpha morirebbe anche tutto il branco. Mi stai seguendo?".

Annuii. Eccome se lo stavo seguendo. "Praticamente sono spacciata".

Scosse la testa, corrugando la fronte. "In che senso?".

"Nel senso che è ovvio che tutti vorranno farmi fuori. Chi è che non vorrebbe essere l'Alpha? Se io crepo, tu crepi e un altro lupetto ambizioso salirà al potere".

Alle mie spalle sentii lo sbuffo di suo padre. "Non le hai spiegato proprio nulla!".

Deniel sollevò gli occhi, sforzando di ignorarlo. "Il ruolo di Alpha è per diritto di nascita".

"Tipo erede al trono?".

Storse la bocca. "Più o meno. Diciamo che un Alpha ha giusto due o tre responsabilità in più di un banale re".

"Tipo?".

"Tipo trovarsi una compagna prima del suo trentesimo anno di vita", intervenne il padre e anche se non lo stavo guardando, dal tono colmo di rimprovero capii che stava lanciando una frecciatina a Deniel.

Mi voltai seccata verso di lui e mi indicai con fare ovvio. "Mi pare che l'abbia trovata, no?".

Si lasciò sfuggire una smorfia. "Tu non sei la sua compagna".

"Ma se fino a un attimo fa dicevi il contrario? Quindi, se non sono la sua compagna, posso anche non rispettare le leggi e toccare chi voglio, giusto?".

"Aahh, ti fissi però eh!", protestò Deniel.

"Non le hai detto cosa deve fare per diventare la tua compagna?", indagò il padre.

Li guardai attentamente, consapevole che mi stesse sfuggendo qualcosa di importante.

"Preferisco non lo sappia", rispose Deniel, evitando il mio sguardo. Tutto d'un tratto sembrava sulle spine.

"Perché non devo saperlo?", chiesi.

"Ho preso la mia decisione", sentenziò.

Mi misi le mani sui fianchi. "Beh non sono d'accordo".

"Che strano...", borbottò piano il padre.

Non mi piaceva quando mi nascondevano le cose né essere estromessa da argomentazioni che mi riguardavano in prima persona. "Io non voglio essere la tua compagna, perciò me lo devi dire".

"Se non vuoi esserlo perché vuoi spere cosa devi fare per diventarlo?".

"Perchè?", strabuzzai gli occhi. "Metti che faccio questa cosa involontariamente e divento la tua compagna senza praticamente rendermene conto?".

Qualcosa nelle mie parole li fece scoppiare a ridere. Deniel allungò il braccio e mi acciuffò una ciocca di capelli, portandosela al naso per aspirarne il profumo. "Piccola", mormorò, modulando la risata in un sorriso, "quella cosa... ecco, se mai dovessi farla, credi a me, te ne accorgeresti".

Strizzai gli occhi, sospettosa. "Me lo giuri?".

Chiuse gli occhi e annuì lentamente con la testa. "Fidati. E' così". Mi lasciò libera la ciocca, sistemandomela dietro all'orecchio in un gesto veloce e tornò a impostare un'espressione severa quando staccò via a forza lo sguardo dal mio volto. "Devo andare un attimo a parlare con Peter, ci pensi tu per la riunione di stasera?".

"Certo", annuì il padre, lanciandomi un cenno di saluto prima di andarsene.

Lo seguii con lo sguardo. "Se ne va così su due piedi?".

"Gli ho dato un ordine", spiegò ovvio.

"Ma è tuo padre!".

"E io sono il suo Alpha".

"Quindi ti aspetti che tutti facciano quello che vuoi appena lo dici?".

Si strinse nelle spalle. "Non mi aspetto niente. E' così e basta".

"E nessuno ti disubbidisce?".

"No".

"E nemmeno ti contraddice?", ricordai la seconda regola. 

"No".

"Quindi se domani te ne andrai in giro dicendo che la luna è verde e a pallini blu nessuno ti direbbe che non è vero?".

"Esatto".

"E non c'è mai stato nessuno che ha provato a darti contro?".

Sorrise. "A parte te?".

Lo guardai male.

"Due lo hanno fatto", si decise a rispondere. "Uno è Dimitri... lo fa anche un po' troppo spesso a dire il vero".

"E l'altro?".

"L'altro è sotto tre metri di terra".

Sgranai gli occhi. "Stai parlando sul serio?".

"Sì. E se ora hai finito con le domande dovrei andare". Guardò qualcosa sul display del cellulare e ruotò gli occhi. "Dai, idiota, entra", parlò piano, voltandosi verso la porta del retro che quasi immediatamente si spalancò, rivelandoci la presenza di Dimitri.

"Sei un idiota", lo apostrofò, dimenando il cellulare e riferendosi a qualcosa che evidentemente Dimitri gli aveva scritto mentre era ancora fuori dalla porta.

Il sorriso sornione di Dimitri aumentò. "Mi sono solo accertato che non foste nudi. Sai, ci tengo alla mia vita".

"Che sta insinuando?", chiesi.

Ma nessuno dei due mi rispose, si comportarono come se io non fossi più presente.

"Devo beccarmi con Peter", lo aggiornò Deniel, estraendo dalla tasca dei jeans il biglietto che solo poche ore prima era stato recapitato a mio padre. Glielo consegnò e attese che lo lesse prima di continuare: "Gli spiego la situazione e poi torno. C'è mia madre comunque in casa, dovesse servirti".

Solo a quel punto Dimitri mi lanciò un'occhiata e un altro sorriso gli distese il volto. "Ciao Becky".

"Salve signor Dimitri", balbettai. Era strano vederlo fuori dall'ufficio senza il suo ruolo di capo d'azienda cucito addosso. A guardarli bene, sembravano due persone completamente opposte da quelle che erano in città. 

Persino Deniel, che a conti fatti si era sempre dimostrato particolarmente paziente con me, da quando eravamo arrivati sul monte Eagle aveva completamente plasmato il suo carattere. Aveva lasciato uscire il suo vero se stesso, smettendo di mimetizzare il ruolo che aveva verso la propria razza. In città si era calato perfettamente nella parte di dirigente aziendale, e per quanto la sua stazza e il suo comportamento autoritario avessero gettato in soggezione la maggior parte dei dipendenti, con me perlomeno si era comportato sempre con riguardo e pazienza, sforzandosi di modellare atteggiamenti e pensieri a quelli di noi umani. Qui invece era diverso. Completamente. Il dirigente aziendale della compagnia pubblicitaria più grande del Minnesota era scomparso, lasciando spazio a un uomo dittatoriale e di comando. Persino con me aveva iniziato a imporre con intransigente fermezza la propria volontà.

"Becky", mi chiamò severo. "Devo lasciarti un momento. Te la senti di aspettarmi qui?".

"Ho alternative?".

"No, non ne hai. Ma con te è meglio essere chiari. Non devi muoverti per nessuna ragione da questa casa. Resterai con Dimitri... sotto la supervisione di Dimitri", aggiunse, inviando un'occhiata al proprio Beta.

Dimitri annuì convinto.

"Fai tutto quello che ti dice, che poi sarebbe quello che ti direi io", si raccomandò. "E possibilmente non farlo uscire di matto".

Senza volerlo mi si incurvò il labbro in un sorrisetto carico di promesse.

"Smettila Becky", mi puntò un dito contro.

"Okay, va bene, ho capito", mi arresi.

Mise via il cellulare e passò accanto al suo Beta, dandogli una pacca sulla spalla e sussurrandogli qualcosa all'orecchio. "Per ogni cosa c'è mia madre", concluse a voce più alta. 

"Tranquillo".

Spalancò la porta e si voltò verso di me. "Hai capito che non devi uscire da questa casa?".

"Oh, ma dai, ho capito", mi spazientii.

Mi lanciò una lunga occhiata, quindi se ne andò, lasciando me e Dimitri da soli. E in imbarazzo. Restammo per un attimo a fissarci, dondolandoci sui piedi infine non ce la feci più a sopportare il silenzio.

"E' strano vederla fuori dall'orario di lavoro, signor Dimitri".

"Dammi del tu, per favore, qui non sono il tuo capo". Andò ad aprire un mobiletto e con un gesto sicuro rovistò all'interno, trovando immediatamente ciò che stava cercando. Più che probabile trascorresse molto tempo qui perché si comportava come se conoscesse il contenuto di ogni cassetto o antina. Di fatto trovò senza esitazioni un bicchiere zigrinato e lo sbatté al centro del tavolo, riempendolo con il liquore che aveva recuperato dal mobiletto.

"Cos'è?", chiesi.

"Cognac".

"Posso averne un goccio?".

Dimitri arrestò la bottiglia a mezz'aria e osservò pensieroso il bicchiere. Quindi riprese a riempirlo, scuotendo la testa in segno di negazione. "Deniel non mi ha lasciato detto se puoi bere".

Mi scappò un risolino isterico. "Stai scherzando?".

Chiuse la bottiglia e la rimise al suo posto. "No".

"Lo sai che sono maggiorenne?".

"Sì. Sei maggiorenne. Sei grande. Sei matura. E sei di Deniel. Decide lui per te, non io. E finché lui non mi dice se puoi bere, io non ti do da bere".

Scrollai la testa e mi lasciai cadere sulla sedia. "Quindi? Adesso cosa facciamo?".

"Niente. Aspettiamo che torni".

Lo osservai mentre sorseggiava il primo goccio di cognac, pensando ad una soluzione per eludere la sua sorveglianza. Non volevo neanche immaginare quali sarebbero state le conseguenze per lui se fossi riuscita in qualche modo a scappare, ma non potevo permettere ad un senso di colpa di mandare all'aria una qualsiasi possibilità di fuga. 

"Come si chiama il padre di Deniel?", mi sforzai di fare conversazione, giusto per alleggerire la tensione. Forse, se mi fossi dimostrata quieta avrei avuto una misera possibilità di crearmi un alleato. O quantomeno gli avrei fatto abbassare la guardia.

Non conoscevo molto Dimitri. Lavoravo da qualche mese sotto le sue dipendenze ma a parte qualche breve chiacchierata di circostanza non mi aveva mai rivolto la parola. Per la maggior parte delle giornate se ne stava in ufficio o su qualche set con qualche cliente. Oppure si intratteneva coi dipendenti in sala riunioni. Ma io lì non ci potevo entrare, quindi non avevo mai avuto la possibilità di capire se fosse della stessa pasta di Deniel. 

Forse non gli somigliava, forse era più malleabile. Probabilmente lo era perché quando era stato lui a prelevarmi di forza da casa mia aveva tentato in tutti i modi di tranquillizzarmi e consolarmi, arrivando persino a scusarsi una dozzina di volte quando mi ero chiusa a chiave in bagno. 

"Perché vuoi sapere il nome di suo padre? A cosa ti serve?", domandò, rigido, dopo aver valutato a lungo la mia domanda. Anche questo era un chiaro segnale di quanto questo luogo lo rendesse diverso. Se fossimo stati in città non avrebbe ponderato così a lungo una domanda semplice. E di certo non mi avrebbe risposto con un'altra domanda. Qui invece sembrava sulle spine, evitava persino di guardarmi troppo a lungo negli occhi.

"Così. Non c'è un motivo. Ma dato che ho il sospetto di dovermene restare a lungo in questa casa, tanto vale almeno conoscere i nomi di chi ci abita".

Annuì, comprensivo, rilassando immediatamente i muscoli delle spalle. "Sua madre si chiama Pammy, anche se preferisce essere chiamata Pam".

"Ti avevo chiesto il nome del padre", puntualizzai.

Mi scoccò un'occhiata di rimprovero. "Il nome di suo padre non ti serve. Nè quello di qualsiasi altro uomo".

La risposta mi infervorì ma allo stesso tempo risvegliò qualcosa nella mia mente, indolenzita a furia di tutte le emozioni che l'avevano assalita durante questa interminabile giornata. Le regole del branco! Ecco cosa mi aveva ricordato questa sua risposta assolutista e maschilista. Avrei potuto usarle davvero contro di lui. Balzai in piedi, colta da un'illuminazione. C'era quella regola, la numero non so cosa, che vietava a chiunque di avere contatti con me, quindi avrei potuto sfruttarla in mio favore. Se avessi tentato di fuggire, Dimitri non avrebbe potuto riacciuffarmi... o sì? In città mi aveva toccata svariate volte, ma forse qui non poteva più farlo.

Mi avvicinai a lui a grandi passi e con un movimento carico di sfida posai la mano sul suo polso.

Dimitri spostò lentamente gli occhi dal bicchiere alla mia mano, quindi incurvò un sopracciglio. "Bhe?".

Tolsi la mano, confusa, e la riposai nuovamente sul suo polso, stringendo forte le dita e sfidandolo con un sorrisetto. Anche questa volta però rimase impassibile. Forse la regola non valeva se ero io a toccare qualcun altro. Quindi cambiai tattica e provai a sfilargli il bicchiere. Come previsto cercò di allontanarlo e mi acciuffò le dita e mi costrinse a posarle sul tavolo. Mi aveva toccata!

Il mio sorriso soddisfatto aumentò. "Ecco! Dirò a Deniel che mi hai toccato se non mi aiuterai a scappare", minacciai.

Il suo sopracciglio rimase incurvato verso l'alto e la sua espressione non cambiò, rimanendo neutra. "Mi ha dato il permesso di toccarti prima di uscire".

"Al diavolo", sbottai, tornando a sedermi.

"Ciao Dimitri". La madre di Deniel entrò con passo silenzioso, trasportando un cesto pieno di biancheria profumata. Lo posò al centro del tavolo e ne rovesciò il contenuto, mettendosi subito a piegare in quattro parti gli asciugamani. "Cognac a quest'ora?".

"Eddai Pam", sbuffò. "Non fare la guastafeste".

Pam osservò le mie mani intrecciate sopra il tavolo. "Vedo che almeno tu non bevi". Sembrava un complimento.

"In realtà gliene ho domandato un sorso", confessai. Anche perché non mi importava nella maniera più assoluta di farle una buona impressione. Anzi! Mi sarei scolata l'intera bottiglia in mezzo minuto per poi vomitargliela sul pavimento della sua maledettissima cucina se questo mi avesse garantito di inimicarmela.

"Capisco", ciondolò con la testa, posando un asciugamano sopra la piccola pila che stava creando. "Deniel non ti ha detto se può bere alcolici", si rivolse a Dimitri. No era una domanda ma una semplice constatazione di fatto.

"Eh no", confermò.

"Allora hai fatto bene a non dargliene. Sei un buon Beta", si complimentò.

"Ma per favore", borbottai.

"Ti sembra tutto molto strano, non è così?", rise piano.

"Non ne hai idea".

Piegò un altro asciugamano. "Se vuoi posso aiutarti".

Mi illuminai. "A scappare?".

"No, sciocca", mi squadrò severa. Immediatamente però tornò a impostare i muscoli del viso in un'espressione cordiale. "Posso aiutarti a rendere meno complicata la tua permanenza qui con noi. Conosco le leggi umane e so che sono molto diverse dalle nostre. Imparare le nostre regole ti eviterà sicuramente molte seccature".

"La polizia mi troverà molto prima di quanto pensiate", negai il suo aiuto.

"La polizia?", domandò Dimitri. "Perché dovrebbe cercarti la polizia?".

"E perché no, dato che sono stata rapita?".

"Ufficialmente lo sei, ufficiosamente no".

"Che intendi dire".

Svuotò il bicchiere con un ultimo sorso, buttando giù l'alcolico come se fosse acqua. "Ho parlato ai tuoi genitori, tranquillizzandoli per la tua assenza".

Mi sentii mancare e dovetti aggrapparmi al bordo del tavolo. "Che cosa hai fatto?".

"A tutti gli effetti sono anche io il tuo capo. Quando mi sono presentato a casa tua col team pubblicitario ho spiegato a tuo padre che eri partita per un tour promozionale dedicato alla campagna crowfunding del sergente Malloy".

Mi rilassai subito. "E ti aspetti che ti abbiano creduto?".

"Tuo padre no, ovviamente. Penserà lui a tranquillizzare tua madre".

"Vi state illudendo. E in ogni caso se non mi metterò in contatto con loro nei prossimi giorni penseranno che mi sia accaduto qualcosa e mi faranno cercare".

"Non accadrà", non si scompose.

"Vedrai".

"Di certo non ti cercheranno qui", disse sicuro. "E tua madre non assocerà mai Deniel ad un tuo possibile rapimento".

"Come fai ad esserne così sicuro? Mi ha vista con lui prima che scomparissi da casa".

"Hai con te i documenti, no?", indicò la mia borsetta appoggiata sullo schienale della sedia. "Nessun rapitore si preoccuperebbe di lasciare il tempo al proprio ostaggio di recuperare i propri effetti personali".

Di colpo ricordai come Deniel avesse sfilato il mio portafogli dalla borsetta, accertandosi che avessi la mia carta d'identità all'interno prima di acciuffarmi e trascinarmi nella sua macchina. Pur avendo agito d'impulso non aveva lasciato nulla al caso.

"Ad ogni modo, dopo la riunione di stasera, io tornerò in città. Sarà mia premura mantenere i contatti con loro. Finché tuo padre sarà tranquillo, anche tua madre lo sarà".

Per un momento mi sentii braccata. Avevano vagliato mille ipotesi e trovato delle soluzioni a tutte nel giro di pochi minuti. Si erano sentiti al telefono per quanto? Venti secondi? Con la mente ritornai a qualche ora prima, mentre nella mia cucina Deniel stava chiamando Dimitri dal cellulare. Mi aveva chiesto di attenderlo seduto a tavola per poter effettuare la telefonata in veranda ma dato che lo avevo seguito era stato costretto a parlare con Dimitri davanti a me. E non gli aveva praticamente detto nulla. Come avevano fatto ad intendersi così perfettamente? Senza un piano prestabilito, senza aver organizzato la cosa? La loro mente lavorava frenetica, molto più della mia, facendo e disfacendo piani in un batter d'occhio, allenati con tutta probabilità a risolvere ogni tipo di intoppo nel minor tempo possibile. 

Nascosi il viso tra le mani, sentendomi improvvisamente esausta. E sola. Il sospetto che nessuno effettivamente avrebbe setacciato questa montagna per venirmi a salvare si stava pian  piano facendo strada dentro di me, e i miei nervi ne vennero sopraffatti. Non potevano tollerare un pensiero simile. Era l'unica speranza a cui mi ero aggrappata e che mi aveva dato il sufficiente coraggio per contrastare sia Deniel che la sua famiglia. Ma ora?

Abbassai le mani dal viso e mi ritrovai due paia di occhi puntati contro. Dimitri e Pammy si comportavano educatamente con me, ma erano il nemico. Tutto il villaggio lo era. Persino Deniel. Se la polizia non sarebbe venuta a cercarmi con quale coraggio avrei potuto continuare a inimicarmeli, fregarmi delle loro regole? 

Come avrei fatto a scappare?

"Pammy, c'è un letto per me?", chiesi, sentendo la stanchezza frustarmi ogni muscolo del corpo.

"Certo. La camera di Deniel è quella", indicò una porta che si riusciva a malapena ad intravvedere nella penombra di un piccolo corridoio che si affacciava sul salotto.

Mi alzai e feci per prendere la borsetta.

"No", la mano di Dimitri scattò sopra la mia. "Questa la lasci qui".

"Mi serve", provai a tirarla verso di me.

Lu la strattonò con forza, la aprì e ne estrasse il cellulare. Quindi me la restituì. "Non ho il permesso di entrare in una camera da letto con te, ma bada che sarò fuori dalla porta finché Deniel non sarà tornato".

"Vai al diavolo", mormorai.

E l'urletto di sorpresa di Pammy accompagnò i miei passi mentre mi allontanavo.
























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