Becky e Deniel - presentazione al branco (parte 2)

DENIEL

Quando la riunione ebbe fine avevo ancora il piano proposto che mi vorticava in testa. Sapevo che era un cazzo di palliativo e che tutto ciò che avevamo architettato non sarebbe stato sufficiente a scongiurare la guerra.

Vincent e Peter avrebbero interrogato Ayris e già questo era un buon passo avanti, peccato che per farlo avrei dovuto incontrarmi col padre di lei, e questo senza dubbio ci obbligava a dieci passi indietro.

Che mi odiasse era ormai risaputo da tutti e di certo avrebbe usato gli errori che in passato avevo commesso con sua figlia per ostacolare il piano che, continuavo a ripetermelo, era un fottutissimo palliativo.

Abbassai lo sguardo sulle venature del tavolo. Stavamo per affrontare una guerra... ma a che scopo? Che senso aveva proteggere il branco da un attacco nemico se eravamo destinati a morire nel giro di sei mesi?

Attorno a me rimbombavano le voci dei miei fratelli. Si mescolavano in un unico riverbero attutito, alimentando il mio desiderio di alzarmi dal mio posto e fracassare il cranio a tutti quanti. Invece restai immobile, le spalle incurvante in avanti dal peso delle mie responsabilità, le orecchie tese a captare le loro parole che mi trivellavano il cranio come un rompighiaccio.

Erano parole troppo speranzose, proiettate al futuro. Un futuro che io, ogni volta che mi rifiutavo di fare di Becky la mia compagna, stavo calpestando e sbriciolando come cenere.

Non esistevano copioni da seguire o regole prestabilite in momenti come questo. Niente, negli anni trascorsi fianco a fianco di mio padre e in seguito al comando come Alpha, mi avevano preparato a questa inaspettata svolta degli eventi.

E nemmeno gli stramaledettissimi anni dell'adolescenza accompagnati dai racconti degli anziani che, agli occhi umani, sarebbero risultati dell'orrore mentre per noi rappresentavano la normalità. Quei racconti, col senno di poi, erano serviti per prepararci all'età adulta, narrando e descrivendo ciò che il futuro ci prospettava.

Ma in nessun racconto che avevo ascoltato attorno al fuoco c'era prospettato un futuro così di merda. 

Era tutto così semplice da non dover nemmeno sprecare il tempo per analizzare possibili varianti o per ricercare un significato nascosto: il maschio cacciava la femmina. La prendeva. La marchiava a vita. Punto.

Persino un ritardato mentale sarebbe stato in grado di seguire un programma così banale. Peccato che il mio programma aveva una variante non sottovalutabile.

Sospirai e con lo sguardo cercai Becky all'interno della grande sala; se ne stava in disparte col volto rivolto verso la finestra, sebbene all'esterno fosse abbastanza buio da non permetterle di vedere nulla. Furba com'era, non c'era da sorprendersi se stesse usando quella finestra a mo' di specchio per tenere monitorati i movimenti dei miei Beta

Il mio odore su di lei era talmente forte da mascherare completamente quello della paura, ma non mi serviva annusarla per capire che il tremore che le faceva vibrare le spalle era dovuto alla presenza di un branco di licantropi.

Se non altro il mio odore l'aveva protetta, facendomi capire che il mio stratagemma di marchiarla senza per forza di cose portarmela a letto stava funzionando. E avrebbe funzionato almeno fino ad ottobre, data in cui i giochi si sarebbero conclusi.

Il rumore del portone che si apriva mi distrasse per un secondo e annoiato fissai le giovani licantrope sfilare eleganti verso i propri compagni oppure unirsi in piccoli gruppi ai margini della tavolata. Intravidi la compagna di Carl e studiai il suo ventre per controllare i segni della gravidanza. Accanto a lei, Senna e Sara saltellarono allegre verso un gruppetto di Beta, e a giudicare da come sbattevano le ciglia avevano tutte le intenzioni di sedurli.

Schioccai le dita verso Vincent e appena mi fissò gli indicai Senna con un mezzo sorriso cameratesco, incitandolo a raggiungerla prima che facesse uscire di testa tutti i maschi presenti.

Il suo primo calore l'aveva resa audace e sfrontata e il clima della serata era già abbastanza teso senza per forza alimentare il testosterone dei presenti. Tra l'altro avevo già l'incombenza di dover parlare col padre di Ayris e non avevo voglia di ritrovarmi a dover discutere anche con quello di Senna se qualcuno dei miei fratelli avesse ceduto alle sue lusinghe.

Controllai di nuovo Becky. Non si era mossa ma da oltre la spalla stava osservando le femmine del branco. Difficile capire cosa stesse pensando.

 "Quindi...", attaccò mio padre, sedendosi sulla sedia alla mia destra.

Dio che fastidio quando cominciava la frase così e poi la lasciava in sospeso, come se potessi capire cosa cazzo stesse pensando.

"Quindi cosa?", sbuffai.

"Eh sì!", disse Carl, sedendosi alla mia sinistra. "Quindi per davvero".

Ma perché cazzo odiavano così tanto la loro vita?

Stavo per mandarli al diavolo quando la mano di Peter planò pesante sulla mia spalla, in una pacca comprensiva. Cosa cazzo avesse compreso, comunque, lo sapeva solo lui.

"Quindi...", mormorò anche lui.

"Quindi andatevene a fanculo?", ipotizzai.

"Ti stiamo osservando da un po'", mi spiega Carl, come se queste sei parole del cazzo potessero illuminarmi di immenso e farmi capire il vero senso del loro "quindi".

"Il ché mi fa supporre che avete una vita di merda se non avete altro di meglio da fare che stare a guardare me".

"Non è questo il punto".

"Ah no? E quale sarebbe?". Sentiamo...

"Il modo in cui continui a guardarla", interviene mio padre. "Sei spaventato per lei e questo ti fa soffrire. Ti toglie lucidità".

"Magari vuoi parlarne con noi. Potrebbe farti bene", sentii Peter alle mie spalle.

Mi voltai a fissarlo, senza dire nulla. Ma chi cazzo era? Il mio psicologo?

Ma evidentemente il mio sguardo non era bastato per farlo demordere: "Come vanno le cose tra di voi? Si è calmata?".

"Ho sbranato un licantropo davanti a lei, l'ho strappata via dalla sua famiglia e la tengo prigioniera in casa mia perché essendo la mia compagna c'è un esercito di licantropi pronto a strapparle la carotide. E qualche ora fa ho goduto sopra di lei". Sorrisi glaciale. "Ora, dimmi, secondo te, come vanno le cose tra me e lei?".


BECKY

"Perciò tu sei l'umana". Una donna sulla trentina mi si avvicinò ancheggiando, studiandomi attentamente, quasi a caccia di qualche differenza fisica tra me e lei.

Era difficile capire attraverso il suo sguardo imperturbabile se mi si stava avvicinando col piede di guerra o se al contrario per avere una conversazione normale.

"Sì", confermai, osservandomi attorno spaventata. "E data la situazione mi sento di poter tranquillamente aggiungere un purtroppo".

Un sorriso comprensivo le abbellì il volto, gonfiandole le guance paffute ed evidenziando una lieve couperose che quando era seria non si notava nemmeno. Sotto le labbra individuai la linea bianca e dritta dei denti. Grazie al cielo i canini non si vedevano, quindi forse era venuta in pace.

"Io sono Lena", si presentò cordiale. "La compagna di quel Beta laggiù", indicò Carl.

"Lo conosco. Deniel lo ha messo a protezione di casa sua e nel pomeriggio mi ha obbligata  a vedere tre film sui licant... cioè su di voi", mi corressi svelta. "Comunque poi, Deniel mi ha spiegato che tutte le cose che si vedono nei film sono finzione e che Carl me li ha fatti vedere solo per...".

"Carl?", chiese, ma non suonò affatto come una domanda.

Conscia dell'errore commesso mi coprii la bocca con la mano e spalancai gli occhi. La mente mi si riempì di scene raccapricciati in cui quella donna si trasformava in un grosso lupo pronto a sbranarmi.

"Scusa", squittii spaventata. "Scusa. Scusami davvero".

"Calmati". Si guardò attorno per valutare dove fossero tutti gli altri, quindi accostò le labbra al mio orecchio. "Anche noi conosciamo i nomi dei maschi, però non farti sentire mentre ne pronunci uno, va bene?".

Annuii, tirando un sospiro di sollievo e la mente si svuotò da quello storiboard da film dell'orrore.

"Come ti chiami?", chiese.

"Becky". 

D'istinto feci scattare in avanti la mano e lei la osservò contrita.

"Ma non ti hanno spiegato le regole?", si sorprese. "Non posso toccarti".

"Pensavo che questa regola valesse solo per i maschi".

"Vale per tutti. Sei la compagna dell'Alpha perciò finché tu sarai in vita lo sarò anche io e tutti noi. Non possiamo rischiare che qualcuno possa ferirti involontariamente o farti del male in modo premeditato. Molto meglio stabilire che nessuno possa toccarti". Annusò l'aria attorno a me e aggiunse birichina: "Tranne Deniel ovviamente".

Arrossii. "Si sente così tanto?".

"L'odore del suo sperma è molto forte", spiegò, parlando come se fosse la cosa più naturale del mondo. "L'avevo già sentito su alcune di noi, ma su di te è molto più forte".

Per un attimo rimasi senza parole, concentrandomi sulla deglutizione per scacciare la nausea. Un nodo in gola mi tolse il respiro. Mi mancava l'aria. Deglutii ancora e il nodo scese, schiantandosi alla bocca dello stomaco e aprendo una voragine al suo passaggio. Una voragine che faceva dannatamente male, ma proprio molto, molto male.

Spiazzata da questi nuovi sentimenti distolsi per un attimo lo sguardo da Lena e senza rendermene conto cercai Deniel; se ne stava seduto al tavolo con suo padre, Carl e un altro Beta e, come se avesse sentito il mio sguardo su di lui sollevò la testa. Ci fissammo, occhi negli occhi, ed io sentii il cuore trafiggersi da mille spilli.

E in quel lasso di tempo, durato forse cinque secondi, come una punizione per aver ceduto alla gelosia si affacciarono nella mia mente le scene di me e lui assieme. 

L'immancabile senso di inadeguatezza mi spinse a rifiutare il ricordo di lui mentre mi marchiava ma ormai era troppo tardi. Il suo sguardo vitreo mentre si toccava sopra di me era stampato nel mio cervello come un vivido promemoria di ciò avevamo fatto. Come lo erano la vena sul collo che pulsava, i movimenti bruschi e meccanici per raggiungere l'orgasmo il prima possibile, il petto che si gonfiava mentre riversava il suo seme sopra la mia vagina. 

Erano state tutte esperienze nuove per me. Sconosciute. Lui stesso rappresentava ogni mia prima volta. Mentre a giudicare da quello che mi aveva detto Lena, io rappresentavo solo una ragazza pescata nel mucchio. Una stupida umana che non avrebbe potuto mai competere con la forza e la bellezza di una giovane licantropa.

Il senso di inadeguatezza aumentò e si amplificò fino a far male quando riposizionai lo sguardo su Lena. Era più grande di me di una decina d'anni e indossava la tipica bellezza di una donna che poteva vantare tutte le esperienze di vita che a me mancavano. 

I capelli erano intrecciati in una treccia alta e tenuti fermi da alcune forcine ricoperte di perle, il viso era completamente privo di trucco e talmente affascinante nella sua naturale bellezza che non c'era da meravigliarsi che Carl continuasse a umidirsi le labbra ogni volta che fissava lo sguardo su di lei. L'abito che indossava era bianco, lievemente trasparente in controluce, virginale nelle sue pieghe che si rincorrevano morbide fin oltre le sue sottili caviglie, abbellite da alcune cavigliere che si rifacevano sia per forma che per decorazione alle forcine tra i capelli.

Per quanto fosse stupido e masochistico paragonarmi a lei, non potei evitarmi di mettere a confronto il mio corpo al suo. Il suo era alto e sinuoso in tutti i punti giusti. Appartenevamo a due specie diverse, tuttavia i tratti somatici erano identici. Ciò che ci differenziava era che lei sembrava appartenere a quella categoria di donne che avevano il mondo ai propri piedi mentre io appartenevo a quella delle impacciate e timide.

"Come vanno le cose tra te e lui?", chiese, improvvisamente guardinga, come se non avesse alcun diritto di rivolgermi quella domanda.

Il ché poteva anche essere, dato che la loro comunità era regolamentata da un numero infinito di leggi. Che poi non tutte venissero seguite alla lettera era un altro paio di maniche.

"Così così", riuscii a dire, sforzandomi di deglutire ancora. Il dolore era ancora tutto lì e ad onor del vero non sapevo classificarlo. 

Cos'era? Rabbia? Fastidio? Umiliazione? Gelosia?

Cos'era? 

Era simile a quello che avevo provato quando avevo visto Senna nuda di fronte a Deniel ma questa volta era diverso. Più forte. Più invasivo. Più spaventoso.

"E' molto arrogante vero?", ridacchiò complice, dandogli una sbirciatina.

La fissai senza dire nulla. Era una sconosciuta, perlopiù fedele al suo Alpha, e dubitavo che avrebbe ascoltato volentieri le mie lamentele su di lui. Molto più facile credere che fosse stata mandata da me di proposito per indagare o guadagnarsi la mia fiducia.

"Puoi parlare liberamente, se ti va di farlo s'intende", mi lesse nel pensiero. "Non andrò a spifferargli nulla".

Quindi increspò le labbra e sollevò gli occhi, rimuginando su qualcosa.

"Bhe, logicamente se dovessi confidarmi di avere un piano per ucciderlo, dovrei andare a riferire. Tu mi capisci, non è così? Dopotutto è il mio Alpha", aggiunse.

La sua sincerità mi strappò un mezzo sorriso. Non mi fidavo, ovviamente, ma quanto meno si stava sforzando di essere parzialmente onesta. 

"Dopodiché mi morderesti al collo", commentai ironica.

Ma lei inorridì, e non stava fingendo. "Non dirlo nemmeno per scherzo. Se ti mordessi condannerei a morte tutti noi, compresi i miei figli".

Sull'onda di quest'ultima parola la vidi sollevare una mano contro il ventre a mo' di protezione.

"Sei incinta?", tirai le somme.

"Del terzo", sbuffò, inviando un'occhiataccia accusatoria verso Carl che prontamente le rispose con un sorrisetto sfrontato.

Probabilmente riuscivano a captare qualche cosa di ciò che ci stavamo dicendo e mi appuntai di usare un tono più basso.

"Perciò va così così", riprese il discorso.

Mi strinsi nelle spalle. "Lo conosco molto poco. Era il mio capo e con lui non ho mai avuto molta confidenza".

"E allora perché ne sei così gelosa?".

"Io non...", attaccai e colma di imbarazzo feci scattare lo sguardo verso Deniel, chiedendomi quanto avesse sentito.

Se ne stava voltato ancora verso Peter, discutendo di qualcosa che, a giudicare da come digrignava la mascella, lo stava facendo imbestialire. La sua concentrazione era completamente rivolta verso il suo Beta perciò dedussi che non stava seguendo la conversazione tra me e Lena.

"Provo qualcosa", ammisi in un bisbiglio.

A Lena si illuminarono gli occhi. Si morse il labbro inferiore e poi infilò la punta della lingua tra i denti, incitandomi con un gesto frettoloso della mano a proseguire.

"Non so cosa sia ma... c'è". Mi indicai il petto. "E' tutto qui ed è così nuovo che non riesco nemmeno a gestirlo. Non dovrei provare qualcosa di simile per lui. Non dopo che mi ha rapita".

"Non ti ha rapita".

Ruotai gli occhi. "Credimi, lo ha fatto".


DENIEL

"Eppure il tuo odore su di lei, per un attimo, mi ha fatto sperare che le cose andassero meglio", commentò Peter alle mie spalle.

Scossi la testa e le immagini di lei nuda sotto di me mi fecero tendere il cavallo dei pantaloni. "Non potranno andare meglio finché si riterrà un mio ostaggio".

"Ne sta parlando proprio ora con Lena". Carl le indicò e inviò un bacio volante alla propria compagna. "E comunque, Peter, se andassero meglio, Deniel non sarebbe qua ad ascoltare noi anziché tra le belle cosce della sua fragile umana".

"Attento a quello che dici", bofonchiai, sfilando una sigaretta dal pacchetto. 

L'accesi e mi feci attento, indirizzando l'udito nella direzione delle due femmine. Erano distanti e parlavano a basa voce. Metà delle loro parole si mescolavano al vociferio di sottofondo e non mi permettevano di captare i toni.

Probabilmente nemmeno Carl riusciva a udire distintamente la natura del loro discorso ma col tempo aveva affinato la sua capacità di leggere il labiale, una dote che spesso e volentieri avevamo sfruttato durante qualche scontro.

"Per gli umani funziona in modo diverso", prese la parola mio padre. A differenza di Carl e Peter, era l'unico a conoscere abbastanza bene la razza umana. "I loro tempi di corteggiamento sono variabili e molto diversi dai nostri".

"Quando sono andato a prendermi Lena le ho portato un mazzo di fiori", sputò Carl, orgoglioso.

Mio padre gli schioccò un'occhiata incerta. "Non credo basti ad un'umana".

"Basti per cosa?", chiese Peter, fissando apertamente Becky. Se voleva morire bastava che me lo chiedesse, eh!

"Per considerarsi la compagna di qualcuno".

"Quello che dici non ha senso", fece scivolare lo sguardo curioso lungo l'abito rosso della mia piccola.

Va bene adesso basta! Ringhiai nella mia testa.

Mi voltai verso di lui. "Anche il modo in cui me la stai guardando non ha un cazzo di senso!"

Il suo sguardo si levò immediatamente ma la genuina curiosità sul suo volto rimase. "Per quale assurda ragione una femmina dovrebbe decidere se accettare o meno il proprio maschio?". 


BECKY

"Non ti ha rapita, ti ha solo presa", mi contraddisse.

"Ti rendi conto che stiamo dicendo la stessa cosa, vero?".

Lena mi fissò pensierosa, studiando la rabbia sul mio volto. "In effetti, potresti vederla in modo diverso dal mio. Soprattutto se applichi la definizione di rapimento degli umani".

"Avete un modo diverso di vedere la cosa?".

"Direi di sì", sorrise nel vedere che Carl le stava inviando un bacio volante. "Da noi i rapimenti non esistono poiché implicherebbero un tipo di relazione paritaria a cui probabilmente sei abituata tu".

Scrollai la testa, confusa. "Non credo di riuscire a seguirti".

"Un licantropo, soprattutto un Alpha, non ha bisogno del permesso della femmina per renderla la sua compagna. Carl me lo ha chiesto, per esempio, ma molti licantropi non lo fanno. Da quello che ho potuto vedere, presumo che Deniel non lo abbia fatto".

Mi accigliai, ripensando al modo in cui mi aveva prelevata da casa e caricata a forza sulla sua auto.

"No", confermai. "Non lo ha fatto. Mi ha solo detto di aver avuto l'imprinting e poi... bhe poi sono subentrati quei sei lupi e mi ha portata via dalla mia famiglia e scaraventata a casa sua".

"Il ché mi fa capire quanto teme quei lupi", rimuginò a voca alta.

"Che intendi dire?".

Sollevò le sopracciglia sottili e la fronte si increspò in un'espressione stucchevole. "Portarti qui, Becky! In mezzo a noi! Senza prima marchiarti! Ti rendi conto del pericolo a cui ti ha sottoposta? Forse non ti sei guardata bene attorno ma in questa sala la metà dei presenti sta fremendo per metterti le mani addosso. E spero tu non sia abbastanza ingenua da non capire in che modo vorrebbero farlo. Pur avendo l'odore di Deniel addosso alla pelle sei e resti una tentazione fortissima. Persino io che sono femmina posso percepire il profumo della tua verginità. E' lieve, e appena mi ero avvicinata non ci avevo fatto caso, ma credimi: c'è!".

Si bloccò per un secondo quando due ragazze ci passarono accanto senza badare troppo a noi. Mi scoccarono uno sguardo fugace, tra il curioso e l'amichevole, e poi si allontanarono, attirate dalle risate di alcuni Beta fermi sulla porta d'ingresso.

"Se ti ha portata qui, significa che i pericoli che correvi nel tuo mondo erano ben più grossi. Oppure...", ci pensò su e mi fissò di guardinga. "Hai una famiglia?".

"Sì, certo".

"E' stata minacciata?".

"Non lo so. Deniel non mi dice molto. Mi ha spiegato che potrebbero essere in pericolo e che quei sei lupi potrebbero prendersela con loro per arrivare a me. Però, il giorno in cui mi ha rapita, mio padre ha ricevuto un pacco e quello che c'era dentro non è piaciuto molto a Deniel".

"Cosa c'era all'interno?".

"Un biglietto".

"E cosa c'era scritto?".

Scrollai le spalle, allargando le braccia dispiaciuta. "Non me lo ha detto e non me lo ha fatto leggere".

"E' stato subito dopo quel biglietto che ti ha presa?".

"Intendi rapita?", puntualizzai acida.

Sorrise arcigna, senza demordere. "Intendo presa".

Ruotai gli occhi e lasciai perdere. "Comunque sì. Sì, è stato subito dopo aver letto quel biglietto. Ha detto che ero in pericolo e mi ha trascinata qui senza nemmeno darmi il tempo di dare una spiegazione a mia madre".

Lena fissò Deniel e un sorriso pieno di onore le colorò gli occhi di giallo. "Non hai proprio capito nulla".

"Cosa non avrei capito?", mi stizzii.

Il sorriso aumentò, divenendo quasi materno. "Non ti ha portata qui per tenerti al riparo. Lui non sta proteggendo te. Sta proteggendo la tua famiglia".


DENIEL

"Comunque ci sto lavorando", dissi a denti stretti, stanco di sentirli ridacchiare.

Da una parte tremavano al solo pensiero che non riuscissi a farla mia, dall'altra avevano trovato nel rifiuto di Becky un buon collante per coalizzarsi contro di me e beffeggiarmi.

Io invece avrei incollato ben volentieri il loro cranio alla corteccia di un albero. Così poi vedevamo se gli passava la voglia di ridere.

"Lo abbiamo sentito", ridacchiò Carl, riferendosi al mio odore su di lei.

Lo colpii alla spalla con una manata e dovette aggrapparsi al tavolo per non ribaltarsi con la sedia. "Piantala idiota".

"A mio avviso sta facendo un po' un lavoro di merda", scoppiò a ridere mio padre, rivolgendosi a Carl e Peter ed escludendomi dal discorso. "Credetemi, non c'è tregua in casa mia. E' un continuo battibecco. Io e Pam stiamo valutando di trasferirci nella foresta".

"Uhh! Gli tiene testa la ragazzina!".

"Il nostro Alpha tenuto per le palle da una vergine umana. Chi lo avrebbe mai detto?".

"Avete finito?", ringhiai.

"Dì un po', Deniel", mi apostrofò Carl. "Oggi quante volte ha tentato di fuggire?".

"Una volta sola ma sta migliorando".

"In che senso?".

"Nel senso che continuerà a fuggirmi, ma non le crea più troppi problemi se qualche volta l'acchiappo", conclusi con un ghigno.

E tutti e tre lo imitarono.

"Quindi prima di venire qua ha finalmente ammesso di appartenerti?", scavò Carl.

Feci un tiro di sigaretta. "Non ha parlato molto a dire il vero".

"Allora come fai a sapere che...".

Gli lanciai un'occhiata di intesa.

"Oh!", sembrò afferrare il concetto perché il suo ghigno si rafforzò. "Capisco".

Ci fu un attimo di silenzio, poi anche Peter scoppiò a ridere.





















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