Becky - fedeltà
"E' un'informazione poco attendibile... no, certo che no!... Mantenete la posizione sui confini, vi invierò il cambio alle prime luci dell'alba... no, dell'altro problema me ne occupo io... Sì, va bene. Ciao".
Deniel riagganciò e rimase assorto per qualche istante a fissare lo schermo luminoso del cellulare prima di lanciarlo con poca grazia sopra il tavolo. L'espressione cordiale di pochi attimi prima era scomparsa, sostituita da una più tesa, lasciandomi intuire che la natura della telefonata non lo aveva lasciato tranquillo.
Infine lo riprese e digitò veloce qualcosa, lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiata. Lo osservai di rimando, restando seduta su una sedia in disparte, nel più assoluto silenzio, chiedendomi distrattamente con chi avesse appena parlato al telefono e se la discussione mi riguardasse in qualche modo.
Difficile credere il contrario. Per quanto mi tenesse all'oscuro su ogni aspetto della vita del branco, sembrava che ogni suo problema gravitasse attorno alla mia presenza. Ero una pedina scomoda in una battaglia in pieno stallo.
"Domani dovrò assentarmi nuovamente per tutto il pomeriggio", mi informò, digitando ancora qualcosa. "Avrai sempre cinque Beta a difesa della casa".
Sbuffai, sentendomi in gabbia.
"Sbuffa ancora e te ne metterò otto".
"Ci sarà anche Carl?", chiesi innocente, giusto per regolarmi. Non avevo intenzione di passare un'altra giornata incollata davanti a dei film splatter con protagonisti dei licantropi deformi che non somigliavano in nulla ai licantropi del mondo reale.
Deniel mi fissò da sopra il cellulare, smettendo di digitare il messaggio sulla tastiera. "Perché?".
Quella singola parola vibrò nella stanza come un colpo di frusta, sbriciolando l'apparente calma che sentivo di provare dentro di me. Raddrizzai la schiena, cercando di captare nel suo sguardo un possibile indizio che potesse farmi capire il motivo della sua improvvisa collera.
"Così", mi strinsi nelle spalle, fingendomi tranquilla.
"Non è la risposta che voglio".
"Volevo solo sapere se mi sarebbe aspettato un altro noiosissimo pomeriggio davanti alla tv".
"Ed è questa la ragione che ti spinge a chiamarlo per nome?", la voce tremò di rabbia e finalmente riuscii a fare a capire la fonte della sua ira.
"E' solo questo il problema? La vostra stupidissima legge che vieta a noi femmine di chiamarvi per nome?".
"C'è sempre un motivo dietro ad una legge", sottolineò, distratto dal cellulare.
"Bhe non credo possa esistere un motivo intelligente dietro una legge così idiota", mi spazientii, sollevando le braccia. "Ed io non lo accetto. Ho sempre chiamato tutti per nome e non ho intenzione di adeguarmi al vostro maschilismo dittatoriale solo per il gusto di gonfiare il vostro ego smisurato".
Digitò ancora qualcosa. "L'ego non centra".
"E allora cos'è? La gelosia?", provai a indovinare, usando un tono così sprezzante che per un istante Deniel restò in silenzio a fissarmi, mettendo via il cellulare.
"Senti, mi dispiace. Non è che voglia per forza andare contro le vostre regole, ma non ti pare esagerato che non possa chiamarlo per nome nemmeno quando siamo soli io e te? Come farò a parlarti dei tuoi Beta se non potrò distinguerli?".
"In quanto mia, tu non hai il diritto di parlare dei miei Beta. Nè con me né con nessun altro", il tono era così autoritario che non mi lasciava quasi margine di replica.
"E' una follia".
Il frastuono di un bicchiere rimbombò nella cucina mentre i cocci volavano nell'aria, aprendosi a ventaglio prima di sparpagliandosi sul pavimento.
"Il mio branco è sull'orlo della morte, dannazione!", sbraitò. La rabbia che avevo intravisto nei suoi occhi era infine sgorgata, talmente impetuosa da mozzarmi il respiro. "Ci sono otto possibili branchi nemici che ci hanno dichiarato guerra e metà America rischia di scoprire la nostra esistenza se non riuscirò a far sì che la battaglia resti contenuta entro i nostri confini. Il mio stesso branco si sta sfaldando tra la paura di soccombere e quella di perdere il controllo con te e tu", sgranò gli occhi contro di me, facendo il giro al tavolo per raggiungermi, "tu ti diverti a infrangere le regole per puro dispetto. Le stesse leggi che, perdio, ti tengono in vita!".
Spalancai la bocca, stravolta dalla rabbia che si rifletteva nel fluido infuocato dei suoi occhi e d'istinto balzai dalla sedia, ruotando attorno al tavolo nella direzione opposta in cui si era piazzato Deniel.
"La vostra ossessione verso di me è folle. E sei stato tu a portarmi qua. Sono le tue decisioni che continuano a tenere in pericolo il tuo branco", ebbi la pessima idea di criticarlo.
Il sorriso gelido che mi inviò mi fece accapponare la pelle. "Mi stai chiedendo di strapparti la verginità adesso? Perché, credimi, in questo momento non penso di avere tutta questa gran voglia di tirarmi indietro e salvaguardare la vita all'unica donna capace di tradirmi ad ogni mio possibile passo falso".
"No", annaspai nel panico.
"No cosa, Becky? Pensaci bene se hai intenzione di ingelosirmi o provocarmi di nuovo in qualsiasi modo, perché sto cominciando seriamente a rivalutare la mia decisione di non punirti".
"Non volevo infrangere nessuna legge per dispetto", mi ritrovai a balbettare, sentendo il coraggio battere in ritirata. Feci un passo di lato appena lui avanzò verso di me attorno al tavolo. "Non credevo che quella regola dovesse essere seguita anche quando eravamo soli".
"Mi credi smanioso di sentirti parlare di un maschio che non sono io?", alzò la voce.
Sgranai gli occhi e li puntai contro la porta sul retro, valutando velocemente quante fossero le mie possibilità di fuga. Erano scarse ovviamente. E svanirono completamente appena Deniel intercettò il mio sguardo.
"Se stai anche solo pensando di sfuggirmi sappi che ti riprenderò in meno di tre secondi", avvertì, tremendamente serio.
"La vostra gelosia è assurda", accusai, perdendo le staffe. "Ci trattate peggio di come vengono trattati dei prigionieri. Volete rinchiuderci in casa per paura che qualcuno possa portarci via da voi, senza sapere che è proprio il vostro assurdo e maschilistico senso di possesso ad allontanarci".
Deniel scrollò il capo, lasciando che alcune ciocche di capelli gli finissero davanti alla fronte. Arrabbiato o meno, restava l'uomo più affascinante che avessi mai visto, mi sorpresi a pensare.
"C'è una fottutissima scala gerarchica che governa il branco. Hai anche solo una vaga idea di cosa accadrebbe se nel ventre di una femmina ci fosse il figlio di un maschio che non è il proprio compagno? Hai una maledettissima idea di quali sarebbero le conseguenze per un attimo di debolezza? I nostri istinti non sono umani, non è la ragione a guidare i nostri impulsi".
"Credo di essermene accorta".
"Non sfidare la mia pazienza, Becky".
"E tu non sfidare la mia. Potrai anche chiedermi di rispettare le vostre leggi quando sono presenti altre persone, ma non hai alcun diritto di pretendere che io le segui quando non avremo un pubblico. Perché non sono le mie leggi".
"Ho acquisito ogni diritto su di te nel momento esatto in cui ti ho messo gli occhi addosso. Vuoi negarlo? Fallo! Ma ciò non cambierà il fatto che ora sei qui, nel mio mondo, e qui la mia parola è legge".
"Comoda questa legge", gli sputai addosso un sottile sarcasmo. "L'avete scritta, studiata a tavolino, ma siete i primi ad infrangerla".
"Nessuno oserebbe".
"Davvero?", sollevai il mento con aria di sfida. "Dimmi allora, se la vostra legge impedisce a chiunque di toccarmi, perché hai così tanta paura che qualcuno lo faccia?".
Strinse i denti e i muscoli del petto si gonfiarono quando inalò lentamente l'aria in un tentativo di calmarsi. "C'è qualcosa di più potente delle nostre leggi. E sei tu. Il tuo profumo annebbia le nostre menti, ci governa, ci strappa via ogni rimasuglio di umanità. Ecco perché c'è bisogno di paletti. Chiamare i Beta per nome implicherebbe una confidenza da parte tua che per diritto spetterebbe solo a me. Invoglierebbe ad un contatto sempre più vicino e quel misero contatto potrebbe rappresentare la tua morte".
Gli occhi profondi si schiantarono nei miei, immobilizzandomi in una salda presa. "Quanto credi possa impiegare un qualsiasi mio Beta a sbatterti come se i propri occhi non avessero mai visto prima una donna?"
"Credi che glielo lascerei fare?".
"Credi di avere i mezzi per fermarlo?".
"Con te ci sono sempre riuscita".
"Perché a differenza loro io ti amo", urlò furioso, passandosi una mano tra i capelli. "A differenza loro posseggo ancora un barlume di lucidità che mi fa mettere la tua sicurezza davanti al desiderio. Ecco perché!".
Scrollai la testa, disgustata. "Siete solo degli animali e come tali vi comportate".
Si lasciò sfuggire una smorfia. "Per voi umani è forse diverso? Sei davvero così ingenua da credere che nel tuo mondo le cose non vadano esattamente come nel mio?".
Aprii la bocca ma il suo sguardo mi fece rimangiare qualsiasi cosa stessi per dire.
"Vivete nelle lussuria, tradendovi alle spalle, gridando di amarvi e correndo nelle braccia di qualcun altro alla prima occasione".
"Ci confondi con qualcosa che non siamo".
"Chiamate la passione con la parola amore, senza distinzioni. Siete in grado di distruggere intere famiglie per un fugace attimo di desiderio, lasciando figli senza padri e figlie senza madri. Le vostre intere esistenze ruotano attorno all'amore ma non siete in grado di riconoscerlo nemmeno quando ve lo trovate di fronte". Si avvicinò di un passo e quando riprese a parlare modulò il tono, rendendolo più leggero. "Non posso fidarmi dei miei Beta finché non sarai mia, e non posso fidarti di te finché non vorrai diventarlo".
"E' questo il punto allora", mi arrabbiai, avanzando anche io di un passo verso di lui. "Non vuoi che io parli di nessuno perché mi credi tanto subdola da andare a letto con un altro per mettere in gioco il tuo ruolo di Alpha! Sai? Se non fossi tanto stupida l'avrei già fatto".
Con uno scatto eliminò la distanza tra di noi, acciuffandomi per le spalle e spingendomi contro il muro. Per non ritrovarmi con la faccia appiccicata alla parete dovetti sollevare entrambe le mani, posando i palmi contro la fredda pietra.
Il suo torace si schiantò contro la mia schiena, impedendomi anche il più piccolo movimento, e le sue labbra si abbassarono all'altezza del mio orecchio. "Bada a non scherzare su una cosa simile. L'infedeltà di una femmina può mettere a repentaglio l'intera discendenza del proprio maschio. E se fosse quest'ultimo a cedere ai propri impulsi, facendo sua una donna che non gli appartiene, perderebbe il titolo di Beta, andando a creare una crepa nella struttura portante su cui si basa la nostra gerarchia".
"E' illogico".
"Illogico dici? Reputi illogico che vi proteggiamo dalle attenzioni degli altri maschi?".
"Non è impedendomi di chiamare qualcuno col proprio nome che mi proteggerai".
"Qualsiasi cosa tenga gli altri lontano da te è proteggerti", mi contraddisse. "Vuoi chiamarli per nome?".
Mi accorsi troppo tardi che le sue mani stavano intrufolandosi dentro l'elastico dei miei leggings. Feci leva sulle mani, cercando di indietreggiare ma la sua mano si abbatté implacabile contro la mia natica in uno schiaffo che mi strappò un urlo.
"Dove credi di andare?", chiese pieno di scherno, facendo scorrere la mano lungo il mio fianco, sotto la stoffa dei pantaloni.
"No!", gridai indignata, cercando di divincolarmi.
"E' tardi per dirmi no", ringhiò piano, facendo vibrare il petto contro la mia schiena. "Vuoi trasgredire alle regole? Bene. Hai vinto. Potrai farlo. Ma non senza il mio odore addosso".
Le dita tracciarono una linea lungo la cucitura delle mutandine, scostandole con uno strattone.
"Ti prego", strizzai le palpebre.
"Aspetta a pregarmi", mormorò contro il mio orecchio.
Quando le sue dita trovarono il punto più caldo tra le mie cosce si immobilizzarono, lasciandomi il tempo di percepirle per bene prima di stuzzicare la mia carne con dei lenti movimenti. Trattenni il fiato e mi irrigidii.
"E' tempo di far capire a tutti a chi appartieni", disse preannunciando le sue intenzioni.
Con le dita si creò un piccolo varco nella mia umida fessura e vi immerse un dito con una lentezza calcolata e sfrontata che mi permise di accettarlo senza provare dolore.
"Sanno tutti che sono tua", annaspai, osservando impotente le mie dita contrarsi contro la parete.
Il dito scivolò fuori, con la stessa lentezza. "E tu lo sai?".
Annuii.
"Dillo allora. Dimmi che sei mia", mi lambì il collo, sfregando la barba sulla mia pelle in una ruvida carezza.
Un brivido mi attraversò tutta la schiena, schiantandosi nel punto in cui le sue dita stavano muovendosi senza fretta, sfacciate nella loro consapevolezza di avermi in pugno.
"No", riuscii a dire, posando la fronte contro la fredda parete e cercando di resistere a ciò che mi stava facendo provare.
Senza preavviso un secondo dito si unì all'altro, penetrandomi senza delicatezza e strappandomi un gemito di dolore.
"Non credo di aver sentito bene", mi incalzò, dolce.
Di nuovo le sue dita scivolarono fuori di me e con un'energica spinta si intrufolarono di nuovo, allargandomi quel tanto che bastava per annullare ogni più piccolo dolore. L'eccitazione montò fulminea, sconosciuta e potente, facendomi tremare le ginocchia. Le sentii cedere e senza rendermene conto mi lasciai cadere indietro, contro il petto ampio di Deniel, duro come una roccia il cui unico scopo sembrava essere quello di sorreggermi.
"Sto per farti godere, amore mio", mi avvertì, dimostrando di conoscere il mio corpo più di quanto potessi conoscerlo io.
"Fermati", blaterai confusa in un ultimo tentativo di sottrarmi.
Tuttavia le sue spinte non si arrestarono, aumentando di colpo di intensità, andando a toccare dei punti capaci di strapparmi a forza dei gemiti che riecheggiarono nel silenzio della cucina.
"Dillo Becky", ruggì possessivo. "Dimmi che mi appartieni".
Ruotò il polso e le sue dita guadagnarono altro terreno dentro di me, insegnando al mio corpo a lasciarsi andare per la prima volta, guidandomi verso un orgasmo che mi travolse, traducendosi in un urlo che gridava a lui, e a tutto il branco, che ero sua.
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